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domenica 30 ottobre 2011

castello di Feraklos

castello di Feraklos


Nel 1306 i cavalieri di S.Giovanni sbarcarono nella baia sovrastata da questo castello.
Nel 1470 il GM Giovanni Battista degli Orsini fece restaurare l’antica fortezza bizantina. Il suo stemma è visibile sul muro est. La fortezza custodiva i prigionieri e vi venivano esiliati i cavalieri che dovevano espiare delle colpe.




sabato 29 ottobre 2011

Chiesa della Dormizione della Vergine, Mesangros, Rodi

Chiesa della Dormizione della Vergine, Mesangros

La chiesa attuale risale al XIII sec. ed insiste sui muri maestri di due basiliche preesistenti da cui provengono diversi materiali reimpiegati nella sua costruzione.

Nella porta che si apre sul lato nord si nota l’utilizzo di una colonna proveniente dalla Basilica A a guisa di architrave.
La chiesa internamente presenta una navata unica scandita da due arcate sostenute da colonne di recupero e voltata a botte. Gli affreschi (XIV e XV sec.) sono quasi del tutto scomparsi, ad eccezione di una rappresentazione del Melismos nella fascia inferiore dell’abside.

La Basilica A (V sec. c.ca) presentava una pianta a tre navate ed era sopravanzata da nartece.
La Basilica B era anch’essa a tre navate terminanti con absidi circolari ed appare essere stata costruita sulle navate centrale e settentrionale della basilica A.

 Nartece della basilica A (inquadrato da S) 
pavimentato a cocci di terracotta.

Nartece della Basilica A (inquadrato da N)

Navata meridionale della Basilica A – pavimentata a mosaico – e navata meridionale della basilica B terminante con un’absidiola.

Absidi
Il muro più esterno corrisponde all'abside della Basilica A; all’interno si nota quello della basilica B provvisto di synthronon.

Frammento di pavimento a mosaico, apparentemente situato all’esterno delle basiliche.

 

Agios Giorgios ò Vardas, Rodi

Agios Giorgios ò Vardas


Situata nei pressi del villaggio di Apolakkia, risale al 1289-90, anche se la muratura absidale sembra appartenere a un edificio preesistente.
Presenta una pianta a navata unica a volta ogivale e un abside poligonale (a tre facce) all’esterno. Il timpano (nicchia ad arco) sopra la porta d’ingresso è sovrastato da una dentellatura in mattoni rossi.
Il ciclo di affreschi è coevo alla fondazione della chiesa.



Presentazione di Gesù al Tempio e Ingresso a Gerusalemme
Emisezione SO della volta


S.Giorgio
Parete meridionale
 

Bagno del Bambino
Emisezione NO della volta

venerdì 28 ottobre 2011

Complesso di S.Costanza, Roma

Mausoleo di S.Costanza



Fu fatto edificare da Costanza (Costantina), figlia di Costantino il grande, per il marito Annibaliano nella prima metà del IV secolo, nei pressi delle catacombe dove si riteneva fosse stata sepolta S.Agnese e della basilica cimiteriale che già aveva fatto erigere in onore della santa.
La costruzione del mausoleo, secondo studi recenti, sarebbe avvenuta in due fasi: una tra tra il 337 ed il 351 d.C. - nel periodo di vedovanza di Costanza (1)* - e l'altra dopo la sua morte (354), ma comunque entro il 361. Successivamente fu sepolta nel mausoleo anche Elena (2)*, l'altra figlia di Costantino.


E' uno dei primi esempi conservati (insieme al Battistero Lateranense e a S.Stefano rotondo) di edificio cristiano a pianta centrale con ambulacro. Derivato da modelli romani di templi, mausolei e ninfei (il Pantheon, il Mausoleo di Augusto, il cosiddetto tempio di Minerva Medica) deve la sua caratteristica più innovativa - i due spazi circolari concentrici - a un edificio di poco precedente destinato ad influenzare l'architettura medioevale: il Martyrium del Santo Sepolcro eretto a Gerusalemme da Costantino e dalla madre Elena.
L'edificio era strettamente integrato con la basilica. Il nartece (1) che ne costituisce l'ingresso, absidato ai lati, si innestava sulla navata laterale della basilica e pertanto il mausoleo veniva a trovarsi trasversalmente in asse con la basilica stessa.



Ingresso e abside laterale occidentale del nartece

Abside laterale orientale del nartece

L'interno è costituito da una rotonda circolare (2) coperta a cupola, circondata da un deambulatorio (3), e da esso separata da 12 coppie di colonne di granito, tutte di spoglio.
I capitelli delle colonne sono legati fra loro due a due da pulvini disposti in senso radiale, così da creare moti centrifughi e centripeti che accompagnano dalla penombra dell'ambulacro al luminoso spazio centrale.
La cupola dell'ambiente centrale - avente 22,50 m di diametro - venne realizzata con una tecnica costruttiva tipicamente romana, composta di nervature meridiane e solidi archi in mattoni, che ingabbiano la concrezione di tufo e pietra pomice.
All'interno la cupola era ricoperta di mosaici, oggi scomparsi, e le pareti sottostanti erano dotate di un sontuoso rivestimento marmoreo in opus sectile, di cui oggi non ci rimangono che alcuni disegni, come testimonianze
Fu papa Urbano VIII (1623-1644) ad eliminare i rivestimenti, a causa di una minaccia di crollo. Rimangono comunque i 12 finestroni centinati che illuminano l'edificio nella sua parte centrale, conferendogli quel dinamismo da cui deriva in buona parte il suo fascino.
L'ambulacro è coperto con una volta a botte, decorata da magnifici mosaici del IV secolo, che alternano motivi geometrici, scene di vendemmia, ritratti inseriti in clipei, fra cui si potrebbero riconoscere, rispettivamente a sinistra e a destra della nicchia frontale, Costanza e il primo marito Annibaliano. Tipico caso di adattamento di temi pagani alla tradizione cristiana, hanno fatto sì che il mausoleo venisse a lungo identificato con il tempio di Bacco.


Il ritmo delle pareti laterali è scandito da numerose nicchie. 
Le quattro nicchie in corrispondenza dei quattro assi sono di dimensioni maggiori: di forma rettangolare le due sull'asse longitudinale, semicircolari quelle sull'asse trasversali. I corrispondenti spazi tra le doppie colonne (intercolumni) sono più larghi e più alti degli altri: in questo modo viene a crearsi uno schema tipologico a croce inscritto in una circonferenza.

La nicchia rettangolare opposta all'entrata (4) ospitava il sarcofago di Costanza in porfido rosso (il marmo riservato alla famiglia imperiale) decorato con motivi cristiani che riprendono i temi della decorazione musiva dell'ambulacro. Il sarcofago è conservato dalla fine del '700 nel Museo Pio Clementino; al suo posto è collocata una copia in gesso.


Nelle due nicchie maggiori poste al centro delle curve laterali, due scene a mosaico (fortemente restaurate) della fine del IV secolo testimoniano il primato della chiesa di Roma sulla cristianità: la Consegna delle chiavi e la Consegna del rotolo della Legge (Traditio Legis) a S.Pietro

Traditio legis

Il mausoleo divenne in seguito battistero della basilica di S. Agnese, sorta nel VII secolo. La tipologia a pianta centrale si adattava in modo particolare a tale destinazione d'uso, come ormai a quel tempo voleva la tradizione, anche se non tutti gli studiosi sono concordi con questa destinazione d'uso. 
Nel 1254 l'edificio fu trasformato in chiesa, intitolata a S. Costanza. Ma è sin dall'alto medioevo che Costanza veniva arbitrariamente identificata come una martire, e quindi appellata come santa. Del resto già nell'835 il Liber pontificalis designava  il mausoleo come Aecclesia Sanctae Costantiae. Tale ambiguità è un tratto caratteristico dell'edificio, che nelle sue forme architettoniche si rifà prevalentemente a modelli pagani di templi e sepolcri. 
Nel 1620 il cardinale Fabrizio Veralli fece eliminare definitivamente la decorazione musiva della cupola (splendida, secondo le testimonianze iconografiche che ci sono giunte), già da tempo in pessimo stato di conservazione, sostituendola con modesti affreschi.


Basilica cimiteriale
Si trattava di un cimitero coperto di grandi dimensioni (40,30 x 98,30 metri), fatto realizzare da Costanza su un terreno di famiglia prima del mausoleo, presso il luogo di sepoltura della martire Agnese, di cui era devota probabilmente a causa di una guarigione, tra il 337 e il 351 d.C. Era il periodo in cui ella risiedeva a Roma dopo la morte del marito Annibaliano, fatto uccidere dal fratello di lei, Costanzo.
La costruzione si inserisce in una più ampia campagna di realizzazione di opere cristiane nella città di Roma, avvenuta nel IV secolo ad opera del primo imperatore convertito alla nuova religione e della sua famiglia. Edifici come la basilica costantiniana di S. Agnese, in particolare, sono da mettere in stretta relazione con il culto cristiano dei morti, in special modo dei martiri. Dobbiamo quindi presupporre che il pavimento fosse ricoperto di tombe dei fedeli locali (in parte scoperte durante gli scavi del 1999) e che gli unici altri utilizzi fossero i banchetti funebri in occasione delle sepolture ed una messa annuale, in corrispondenza dell'anniversario della martire.


Si tratta per cui di qualcosa di molto diverso da ciò che oggi si intende per basilica cristiana. La basilica cimiteriale del complesso di Costanza ripete infatti la planimetria del circo – il luogo dove era scorso il sangue dei martiri – destinata a coloro che volevano essere sepolti accanto alla santa. L'edificazione del mausoleo nei suoi pressi ripete il rapporto stretto circo-mausoleo presente nei palazzi imperiali di età tetrarchica (cfr. Palazzo di Galerio).
La tipologia è quindi quella della basilica circense, ovvero di una variante della basilica a tre navate, nella quale le navate laterali, anziché terminare in corrispondenza della parete di fondo, proseguivano in un semicerchio, seguendo l'abside (vedi pianta).
 Le colonne sostenevano arcate in muratura, anziché una trabeazione continua. Le navate laterali erano coperte con tetto a capriate zoppe, poggianti sul muro perimetrale poco al di sopra delle finestre quadrangolari.
All'interno della navata centrale, in corrispondenza dell'abside, sorgeva un'aula absidata, larga 5,70 m, in muratura di soli tufelli, di incerta funzione. Secondo alcuni, potrebbe trattarsi del vero luogo di sepoltura di Costanza. Secondo questa ipotesi infatti il mausoleo sarebbe in realtà il martyrium di S.Agnese.
 L'edificio era presumibilmente circondato da altre tombe e mausolei, (tra cui quello ancora oggi sopravvissuto della principessa imperiale Costantina?). Attorno c'erano piantagioni e vigneti, essendo l'area lontana dalla città edificata.
Presso questa basilica trovò rifugio Papa Liberio, nel 358, mentre la Santa Sede era occupata dall'antipapa Felice.
Sempre a causa di un'altro antipapa - Eulalio, che aveva occupato la sede del Laterano - Papa Bonifacio I (418-422) fu costretto ad amministrare qui il battesimo di Pasqua.
Papa Simmaco (498-514) fece degli interventi di restauro, dei quali però non si è trovata traccia. L'edificio fu abbandonato probabilmente nel VII secolo, quando papa Onorio I fece costruire l'attuale basilica, direttamente sopra il luogo di sepoltura di Agnese.



Basilica di S.Agnese



Il mosaico absidale fu terminato nel 638. La santa, che indossa abiti regali, è raffigurata tra i papi Onorio I (625-638), che offre il modellino della chiesa da lui voluta e Simmaco (498-514), che probabilmente aveva fatto costruire una piccola cappella con un altare sopra la tomba della santa. Ai suoi piedi sono rappresentati il fuoco e la spada, strumenti del suo martirio.
All'apice del mosaico, la mano di Dio (dextera dei) che impone alla santa la corona del martirio.

(1)* Costanza sposò in prime nozze il cugino Annibaliano, figlio del fratellastro di Costantino Giulio Costanzo e fatto uccidere da Costanzo II durante le purghe della famiglia imperiale successive alla morte di Costantino il grande (337). In seconde nozze sposò il nipote Costanzo Gallo (351), fatto giustiziare da Costanzo II alla fine del 354, poco dopo la morte di Costanza.

(2)* Elena, sorella di Costanza, sposò il cugino Giuliano - il futuro imperatore - quando questi fu nominato cesare nel 355. Morì a Vienne nelle Gallie senza avergli dato figli nel 360 c.ca.





martedì 25 ottobre 2011

Tekfur saray, Costantinopoli

Tekfur saray  (Palazzo del pricipe)

Il palazzo è collocato a ridosso delle mura, dove quelle di Teodosio si raccordavano a quelle delle Blacherne.

 
Fatto edificare da Costantino Porfirogenito, terzogenito di Michele VIII Paleologo, sul finire del XIII sec. per farne la residenza della nuova dinastia dei Paleologhi (1).

Inserimento del Tekfur saray nella cinta muraria
 
Presenta una pianta rettangolare e un'alzata di tre piani con finestre ogivali.
Il pianterreno aveva un soffitto a volta sostenuto da colonne e si apre tuttora tra due bastioni delle mura teodosiane con quattro arcate.
Il primo piano aveva un soffitto di legno e il secondo un tetto a doppio spiovente oggi scomparsi del tutto. Il primo piano e il pianterreno presentano aperture solo sul lato nord, mentre il secondo presenta aperture su tutti e quattro i lati, il più delle quali originariamente dotate di balcone. Uno di questi è ancora visibile sul lato meridionale.


Su quello orientale si notano invece i resti di una balconata che poggiava su mensole che terminavano con "teste di ariete, di grifone e di toro" (Sestini, 1778).
Il palazzo costituiva la parte nobile di un complesso più ampio che comunicava direttamente con i camminamenti delle mura.

Raccordo tra il Tekfur saray e la cinta muraria

Dopo la conquista fu inizialmente utilizzato per custodirvi animali esotici come giraffe ed elefanti. Successivamente fu utilizzato come fabbrica di ceramiche e poi come ricovero per gli ebrei.
Piri Reis nel suo resoconto di viaggio del XVI secolo lo descrive come ancora ricoperto dal tetto.

L'architettura dell'edificio presenta notevoli analogie con quella del cosiddetto Palazzo dei Lascaridi a Ninfeo – l'attuale Kemalpasa - che fu la seconda capitale dell'Impero di Nicea.

Palazzo dei Lascaridi, Ninfeo (Kemalpasa)

Questo edificio, conosciuto dalla popolazione locale con il nome di Kiz kulesi (Torre della fanciulla), fu molto probabilmente fatto costruire dall'imperatore niceno Teodoro I Lascaris (1206-1222). Presenta una pianta rettangolare (7x24m) e si sviluppa in alzato su tre piani.
All'altezza del piano terra la muratura è formata da blocchi di calcare arrotondati verso l'esterno mentre nei piani superiori diventa a corsi alterni di di laterizi e blocchetti di calcare, disposti ad intervalli regolari, che sottolineano l'effetto di bicromia come nel Tekfur saray di Costantinopoli e che caratterizza gli edifici di età paleologa.

Note:

(1) Costantino Paleologo era il terzogenito di Michele VIII Paleologo e Teodora Dukaina Vatatzina. Nato a Costantinopoli nel 1261 pochi mesi dopo la riconquista della città, era il primo figlio di Michele VIII nato nella Porphyra – la stanza del palazzo imperiale interamente rivestita di porfido purpureo destinata al parto delle imperatrici - e poteva a buon diritto fregiarsi del titolo di porfirogenito. Nel 1280 combattè contro i serbi in Macedonia e successivamente venne inviato in Asia minore dove ripulì la valle del Meandro dai pirati turchi che l'infestavano. Tra il 1285 ed il 1288 sposò Irene Rauleina da cui ebbe un unico figlio di nome Giovanni. Nel 1293, mentre regnava il fratello Andronico II (1282-1328), fu accusato di cospirare contro l'imperatore e arrestato. Presi i voti monacali con il nome di Atanasio, morì a Costantinopoli nel 1306 e fu sepolto nel monastero di Costantino Lips.

La colonna dei Goti, Costantinopoli

la colonna dei Goti (Gotlar Sutunu)


Si trova a Punta del Serraglio (Sarayburnu).
E' di granito ed è alta circa 15 m., fu probabilmente innalzata da Claudio II (268-270), detto appunto il Gotico, per celebrare le sue vittorie contro i Goti, come ricorda l'iscrizione latina FORTUNAE REDUCI OB DEVICTOS GOTHOS. Proviene molto probabilmente dal teatro fatto costruire da Settimio Severo nella stessa area. E' sormontata da un capitello corinzio che probabilmente sosteneva in origine una statua di Byzas. E' attualmente il monumento più antico della città.

lunedì 24 ottobre 2011

Colonna di Marciano, Costantinopoli

La colonna di Marciano, in Kitzasi caddesi


Eretta dal prefetto Taziano in onore dell'imperatore Marciano (450-457).


Presenta uno zoccolo di marmo che conserva un bassorilievo con due Nike che sostengono un clipeo e l'iscrizione dedicatoria sul lato settentrionale (sugli altri tre lati è scolpito il monogramma del chi ro) e termina con un capitello corinzio che sostiene un cubo marmoreo con quattro aquile scolpite sugli angoli. In origine l'iscrizione era composta da lettere di bronzo di cui sono rimasti gli incassi.

[pr]incipis hanc statuam Marciani /cerne torumque /
[
prae]fectus vovit quod Tatianus / opus
(osserva questa statua del principe Marciano/ed il suo basamento/opera del prefetto Taziano)

 

 
In origine dal cubo si alzava un'altra colonna che sosteneva una statua dell'imperatore Marciano seduto. Deve l'appellativo di "colonna della ragazza" (Kitzasi) alla leggenda secondo cui era in grado di distinguere le ragazze vergini da quelle che non lo erano.

domenica 23 ottobre 2011

Mausoleo di Elena, Roma

Mausoleo di Elena


Venne costruito dall'imperatore Costantino I tra il 326 e il 330, originariamente destinato a servire da sepoltura per lo stesso Costantino, venne poi utilizzato come sepolcro per Elena, madre dell'imperatore, morta nel 328, prima che le sue spoglie venissero traslate nella basilica dei SS. Apostoli a Costantinopoli (330 c.ca).
L'area su cui sorge il mausoleo fa parte di un complesso di edifici di età tardo imperiale nel praedium imperiale denominato Ad Duas Lauros che, secondo fonti antiche (Liber Pontificalis, 314), si estendeva dalla Porta Sessoriana - l'attuale Porta Maggiore - fino al terzo miglio dell'antica Via Labicana, sovrapponibile all'odierno VI Municipio, fra la Basilica di S. Croce in Gerusalemme, Porta Maggiore, Via Prenestina e Via Casilina all'altezza di Centocelle.
Al III miglio della via Labicana sorgeva il nucleo centrale di uno dei più importanti possedimenti imperiali noto con la designazione topografica di “ad duas lauros”. Tale nome derivò da un vicino campo di esercitazioni militari che aveva questo appellativo dovuto probabilmente all’esistenza di due alberi giganteschi di lauro, oppure, come ha affermato il Tomassetti, per la presenza in detta località di qualche ara votiva, con doppio lauro scolpito. Tale toponimo fu alterato anche in Lauretum o Laurentum, onde Laurentina fu chiamata, per errore, la via Labicana.
Ne fanno parte le catacombe dei Santi Marcellino e Pietro e la basilica paleo cristiana dedicata ai Santi Marcellino e Pietro di cui restano solo pochi ruderi e sui quali fu poi costruita l'attuale chiesa parrocchiale dei Santi Marcellino e Pietro ad Duas Lauros.

Questo vasto latifondo imperiale sorse in relazione al trasferimento della piazza d’armi (Campo di Marte) dal Campo Marzio, sul Tevere, a questa parte del suburbio, che divenne il luogo di sosta ove gli imperatori andavano ad assistere alle esercitazioni militari.
Qui il 16 marzo 455 venne assassinato, insieme al suo primo ministro Eraclio, Valentiniano III per opera di due commilitoni del generale Ezio (Optila e Traustila) istigati da Petronio Massimo.

Qui era pure situato il cimitero dei SS. Marcellino e Pietro, sorto nella seconda metà del III secolo, in cui le fonti indicano la sepoltura di vari martiri caduti nella persecuzione di Diocleziano.
Il cimitero comprendeva una vasta area sub divo ed una rete molto estesa, che, svolgendosi su due piani, si sviluppava in varie regioni servite da scale proprie. Intorno al 320 viene collocata la costruzione, ad opera di Costantino, della basilica funeraria dedicata ai martiri eponimi della catacomba. 
La basilica, orientata est-ovest, adottava una pianta “circiforme” con navate scandite da pilastri. Essa fu inserita in un portico intorno al quale, come a S. Sebastiano, si addensavano, numerosi, i mausolei.




Il mausoleo, a pianta circolare, era preceduto da un vestibolo rettangolare e appare costituito da due cilindri sovrapposti, di cui il superiore di diametro inferiore, con una copertura a cupola. Il cilindro inferiore ha un diametro esterno di 27,74 metri ed uno interno di 20,18 metri. L’altezza totale era in origine di 25,42 metri, mentre oggi e di circa 18 metri.
Internamente il cilindro inferiore ha una forma ottagonale. Nei vertici sono poste delle nicchie, alternativamente rettangolari e semicircolari, una delle nicchie rettangolare costituiva l’ingresso. In corrispondenza delle nicchie, nell’anello superiore, si aprivano otto finestre ad arco.
Una serie di mensole chiudeva la zona delle finestre al di sopra delle quali si impostava la cupola costruita in opus signinum. Essa risultava articolata in una duplice serie di nervature poste nella parte superiore a partire dall’imposta della cupola.
Nella parte inferiore di essa, sopra l’appoggio interno della volta, erano inserite verticalmente due file di anfore (pignatte), a giri concentrici, oggi ben visibili a causa del crollo della volta.
Questa tecnica costruttiva era abbastanza diffusa e se ne trovano testimonianze in vari edifici. Questo particolare aspetto ha dato origine al nome di Torpignattara (cioè Torre delle pignatte) con il quale è conosciuto il mausoleo dai Romani e che ha dato il nome alla zona circostante.
Nella nicchia rettangolare di fronte all'ingresso, più larga delle altre, era con ogni probabilità contenuto il sarcofago in porfido rosso di Elena.
Internamente la rotonda era coperta, fino all’imposta della cupola, da incrostazioni marmoree policrome.
Sulla volta sono ancora visibili le tessere di un mosaico in pasta di vetro che probabilmente ne ricopriva tutta la superficie.
Sappiamo inoltre che alla fine del XVI secolo Antonio Bosio, nella cavità delle nicchie, scorse ancora un mosaico con figure di santi nimbati, di cui oggi non rimane traccia.
Cornici in opus sectile dovettero essere utilizzate per rifinire la linea di imposta delle finestre. Esternamente l’edificio era invece tutto intonacato.
Interessante è anche l’analisi del vestibolo del mausoleo. Questo aveva la forma di un’aula rettangolare, lunga quanto era larga in tutto la basilica alla quale si addossava, con pareti di m. 0.75 di spessore.


Venendo dalla basilica, la rotonda era accessibile solo attraverso questo atrio, che secondo il Deichmann, comunicava originariamente con il nartece della chiesa tramite una triplice arcata, mentre il Guyon, in base alla localizzazione delle tombe dislocate sul pavimento della basilica, ha avanzato l’ipotesi che tale comunicazione dovette avvenire mediante un’unica porta larga all’incirca m. 3.00.
Mentre la conformazione del mausoleo ci è nota in tutti i particolari, l’alzato del vestibolo può essere ricostruito solo ipoteticamente, dal momento che la parte occidentale del mausoleo, in cui esso si apriva, è andata completamente distrutta.

 
La chiesa - dedicata a Sant'Elena ad Duas lauros - e la canonica che si osservano attualmente all'interno del mausoleo furono originariamente costruite nel XVII secolo ad opera del Capitolo Lateranense. 
Tra il 1993 ed il 2000 il mausoleo ha subito un'importante opera di restauro.
Gli scavi hanno consentito una migliore valorizzazione dell'edificio con la riscoperta dell'atrio di accesso sul lato sud, in corrispondenza della antica via Labicana.
Durante gli scavi è stato scoperto il canale di raccolta delle acque pluviali, nonché un pozzo al centro del mausoleo dal quale sono stati recuperati vasi dell’XI e XII secolo.

Precedentemente alla costruzione del mausoleo, l'area era utilizzata anche come cimitero dagli Equites singulares. Si sono infatti ritrovate numerose iscrizioni riguardanti gli Equites nella zona di ad Duas Lauros, ma non è stato possibile individuare l'esatta ubicazione del sepolcreto. I numerosi ritrovamenti effettuati durante gli scavi della basilica costantiniana, effettuati nel 1956 dagli archeologi Deichmann e Tschira, confermano che la necropoli degli Equites era probabilmente situata nelle immediate vicinanze del mausoleo di Elena, se non addirittura sotto di esso. È infatti plausibile la tesi secondo cui il sepolcreto sia stato volutamente distrutto da Costantino come ritorsione nei confronti degli Equites che nella battaglia di Ponte Milvio per la conquista dell'impero, si schierarono contro di lui in favore di Massenzio.
Dopo la morte di Elena la proprietà di Ad Duas Lauros fu assegnata alla chiesa.
Nel secoli successivi il mausoleo subì l'erosione dei fenomeni atmosferici cui si aggiunse l'intervento umano, con asportazione di pietre e marmi che vennero utilizzati come materiale da costruzione.
Nell'VIII secolo il mausoleo divenne una fortezza difensiva. Benché trasformato e parzialmente in rovina, il monumento continuò ad ospitare la tomba di Elena fino all'XI secolo, quando il sarcofago fu inizialmente trasportato nella chiesa del Laterano per essere poi trasferito nei Musei Vaticani dove è attualmente conservato.

Sarcofago di Elena, oggi al Museo Pio-Clementino


Il massiccio sarcofago di porfido rosso, alto 2,42 metri, viene assegnato alla madre di Costantino I sin dalle fonti antiche e in passato si è pensato che, per lo stile e il soggetto militare della decorazione a rilievo, fosse stato inizialmente preparato per qualcun altro, forse per il padre Costanzo Cloro o, più probabilmente, per Costantino stesso, che poi decise di destinarlo alla madre.
L'opera, creata nella prima metà del IV secolo, fu pesantemente restaurata nel XVIII secolo (in seguito ai danni derivati da un incendio nel XIV secolo), anche se le linee generali delle scene, la composizione e lo stile generali sono inequivocabilmente originali.
Il coperchio è a quattro spioventi, con figure a tutto tondo di Geni e Vittorie agli angoli, vicino alle quali sono ipoteticamente appese delle ghirlande a bassorilievo che, sui lati lunghi del "tetto", incorniciano dei leoni sdraiati e sui lati lunghi della cornice sono sorrette da un amorino volante. La cassa è liscia con figure a medio e altorilievo. Nella fascia superiore si vedono delle insegne biansate (cioè con due "manici" ai lati) e dei busti sui lati lunghi, forse personificazioni delle genti sottomesse. La parte centrale è occupata da cavalieri romani, tre su ciascun lato lungo e due su ciascuno corto, vestiti con la tunica corta, l'elmo e armati di lancia e talvolta anche di scudo. Essi sono raffigurati nell'atto di caricare barbari in fuga o di trasportarli come prigionieri. In basso si trovano prigionieri a altorilievo. Il ritmo della composizione è ben calibrato e ricorda da vicino la processione a cavallo della base della Colonna Antonina, con analoghi effetti di chiaroscuro dati dal contrasto tra l'altorilievo e lo sfondo liscio. La scultura del duro porfido era si solito concentrata vicino alle cave in Egitto o in mano a artisti originari di quelle zone, per cui anche questo sarcofago è probabilmente dovuto a maestranze orientali. Rispetto a esempi precedenti del periodo della tetrarchia - come il monumento ai Tetrarchi oggi a Venezia - si assiste qui a una ripresa dei modi più classicistici (panneggio elegante e logico, ricchezza plastica dei corpi), tipica dell'arte costantiniana dopo il consolidamento del potere al termine delle guerre civili, per cui la datazione, ormai ampiamente accettata, del sarcofago è attorno al 320.
Vedi anche Il Sarcofago di Elena di Nazzarena Gallerini




La colonna di Foca, Roma

La colonna di Foca



Fu fatta erigere dall'esarca di Ravenna Smaragdo durante il suo secondo mandato (603-611) in onore dell'imperatore Foca (602-610) il primo agosto del 608, anno in cui questi donò a papa Bonifacio IV il Pantheon che - con la dedica a Santa Maria ad Martyres - fu da allora consacrato al culto cristiano. Con l'erezione di questo monumento l'esarca voleva anche sdebitarsi con l'imperatore che gli aveva consentito di tornare dall'esilio e riassumere la sua vecchia carica. La colonna, il cui fusto è composto da sette rocchi scanalati assicurati da perni di ferro e termina con un capitello corinzio, era sormontata da una statua bronzea dell'imperatore (rimossa poco dopo la sua morte) ed è l'ultimo monumento onorario eretto nel Foro ad essere giunto fino a noi. Con i suoi 13 metri e 60 centimetri di altezza è anche la colonna onoraria più alta del Foro.
Sia il basamento - sul cui lato nord è incisa una lunga epigrafe dedicatoria - sia la colonna provengono da un monumento originariamente dedicato a Diocleziano.
 
 
 
 


S.Nicola a Cava d'Ispica

S.Nicola a Cava d'Ispica

Cava d'Ispica è una vallata fluviale che per 13 km incide l'altopiano ibleo, tra le città di Modica e Ispica.
Il toponimo “Ispica”, ignoto alla toponomastica antica, è riconducibile alla forma locativa bizantina eis pegàs = alle sorgenti.
La chiesa è costituita da un’aula rettangolare con abside, accanto al quale si apre un altro ambiente utilizzato probabilmente come sagrestia (diakonikon)

parete est

parete est, abside

 parete ovest
affresco raffigurante la Madonna nell'atto di porgere la guancia al Bambino, il cui volto è però praticamente scomparso.

S.Nicola con la barba
Sul pavimento c'è una piccola fossa forse per uso di fonte battesimale.


sabato 22 ottobre 2011

Foro di Arcadio, Costantinopoli

Foro di Arcadio (Cerrah Pasa)

 
All’estremità occidentale della città costantiniana si eleva fino a circa m 40 sul livello del mare l’altura detta Xerolophos (colle arido), tradizionalmente indicata come settimo colle della città, oggi occupato dal quartiere di Cerrah pasa. La preesitenza di un pianoro a terrazzo lungo questo tratto della Mese – il maggiore asse viario della città – indusse probabilmente Arcadio ad erigere qui il suo foro che nacque come monumento celebrativo della vittoria sulla ribellione guidata dal magister militum goto Gainas (400-402).
 
Colonna di Arcadio

Nella metà settentrionale del foro - attraversato centralmente dalla Mese - si trovava la colonna di Arcadio (conosciuta dai Turchi come Avrat tasi, la Pietra delle donne, dal nome del popolare Avrat pazari, il Mercato delle donne, sorto in epoca ottomana), di cui è ancora visibile il nucleo interno del  basamento e un frammento del primo tamburo, inaugurata da Teodosio II nel 421.
Originariamente la colonna era alta circa 50 m. e culminava con un capitello che sosteneva una statua di Arcadio che crollò durante il terremoto del 715. Presentava una decorazione continua a spirale che raffigurava le campagne militari di Arcadio e del figlio Teodosio II. Sul basamento erano invece raffigurate delle scene che illustrano la concordia tra Onorio e Arcadio e il loro trionfo sui barbari. Sul lato settentrionale del basamento si apriva una porta che dava accesso all'interno della colonna dove era stata scavata una scala a chiocciola che consentiva di raggiungerne la sommità.
Durante l'occupazione latina vi soggiornò uno stilita.
Gli ultimi tamburi superstiti vennero rimossi nel 1718 perchè la colonna era divenuta pericolante. Alcuni frammenti della colonna sono visibili nel Museo Archeologico


Il basamento in un'incisione del XVII secolo