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sabato 9 marzo 2024

Niceforo II Foca (963-969)

 Niceforo II Foca (963-969)

Nato intorno al 912 in una famiglia di antiche tradizioni militari – sia il padre Barda, sia il nonno Niceforo raggiunsero il grado di Domestikos delle Scholae - fu avviato giovanissimo alla carriera militare. Nel 945, durante il regno di Costantino VII, diviene strategos del thema degli Anatolici, carica che di solito preludeva alla nomina a comandante in capo dell'esercito. Nel 954, infatti, subentra al padre Barda – che era stato ripetutamente sconfitto dagli arabi - al comando dell'esercito di Bisanzio e passa all'offensiva contro gli arabi dell'emirato di Aleppo.


Niceforo II Foca
katholikon del Monastero della Gran Lavra, 1535, 
Monte Athos

Nel 959 l'imperatore Romano II sdoppia il comando supremo militare affiancando a Niceforo il giovane fratello Leone Foca come Domestikos delle Scholae occidentali.

L'anno successivo gli viene affidato il comando della spedizione contro l'emirato di Creta.
Il 6 marzo 961, dopo nove mesi di assedio entra a Candia (l'attuale Iraklion) e poco dopo, riportata l'intera isola sotto controllo imperiale, rientra a Costantinopoli dove gli viene tributato non il trionfo ma un'ovazione nell'Ippodromo.

Niceforo II Foca
da Codex Mutinensis, Gr.122, fol.209, 1425 c.ca
Biblioteca Estense, Modena

Niceforo si spostò quindi sul fronte orientale e nel dicembre 962 prese e mise a sacco Aleppo infliggendo un duro colpo al prestigio dell'emiro hamanide.
Molto popolare tra i suoi soldati e temuto dai nemici – era soprannominato la morte bianca dei Saraceni - il 15 marzo del 963, fu raggiunto dalla notizia dell'improvvisa morta di Romano II mentre si trovava nella roccaforte dei Foca a Cesarea di Cappadocia, fu raggiunto dalla notizia dell'improvvisa morta di Romano II. Mentre a Costantinopoli la vedova di Romano, Teofano, assumeva la reggenza per i suoi figli Basilio II e Costantino VIII, Niceforo fu proclamato imperatore dalle truppe. Il 14 agosto, il generale entrò in città e, grazie anche all'appoggio del patriarca Polieucte e di Basilio Lecapeno (1), sbaragliò la resistenza opposta dal parakoimomenos Giuseppe Bringas e due giorni dopo fu incoronato in Santa Sofia.
Basilio Lecapeno riottenne la carica di parakoimomenos che già aveva ricoperto sotto Costantino VII e fu insignito del titolo di proedros, dignità assimilabile a quella di presidente del Senato, ma di fatto puramente rappresentativa. Il fratello Leone Foca mantiene il comando delle Scholae occidentali mentre al comando di quelle orientali, Niceforo promuove uno dei suoi più fidati luogotenenti, lo stratego del thema degli Anatolici, Giovanni Zimisce. Il 20 dicembre, infine, in cambio della promessa di garantire la successione ai suoi figli, sposa nella Nea Ekklesia la vedova di Romano II, Teofano, legittimando ulteriormente la sua posizione.

Oltre ad essere un grande soldato, Niceforo era un asceta – da giovane voleva farsi monaco e dormiva in terra – e un fanatico religioso (chiese alle autorità religiose, senza ottenerlo, che tutti i suoi soldati morti combattendo contro i musulmani fossero proclamati martiri della fede) che sognava la riconquista delle perdute provincie dell'Asia minore. Zimisce fu inviato sul fronte orientale con l'incarico di prendere Adana che cadde e fu rasa al suolo prima della fine dell'anno. L'anno seguente Niceforo guidò la campagna in prima persona e prese Mopsuestia e Tarso completando la riconquista della Cilicia che era in mano agli Arabi dal VII secolo. Sempre nel 964, una spedizione guidata da uno dei suoi generali, Niceta Chalkoutzis, riportò anche l'isola di Cipro nell'orbita imperiale.

Dopo la conquista della Cilicia, l'imperatore, per ragioni non del tutto chiare, perse del tutto la fiducia in Giovanni Zimisce che rimosse da tutte le cariche e confinò nei suoi possedimenti lontano dalla capitale.

Nel 966 riprese l'offensiva in Asia minore. L'imperatore assediò senza successo Antiochia ma conquistò altre piazzeforti e impose a Tripoli e Damasco il pagamento di un tributo. Nel 968 assediò nuovamente Antiochia ma, giacchè i tempi dell'assedio si protraevano, rientrò a Costantinopoli lasciando a Michele Bourtzas e allo statopedarca Petrus (2) il compito di prendere la città per fame. Il 28 ottobre del 969 finalmente la città si arrese.

L'estensione dell'impero bizantino dopo le conquiste di Niceforo II e del suo successore Giovanni I Zimisce

Poche settimane dopo la caduta di Antiochia – nel dicembre del 969 – Niceforo venne assassinato nella sua camera da letto da una congiura guidata da Giovanni Zimisce ma a cui non furono estranei l'imperatrice Teofano e il parakoimomenos Basilio Lecapeno. Fu sepolto nella chiesa dei SS.Apostoli.

Oltre che per le conquiste territoriali Niceforo Foca è ricordato anche per le sue fondazioni ecclesiastiche. Tra queste anche quella della Gran Lavra, il più antico monastero athonita. Dopo la conquista di Creta, Niceforo destinò parte del bottino di guerra alla fondazione del monastero ad opera del monaco Atanasio – a cui in seguito fu dedicato il katholikon – di cui era stato allievo e che lo aveva accompagnato nell'impresa.


Note:

(1) Figlio illegittimo dell'imperatore Romano I Lecapeno e di una sua concubina (forse una schiava di origini bulgare), Basilio Lecapeno era nato tra il 910 e il 920 e fu probabilmente castrato per ragioni politiche già in età infantile. Legatissimo alla sorellastra Elena – moglie di Costantino VII – durante il colpo di stato dei suoi fratellastri (944) si schierò dalla parte del cognato ricevendone in cambio titoli e cariche, tra cui quella di megas baioulos, cioè responsabile dell’educazione dell’erede al trono (nella fattispecie, del giovane figlio di Costantino ed Elena, Romano). Nel 947 divenne parakoimomenos, che letteralmente indicava “l’incaricato di proteggere il sonno dell’imperatore”, ma che in realtà all'epoca, dato il rapporto di prossimità con l'imperatore che implicava, era assimilabile a quella di gran ciambellano. Sostituito nella carica con Giuseppe Bringas da Romano II, appoggiò il colpo di stato di Niceforo mettendogli a disposizione tremila uomini armati da lui assoldati.

(2) Petrus era un eunuco al servizio dei Foca che, adottato dal fratello dell'imperatore Leone Foca, intraprese la carriera militare. La carica di "Statopedarca" fu inventata ad hoc giacchè, in quanto eunuco, non poteva accedere a quella di Domestikos delle Scholae.


venerdì 17 novembre 2023

L'imperatore Alessandro (912-913)

L'imperatore Alessandro (912-913)

Eudocia Ingerina con i figli Leone (a sn.) e Alessandro (a ds.)
illustrazione tratta da Omelie di Gregorio Nazianzeno, 879-883
Par.gr. 510, fol.Br
Biblioteca Nazionale di Francia, Parigi

Terzogenito di Basilio I e Eudocia Ingerina Alessandro era nato il 23 novembre dell'872 (1). Il padre lo associò al trono nell'879. Dopo la morte del padre fu tenuto ai margini del potere dal fratello Leone VI (886-912), che diffidò di lui per tutta la vita, condusse un'esistenza vacua dedita al piacere e all'alcool fin quando non rimase unico imperatore.
Le principali fonti primarie che narrano gli eventi succedutisi durante i suo breve regno sono essenzialmente la Cronaca del Logoteta, opera di uno storico e poeta bizantino vissuto nel X secolo e la Cronaca di Psamathia, un testo agiografico dedicato al patriarca Eutimio (907-912) – è noto infatti anche come Vita di Eutimio - scritto da un anonimo monaco del monastero di Psamathia – dove il patriarca era stato igumeno - tra il 920 ed il 925 e sono entrambe decisamente ostili all'imperatore.

L'attentato a Leone VI
da un'edizione miniata prodotta in Sicilia nel XII secolo della Sinossi della Storia di Giovanni Scilitze 
(Madrid Skylitzes)
Biblioteca Nacional de Espana, Madrid

L'11 maggio del 903, Leone VI, mentre presenziava ad una funzione nella chiesa di San Mocio, fu gravemente ferito al capo da un uomo che brandiva un bastone. L'attentatore – un certo Stiliano - prima di essere messo al rogo nell'Ippodromo fu interrogato sotto tortura ma non rivelò il nome di eventuali complici. In città circolarono voci sul possibile coinvolgimento di Alessandro, il fratello minore dell'imperatore ma non si riuscì a provare nulla.
Sul letto di morte, notandolo tra gli astanti, Leone avrebbe pronunciato la frase: “Eccolo qua, tredici mesi di malora!”, profetizzando l'effettiva durata che avrebbe avuto il regno del fratello.
Come già detto, l'imperatore Leone VI, considerandolo comunque infido, ebbe sempre cura di tenere il fratello minore ben lontano dalla gestione della cosa pubblica, cosicchè Alessandro, rimasto imperatore unico alla morte del fratello (11 maggio 912) – nonché reggente per il nipote Costantino – si adoperò subito per estrometterne gli uomini che erano stati più vicini e devoti a Leone. L'anziano patriarca Eutimio – cha aveva favorito la dispensa che aveva permesso a Leone di contrarre il quarto matrimonio - fu umiliato con il taglio della barba, percosso e costretto all'esilio. Al suo posto, Alessandro richiamò Nicola Mystikos, che invece era stato defenestrato da Leone, con la cui compiacenza ripudiò la moglie legittima (non se ne conosce il nome) per sposare la su amante. Destituì quindi dalla carica di comandante della marina imperiale l'ammiraglio Imerio, marito della sorella di Zoe Carbonopsina, peraltro reduce da una rovinosa sconfitta nelle acque di Chio ad opera degli arabi. La stessa Carbonopsina, ultima moglie di Leone VI e madre dell'erede al trono, fu cacciata dal Sacro Palazzo. Per contro elevò al rango di rettore di Santa Sofia il suo compagno di partite a polo, Giovanni Lazares, che morì poco dopo durante una partita allo tzycanisterion della residenza imperiale di Hebdomon.
Minato nel fisico da una vita di eccessi, divenne anche impotente. Nel tentativo di risolvere il problema si rivolse a dei maghi che lo convinsero che la statua di un cinghiale che si trovava all'Ippodromo era il suo doppio e che le loro esistenze erano strettamente connesse l'una all'altra (con ciò sottintendendo che conduceva una vita da maiale) e che avrebbe dovuto provvedere la statua dei denti e del sesso che gli mancavano. Ciò fatto, l'imperatore indisse anche delle corse in onore della statua e prelevò dalle chiese candelabri ed altri arredi per decorare l'Ippodromo suscitando scandalo.

Per quanto attiene la politica estera, le fonti primarie imputano alla sua dissennatezza (2) la responsabilità di aver creato i presupposti per la ripresa del rovinoso conflitto con i bulgari. Alessandro si sarebbe rifiutato di pagare il tributo annuale concordato dal suo predecessore e avrebbe scacciato in malo modo l'ambasceria inviata da Simeone di Bulgaria. E' però probabile che Simeone non chiedesse soltanto il rispetto degli accordi presi ma pretendesse qualcosa di più – come il titolo di imperatore (tzar) dei Bulgari che gli verrà concesso in seguito – e che Alessandro non fu disposto a concedergli.

Sulle circostanze della sua morte esistono due versioni. Secondo la prima, riportata dalla cronaca di Simeone Logoteta (X sec.), Alessandro, dopo un lauto pranzo abbondantemente innaffiato di vino, nonostante il caldo, volle recarsi a giocare a polo nello tzycanisterion che si trovava all'interno del Sacro Palazzo e qui ebbe un colpo apoplettico a seguito del quale morì due giorni dopo, il 6 giugno 913. La Vita di Eutimio colloca invece la scena nel palco imperiale dell'Ippodromo dove l'imperatore, mentre commetteva gli atti sacrileghi sopra descritti, si sarebbe accasciato al suolo colpito dall'ira del Signore e condotto moribondo a Palazzo. Le sue esequie furono condotte in maniera sciatta e sbrigativa – il cadavere cadde fuori dalla bara e ne emanò un gran fetore – mentre l'aristocrazia non partecipò al corteo funebre che fu seguito solo da popolani. Prima di morire Alessandro nominò il Consiglio di reggenza che avrebbe governato durante la minore età del nipote Costantino e vi pose a capo il patriarca Nicola Mystikos.

                                Il nipote Costantino e altri notabili al capezzale di Alessandro
                                                          (Madrid Skylitzes)

Di lui resta un magnifico ritratto a figura intera nella chiesa di Santa Sofia, sia pure in una collocazione piuttosto appartata, analizzato nei dettagli qui.

L'imperatore Alessandro 
912-913
chiesa di Santa Sofia

 
Durante il suo regno – nel luglio del 912 – si registrò infine il passaggio della cometa di Halley, considerata annunciatrice di sciagure.


Note:

(1) Michele III aveva fatto sposare la sua amante Eudocia Ingerina al suo parakoimomenos Basilio per poterla avere comodamente a disposizione a Palazzo senza destare scandalo. Essendo Alessandro l'unico dei tre figli maschi di Basilio ed Eudocia ad essere nato dopo la morte di Michele III (867) era anche l'unico ad essere sicuramente figlio di Basilio.

(2) La Cronaca del logoteta parla di “insensata follia” dell'imperatore.


lunedì 3 marzo 2014

Costante II (641-668)


Costante II (641-668)

Costante II
dritto di un solido aureo coniato dalla zecca di Costantinopoli
651-654 
 
Alla morte di Eraclio (641) il trono fu diviso fra il figlio maggiore Costantino III, figlio della prima moglie Eudossia, ed Eracleona (diminutivo di Eraclio), il figlio avuto dalla seconda moglie (e nipote) Martina.
Costantino III governò solo tre mesi prima di morire di tubercolosi lasciando sul trono il fratellastro con la madre come reggente. Il figlio di Costantino III e della moglie Gregoria, di nome Costantino Eraclio ma da tutti chiamato con il diminutivo di Costante, fu escluso dal trono.
Il generale armeno Valentino Arsacido (Arsakuni) – che era stato nominato da Costantino III - appoggiò però la sua causa e costrinse Martina ed Eracleona ad accettare la nomina di Costante a co-imperatore.
Dopo 6 mesi il generale condusse le sue truppe nella capitale e depose Eracleona e la madre (1). In questo modo nel novembre del 641 Costante divenne unico imperatore all’età di 11 anni sotto la tutela del senato e del nuovo Patriarca Paolo II (641-653) fino al raggiungimento della maggiore età (648). Valentino Arsacido fu ricompensato con la carica di Comes excubitorum – comandante della guardia imperiale – ed assunse una posizione a corte molto influente, dando in moglie al giovane imperatore la propria figlia Fausta. Nel 644 cercò di rovesciare il genero ma il suo tentativo fu stroncato dalla ferma opposizione del Senato e del Patriarca e morì linciato dalla popolazione della capitale insieme ai suoi sostenitori.

Poiché la controversia sul Monotelismo era causa di disordini interni, nel 648 Costante II promulgò un editto (Typos) con cui vietava ai suoi sudditi di discutere ulteriormente sul monotelismo. L'imperatore chiese quindi a papa Martino I, eletto al soglio pontificio il 5 luglio 649, di sottoscrivere l'editto. Al rifiuto opposto dal pontefice, che considerava l'editto un rafforzamento di quello dell'Ekthesis promulgato da Eraclio I (638) a favore del Monotelismo, l'imperatore rispose rifiutandosi di ratificare la sua elezione. Martino I reagì convocando un sinodo in Laterano, che si svolse in cinque sedute tra il 5 e il 31 ottobre 649 e in seguito alla quale vescovi e monaci ortodossi (tra cui numerosi greci residenti a Roma) condannarono come eretici i patriarchi monoteliti Sergio, Pirro e Paolo di Costantinopoli e Ciro di Alessandria.

Nonostante il fatto che ad essere accusati di empietà ed eresia non fossero direttamente gli imperatori Eraclio e Costante II ma solo i patriarchi, la condanna inasprì le relazioni politiche tra Costantinopoli e Roma, anche perché le decisioni sinodali si opponevano fermamente agli editti imperiali dell’Ekthesis e del Typos.
Costante inviò in Italia il nuovo esarca di Ravenna, Olimpio, che vi giunse mentre il sinodo era ancora riunito, con l'ordine di far sottoscrivere il Typos da tutti i 105 vescovi presenti e arrestare papa Martino I.
Secondo il Liber pontificalis, l'esarca dopo inutili tentativi di insinuare divisioni nel fronte ecclesiastico, si decise ad assassinare il pontefice. Un suo spatario avrebbe dovuto colpire il papa nel momento in cui questi si accingeva a dare la comunione all'esarca durante la funzione nella chiesa di S.Maria ad Praesepem (l'attuale S.Maria Maggiore). L’intervento divino salvò il papa: lo spatario fu reso cieco proprio nel momento in cui il pontefice porgeva la comunione a Olimpio.
Dopo il fallito attentato, l'esarca, convintosi che il papa era protetto dalla mano di Dio, lo mise a parte degli ordini ricevuti e – probabilmente con il suo appoggio – diede inizio alla secessione da Bisanzio della provincia italica (650). Spostatosi con il grosso dell'esercito in Sicilia per ragioni non del tutto chiare e posto il suo quartier generale a Siracusa, vi morì (652-653) nel corso di una epidemia di peste.

***

Dopo la morte di Olimpio, il nuovo esarca d'Italia, Teodoro Calliopa, procedette senza indugio contro papa Martino I, accusato di alto tradimento per aver appoggiato la ribellione.
All'avvicinarsi dell'esarca e del suo esercito alla città, il papa, già infermo, si rifugiò nella basilica lateranense.

Simone Martini, Papa Martino I (identificato da Künstle)
Cappella di san Martino, Basilica inferiore di San Francesco, Assisi
1312-1317

Lunedì 17 giugno 653 una squadra armata irruppe nella basilica e consegnò ai presbiteri gli ordini dell'esarca: il papa era da considerarsi deposto e doveva essere condotto a Costantinopoli; sarebbe stata effettuata una nuova elezione. A condizione che il suo clero potesse accompagnarlo, Martino, per evitare spargimenti di sangue, si dichiarò pronto a presentarsi nel palazzo del governo sull’Aventino. Da lì, nella notte tra il 18 e il 19 giugno, venne condotto in segreto su una lettiga fino al Tevere e – senza bagaglio né seguito – accompagnato in barca a Porto dove fu caricato su una nave che doveva condurlo a Costantinopoli.
Il 17 settembre, dopo una lunga sosta nell'isola di Nasso, il papa raggiunse la città imperiale. Fino a sera il prigioniero, privato della sua dignità, venne lasciato sull’imbarcazione, e poi fu condotto dalle guardie in barella nel carcere di Prandearia, dove seguirono novantatré giorni di isolamento.
Il 20 dicembre finalmente fu avviato il procedimento davanti al sacellarius con la partecipazione di testimoni. Dall’interrogatorio si deduce che l’accusa era incentrata esclusivamente sull’alto tradimento e si evitò accuratamente di far riferimento a problemi teologici e a posizioni di fede.
L’interrogatorio si concluse frettolosamente, fu pronunciato il verdetto di condanna a morte, fecero il loro ingresso gli aiutanti del carnefice che spogliarono il pontefice dei suoi abiti ecclesiastici, gli misero la gogna e lo trascinarono attraverso la città fino al pretorio dove fu rinchiuso nella prigione di Diomede. Qui apprese che il patriarca Paolo II, ormai morente, era riuscito ad ottenere dall'imperatore la commutazione della pena.
Il 17 marzo 654 gli fu comunicata la sentenza definitiva: l’esilio a Cherson sul Mar Nero che raggiunse il 15 maggio.
Martino I morì a Cherson il 16 settembre 655, e alcuni suoi fedeli lo seppellirono davanti alle mura della città nel Monastero di S.Maria ad Blachernas.

***

Nel 660 Costante condannò a morte il fratello Teodosio, che aveva costretto a farsi prete, con l’accusa di tradimento. I motivi reali del fratricidio non sono ancora ben chiari agli storici. Quel che è certo è che a causa dell’assassinio del fratello la sua popolarità calò di molto, al punto che il popolò iniziò a chiamarlo “caino”.
Nello stesso anno Costante organizzò una grande spedizione militare in Occidente.
Lasciato il figlio maggiore Costantino come co-imperatore a Costantinopoli, alla testa di contingenti dei temi Opsiciano e Anatolico e a bordo della flotta fornita dal tema dei Carabisiani, salpò per l’Italia.
Dopo un primo soggiorno a Tessalonica e uno più breve ad Atene, l’imperatore approdò all'inizio del 663 a Taranto, che fu scelta come base di appoggio per l’operazione.
La spedizione era stata preparata accuratamente ed era finalizzata a riprendere il controllo definitivo dell’Africa e riconquistare almeno l’Italia meridionale longobarda provvedendo poi alla distribuzione delle terre ai soldati come era stato fatto in Oriente.
Da Taranto mosse con l’esercito verso l’interno, seguendo un tracciato tortuoso: solo in parte seguì infatti la via Appia e la via Traiana.
Assediata invano Acerenza; riuscì invece a prendere e a distruggere Ortona, Ecana e Lucera, oltre probabilmente ad altri villaggi di cui ignoriamo il nome.
Giunto sotto le mura di Benevento (che in quel tempo era governata dal giovane duca Romualdo, essendo suo padre Grimoaldo divenuto re dei Longobardi a Pavia), Costante cinse d’assedio la città. Romualdo chiese di venire a patti, probabilmente nella speranza di guadagnare tempo fino all’arrivo del padre da nord con un esercito di rinforzo. Costante, dopo aver chiesto ed ottenuto in ostaggio Gisa, sorella del duca, tolse l’assedio e si diresse a Napoli.
Lungo il percorso subì l’azione di guerriglia del conte di Capua, Mitola, che sconfisse i bizantini in uno scontro al guado del fiume Calore a poca distanza da Benevento. Poco dopo, quando ormai Grimoaldo aveva raggiunto Benevento con i rinforzi, una vera e propria rottura della tregua culminò con uno scontro di proporzioni più ampie, la battaglia di Forino, dove i longobardi guidati da Romualdo sconfissero una parte del contingente bizantino guidata dall'armeno Saburro.
Partito da Napoli, il 5 luglio del 663 l’imperatore giunse a Roma, dove fu ricevuto dal pontefice Vitaliano, dal clero e dal popolo usciti ad incontrarlo fino al sesto miglio della via Appia; appena entrato in città si recò in pellegrinaggio a san Pietro.
Era il primo imperatore romano che metteva piede nella vecchia capitale dopo la caduta dell’impero di Occidente. Vi si fermò per 12 giorni. Il sovrano visitò le principali basiliche distribuendo benefici ed assistendo a numerose cerimonie religiose. Ma la sua finalità era anche quelle di raccogliere fondi per la riorganizzazione dei domini occidentali. Non si sa quale effetto fecero su di lui gli antichi monumenti della gloria passata di Roma (2). Il comportamento fu quello che tutti avevano nell’alto medioevo, usare gli antichi monumenti come riserva di materiale: rimosse le tegole di bronzo dorato che rivestivano il tetto del Pantheon (che dai tempi di Foca era diventato una chiesa dedicata alla Vergine) e le inviò per nave in Sicilia dove pensava di porre la capitale di un rinnovato impero d’Occidente.
Il 9 luglio, domenica, Costante partecipò ad una processione e ad una messa solenne in san Pietro; il 15 fece un bagno nel palazzo del Laterano e fu ospite alla mensa di Vitaliano.
Il 17 partì per Napoli, donde scese a Reggio Calabria.
Verso la fine del 663 attraversò lo stretto di Messina e giunse a Siracusa, dove cercò di organizzare un’efficace difesa contro gli Arabi, che già erano affacciati sulle coste mediterranee dell’ Africa.
Cominciò a distribuire terre ai soldati come aveva già fatto in Oriente. Furono creati depositi militari e le risorse furono trovate con un incremento del fiscalismo lamentato dalle fonti occidentali e della chiesa romana dell'epoca. Fece anche trasferire a Siracusa la corte e la zecca imperiale.
Il l0 marzo del 666 decretò l’autocefalia della chiesa di Ravenna da Roma.
Nel 667 le riforme erano forse già completate ma cominciarono i problemi con l’esercito giunto dall’Oriente al seguito dell’imperatore.
Ormai il progetto era chiaro: Costante mirava alla rinascita della carica di imperatore di Occidente e questo voleva dire che vi erano poche possibilità per un ritorno delle truppe in Oriente.
Nel 668 l’imperatore associò al trono anche i figli Eraclio e Tiberio (Costantino lo aveva già elevato al trono prima di partire per l’Italia). Poi li convocò tutti in Italia insieme alla moglie Fausta, molto probabilmente per sancire la spartizione dell’Impero fra i co-imperatori.
Non fecero in tempo a raggiungerlo: Il 15 luglio (o il 15 settembre) del 668 Costante fu ucciso da un complotto ordito da membri della corte e alti gradi dell'esercito stanziato in Sicilia. Un  cortigiano di nome Andrea - figlio di Troilo - gli versò sul capo acqua calda e sapone mentre egli si trovava in una vasca dei bagni di Dafne, e poi, approfittando della momentanea cecità, lo colpì sul capo con un vaso di bronzo. Il generale armeno Mesezio (Mzez Gnouni), conte (Comes) degli Opsiciani, fu proclamato imperatore dalle truppe stanziate a Siracusa.

Mesezio
dritto di un solido aureo coniato dalla zecca di Siracusa durante l'usurpazione.
L'usurpatore indossa corazza ed elmo piumato mentre tiene nella destra il globo crucigero e uno scudo nella sinistra.
668-669
 
Prima ancora che la squadra navale inviata da Costantinopoli dal legittimo erede Costantino IV (668-685) giungesse nelle acque di Siracusa, l'usurpazione di Mesezio fu però stroncata dalle truppe inviate in Sicilia dall'esarca di Ravenna Gregorio. I resti di Costante furono traslati a Costantinopoli dove venne sepolto nella chiesa dei SS. Apostoli.

 
Note:

(1) Martina ed Eracleona vennero esiliati a Rodi dopo essere stati mutilati (a Martina venne tagliata la lingua e ad Eracleona il naso). E' questa la prima volta che la mutilazione del taglio del naso compare in ambito bizantino.

(2) A testimonianza del soggiorno di Costante II nella città eterna, rimangono due graffiti con il suo nome - incisi probabilmente da membri del suo seguito - uno all'interno della Colonna di Traiano e l'altro sul basamento dell'Arco di Giano Quadrifonte

(3) All'epoca di Costante II, il thema degli Opsiciani comprendeva la parte settentrionale dell'Asia Minore bizantina ed aveva per capoluogo Nicea. Era il quarto in ordine di importanza e forniva all'esercito imperiale molti picchieri, arcieri e cavalleria leggera. Traeva il nome (letteralmente, opsiciani=ossequienti) da quello di un antico corpo della guardia imperiale e, a differenza degli altri themata, era l'unico ad essere governato da un Comes (conte) anziché da uno Strategos.


Narrativa moderna e contemporanea:
 
Carlo Augusto Monteforte, Un basileus in Sicilia, Morrone Editore, 2011.
Il romanzo ricostruisce con accuratezza storica la parabola dell'imperatore Costante II, proponendo un suggestivo retroscena al contesto in cui maturò il suo assassinio.