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sabato 24 settembre 2016

La basilica di San Sabino, Canosa

La basilica di San Sabino, Canosa

La facciata attuale della chiesa

Esternamente si presenta oggi nell'aspetto impressole dall'imponente ristrutturazione ottocentesca che fece seguito al grave danneggiamento subito dall'edificio durante il terremoto del 1851. L'opera di restauro e ampliamento ha però praticamente inglobato al suo interno l'antica chiesa la cui fisionomia appare ancora riconoscibile una volta entrati ed oltrepassato l'avancorpo ottocentesco.
L'impianto originario della basilica attualmente dedicata a San Sabino (1) è infatti con tutta probabilità l'ultima fondazione in ordine di tempo riconducibile alla sua committenza.

In neretto la planimetria della chiesa del VI secolo 

Si tratta di un impianto a croce latina con tre navate, transetto ed un'unica abside semicircolare in cui si aprono tre finestre e coperto da 5 cupole (3 lungo l'asse longitudinale e 2 sui bracci del transetto).

Al centro, l'abside della chiesa del VI secolo.

Le pareti della navata centrale, che comunica con quelle laterali per mezzo di sei arcatelle, sono caratterizzate da una non perfetta perpendicolarità con il piano di calpestio, molto probabilmente esito di ripetuti eventi sismici. La chiesa originaria era inoltre preceduta da un vasto atrio.
Tutte le colonne – in numero di 18 - su cui s'impostano gli arconi che sostengono le cupole sono di spoglio, a differenza dei capitelli, parte dei quali furono realizzati quando la chiesa fu costruita.

La cupola meridionale del transetto

Recentemente, asportando l’intonaco che rivestiva l’interno della cupola del braccio destro del transetto, è stata portata allo scoperto la muratura originaria che si è rivelata realizzata in tufelli a formare 33 cerchi concentrici resi con mattoncini, alcuni dei quali con il celebre monogramma del vescovo Sabino, e al centro una croce greca realizzata con tasselli di pietra lavica, leggermente a nord della croce si trova inoltre inserito un altro tassello di questa pietra. 
 
La croce inserita nella chiave di volta della cupola ed il puntino nero a nord di essa

In questo braccio del transetto, al di sopra della porta che introduce alla sacrestia, si notano inoltre i resti di un affresco databile XI-XII secolo recentemente riscoperto (2013) che raffigura la Crocefissione e che molto probabilmente apparteneva ad un ciclo più esteso.


Si riconoscono il braccio destro del Cristo, l'angelo sul braccio della croce e, ai piedi della croce, il gruppo delle Tre Marie (il volto della Vergine è stato riportato in luce), sulla destra parte del popolo che assiste e sullo sfondo la città di Gerusalemme. Da notare, ai lati della croce, la presenza dei simboli del sole e della luna.
Nel corso del tempo la chiesa venne comunque rimaneggiata in varie occasioni (la ristrutturazione avvenuta intorno al 1080 sotto il vescovo Ursone, ad esempio, venne a lungo ritenuta l'atto di fondazione dell'edificio) fino al massiccio intervento di fine '800 (2).


L'ambone:
 
 
Interamente scolpito in marmo grigiastro, è formato da una cassa quadrata sostenuta da quattro arcatelle impostate su altrettante colonne con capitelli a fogliame stilizzato. Dalla fronte della cassa sporge il lettorino semicilindrico con un'aquila ad ali spiegate che tra gli artigli stringe una testa umana e con il capo sostiene il leggìo decorato da una protome leonina.
Sulla cornice superiore della fiancata destra si legge:

P(er) IUSSIONEM D(omi)NI MEI GUITBERTI VEN(erabili)S P(res)B(ite)R EGO ACCEPTUS PECCATOR ARCHIDIAC(o)N FECI HOC OPUS

Il nome di Acceptus, che però in questo caso si qualifica come sculptor, accompagnato dalla data di esecuzione (1040), figura anche nei frammenti del pulpito rinvenuti nella chiesa di San Michele a Monte Sant'Angelo che appaiono da un lato formalmente simili e dall'altro stilisticamente diversi dall'ambone canosino. Differenze di stile che sono state interpretate sia nel senso di una datazione più precoce sia in quelllo di una più tardiva di quest'ultimo.

a sn. l'ambone di Canosa a ds. quello di Monte Sant'Angelo.

Lasciando irrisolto il nodo della datazione, si potrebbe però anche ipotizzare l'esistenza di un maestro ideatore (Acceptus) che si sia servito di maestranze diverse pe la realizzazione dei due amboni.

La cattedra di Ursone:


Al centro dell'abside è attualmente collocato il seggio episcopale, opera eseguita dallo scultore Romualdo per Ursone, vescovo della diocesi unita di Bari e Canosa (1080-1089), come si evince dall'iscrizione posta all'esterno del bracciolo sinistro.
Di ispirazione bizantina, la cattedra è costituita da un altissimo sedile con alla base una predella decorata da due aquile che poggia su due elefanti portatori.
Nell'insieme da l'idea di risultare dall'assemblaggio di due manufatti di stile diverso. La severa sobrietà della parte superiore, ricavata nello stesso marmo grigiastro dell'ambone, contrasta infatti nettamente con la ricchezza orientaleggiante dell'apparato decorativo della parte inferiore scolpita in un marmo d'intonazione molto più calda. Probabilmente Romualdo rimaneggiò per Ursone una cattedra vescovile preesistente, coeva all'ambone ed opera della stessa bottega. Alcune incongruenze strutturali (la sopraelevazione elevatissima del sedile e l'assenza di un poggiapiedi) fanno inoltre pensare che la cattedra fosse più che altro destinata a “rappresentare” il vescovo in sua assenza piuttosto che ad accoglierlo fisicamente.

Note:

(1) La chiesa, originariamente dedicata ai martiri romani SS.Giovanni e Paolo fu ridedicata al santo vescovo canosino da papa Pasquale II nel 1102. Agli inizi del IX secolo il vescovo Pietro aveva già fatto traslare in questa sede i resti del santo dal luogo originario di sepoltura.
(2) I resti del porticato colonnato che si vedono accanto al Mausoleo di Boemondo – che fu addossato alla parete meridionale del transetto poco dopo il 1111 – sembrano invece risalire al XV-XVI sec.






domenica 18 settembre 2016

Il Mausoleo di Boemondo, Canosa

Il Mausoleo di Boemondo, Canosa


E’ il monumento funerario dell’eroe normanno della I Crociata - il primogenito di Roberto il Guiscardo e della sua prima moglie Alberada di Buonalbergo - Boemondo d’Altavilla principe di Antiochia. Addossato al muro esterno del braccio destro del transetto della Cattedrale di San Sabino, fu eretto dopo il 1111, anno della morte di Boemondo.
La sua grande devozione a San Sabino e l'amore per Canosa, convinsero sua madre Alberada a costruire qui il suo mausoleo.


Per la struttura esterna i progettisti si ispirarono ai trascorsi crociati di Boemondo, visto che il mausoleo ricorda molto da vicino il tempietto sovrastante il Santo Sepolcro di Gerusalemme. L'edificio è diviso in due parti: quella superiore caratterizzata da un tamburo poligonale oggi coperto da una cupoletta emisferica; quella del corpo del monumento di forma quadrangolare, con una piccola abside a destra, rivestita di lastre di marmo greco di reimpiego e scandita da arcatelle cieche e lesene.
 
 
La cupola originaria era probabilmente di forma piramidale ottagonale e culminante con una pigna marmorea, era lastricata di marmi bianchi provenienti dall'isola di Paros e venne sostituita dalla copertura attuale durante il restauro del 1904 (1).

Lungo il margine superiore del tamburo corre la seguente iscrizione in versi:

Magnanimus Sirie iacet hoc sub tegmine princeps,
quo nullus melior nascetur in orbe deinceps.
Grecia victa quater, pars maxima Partia mundi
ingenium et vires sensere diu Buamundi.
Hic acie in dena vicit virtutis abena
agmina millena, quod et urbs sapit Anthiocena.

(Sotto questa copertura giace il magnanimo principe della Siria, migliore del quale non nascerà più alcuno al mondo. La Grecia vinta quattro volte, la Partia, grandissima parte del mondo, ebbero a lungo prova dell’ingegno e delle forze di Boemondo. Costui in dieci battaglie sottomise alle redini della sua virtù schiere di migliaia di uomini: cosa che sa anche la città di Antiochia).

All'interno si accedeva attraverso una porta bronzea asimmetrica realizzata alla fine dell'XI secolo da Ruggero da Melfi (2).

 
I due battenti presentano innegabili diversità di stile e di manifattura. Per ovviare a questa discrepanza Ruggero, maestro campanario, elaborò una cornice vegetale similare per ambedue, tipica ornamentazione da bordo di campana. La prima valva, quella di sinistra – molto probabilmente di reimpiego - è un blocco unico a fusione piena, con tre identici rosoni nel cui centro furono applicati una protome di leone, un fiore a sei petali entro una fascia decorativa di matrice islamica e, sopra, un rilievo della Vergine con il Bambino di cui oggi rimane solo la didascalia (Maria Mater Dei e, a ds, Ihs Filius Mariae). Su quest'anta è incisa anche una versatile iscrizione che inneggia a Boemondo continuando quella del cupolino.
Nella seconda formella dell'anta di destra, il principe di Antiochia è raffigurato insieme al fratellastro Ruggero Borsa, preferito dal padre nella successione del ducato pugliese, che morì nello stesso anno: sono inginocchiati davanti a una immagine del Cristo di cui oggi rimane solo la croce. Acerrimi nemici in vita appaiono qui riappacificati nella morte.
Nella formella sottostante, i due cugini Boemondo II – figlio di Boemondo e Costanza di Francia, principe di Antiochia (1111-1130) e Guglielmo II – figlio di Ruggero Borsa e Adele di Fiandra, duca di Puglia e Calabria (1111-1127) - sono tenuti per mano dallo zio Tancredi, in un gesto di colleganza.

Boemondo II, Tancredi d'Altavilla e Guglielmo II
 
L'anta di destra fu ottenuta assemblando quattro formelle, che si incastravano una nell'altra. Le due centrali presentano le scene di corte sopra descritte mentre le altre due, la superiore e la inferiore, presentano altrettanti dischi arabescati.
All'interno, il mausoleo si presenta oggi spoglio, a causa dei ripetuti restauri. Gli unici elementi decorativi sono costituiti da due grandi colonne di sostegno e dalla lastra incassata nel pavimento, che ricopre la tomba di Boemondo riportando la semplice dicitura: 'BOAMUNDUS' in una raffinata cornice decorata a palmette simile a quella della porta.



Note:

(1) Contro l'ipotesi di una forma piramidale della copertura originaria vedi A.D Fiorini, Quando la cupola del Mausoleo di Boemondo era una piramide ottagonale, 2013.
(2) Al di sopra del riquadro inferiore dell'anta di destra si legge l'iscrizione: Sancti Sabini Canusii Rogerius Melfie campanarum fecit has ianuas et candelabrum.

Schede correlate:

Il Principato di Antiochia



 

sabato 17 settembre 2016

Il Battistero di San Giovanni, Canosa

Il Battistero di San Giovanni, Canosa

Si può visitare solo su prenotazione (Tel. 333-8856300)


 

L’area di Piano San Giovanni, dominata dal monumentale battistero paleocristiano, è ubicata nel comparto sudorientale della città di Canosa, in prossimità del tracciato dell'antica via Traiana.
Il battistero monumentale, riconducibile alla committenza del vescovo Sabino, appare costituito da un massiccio corpo a pianta dodecagonale, al centro del quale è posta una vasca battesimale eptagonale attorno a cui corre un deambulatorio. Il corpo centrale era preceduto da un nartece concluso alle estremità da due piccole absidiole.
 
La vasca battesimale centrale
 
Attorno alla vasca battesimale era disposta una peristasi formata da dieci colonne (sette delle quali sono state rinvenute) mentre lungo le pareti del poligono si conservano undici blocchi di fondazione in calcare sommariamente squadrato sul quale dovevano poggiare le colonne di sostegno della copertura. Lungo gli assi principali dell'edificio si trovavano quattro camere (cappelle A,B,C,D) che si aprivano con una porta sul vano centrale; tra le cappelle si disponevano altrettanti corridoi che comunicavano invece con due porte con il vano centrale.
L'ambulacro doveva essere coperto da volte a crociera impostate sulle colonne disposte lungo il perimetro del poligono e sull'anello della peristasi (1).
L'area della vasca era invece verosimilmente coperta da una cupola che si impostava con pennacchi sul poligono in muratura (2).

Verso la fine dell'Ottocento la struttura subì ad ogni modo profonde modifiche al fine di essere adattata a frantoio. Lo spazio interno fu profondamente alterato con la costruzione di quattro pilastri quadrati centrali sui quali si impostano le volte a vela che restituiscono uno spazio organizzato in maniera molto diversa da quello originario.
Il battistero era molto probabilmente decorato da mosaici parietali; mentre della pavimentazione musiva policroma originaria restano tre frammenti in uno degli ambienti interni, decorato con un ornato geometrico a stelle a quattro punte con rettangoli tra le stelle.
 

Davanti al battistero si apriva infine un vasto atrio formato da due ali porticate e da uno spazio centrale scoperto. Agli inizi del VII secolo, probabilmente a seguito di un terremoto, si verificò il crollo delle ali porticate e, sulle murature in rovina fu edificata una basilica a tre navate (3), scandite da pilastri quadrati, con abside orientato (4) che ricalcava la preesistente struttura di accesso orientale all'atrio. In questa fase il nartece del battistero assunse le funzioni di collegamento tra i due edifici.
 
Il nartece visto da Nord.
A destra l'ingresso al battistero, a sinistra quello di collegamento con l'atrio e, successivamente con la chiesa di San Salvatore.
 
 
Note:

(1) Alternativa a questa ipotesi potrebbe essere quella di una volta a botte anulare rinforzata da archi radiali impostati sulle colonne.
(2) Alcuni autori hanno ipotizzato al di sopra dell'ambulacro una galleria anulare con funzioni di matroneo sulle cui pareti si sarebbe impostata la cupola di copertura.
(3) Dovrebbe trattarsi della basilica dedicata al Salvatore che compare nelle fonti scritte.
(4) La muratura curvilinea, le cui fondazioni sono ancora visibili, in cui fu edificata l'abside apparteneva molto probabilmente già all'atrio di cui costituiva l'ingresso secondo una soluzione già riscontrata nella basilica di San Leucio.
 
In primo piano, l'abside della chiesa di San Salvatore


 

sabato 10 settembre 2016

Modone

Modone


Veduta aerea
 
La città fu conquistata una prima volta dalla flotta veneziana, che rientrava dalla Terrasanta al comando del doge Domenico Michiel (1116-1129), nel 1124. Il doge la restituì comunque all'Impero bizantino l'anno seguente, dopo averne fatto radere al suolo le fortificazioni. Conquistata dai veneziani nel 1206 – a seguito della conquista crociata di Costantinopoli – e definitivamente assegnata alla Serenissima dal Trattato di Sapienza (1209), rimase quasi ininterrottamente in mani venete fino alla conquista ottomana (9 agosto 1500). Riconquistata dal Morosini nel 1686 (guerra di Morea) dopo 16 giorni di assedio, fu tenuta nuovamente dai veneziani fino al 1715.
Sotto il dominio della Serenissima, la città divenne uno dei più importanti scali commerciali sulle rotte per il Mar Nero e i porti dell'Egitto e di Terrasanta tanto da essere spesso definita nei documenti veneziani dell'epoca occhio destro di Venezia.

La fortezza, già esistente in epoca bizantina, occupa l'intera superficie del promontorio fino all'isoletta antistante e, per la gran parte, deve il suo aspetto attuale alle opere di ammodernamento e restauro intraprese dai veneziani tra il 1686 ed il 1715.
Vi si accede attualmente per mezzo di un ponte di pietra di 14 arcate fatto costruire sopra il fossato che separava la fortezza dalla terraferma dal corpo di spedizione francese inviato da Carlo X a sostegno dell'insurrezione greca ed al comando del generale Nicolas Joseph Maison, che tenne la città dal 1828 al 1833.


Il ponte conduce ad una massiccia porta d'ingresso, incorniciata da due lesene sormontate da capitelli corinzi e affiancate da lance e vessilli scolpiti, che risale al 1714.


Un ampio fossato che corre lungo l'intero lato settentrionale separa la fortezza dalla terraferma. Una bassa fortificazione (falsabraga) – tra i due grandi bastioni – si alza a circa metà del fossato. Fu scavato già nel XIII secolo ma quello attualmente visibile risale anch'esso alla seconda dominazione veneziana, quando questi tentarono, senza successo, di estendere il fossato così da far penetrare il mare e isolare la fortezza dalla terraferma.

Sezione schematica delle fortificazioni sul versante settentrionale
1.Bastione 2.Parapetto 3.Scarpa 4.Camminamento coperto 5.Falsabraga 6.Fossato 7.Controscarpa 8.Spalto
 
Ai lati della Porta si trovano due bastioni: il bastione Loredan a sinistra, ed il bastione Bembo a destra.
 
Bastione Bembo: a forma di quadrilatero, costruito su di un rilievo roccioso, protegge l'angolo nordoccidentale del castello.
 
Bastione Bembo (visto da ovest)
 
Al suo interno si apre un cortile per facilitare l'accesso dei difensori, mentre il suo angolo nord-est ha la forma di una torre semicircolare. Si tratta di una costruzione imponente con l'obiettivo di contrastare le prime armi da fuoco. Secondo una iscrizione conservata sul lato occidentale, il bastione è stato costruito dal governatore Giovanni Bembo nel 1460. (Portando per la seconda volta il titolo di Pretore, l'illustre Signore Giovanni Bembo provvide la città di questo forte inespugnabile, nell'anno del Signore 1460, 30 ottobre).
Durante il secondo periodo di dominazione veneziana, in cui l'opera di rafforzamento delle difese fu particolarmente intensa, a questo bastione ne fu addossato un altro sul suo lato orientale (cfr. la veduta aerea). 
Ad ovest del Bastione Bembo, al termine del fossato, venne costruito un semibastione collegato al Bastione Bembo da un terrapieno compreso tra due cortine di pietra.
 
Il terrapieno ed il semibastione occidentale
 
All'interno il semibastione appare formato da una serie di camere parallele che sostengono la terrazza dove si disponevano i pezzi d'artiglieria. Questa, datata 1715, è anche l'ultima opera difensiva realizzata dai veneziani nel periodo 1686-1715.
 
Interno del semibastione occidentale
 
Bastione Loredan: è un massiccio bastione quadrilatero costruito sul lato nordorientale della fortezza. Si tratta dell'ultima di una serie di costruzioni aventi l'obiettivo di proteggere questo vulnerabile punto delle cinta.
 
I lati nord ed ovest del Bastione Loredan
 
Questo bastione, in cui, a livello degli spalti, si apre una singola filiera di cannoniere per pezzi di grosso calibro, controlla completamente il fossato.
 
Il lato est del Bastione Loredan
 
E' datato 1714 – sotto il governatorato di Antonio Loredan - da una iscrizione sul suo fronte settentrionale al di sotto del leone di San Marco. A quest'epoca risale anche la costruzione della falsabraga tra il nuovo bastione ed il Bastione Bembo.  
 
Il leone di San Marco e l'iscrizione incassati sul muro settentrionale del bastione
 
Subito dopo l'ingresso principale, un camminamento conduce, attraverso una seconda ed una terza porta, all'interno della fortezza e si apre sulla grande Piazza d'Armi, centro della vita sociale ed economica della città veneziana.
La porta che introduce alla Piazza d'Armi è l'antica Porta di Terraferma ed è attualmente formata da due porte giustapposte. Quella più interna, ad arco acuto e protetta da due torri rettangolari, risale probabilmente al XIII secolo. Ad essa verso la metà del XV sec, quando la porta venne rinforzata con un piccolo barbacane, ne venne addossata un'altra, quella del barbacane, ad arco a sesto ribassato.

L'antica Porta di Terraferma
 
Il quartiere dove si trovavano le abitazioni civili è separato dalla parte settentrionale da un muro rafforzato da quattro torri quadrate ed una ottagonale realizzato durante la prima occupazione ottomana.
A sinistra dell'ingresso al quartiere civile si trovano le rovine dell'edificio usato come residenza da Ibrahim Pascià nel 1825 e, dopo la conquista della piazzaforte, dal general Maison.
 
La Piazza d'Armi.
In primo piano la cosiddetta colonna di Morosini, a destra il muro di epoca ottomana che separa il quertiere civile da quello militare e, sullo sfondo, la polveriera di epoca veneziana.
 
La colonna di granito purpureo (alta 3.67 m) posta al centro della Piazza d'Armi proviene dal naufragio di una nave di epoca paleocristiana presso capo Spitha, vicino Modone, conosciuto come "naufragio delle colonne" (1). Il capitello della colonna è però di fattura veneziana ed originariamente vi era collocato un leone di San Marco. L'iscrizione onorifica su di essa (appena leggibile) porta la data del 1493. L'errata lettura del nome "Morosini" è responsabile dell'appellativo colonna di Morosini con cui è conosciuta. Nel capitello è raffigurato anche il leone di San Marco e uno stemma deteriorato, probabilmente di Pietro da Canal che fu governatore di Modone nel 1493.
Sul capitello si trova attualmente una lastra piana rettangolare sui lati della quale sono scolpiti tre stemmi. La lastra non è in relazione con la colonna né si sa da quale edificio proviene. In base agli stemmi, sono state identificate le famiglie Foscolo (a sn.), Bembo (a ds.) e Valaresso, esponenti delle quali hanno governato Modone nel 1394.
 
 
Nei pressi della colonna si trova un'altra lastra su cui è incisa la seguente iscrizione:
D O M
METHONEM COMMVNIRI
VALLIS MOENIIS ET PROPVGNACVLIS TERRA MARI(QUE)
MANDAVIT SENATUS
ANTONIO LAVRETANO PRO GNALI ARMO IN PELOPO(NNESO)
QVI TANTI OPERIS CVRA SVSTINENS
AD VRBIS ET REGNI TVTAMEN
FORTIORA MVNIMENTA EREXIT ET CLAVS(IT)
ANNO SALVTIS MDCCXIV

D(eo) O(ptimo) M(aximo)
Essendo Dio il più buono e il più grande
Il Senato ordinò di fortificare Methoni
con fossati, mura e bastioni da terra e dal mare
ad Antonio Loredan, generale del Peloponneso,
che avendo la responsabilità di un'opera così importante,
a protezione della città e del regno
eresse più potenti fortificazioni e le completò
nell'anno del Signore 1714

All'estremità occidentale della Piazza d'Armi si trova una piccola polveriera sormontata da una copertura piramidale che risale al secondo periodo di dominazione veneziana mentre sulla sinistra si staglia isolata la chiesa di Santa Sotira, la cui costruzione risale al periodo di occupazione del corpo di spedizione francese (1828-1833) durante la guerra d'indipendenza.
Chiesa di Santa Sotira
 
Dalla Piazza d'Armi parte in direzione del Bourtzi la strada principale della città intersecata da strade laterali che conducevano al porto. Percorrendola, sulla destra si notano i resti di due bagni turchi
 
Bagno turco
 
e a sinistra quelli della cattedrale di San Giovanni Evangelista di cui spiccano le rovine del minareto che le fu aggiunto durante la dominazione ottomana quando fu convertita in moschea.
Resti del minareto aggiunto alla chiesa di San Giovanni evangelista in epoca ottomana
 
Al suo estremo meridionale la strada termina con la porta da mar (Porta di San Marco) difesa dall'imponente castello da mar, rimaneggiato in epoca ottomana e recentemente restaurato, e formato da due alte (16 m.) torri quadrate in pietra porosa raccordate da una piattaforma e provviste di merlatura.
 
Castello da mar
 
Dalla Porta di San Marco, un ponte di pietra conduce al Bourtzi.

Il Bourtzi
 
Bourtzi: la costruzione del forte detto Bourtzi (dal turco burdz=fortezza), su un'isoletta antistante il castello da mar, fu iniziata poco prima del 1500 dai Veneziani, contemporaneamente alla costruzione di un analogo forte a Nauplia, e completata dagli Ottomani dopo la presa della città. Durante la seconda dominazione veneziana (1685-1715), la torre ottagonale a due piani ciascuno dei quali munito di parapetto merlato, fu circondata da un muro perimetrale. Qui furono massacrati molti prigionieri cristiani dopo la conquista turca del 1500. Nel corso del tempo è stato utilizzato come sede della guardia per la sorveglianza del porto, come faro e come prigione.
 
Il lato orientale delle mura è stato fortemente rimaneggiato in epoca ottomana e durante la seconda occupazione veneziana.
 
Porta del Mandrachion
 
Risalendo questo tratto delle mura verso l'ingresso della fortezza, esattamente al centro dell'antico porto (Mandrachion), tra la Porta di San Marco e quella del Mandrachion, si erge l'imponente torre di SE (anch'essa oggetto di un recente restauro).
 
La Torre di SE
 
Appare formata da due parallelepipidi allungati e giustapposti che comunicano tra loro e con il camminamento di ronda. Sul lato verso la città si aprono due archi a sesto acuto provvisti di una cornice in pietra porosa. La datazione dell'edificio appare incerta come pure la sua funzione giacchè appare dubbia quella difensiva (l'altezza eccessiva lo rende infatti facile bersaglio del fuoco d'artiglieria) (2).

Proseguendo in questa direzione s'incontra una massiccia torre quadrata in cui si apre la cosiddetta Porta Stoppa.
 
La Porta Stoppa dall'interno della fortezza
 
Sulla facciata esterna, in alto, si osserva al centro un rozzo leone di San Marco fiancheggiato ai lati dalle armi dei Foscarini. Più in basso le armi dei Michiel con scolpite le lettere P e M.
Esterno della Porta Stoppa
 
In corrispondenza della parte bassa della torre, la scarpatura aggiunta in epoca ottomana è crollata, lasciando scoperta la muratura originaria in cui è incassato un leone di san Marco fiancheggiato da due stemmi irriconoscibili.

Esternamente e parallelo alle mura del lato orientale c'era un molo che si congiungeva al Bourtzi e proteggeva il piccolo porto fortificato.

Il lato occidentale delle mura, rafforzato da cinque torri quadrate, risale nella sua forma attuale alla prima occupazione veneziana e mostra una minore accuratezza nell'esecuzione dovuta al fatto che la parete a strapiombo proteggeva già di per sè la fortezza da questo lato. Qui, un'eplosione durante la seconda guerra mondiale, ha riportato alla luce un tratto delle antiche mura di Modone.
 
Note:

(1) Una colonna simile a questa fu inviata a Venezia ed è ancora visibile in piazza San Marco.
(2) Lo sgombero delle macerie che occupavano l'interno dell'edificio intrapreso nel 2007, ha portato alla luce un emblema araldico riconducibile al governatore Antonio Bembo (1398-1399) ed attualmente collocato in terra su un fianco della costruzione. Due stemmi araldici figurano anche sui due lati dell'edificio nel dettagliato disegno realizzato dal viaggiatore tedesco Eberhard Reuwich durante il suo soggiorno del 1483.










 



 
 

venerdì 9 settembre 2016

Navarino (Pylos)

Navarino (Pylos)

Pianta della baia di Navarino.
Cerchiati in rosso il Palaiocastro (a sn.) ed il Neocastro (a ds.).

Conquistata dai crociati dopo la caduta di Costantinopoli (1204), nel 1281 entrò a far parte dei possedimenti di Nicola II di Saint Omer, signore di Tebe, che dal 1287 al 1289 ricoprì la carica di bailo del Principato d'Acaia per conto del regno angioino di Napoli. A questo periodo risale probabilmente la costruzione del castello noto come Palaiocastro che domina l'accesso settentrionale alla baia di Navarino. Attualmente è raggiungibile soltanto percorrendo un ripido sentiero che parte dall'ingresso alle cosiddette Cave di Nestore, sopra la spiaggia di Voidokilia, e conduce ad una breccia della cinta muraria.
 
Palaiocastro
 
Dopo la conquista latina, la città comincia a comparire nelle fonti con il nome greco di Ἀβαρῖνος che diviene Navarino in italiano. L'etimologia del nome deriva probabilmente da una parola slava che significa "aceri" di cui è piena la zona.
Dal 1423 Navarino entrò a far parte ufficialmente dei possedimenti veneziani in Morea. Qui s'imbarcò nel 1437 Giovanni VIII Paleologo per raggiungere il Concilio di Ferrara-Firenze.
Il 20 maggio 1501 fu espugnata dagli ottomani con un attacco congiunto di forze terrestri e navali.
Riconquistata dal Morosini dopo 12 giorni di assedio agli inizi della guerra di Morea (1686), tornò in mani ottomane nel 1715.
Gli insorti greci conquistano la città dopo mesi di assedio gli inizi della Guerra d'Indipendenza (1821-1828) e la tengono fino al 1825.
Il 20 marzo 1825, 14.000 uomini al comando di Ibrahim Pasha – il figlio adottivo del vicerè d'Egitto Mehemet Alì che guidava le truppe egiziane inviate in Morea su richiesta del sultano Mahmud II (1808-1839) per reprimere la rivolta greca - cinsero d'assedio la città. Navarino era difesa da una guarnigione di 2.000 greci al comando dell'arcivescovo di Modone e di Giorgio Mavromichalis, il figlio del Bey del Mani Petro Mavromichalis, mentre la difesa del forte (Neocastro, vedi oltre) e le artiglierie (40 bocche da fuoco quasi tutte concentrate nel Neocastro) erano affidate ad un ingegnere piemontese, il maggiore Giacinto Provana di Collegno.
 
Acquedotto
 
Tagliato l'acquedotto che riforniva la città, gli egiziani cominciarono a cannoneggiarla e, nella notte tra il 19 ed il 20 aprile, sbaragliarono lungo la strada tra Modone e Navarino il contingente di circa 8.000 uomini inviato dal governo provvisorio greco in soccorso della città.
L'8 maggio le truppe di Ibrahim Pasha occupano l'isola di Sphacteria che fronteggia la città massacrando i suoi 350 difensori guidati da Alessandro Mavrokordatos, che si salvò gettandosi in acqua, tra i quali si trovava anche il patriota italiano conte Santorre di Santa Rosa che cadde combattendo. Due giorni dopo si arrende la guarnigione del Palaiocastro: la città è adesso completamente accerchiata da terra e da mare e capitola il 23 dello stesso mese.
Il 20 ottobre 1827 nella baia di Navarino fu combattuta l'ultima grande battaglia della marineria a vela. La flotta franco-russo-britannica guidata dall'ammiraglio inglese Codrington – inviata con compiti d'interposizione tra gli insorti greci e le forze ottomane – ingaggiò battaglia penetrando nella baia e annientò la flotta turco-egiziana agli ordini diretti di Ibrahim Pascià.
La flotta alleata era formata da 10 navi da guerra, 10 fregate e 2 corvette contro le 3 navi da guerra, 17 fregate, 58 corvette e 5-6 brulotti turco-egiziani, per un totale di 1258 bocche da fuoco per gli alleati e 2180 per i turco-egiziani.
L'inferiorità numerica europea era però ampiamente compensata dal calibro maggiore e dalla velocità di fuoco delle artiglierie, dalla maggiore solidità delle navi e dall'addestramento degli equipaggi. Dopo quattro ore di combattimento soltanto una nave da guerra ottomana, completamente disalberata, due fregate e cinque corvette erano ancora in grado di rispondere al fuoco. Oltre all'intera flotta gli ottomani persero circa tremila uomini contro le 181 vittime che si contarono tra i marinai della flotta alleata.
 
Neocastro: fu fatto costruire dall'ammiraglio ottomano Uluç Ali Reis nel 1573 per controllare l'accesso meridionale alla baia.
Il forte consiste in due larghe batterie, la cui costruzione precede probabilmente quella della cittadella (3) a pianta esagonale eretta sulla sommità di una collinetta e rafforzata agli angoli da bastioni a punta di freccia.
 
1. Ingresso settentrionale
2. Ingresso principale
3. Cittadella
4. Ingresso alla cittadella
5. Bastione Verga
6. Forte Santa Barbara
7. Forte Santa Maria
a,b,c. Bastioni circolari
(in giallo le opere di fortificazione progettate dai veneziani e mai realizzate)
 
Ingresso alla cittadella (4)
 
Interno della cittadella
 
Tra le batterie fu quindi costruita una cinta muraria che racchiudeva uno spazio al cui centro venne edificata una moschea. Al forte si accedeva per mezzo di due porte, quella principale (attualmente chiusa) (2) si apriva sul lato settentrionale delle mura nei pressi dell'angolo NE dove sorge un bastione circolare (c); l'altra (da cui si accede attualmente) (1) si apriva nelle mura settentrionali.
 
Porta orientale (2)
 
La Porta orientale e, in primo piano, il bastione NE (c)
 
Porta settentrionale (1)
 
Durante l'assedio veneziano del 1686 fu colpita la polveriera che esplose distruggendo il bastione più settentrionale della cittadella.
Un altro bastione di forma circolare - costruito dagli ottomani lungo il fianco meridionale delle mura e noto come Bastione Verga (5) - adibito dall'esercito italiano a deposito i munizioni durante il secondo conflitto mondiale, bombardato dagli inglesi, esplose nel 1943.
Tra il 1686 ed il 1715, i veneziani progettarono una serie di opere che dovevano rafforzare le difese ma realizzarono solo due curiosi rivellini addossati all'esterno delle mura e noti come Forte di Santa Barbara (6) e Forte di Santa Maria (7).
 
Ingresso al Forte di Santa Barbara
 
Interno del Forte di Santa Barbara
 
Il Forte di Santa Barbara, che poteva ospitare una batteria di 15 pezzi d'artiglieria disposti su due livelli, fu gravemente danneggiato dagli ottomani durante l'assedio del 1825 e venne ricostruito dal corpo di spedizione francese del generale Maison che tenne il forte tra il 1828 ed il 1833.
Nello stesso periodo furono costruite le caserme tuttora visibili nei pressi dell'ingresso settentrionale (1).
 
Uno dei bastionia punta di freccia che rafforzano gli angoli della cittadella.
 

Chiesa della Trasfigurazione: fu costruita dagli ottomani come moschea tra il 1573 ed il 1595. Quando nel 1686 i veneziani occuparono la fortezza, la moschea fu convertita in chiesa cattolica e ridedicata a San Vito, la cui festa ricorreva il giorno in cui fu conquistata la città.
Riconvertita in moschea con il ritorno degli ottomani (1715), fu adibita a deposito di munizioni durante l'occupazione francese e riottenne il suo status di edificio di culto, consacrato al rito ortodosso, nel 1842.
 
 
La chiesa si trova attualmente all'interno di una cinta muraria – la cui altezza varia da m. 1,70 a 2,80 in rapporto all'andamento del terreno – nel cui versante orientale è inglobato il suo muro perimetrale.
 
 
L'edificio originario aveva una pianta quadrangolare ed era sopravanzato da un portico sul lato occidentale. In una seconda fase costruttiva vennero aggiunti sul lato meridionale due ambienti allungati e voltati a botte probabilmente utilizzati come magazzini.
Il portico poggia su un podio ed è formato da sei pilastri su cui s'impostano gli archi che li connettono nonchè quelli trasversali che terminano su semipilastri addossati alla facciata. I cinque vani del portico sono coperti da altrettante cupolette, la più meridionale delle quali non si è conservata.
 
Lato occidentale
 
In corrispondenza del vano centrale del portico si apre l'attuale ingresso principale della chiesa, nei vani a destra e a sinistra del quale si trovano due mihrab esterni e due archi ciechi.
L'aspetto interno è dovuto ad una ristrutturazione del tardo XVIII sec., dopo i gravi danni subiti dall'edificio durante la rivolta di Orlov (1770). A quest'epoca risalgono i quattro pilastri che sostengono la cupola (che infatti si trovano su una quota diversa rispetto alle pareti perimetrali), gli ingressi centrali aperti nei lati nord e sud e probabilmente anche il minareto in pietra porosa addossato al lato meridionale e di cui oggi rimane solo il basamento.
 
Il lato meridionale con i resti del minareto