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domenica 25 gennaio 2015

San Niceta il Patrizio

San Niceta il Patrizio

San Niceta il Patrizio
Monastero di Gracanica, Kossovo, XIV secolo

San Niceta il Patrizio – noto anche come S.Niceta di Costantinopoli o S.Niceta di Paflagonia - nacque in Paflagonia nel 761-762 e fu castrato in giovane età. Ricevette una buona educazione ed all'età di diciassette anni (778 c.ca) fu mandato a Costantinopoli dove prese servizio a corte. Il suo operato fu notato dall'imperatrice madre – Irene l'ateniese – che nel 780 assunse la reggenza per conto del figlio Costantino VI. L'imperatrice, con cui secondo alcune fonti era anche imparentato, ne promosse la carriera. Elevato al rango di patrizio, Niceta fu quindi nominato strategos del tema di Sicilia nel 796-797, carica che ricoprì fino al 799. Poco o nulla si sa delle sue attività nel decennio successivo alla deposizione di Irene (802). L'agiografia riporta soltanto che, manifestato il desiderio di ritirarsi a vita monastica, ne fu impedito dal nuovo imperatore Niceforo I (802-811). Con l'avvento di Michele I Rangabe (811-813) potè prendere i voti monacali e l'imperatore gli affidò il monastero di Chrysonike (1) situato nei pressi della Porta Aurea. Niceta rimase igoumeno del monastero fino all'815 quando, nell'infuriare delle persecuzioni iconoclaste durante il regno di Leone V (813-820) preferì lasciare la capitale e trasferirsi in uno dei suoi suburbi. Accusato di nascondere un'icona, fu quindi posto agli arresti domiciliari.
Con la nuova recrudescenza delle persecuzioni iconoclaste sotto l'imperatore Teofilo (813-842) gli fu ordinato di scegliere tra accettare la comunione con il patriarca iconoclasta Antonio I Kassymatas (821-837) o prendere la via dell'esilio. Niceta scelse l'esilio e, recatosi in Bitinia seguito da un pugno di monaci, prese a vagare lungo le coste del Mar di Marmara per sottrarsi alle molestie dei funzionari iconoclasti. Si stabilì infine nel villaggio di Katesia dove fondò il monastero di Asomaton dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Morì l'8 ottobre dell'836.

Le fonti principali per la sua vita sono la sua agiografia e il Sinassario. L'agiografia fu originariamente scritta da un anonimo monaco del monastero da lui fondato, sulla base degli appunti lasciati dal nipote e discepolo di Niceta che portava il suo stesso nome e che alla sua morte gli successe nella carica di igoumeno.

Spesso San Niceta è identificato con il patrizio Niceta Monomachos che nel 796 prelevò una mano di santa Eufemia dall'omonima chiesa costantinopolitana dove riposavano i suoi resti e la portò in Sicilia dove a Siracusa eresse una chiesa a lei dedicata. Si tratterebbe in questo caso del primo antenato noto del futuro imperatore Costantino IX Monomachos (1042-1055). A volte è identificato anche con l'ammiraglio che nell'806-807 guidò la flotta bizantina alla riconquista della Dalmazia e di Venezia.
In Italia, dove nel Meridione si diffuse un culto devozionale del santo, il suo nome ricorre spesso corrotto nella forma di San Niceto o Aniceto.

Note:
(1) Il monastero di Chrysonike (della Vittoria d'oro) è menzionato solo nel Sinassario in relazione a San Niceta. Probabilmente doveva trovarsi nei pressi della Porta Aurea, all'interno delle mura.

sabato 17 gennaio 2015

Chiesa di Santa Sofia, Andravida

Chiesa di Santa Sofia, Andravida

 
Situata nella regione dell'Elide, la parte nordoccidentale del Peloponneso, a 7 km dalla costa ionica, la città di Andravida (Andreville per i Franchi) fu conquistata nel 1205 da Guglielmo di Champlitte. In virtù della sua particolare ubicazione – nella fertile pianura dell'Elide, vicina all'importante porto di Clarentza ma non sulla costa, sì da non essere esposta a incursioni navali, e lontana dalle montagne del Peloponneso centrale dove si annidava la resistenza greca – divenne la residenza dei Principi d'Acaia e la capitale de facto del Principato. Qui, nella non più esistente chiesa di san Giacomo, venivano anche tumulati i regnanti. Con l'andar del tempo, Andravida perse però progressivamente il ruolo di capitale amministrativa del Principato a favore della città portuale di Clarentza che la soppiantò definitivamente durante il regno di Matilde de Hainault (1314-1318). La città rimase in mani latine fino al 1420 quando fu riconquistata dai bizantini ed annessa al despotato di Morea.
 
 
La chiesa di santa Sofia fu costruita dopo il 1263 molto probabilmente come chiesa abbaziale domenicana, utilizzata anche come cattedrale nonché come sala delle udienze, dal principe d'Acaia Guglielmo II Villehardouin (1245-1278). E' l'unico edificio di Andravida costruito dai Latini di cui siano ancora visibili i resti.
La chiesa è chiaramente improntata ai dettami dello stile gotico occidentale e presenta una pianta basilicale a tre navate priva di transetto.

lato absidale

Le volte a crociera, innervate da costoloni in pietra, sembra che siano state utilizzate solo nel capocroce, per il santuario e le due cappelle che lo fiancheggiano lateralmente e che richiamano i pastoforia dell'architettura ecclesiastica bizantina.

Interno del santuario

Le navate erano invece molto probabilmente coperte da un tetto di legno.
 
 
Una mensola parzialmente abrasa, lungo la parete meridionale del santuario, è decorata con una testa maschile coronata. E' l'unica figura presente nella chiesa e potrebbe rappresentare simbolicamente il principe in sua assenza.
 
 
Su questo capitello - attualmente conservato nel museo del castello di Chlemoutsi - sono invece scolpite le armi di Isabella Villehardouin e Florent Hainault (1289-1297).
 
 
Nella chiesa è stata rinvenuta questa pietra tombale scolpita in marmo – oggi conservata nel museo del castello di Chlemoutsi - che copriva il sarcofago di Anna (Agnese) Angelina Comnena d'Epiro, terza moglie di Guglielmo II Villehardouin che sposò nel 1258 e figlia del despota epirota Michele II (cfr. scheda Despotato d'Epiro, Introduzione). L'iscrizione che corre lungo il bordo esterno della lastra, in francese ed in caratteri gotici (l'unica in questa lingua che sia stata ritrovata nel Principato), recita infatti: "ICI GIST MADAME AGNES IADIS FILLE DOU DESPOT KIUR MIKAILLE ET […] MCCLXXXVI AS IIII IOURS DE IANVIER.
Quattro pavoni – simbolo d'immortalità – sono scolpiti agli angoli della lastra, mentre nei quattro riquadri centrali sono raffigurate altrettante salamandre (dal significato simbolico più incerto). Sia i puntini sul dorso delle salamandre che gli occhi dei pavoni sono resi da fori riempiti di piombo.
L'esame della parte posteriore della pietra, che mostra una lavorazione ed una iconografia riconducibili al periodo tardoantico, rivela infine che si tratta di un materiale di reimpiego.