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venerdì 2 giugno 2023

L' usurpatore di Emanuele Rizzardi

 Emanuele Rizzardi, L'usurpatore, Byzantion, 2022
Il romanzo racconta le gesta di Alessio Filantropeno, il Belisario dei Paleologhi che nel 1293-1295, su mandato di Andronico II, con una fortunata campagna recuperò temporaneamente all'impero molte delle provincie asiatiche occupate dai turchi.

Il libro si può acquistare 

Personaggi storici che compaiono nel romanzo

Teodoro Paleologo: secondogenito di Michele VIII Paleologo e Teodora Dukaina Vatatzina e quindi fratello minore dell'imperatore Andronico II, ricoprì la carica di governatore di Ninfeo e successivamente di Efeso.

Libadario: protovestiario fedelissimo di Andronico che gli affidò il comando del thema di Bythinia, Nel romanzo è indicato semplicemente come governatore di Nicea.

Costantino Paleologo: terzogenito di Michele VIII Paleologo e Teodora Dukaina Vatatzina. Nato a Costantinopoli nel 1261 pochi mesi dopo la riconquista della città, era il primo figlio di Michele VIII nato nella Porphyra – la stanza del palazzo imperiale interamente rivestita di porfido purpureo destinata al parto delle imperatrici - e poteva a buon diritto fregiarsi del titolo di porfirogenito. Nel 1280 combattè contro i serbi in Macedonia e successivamente venne inviato in Asia minore dove ripulì la valle del Meandro dai pirati turchi che l'infestavano. Tra il 1285 ed il 1288 sposò Irene Rauleina da cui ebbe un unico figlio di nome Giovanni. Nel 1293, mentre regnava il fratello Andronico II (1282-1328), fu accusato di cospirare contro l'imperatore e arrestato nel suo quartier generale a Ninfeo. Processato e condannato fu condotto a Costantinopoli in catene. In seguito prese i voti monacali con il nome di Atanasio, morì a Costantinopoli nel 1306 e fu sepolto nel monastero di Costantino Lips. Il Palazzo del porfirogenito (Tekfur saray) che ancora si vede a Costantinopoli deve a lui questo nome e al suo patronato si deve anche il restauro del monastero di Studion.

Theoleptus: originario di Nicea, si fece monaco nel 1275 ritirandosi nella comunità del Monte Athos. Su posizioni mistiche, tanto che Gregorio Palamas lo considerò un precursore della dottrina esicasta, avversò fieramente l'unione delle chiese sancita dal Concilio di Lione (1274) e per questo fu fatto imprigionare da Michele VIII. Fu in seguito liberato da Andronico II che rovesciò la politica ecclesiastica del padre - nel 1285 convocò infatti il Concilio delle Blachernae che ripudiò l'unione delle chiese - e nominato metropolita di Filadelfia (1283), carica che ricoprì – prendendo sempre parte attiva alla vita cittadina come nel caso degli attacchi turchi - fino alla sua morte (1322). Fu a lungo consigliere spirituale di Irene Choumnaina, tanto che le sue posizioni teologiche sono oggi note soprattutto grazie alla loro corrispondenza epistolare.

Niceforo Choumnos: Nato tra il 1250 ed il 1255 in una famiglia che aveva già dato all'impero funzionari di alto rango, ricoprì la carica di mesazon sotto Andronico II dal 1294 al 1305.

Nel 1303 rafforzò i suoi legami con la casa regnante facendo sposare la figlia Irene col terzogenito di Andronico, il despota Giovanni Paleologo. Ciònonostante due anni dopo fu rimosso dalla carica di Mesazon e sostituito con Teodoro Metochite, suo acerrimo rivale. In undici anni di governo aveva comunque accumulato un'immensa fortuna, frutto di tangenti e della vendita delle cariche pubbliche.
Nel 1309-1310 fu governatore di Tessalonica poi uscì definitivamente dalla vita pubblica. Ritiratosi a vita monastica con il nome di Nataniele nel 1326, morì poco dopo nel monastero costantinopolitano di Cristo Filantropo.

Irene Choumnaina: Figlia di Niceforo nacque tra il 1290 e il 1291 e sposò giovanissima (1303) il terzogenito di Andronico II, Giovanni Paleologo, che morì dopo appena quattro anni di matrimonio. Rimasta vedova prese i voti monacali con il nome di Eulogia e restaurò a Costantinopoli il monastero di Cristo Filantropo (1308) che diresse fino alla sua morte (1360).  Nel romanzo, con una licenza forse un po' troppo ardita, è a capo dell'aristocrazia fondiaria che – vessata dalle tasse introdotte da Andronico II – fiancheggiò il tentativo di usurpazione (piuttosto improbabile per la figlia del primo ministro nonché nuora dell'imperatore, a parte l'incongruenza anagrafica).

Giorgio Pachimere: Nato a Nicea, dove il padre si era rifugiato dopo la conquista crociata di Costantinopoli, nel 1242. Rientrato a Costantinopoli dopo la riconquista intraprese la carriera ecclesiastica. Studiò legge e ricoprì l'importante carica di presidente della corte suprema. La sua opera storica si pone in continuazione di quella di Giorgio Akropolita e tratta gli eventi relativi ai regni di Michele VIII e Andronico II di cui costituisce una delle principali fonti primarie. Favorevole in linea di massima al Filantropeno di cui narra dettagliatamente le gesta fuorché nel caso della ribellione. Nel romanzo Andronico gli affida le negoziazioni con il Filantropeno.

Osman: è il capostipite della dinastia ottomana ma la sua figura storica ha contorni incerti, spesso avvolti nel mito dalla storiografia ottomana. Nato intorno alla metà del secolo, divenne bey della sua tribù attorno al 1280 grazie anche al matrimonio con la figlia di un capo religioso, Edebali. Dal sultano selgiuchide gli fu concessa la città di Sogut ed il territorio circostante a ridosso della frontiera con la provincia bizantina di Bithinia che prese a razziare con regolarità.

Il primo evento della sua biografia databile con certezza è la battaglia di Bafeo (1306), in cui sconfisse l'esercito comandato da Giorgio Muzalon che Andronico II gli aveva mandato contro.
Le sue fila furono ingrossate dai turchi che fuggivano davanti alle orde mongole che arrivavano da est ed egli cominciò a estendere i territori sotto il su controllo a scapito della Bithinia bizantina. Con l'intento d'indebolire a suo vantaggio il sultanato selgiuchide - come in effetti fu in realtà (nel 1299 dichiarò l'indipendenza del suo piccolo regno dal sultanato) - nel romanzo comanda gli ausiliari turchi che combattono a fianco del Filantropeno.

Orhan I: figlio primogenito di Osman, successe al padre alla sua morte (1326) portando a termine l'assedio di Bursa intrapreso dal padre ben nove anni prima. Nel 1327 occupò Nicea e nel 1329 sconfisse Andronico III e l'allora gran domestikos Giovanni Cantecuzeno a Pelekanon, mentre cercavano con un esercito di 4.000 uomini di liberare la città. Nicomedia cadde definitivamente nel 1337, ma a quel punto – annesso il beilicato di Karasi – Orhan era già padrone di tutta l'Anatolia nordoccidentale dove, in mano bizantina, restavano soltanto poche, isolate città costiere (come Amastris/Amasra). Nel romanzo è un giovinetto che il padre manda presso il Filantropeno per imparare l'arte della guerra.


La situazione in Asia prima della campagna di Alessio Filantropeno

L'itinerario seguito dal Filantropeno durante la campagna

Città descritte nel romanzo

Ninfeo (Kemalpasa): situata 30 km. ad est di Smirne, durante l'esilio niceno divenne la residenza invernale dell'imperatore e della corte. Il suo nome è legato al trattato qui firmato da Michele VIII Paleologo e la Repubblica di Genova il 13 marzo 1261, con cui l'imperatore faceva concessioni territoriali e garantiva agevolazioni commerciali ai genovesi in cambio dell'appoggio navale nella riconquista di Costantinopoli. Qui il Filantropeno stabilì il suo quartier generale. Fu definitivamente conquistata dai turchi nel 1315.

Palazzo dei Lascaridi, XIII sec.
Ninfeo

Vecchio Castello (Palaiokastron): era un'antica fortezza, eretta sulle rovine della città di Hadrianutherae, fondata da Adriano nel 124, a metà circa della strada che da Cizico conduceva a Pergamo. In epoca bizantina il vecchio castello, persa ogni importanza strategica, era stato usato come residenza per le battute di caccia all'orso ed infine, abbandonato del tutto, era progressivamente andato in rovina. Il nome attuale della cittadina sorta nelle sue vicinanze è infatti Balikesir, che in turco vuol dire letteralmente “castello in rovina”.

Tralle (Aydin): antica città nella valle del Meandro, fu quasi completamente distrutta da un violento terremoto nel 27 a.C. Ricostruita da Augusto e rinominata Caesarea (ma questo nome già nel I secolo era caduto in disuso). Conquistata una prima volta dai Turchi già nel 1071, fu ripresa da Alessio I Comneno sul finire del secolo. Semi abbandonata ed in rovina fu ricostruita da Andronico II nel 1278 con il nome di Andronikopolis e l'idea di farne un baluardo contro i turchi. E' famosa per
aver dato i natali ad Antemio, uno dei due progettisti della Santa Sofia giustinianea.

Resti del complesso terme/ginnasio, IV secolo.
Tralle

Nysa: sorgeva anch'essa nella valle del Meandro, a metà strada tra Tralle e Antiochia sul Meandro. Secondo la leggenda prenderebbe il nome da quello di una delle mogli di Antioco I Soter, il sovrano seleucide che la fondò nel III secolo a.C. Fu sede vescovile almeno fino alla fine del IX secolo. Alcuni tratti superstiti della cinta muraria sono di età bizantina e fanno pensare ad un tentativo di assicurarle protezione. Caduta in mano ai turchi sul finire del XIII secolo, fu definitamente abbandonata dopo il sacco di Tamerlano del 1402.

Biblioteca, II secolo.
Nysa

Philadelphia (Alasehir): fu fondata nel 189 a.C dal re di Pergamo Eumene II in onore del fratello – il futuro re Attalo II – che, per la sua lealtà, si era meritato il soprannome di “filadelfo”. Nel 129 a.C. passò ai Romani insieme a tutto il regno come da volontà testamentaria del suo ultimo re, Attalo III.

In epoca bizantina godette di grande prosperità tanto da meritarsi il titolo di “piccola Atene”. La fondazione della basilica di San Giovanni Evangelista, i cui resti imponenti sono ancora visibili, risale al VI secolo. Dall'XI secolo divenne la sede del comandante del thema di Thrakesion e fu l'ultima città bizantina dell'Asia minore ad essere conquistata dai turchi (1390).  


Resti delle mura 
Philadelphia





giovedì 13 ottobre 2016

Mosaico d'ombre di Tom Harper

Tom Harper (Edwin Thomas), Mosaico d'ombre, TEA, 2006
Nellla Costantinopoli del 1096-1097, mentre l'esercito crociato diretto in Terrasanta è minacciosamente accampato alle sue porte, il “risolutore di misteri” Demetrios Askiates è incaricato dal parakoimomenos, l'eunuco Krysafios, d'investigare su un fallito attentato alla vita dell'imperatore Alessio I Comneno.
I quartieri e gli edifici costantinopolitani coinvolti nello svilupparsi della trama sono descritti con accuratezza e precisione documentaria così come i fatti realmente accaduti all'epoca in cui è ambientata ed i personaggi realmente esistiti che compaiono nel romanzo.

 
 
Personaggi storici che compaiono nel romanzo
 
Isacco Comneno: valente generale nonché fratello maggiore dell'imperatore Alessio I (1081-1118), ricopriva la carica di sebastocratore, istituita appositamente per lui dall'imperatore subito dopo il suo insediamento (1081). In realtà si trattava più propriamente di un titolo nobiliare (che divenne il primo della gerarchia bizantina precedendo quello di cesare) che non implicava però alcuna diretta responsabilità di governo. Sposato con Irene di Georgia, rimase sempre fedele al fratello non insidiandone mai la posizione. Morì, dopo aver preso gli abiti monacali con il nome di Giovanni, tra il 1102 ed il 1104. Nel romanzo la sua residenza in città è il cosiddetto Palazzo di Botaniate (cfr. scheda Il quartiere veneziano di Costantinopoli).
 
Alessio I Comneno
da un manoscritto miniato della Panoplia dogmatica di Eutimio Zigabeno commissionato dallo stesso imperatore.
Biblioteca Apostolica Vaticana, cod. Vat. gr. 666, f. 2v.
 
 Ugo La Maisnè (Il Minore) conte di Vermandois: fratello minore del re di Francia Filippo I (1060-1108) riuscì ad ottenere un feudo sposando un'ereditiera (Adelaide, contessa di Vermandois). Fu il primo dei baroni crociati a raggiungere Costantinopoli nel novembre del 1096. Imbarcatosi a Bari per raggiungere Durazzo s'imbattè in una terribile tempesta che colò a picco diverse navi. Prima di imbarcarsi aveva inviato all'imperatore un messaggio molto insolente “Sappi, imperatore, che io sono il re dei re e il più grande di tutti coloro che stanno sotto il cielo, ed è opportuno venirmi subito incontro al mio arrivo e ricevermi in maniera magnifica e degna della mia nobiltà”.
Da Durazzo, scortato dai bizantini, raggiunse Costantinopoli seguendo la via Egnatia. Qui giunto fu ben accolto da Alessio che lo ricoprì di doni ottenendone in cambio il giuramento di vassallaggio secondo il rituale del feudalesimo occidentale.
 
Ugo di Vermandois
dall'edizione miniata della Chronica regia coloniensis, 1240 c.ca
Biblioteca reale di Bruxelles.

Il 23 dicembre Goffredo di Buglione, con il grosso dell'esercito crociato, si acquartierò alle porte della capitale ed ebbero luogo alcune scaramucce tra i crociati e gli imperiali.
Il conte di Vermandois fu quindi inviato da Alessio al campo crociato per richiedere ai baroni il giuramento di vassallaggio, conditio sine qua non per concedere loro le navi per traghettare l'esercito in Asia Minore. Dopo un iniziale sdegnato rifiuto (Goffredo di Buglione era tra l'altro già legato all'imperatore Enrico IV dal patto di vassallaggio) Goffredo e gli altri baroni accettarono di giurare, impegnandosi a consegnare all'imperatore i territori un tempo bizantini che avrebbero strappato ai turchi.
 
Baldovino di Boulogne: fratello minore di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, partecipò alla crociata al seguito del fratello con lo scopo di crearsi un proprio dominio. Nel romanzo viene infatti apostrofato dal conte di Vermandois come Baldovino di nessun luogo proprio perchè non possedeva un feudo. Alla morte del fratello sarà incoronato primo re di Gerusalemme (1100).
 
Poco più che citati nella narrazione sono anche il cesare Niceforo Briennio, marito della primogenita dell'imperatore Anna Comnena e Tatikios, il generale eunuco che guiderà il contingente bizantino che affiancherà i crociati fino all'assedio di Antiochia.

 
Episodi storici citati nel romanzo
 
La rivolta di Urselio: Urselio (o Roussel de Bailleul) era un avventuriero normanno, che, giunto in Italia al seguito di Roberto il Guiscardo, aveva combattuto contro i musulmani in Sicilia, e poi verso il 1069 o il 1070 si era arruolato come mercenario al servizio dell’impero bizantino nella lotta contro i Peceneghi. Nel 1071 aveva combattuto in Asia Minore al servizio di Romano IV Diogene contro le incursioni turche. Dopo l'ascesa al trono di Michele VII Ducas (1071) si era ribellato dando luogo ad un tentativo di usurpazione e conquistando diverse città (1073). Michele VII inviò contro il ribelle vari generali (tra cui lo stesso cesare Giovanni Ducas e suo figlio Andronico, che furono, peraltro, battuti) e infine ricorse all’aiuto dell'emiro turco Artuk che, invitato l'usurpatore ad un banchetto lo fece imprigionare a tradimento e, dietro un forte compenso, lo consegnò al generale Alessio Comneno - il futuro imperatore Alessio I - che era stato inviato da Michele VII per reprimere la ribellione. Condotto a Costantinopoli e incarcerato (1075), Urselio venne in seguito liberato per poter combattere al fianco di Alessio Comneno contro altri usurpatori, quali Niceforo Briennio senior.
 

La crociata dei pezzenti: Dopo l'appello alla crociata per la liberazione della Terrasanta (Deus vult!) lanciato il 27 novembre 1095 al Concilio di Clemont da papa Urbano II, un monaco di Amiens, sino allora vissuto in eremitaggio e noto come Pietro l'eremita, iniziò a predicare la crociata nelle regioni francesi del Berry, spostandosi successivamente verso est in Lorena, Orleans, Champagne e Renania. Raccolto un esercito di circa 15.000 pellegrini, in gran parte formato da contadini analfabeti a cui si unì un discreto numero cavalieri tra cui Gualtieri Senza Averi, raggiunse la città di Colonia nell'aprile del 1096 dove l'armata fu ingrossata dai pellegrini raccolti da altri predicatori.

Pietro l'eremita mostra ai crociati la via per Gerusalemme
da una miniatura del Roman du chevalier au cigne, 1270
manoscritto 3139
BNF

L'esercito crociato si divise in due colonne, la prima, guidata da Gualtieri Senza Averi, partì da Colonia il 19 aprile e, dopo aver attraversato l'Ungheria e la Bulgaria, raggiunse Costantinopoli dopo due mesi di marcia. Il primo di agosto fu raggiunta dalla colonna guidata da Pietro l'eremita e forte di 30.000 uomini. Accampati alle porte della città, i pellegrini si accinsero ad attendere gli eserciti dei nobili ma l'imperatore, preoccupato dal saccheggio delle campagne ad opera dei crociati in cerca di cibo, preferì liberarsi di questa ingombrante presenza traghettandoli dall'altra parte del Bosforo (6-8 agosto) ed assegnando loro il campo di Kibotos (Civetot per i latini) a meno di un giorno di marcia da Nicea. Qui Pietro perse il controllo della situazione non riuscendo a trattenere i crociati che iniziarono a compiere incursioni in territorio selgiuchide e fece ritorno a Costantinopoli per chiedere aiuto e consiglio all'imperatore.
 
Il campo di Civitot
 
Nel frattempo un contingente di circa 6.000 crociati tedeschi e italiani, eletto al comando un certo Rainaldo, occupò una fortezza abbandonata – il castello di Xerigordon – a solo tre miglia da Nicea, pensando di utilizzarla come base per attaccare la città.
Il 29 settembre l'esercito selgiuchide strinse d'assedio la fortezza che rimase priva di rifornimenti d'acqua. Dopo otto giorni Rainaldo si arrese avendo salva la vita in cambio dell'abiura del cristianesimo.
Giunta la notizia che l'esercito turco si stava avvicinando a Civitot, contro il parere degli altri comandanti, Goffredo Burel persuase i crociati ad andare incontro al nemico.
Il 21 ottobre l'esercito crociato, forte di oltre 20.000 uomini, a sole tre miglia dal campo di Civitot, cadde in un'imboscata tesagli dal sultano selgiuchide. Mentre marciavano senza precauzioni in una stretta valle boscosa i crociati furono bersagliati dagli arcieri turchi protetti dalla boscaglia mentre la cavalleria incalzata dai turchi fu rigettata sulla fanteria che la seguiva determinando una disordinata ritirata verso il campo di Civitot dove erano rimasti soltanto donne, vecchi e bambini. Qui si consumò l'eccidio, soltanto tremila uomini, guidati da Goffredo Burel riuscirono a trincerarsi in una fortezza abbandonata lungo la costa e a resistere fino all'indomani quando furono tratti in salvo a Costantinopoli dalla squadra navale inviata in soccorso dall'imperatore.
 
 La Guardia Variaga: con il termine “variago” - che in lingua norrena significa all'incirca “legato da giuramento di fedeltà” - i bizantini chiamavano i vichinghi e più in generale le popolazioni provenienti da Thule, espressione vaga che indicava le terre del Nord.
Il corpo della Guardia Variaga (Τάγμα των Βαραγγίων) fu istituito come guardia personale dell'imperatore da Basilio II nel 988. Il primo nucleo di questo corpo d'elite fu costituito da 6000 guerrieri inviati all'imperatore da Vladimir I di Kiev in osservanza di una clausola del trattato di pace russo-bizantino stipulato da suo padre nel 971.
Nel 989, al comando dello stesso imperatore, la Guardia Variaga debellò la rivolta di Barda Foca e successivamente si distinse per fedeltà e valore nelle campagne di Georgia e Armenia.
Il comandante della Guardia aveva il grado di Aκόλουθος (letteralmente “Colui che segue”) e aveva il compito di vigilare sulla persona dell’Imperatore stando al suo fianco nelle occasioni ufficiali in qualità di guardia del corpo.
Per più di cento anni il reclutamento nelle file della Guardia Variaga fu appannaggio di uomini provenienti dalla Nazione Vichinga. All’originale nucleo di soldati Rus, molto presto cominciarono ad unirsi uomini provenienti da tutto il Nord ed Est Europa: i primi furono Scandinavi di Norvegia e Svezia, seguiti da quelli d’Islanda.
Servire fra i Variaghi era considerato un onore che veniva tramandato di padre in figlio, e non era raro che fra loro vi militassero Principi e figli di importanti condottieri.
Arma caratteristica della Guardia Variaga era l'ascia da battaglia vichinga con un manico molto lungo (120-150 cm.) che veniva impugnata a due mani. Anna Comnena nell'Alessiade li definisce infatti pelekyphoroi barbaroi (barbari portatori di ascia).
A partire dall'XI secolo la composizione etnica della Guardia Variaga cambiò radicalmente. Nel 1066 il normanno Guglielmo il Conquistatore sconfisse il re anglosassone Aroldo II nella battaglia di Hastings insediandosi sul trono d'Inghilterra (1). In conseguenza di questa sconfitta molti profughi anglosassoni si rifugiarono nell'impero bizantino arruolandosi nella Guardia Variaga per poter combattere i Normanni.

Graffito in lettere runiche ritrovato a Costantinopoli su una balconata della chiesa di Santa Sofia ed attribuito ad un soldato variago del IX sec.(2)
 
Nel 1018 la Guardia Variaga, inviata nel thema di Longobardia agli ordini del catepano Basilio Boiannes, fu decisiva nel determinare la fine della rivolta di Melo, il cui esercito, formato da truppe longobarde e mercenari normanni, fu duramente sconfitto nella battaglia di Canne (1 ottobre 1018).
Raggiunse l'apice della sua fama sotto il comando di Harald Sigurdsson (1034-1041) (3) detto Hardrada (lo Spietato) che successivamente diverrà re di Norvegia con il nome di Harald III.
Aggregata al corpo di spedizione comandato dallo strategos autokrator Giorgio Maniace nella campagna del 1038-1040 che riconquistò provvisoriamente ai bizantini parte della Sicilia orientale, si distinse per il valore mostrato sui campi di battaglia (in particolare le saghe nordiche attribuiscono ad Hardrada e alla Guardia gran parte dei successi ottenuti da Maniace contro gli arabi di Sicilia) che meritò al suo comandante il conferimento del titolo di manglavite (4).
Nel 1204, quando i crociati conquistarono Costantinopoli, la Guardia Variaga, la cui fedeltà all'imperatore era divenuta leggendaria, fu l'unico reparto dell'esercito bizantino a battersi fino all'ultimo uomo. Dopo questa data, nelle fonti scritte, si trovano solo vaghi accenni ad una ipotetica rifondazione del corpo nell'Impero niceno, di certo non c'è traccia di questa unità nelle cronache dell'assedio di Costantinopoli del 1453.
 
Gli Immortali: ispirandosi al celebre corpo d'elite dell'esercito persiano dell'antichità, l'imperatore Giovanni I Zimisce (969-976), nel corso della campagna contro i Rus' del principe Svjatoslav I di Kiev (971), istituì con questo nome un corpo speciale di cavalleria. Durante il regno di Michele VII Ducas (1078-1090), su iniziativa del logoteta, l'eunuco Niceforitza, l'unità fu ricostituita.

Tzangra: è il nome con cui i bizantini indicavano la balestra. Quest'arma rimase praticamente a loro sconosciuta fino all'arrivo dell'esercito crociato nel 1096. Nelle fonti scritte questo termine compare per la prima volta nell'Alessiade di Anna Comnena che la descrive come un arco barbaro assolutamente sconosciuto ai Greci, impiegato dai Normanni di Riccardo di Salerno in uno scontro navale con la marina bizantina, che li aveva scambiati per pirati ed attaccati, mentre traversavano l'Adriatico per unirsi sull'altra sponda all'esercito crociato.
L’origine etimologica e fonetica del termine risale probabilmente al francese cancre/chancre (granchio, gambero), nome comunemente usato dai soldati per la balestra che, per la sua forma, richiama appunto le chele di un gambero o di un granchio.
 
Note:
 
(1) Nel romanzo i variaghi di origine anglosassone si riferiscono a lui chiamandolo il bastardo perchè era figlio illegittimo di Roberto I di Normandia.
(2) Un'altra incisione in lettere runiche, anch'essa attribuita a soldati della Guardia Variaga si trova sul Leone del Pireo oggi all'ingresso dell'Arsenale di Venezia. 
(3) Non casualmente nel romanzo, il comandante della Guardia Variaga che affianca il protagonista nelle sue indagini ha il nome di Sigurd.
(4) In origine i manglavites erano un'unità speciale della guardia imperiale, i cui membri avevano il compito di aprire davanti all'imperatore alcune porte del sacro palazzo e di precederlo nelle processioni facendogli largo tra la folla maneggiando una sorta di clava (il manglavion, la cui etimologia deriva probabilmente dalla fusione delle parole latine manus e clava). Successivamente divenne un titolo onorifico che - come molti altri titoli di corte - veniva conferito a persone che non avevano nulla a che fare con questo ufficio.






sabato 30 aprile 2016

La reliquia di Costantinopoli di Paolo Malaguti

Paolo Malaguti, La reliquia di Costantinopoli, Neri Pozza Editore, 2015.

Ringrazio Nicoletta de Matthaeis e Reliquiosamente  per la cortese collaborazione.

Mentre la città è stretta d'assedio Gregorio Eparco, un mercante greco, ed il suo socio, un ebreo veneziano, Malachia Bessan, intraprendono una frenetica caccia alle reliquie della Passione di Cristo che sarebbero state occultate durante l'occupazione latina e sostituite con delle copie.


Nel 1200 c.ca lo skeuophylakion della chiesa palatina della Vergine del Faro, Nicola Mesarites, stila questo elenco delle dieci più importanti reliquie della Passione conservate nella chiesa:
1. La corona di spine.
2. Un chiodo della crocefissione.
3. Il sudario di Cristo (il Mandylion di Edessa?).
4. I sandali di Cristo.
5. Un frammento della pietra tombale.
6. La tovaglia di lino (Lention) usata dal Cristo per asciugare i piedi degli apostoli dopo la Lavanda.
7. La sacra lancia.
8. Il manto di porpora che i soldati romani fecero indossare a Gesù.
9. La canna che posero nella sua mano destra a mò di scettro.
10. I ceppi con cui fu incatenato.

Il romanzo ipotizza che nel 1204 queste reliquie siano state nascoste in vari luoghi della città per sottrarle al sacco dei crociati nelle cui mani sarebbero finite soltanto delle copie. I due soci ne intraprendono la ricerca per porle in salvo dal Turco sulla scorta delle indicazioni criptate celate in un manoscritto, la Summa de reliquiis costantinopolitanis, scritto da un monaco francese, Guglielmo di Beyssac, ritiratosi nel Monastero di Chora nella seconda metà del XIV secolo.
Le reliquie sono però ridotte a nove, giacchè l'autore accredita la versione secondo la quale la vera sindone/mandylion sarebbe già stata portata in Occidente dal cavaliere crociato Ottone de la Roche dopo il sacco del 1204 (1). I nascondigli delle reliquie sono indicati da altrettanti indovinelli a ciascuno dei quali è accoppiata, come ulteriore indicazione, una sephirot della Cabala ebraica.

1. Chiodi della croce: Sub columna custoditur, reversus vultus adpsicit, infera atqua servat (è custodita sotto la colonna, il volto rovesciato la guarda, l'acqua infernale la conserva).

Si tratta della Basilica Cisterna, nei pressi della colonna il cui basamento è una testa di Gorgone rovesciata.
 

Grazie ad un importante ritrovamento avvenuto nel 1968, sappiamo con esattezza come erano i chiodi utilizzati per la crocefissione. A nord di Gerusalemme, a Giv’at ha-Mivtar, in un antico sepolcro fu rinvenuto, insieme ad altri resti, un chiodo conficcato in un osso di un calcagno destro appartenente a un uomo di nome Yehohanan ben Ha’Galqol di circa 25 anni, crocifisso fra il 6 ed il 65 d.C.
Il chiodo ha la punta spezzata, una lunghezza di 11,5 cm che può essere riportata ad un totale di 16 cm. e una sezione quadrangolare con un diametro massimo di 0,9 cm. Dal reperto si deduce che i piedi, e più precisamente le caviglie (non i tarsi), erano stati fissati alla croce inchiodandoli lateralmente con l’aiuto di un pezzetto di legno interposto per mantenerli fermi.

tratto da: N. de Matthaeis, Dove sono i veri chiodi di Cristo?

Nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, nella Cappella delle reliquie, viene da tempi immemorabili venerato un santo chiodo che sempre è stato ritenuto uno di quelli portati a Roma dall’imperatrice Elena dal suo pellegrinaggio in Terrasanta (326).
Ha una lunghezza di 11,5 cm ed un diametro, nel punto più largo, di 0,9, con sezione quadrangolare. Ne manca la punta, quindi doveva aver avuto originariamente una lunghezza di circa 16 cm. La capocchia non è originale e fu rifatta in epoca successiva. Però presenta le stesse caratteristiche, sia morfologiche che di grandezza, di quello scoperto a Giv’at ha-Mivtar.

Il chiodo descritto nell'inventario compilato da Nicola Mesarites potrebbe essere invece quello attualmente custodito nell'ospedale senese di Santa Maria della Scala oggi riconvertito in museo.
Presenta caratteristiche simili a quello di Roma, ma è abbastanza più sottile (asportazione di scheggie?). E’ lungo 15 cm, senza testa e ha la punta spezzata.
Fu acquistato a Costantinopoli, insieme ad altre reliquie, nel 1357, da un mercante veneziano, Pietro di Giunta Torregiani, che trattò probabilmente con l'imperatrice Elena Cantacuzena (moglie di Giovanni V e figlia di Giovanni VI Cantacuzeno). Nel 1359 lo donò (la compravendita di reliquie era proibita) al rettore dell'ospedale senese Andrea de Grazia, che intendeva fare della città una meta di pellegrinaggio, dove ancora si trova.
 
2. Corona di spine: In aqua et in argento, vox clamantis in deserto (nell'acqua e nell'argento, la voce di uno che grida nel deserto).
Vox clamantis in deserto è definito il Battista nei Vangeli di Marco (I, 1-3) e Giovanni (I, 22-23). La sephirot legata a questo indizio – la quarta, la Chesed – rimanda a virtù tipicamente materne (carità e amore per i figli) e quindi alla Vergine, la madre per eccellenza. L'acqua indica inoltre la presenza di una fonte miracolosa. L'unica monastero costantinopolitano dedicata alla Vergine che ospiti anche una fonte miracolosa - ancora oggi visibile nel monastero armeno (Sulu Manastir) che ne ha preso il posto - e che sia legato anche al Battista (vi era custodita la reliquia del suo braccio destro) e all'argento, fu fondato dall'imperatore Romano III Argiro (Αργυρος=argento), è quello della Vergine Peribleptos.
 
La corona di spine
Cattedrale di Notre Dame, Parigi

Francois de Mély suggerisce che la Corona di spine non venne portata a Bisanzio sino al 1063.
Nel 1238, Baldovino II, imperatore latino di Costantinopoli, ansioso di procurarsi dei fondi per la difesa del proprio impero, offrì la corona di spine a Luigi IX, re di Francia. L'oggetto però si trovava all'epoca nelle mani dei veneziani che l'avevano ricevuta a pegno di un forte prestito concesso all'imperatore (13.134 pezzi d'oro), ma Luigi IX pagò il prezzo richiesto e riscattò la reliquia facendo costruire per essa la Sainte-Chapelle (completata nel 1248) per accoglierla degnamente in Francia.

Luigi IX seguito dal fratello e da alcuni cortigiani trasporta la sacra reliquia
proveniente dalla cattedrale di S. Gatien (Tours)
Cloisters Museum, New York

La reliquia rimase in questa sede sino alla Rivoluzione francese quando, dopo essere stata ospitata per qualche tempo alla Bibliothèque nationale, e sulla base poi del Concordato del 1801, la chiesa poté tornarne in legale possesso, deponendola presso la cattedrale di Notre-Dame. La reliquia ancora oggi visibile consiste in un cerchio di vetro al cui interno si trova una corona intrecciata con juncus balticus avente un reliquiario separato per alcune spine rimosse nel tempo dalla corona.
 
 
3. La sacra Lancia: In tertio dono regum, ubi primum fuit donum Dei (Nel terzo dono dei re, dove per primo vi fu il dono di Dio).
Il terzo dono dei Re Magi, nella consueta scansione, è la mirra, quindi la chiesa non può che essere quella del Myrelaion (il posto della mirra) e il primo dono di Dio la tomba di Teodora, la moglie di Romano I Lecapeno che fu la prima ad esservi tumulata (922).

La lancia usata durante la Crocefissione per trafiggere il costato del Cristo ed accertarne la morte (Giovanni, XIX, 33-34) compare per la prima volta come reliquia nell'Itinerarium Antoninii (570 c.ca), in cui il pellegrino scrive di averla vista a Gerusalemme nella basilica sul monte Sion.
Secondo il Chronicon Paschale (una cronaca bizantina redatta nel VII sec.) nel 615, mentre l' armata sasanide di Cosroe II si avvicinava alla città santa, la sacra reliquia fu portata a Costantinopoli e riposta nella chiesa di Santa Sofia. La lancia compare inoltre nel catalogo compilato da Nicola Mesarites (vedi sopra) e la sua parte astile nel 1244 sarebbe stata ceduta da Baldovino II, ultimo imperatore latino di Costantinopoli, a Luigi IX di Francia. Riposta nella Sainte Chapelle, insieme alle altre reliquie raccolte dal re francese, sarebbe andata dispersa durante la Rivoluzione francese.
Nel 1492 il sultano ottomano Bayezid II donò a papa Innocenzo VIII, che deteneva il suo fratello minore Cem - pretendente al trono – usando la minaccia della sua liberazione come deterrente alle mire aggressive del sultano nei Balcani, quella che potrebbe essere la parte offensiva della lancia donata a re Luigi e che sarebbe rimasta fino a quel momento a Costantinopoli. Gli esami effettuati su questa reliquia, attualmente custodita nella cappella della Veronica in San Pietro e non accessibile al pubblico, ne mostrano la compatibilità con le lance utilizzate dai romani nel I secolo.
Nel XVII secolo, inoltre, papa Benedetto XIV fece realizzare un modello dell'asta allora conservata nella Sainte Chapelle e potè constatare che si adattava perfettamente alla parte offensiva della lancia di Roma.
La larghezza massima della parte offensiva della lancia (4,5 cm.) appare inoltre compatibile con la ferita laterale del Cristo impressa sulla sindone che mostra la stessa larghezza.
 
 
4. La coppa dell'Ultima Cena: In crypta sed non in crypta, sub martyrio cornus (nella cripta, ma non nella cripta, sotto il martirio del corno).
Nel 726, secondo le fonti di parte iconodula, l'imperatore Leone III (717-741) iniziò a predicare contro la venerazione delle sacre immagini, decidendo di rimuovere un'icona religiosa raffigurante Cristo (probabilmente un mosaico) dalla porta bronzea (Chalkè) del palazzo imperiale, sostituendola con una croce, e scatenando la protesta di un gruppo di donne che culminò con l'uccisione del funzionario che era stato incaricato di rimuovere l'icona e con il martirio di Santa Teodosia che aveva guidato la sommossa popolare. Mentre le altre donne vennero decapitate, Teodosia fu infilzata con un corno d'ariete (il martirio del corno). La chiesa costantinopolitana ad essa dedicata ha inoltre la peculiarità di essere stata sopraelevata su un edificio preesistente che ne andò a costituire la cripta pur trovandosi a livello del piano stradale (nella cripta, ma non nella cripta).
L'unica fonte che colloca a Costantinopoli (da cui sarebbe stata trafugata dal vescovo di Troyes durante il saccheggio del 1204) la coppa (calice) utilizzata dal Cristo durante l'Ultima Cena per istituire l'Eucaristia - Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (Marco XIV, 23-24) – è però un romanzo tedesco del XIII secolo, lo Jüngere Titurel, completamento e continuazione del frammento del Titurel di Wolfram von Eschenbach, la cui prima edizione a stampa è del 1477.
 
5. La Vera Croce: Secunda quae prima fuit, maior quae minor fuit servat (conserva la seconda che fu la prima, la maggiore che fu la minore).
Una donna che, pur importante, lo fu meno di chi venne dopo di lei (probabilmente il figlio). Anche se la definizione potrebbe alludere alla stessa Vergine, si tratta dell'imperatrice Elena, madre di Costantino il grande, e la chiesa è quella dei SS.Apostoli, nel cui mausoleo funebre destinato agli imperatori Costantino ne aveva fatto traslare le spoglie.

La Vera Croce, ritrovata a Gerusalemme da Sant'Elena nel 326, andò definitivamente perduta nel disastro di Hattin (1187), quando l'esercito crociato che la portava in battaglia fu sbaragliato dal Saladino.
Al momento del suo rinvenimento nel 326, l'imperatrice madre ne aveva però prelevato alcuni frammenti che aveva fatto portare a Roma (dove sono ancora conservati nella basilica di S.Croce in Gerusalemme) e a Costantinopoli.
La stauroteca conservata nel Tesoro nella cattedrale di Limburg An Der Lahn in Germania proviene molto probabilmente dalla chiesa della Vergine del Faro e custodisce sette di questi frammenti.
La stauroteca di Limburg
 
Sul retro del reliquario più antico è presente un'incisione a sbalzo che lo riferiece agli imperatori Costantino e Romano. Identificati in Costantino VII Porfirogenito (912-959) e suo figlio Romano II (associato al trono nel 946).
Lungo i margini più esterni della teca realizzata successivamente per fornire al reliquario una ulteriore protezione, si trova un'altra iscrizione che nomina un altro personaggio altolocato, l'eunuco Basilio, figlio illegittimo di Romano I Lecapeno, a cui nell'epigrafe viene attribuito il titolo di proedros, carica che questi ricoprì dal 963 al 985.
Predata durante il sacco crociato e portata a Tessalonica (probabilmente al seguito di Bonifacio di Monferrato che aveva ottenuta in feudo la città), nel 1206 fu data al cavaliere tedesco Heinrich Von Ulmen come compenso dei servigi militari resi (2). Nel 1208, al suo ritorno in patria, il cavaliere donò il reliquiario al convento delle Agostiniane a Stuben. Nel 1778 il monastero fu soppresso e dopo vari spostamenti, nel 1827 il reliquiario entrò a far parte del Tesoro della cattedrale di Limburg dove è ancora custodito.

6. sconosciuta: Sub altis ex aere plumis aeterne custoditur et custodiit (sotto le alte piume di bronzo, in eterno è custodita e custodisce).
Si tratta della statua bronzea di Giustiniano, posta sulla sommità di una colonna alta quasi 100 m. eretta al centro dell'Augusteon. Il capo dell'imperatore era infatti cinto dalla toupha, la corona piumata che gli imperatori indossavano in occasione dei trionfi.
Stante la difficoltà di scalare senza essere visti una colonna così alta e sprovvista di scala elicoidale all'interno, i due cercatori di reliquie rinunciano anche perchè la statua dell'imperatore si era abbattuta al suolo nel 1317 ed il restauro a cui era stata sottoposta prima di rialzarla aveva molto probabilmente svelato il nascondiglio della reliquia.

7. sconosciuta: Leo audivit nuntium, postea dedir caeco, inde imperium habuit (il leone udì l'annuncio, poi diede al cieco, infine ebbe il comando).
Una leggenda vuole che il futuro imperatore Leone I detto il Trace (457-474), quando era ancora un semplice soldato, si trovasse poco fuori la Porta Aurea quando udì i lamenti di un cieco che aveva perso l'orientamento. Mentre cercava dell'acqua per dissetarlo udì una voce: - Leone, perchè cerchi l'acqua? E' qui accanto a te! Leone si accorse quindi che una fonte d'acqua limpida sgorgava lì nei pressi, ne riempì l'elmo e diede da bere al cieco. La voce parlò ancora e disse: - Leone, imperatore, se costruirai in questo luogo una chiesa in onore della Vergine, il tuo regno sarà lungo e fortunato!
Un mese dopo, Leone divenne imperatore, si ricordò della profezia e fece erigere sul posto la chiesa dedicata alla Vergine Zoodochos Pege (fonte che dona la vita).
La chiesa esistente all'epoca (fu completamente distrutta dai giannizzeri nel 1821) si trovava però poche centinaia di metri fuori della cinta muraria, in una località che prendeva il nome dalla fonte (Pege) e che corrisponde all'attuale quartiere stanbulino di Bailikli. Era quindi irraggiungibile per i due cercatori di reliquie rinchiusi nella città assediata.
 
 
8. sconosciuta: Apud regnum sub matris velo, ubi fluit fons vitae (vicino al regno sotto il velo della madre, dove scorre la fonte della vita).
Si tratta della chiesa di Santa Maria delle Blachernae. La chiesa, fatta costruire da Pulcheria – sorella di Teodosio II e moglie di Marciano – tra il 450 ed il 453, custodiva infatti, in un'apposita cappella (paraekklesion) denominata Hagia Soros, il maphorion, il velo indossato dalla Vergine (matris velo). La chiesa era inoltre apud regnum giacchè sorgeva nel quartiere delle Blachernae, nei pressi del palazzo imperiale. Alla chiesa era annesso l'Hagion Lousma dove si trovava un bacino che raccoglieva le acque di una fonte miracolosa (fons vitae).
La chiesa era però andata completmente distrutta nel 1434 in un incendio appiccato incidentalmente da alcuni ragazzi che cacciavano i piccioni sul tetto della chiesa.
 
 
9. La Tunica di Cristo: Certe non dormitur, sed ibi dormiis primus idolorum defensor (di sicuro non si dorme, ma lì dorme il primo difensore degli idoli).
Si tratta del Monastero di San Giovanni in Studion. I suoi monaci erano infatti detti akometoi (i non dormienti) e dal'844 vi erano stati traslati i resti di San Teodoro Studita, il più tenace antagonosta della politica iconoclasta (primus idolorum defensor).
 
I soldati poi, quando ebbero crocifisso Gesù, presero le sue vesti e ne fecero quattro parti, una per ciascun soldato, e la tunica. Ora quella tunica era senza cuciture, tessuta tutta d’un pezzo da cima a fondo. Perciò dissero tra loro: Non stracciamola, ma tiriamo a sorte a chi tocca (Giovanni XIX, 23-24).
Secondo Gregorio di Tours (VI sec.) la tunica, ricomprata da alcuni fedeli, sarebbe stata inizialmente trasportata a Galata, in Asia minore, e consevata in una basilica. Da qui sarebbe poi stata trasferita a Jaffa per sottrarla alle incursioni persiane. Da qui nel 594 sarebbe stata solennemente trasferita a Gerusalemme. Predata da Cosroe II insieme alla Vera Croce nel 614, venne recuperata dall'imperatore Eraclio nel 627 e portata a Costantinopoli.
Una tradizione vuole che successivamente la tunica sia stata donata a Carlo Magno dall'imperatrice Irene (797-802) nell'ambito di una trattativa matrimoniale avviata poco prima della sua detronizzazione. Nell'806, quando la figlia dell'imperatore, Teodrada, entrò come badessa nel monastero di Argenteuil, la tunica avrebbe fatto parte della sua dote e, dopo varie traversie sarebbe attualmente custodita nella chiesa di St.Denis.
Durante la Rivoluzione francese, il parroco della chiesa di St.Denis dove si trovava la tunica, la tagliò in quattro parti, nella speranza che almeno una potesse salvarsi dal furore iconoclasta dei rivoluzionari. In seguito ne furono ritrovati soltanto tre che nel 1892 furono ricomposti e cuciti su un’altra tunica di satin bianco.
Secondo una descrizione che precede la sua divisione la tunica è di lana, la parte inferiore ha una specie di orlo, ossia un bordo più resistente ed è tessuta a maglia dall’alto verso il basso, senza cuciture. La veste poteva arrivare fino a sotto le ginocchia, con maniche a mezzo braccio, e le sue misure erano 1,45 m di altezza e 1,15 di larghezza.
La tunica presenta inoltre grosse macchie di sangue che corrispondono a quelle rinvenute nella Sindone (le ferite della flagellazione), tenendo presente che non si sparge allo stesso modo il sangue in un corpo fermo (come nella sindone) e in un corpo in movimento e con un carico sulle spalle. Coincidono anche il gruppo sanguigno (AB) ed il DNA (formula cromosomica di un uomo semita arabo).
In accordo con questa tradizione la tunica inconsutile non figura nell'elenco compilato da Mesarites, ma Antonio di Novgorod nel suo Libro del pellegrino scrive di averla vista insieme ad altre reliquie nel Palazzo imperiale (3) durante il suo pellegrinaggio a Costantinopoli compiuto nel 1200, pressapoco nello stesso periodo in cui Mesarites compila il decalogo. Se la tunica non appare in questo inventario, vi compare però il “manto di porpora”, quello che i soldati romani posero per scherno sulle spalle del Cristo: Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la truppa. Lo vestirono di porpora, intrecciarono una corona di spine e gliela misero attorno al capo (Marco XV, 16-17).
Se le parole dell'evangelista intendessero che al Cristo venne fatta indossare sopra la tunica una sopravveste di porpora più che un mantello come l'intendiamo oggi, questa sopravveste potrebbe essere quella mostrata ad Antonio di Novgorod (4).

Nel romanzo ad ogni modo la reliquia è conservata in forma ufficiale (cioè pubblicamente esposta alla venerazione dei fedeli) nel monastero di Studion – dove in realtà non è mai stata - ed i due protagonisti convengono sull'impossibilità di venirne in possesso in quanto troppo sorvegliata.
 
Note:
 
(2) Dopo la conquista di Costantinopoli, tra l'altro, Bonifacio aveva occupato proprio il palazzo Bucoleone che sorgeva sul litorale del Mar di Marmara accanto allo stesso faro da cui prendeva il nome la cappella delle reliquie.
(3) Nel 1200 il vecchio Palazzo imperiale (Gran Palazzo) era già stato abbandonato dagli imperatori come residenza in favore di quello delle Blachernae, continuava però ad essere utilizzato con funzioni di rappresentanza. Antonio di Novgorod fu ammesso molto probabilmente proprio alla cappella della Vergine del Faro dove gli furono mostrate le reliquie.
(4) Il "manto di porpora" che sarebbe stato posto per scherno sulle spalle del Cristo compare in tutti e quattro i Vangeli canonici ma per definirlo gli evangelisti usano quattro parole diverse: Marco usa solo la parola πορφυρα, senza ulteriori specifiche; Luca (XXIII, 11) usa semplicemente il termine di εσθησ (veste) accompagnata da un aggettivo che la definisce "splendida"; Matteo (XXVII, 27-29) lo chiama χλαμΰς (la clamide, che consisteva in un pezzo di stoffa, più o meno ampio, a forma di rettangolo, che finiva in uno dei lati corti con taglio a semicerchio e si fermava con una fibula sulla spalla); Giovanni (XIX, 2) parla di ἱμάτιον (un panno di forma rettangolare che si avvolgeva attorno al corpo) e ἱμάτιον è anche il termine impiegato da Mesarites nel suo decalogo. Secondo alcune analisi condotte in tempi relativamente recenti (Lucotte, 2004) inoltre, la tunica d'Argenteuil sarebbe stata originariamente tinta di rosso. Una tunica ed un manto tipo la clamide o l'himation, entrambi di colore rosso e conservati ripiegati in quattro, avrebbero quindi potuto essere scambiati l'uno per l'altro.

 




venerdì 18 marzo 2016

Morte nel quartiere veneziano di Alan Gordon

Alan Gordon, Morte nel quartiere veneziano, Hobby & Work, 2003.
Il giullare detective Theophilos indaga su una morte sospetta nel quartiere veneziano negli ultimi giorni del regno di Alessio III Angelo.

 
Personaggi storici che compaiono nel romanzo:

Alessio III Angelo: l'8 aprile 1195, mentre il fratello minore, l'imperatore Isacco II Angelo era impegnato in una battuta di caccia lontano dalla capitale, Alessio Angelo si fece proclamare imperatore dalle truppe con il nome di Alessio III, contando sul sostegno della propria moglie, Eufrosine Doukaina Kamatera e della sua rete di relazioni. Alessio catturò Isacco a Stagira, in Macedonia, e lo fece accecare e imprigionare a Costantinopoli.

Euphrosyne Doukaina Kamatera: figlia di Andronico Doukas Kamateros, un alto ufficiale che durante il regno di Manuele I Comneno (1143-1180) ricoprì le cariche di eparca di Costantinopoli e mega drongario e fu insignito del titolo di pansebastos, sposò nel 1169 il futuro imperatore Alessio III Angelo da cui ebbe tre figlie: Irene, Anna ed Eudocia. (cfr. anche scheda)

Michele Stryphnos: comandante in capo della marina imperiale (megadux) è il marito della sorella di Eufrosine, Teodora (quindi cognato di Alessio).

Teodoro Lascaris: generale dell'esercito nonchè futuro imperatore niceno (1208-1222), è il secondo marito di Anna Angelina (quindi genero di Alessio) che sposò agli inizi del 1199 (1).
 
Teodoro I Lascaris
miniatura tratta dal Codice gr.122
Biblioteca Estense di Modena (2)
 
Alessio Paleologo: generale dell'esercito, sposò in seconde nozze Irene Angelina (1199) – rimasta vedova del mega drongario Andronico Contostefano - e ricevette il titolo di despota. Morì di morte naturale poco prima della presa della città.

Eudocia Angelina: sposò in prime nozze, durante il regno dello zio Isacco II, Stefano di Serbia, il futuro primo re di Serbia (1217-1228), per sugellare la pace serbo-bizantina (1191). Accusata di adulterio fu ripudiata nel 1201-1202 e fece ritorno a Costantinopoli dove il 1 aprile del 1204 sposò in seconde nozze Alessio V Ducas Murzuflo (8 febbraio-12 aprile 1204). Alla morte di questi, sposò in terze nozze Leone Sgouros, arconte di Nauplia.

Costantino Philoxenites: l'eunuco che era a capo del Tesoro imperiale.

Costantino Tornikes, eparca di Costantinopoli quando, nel tardo 1198 o agli inizi del 1199 scoppiò la rivolta popolare contro il comandante delle carceri cittadine - Giovanni Lagos - che fu repressa nel sangue. Alla morte del padre Demetrio (1202) gli subentrò nella carica di logothetes tou dromou (ministro degli Esteri) per essere poi sostituito dopo un paio d'anni da Niceta Coniate. Rimasto in città dopo la conquista crociata, ricoprì incarichi ufficiali anche sotto l'amministrazione latina, catturato dai bulgari durante la battaglia di Adrianopoli (1205), fu da questi messo a morte poco dopo.

Giorgio Oinaiotes, il gran ciambellano, capo dei funzionari eunuchi.

Giovanni Ionopolites, l'eunuco che ricopriva la carica di parakoimomenos (responsabile della sacra camera da letto dell'imperatore) e che ebbe anche incarichi militari.

Nicolò Rosso, lombardo, è indicato nel romanzo a capo della delegazione bizantina inviata da Alessio III a Scutari, dov'era acquartierato l'esercito crociato, per negoziare la pace (cfr. Paolo Rannusio, Della guerra di Costantinopoli per la restitutione de gl'imperatori Comneni fatta da' sig. venetiani, et francesi l'anno 1204, 1604, che è una traduzione piuttosto libera della Histoire de la conquête de Constantinople di Goffredo di Villehardouin commissionatagli da Francesco Contarini).

Rambaldo di Vaqueiras, poeta e soldato provenzale giunse alla corte di Bonifacio di Monferrato nel 1192 e ne divenne il più rinomato trovatore nonché amico personale del marchese che seguì nelle sue avventure militari. Fu con lui anche nella Quarta Crociata e nel Regno latino di Tessalonica (1205) assegnato a Bonifacio dove ricevette - come lui stesso scrive nella sua Lettera epica - un'importante terra ed una buona rendita. Morì molto probabilmente nel 1207 insieme a Bonifacio in un'imboscata tesagli dai predoni bulgari al ritorno da una spedizione contro le loro basi sui monti Rodopi.

Conone di Bethune, anch'egli poeta e cavaliere partecipò alla Crociata al seguito di Baldovino di Fiandre come oratore ufficiale. Dopo la conquista ricoprì vari incarichi di prestigio durante il regno di Baldovino (1204-1205) e quello del fratello Enrico (1205-1216). Alla morte dell'imperatrice reggente Jolanda di Fiandre (1219) fu scelto a sua volta dai baroni come reggente ma morì poco dopo.


Note:

(1) Anna Angelina aveva sposato in prime nozze (<1190) il sebastokrator Isacco Comneno, un pronipote di Manuele I (1143-1180). Nel 1196, inviato dal suocero a combattere contro i Bulgari, alla frontiera settentrionale dell'impero, Isacco era stato sconfitto e catturato in uno scontro nei pressi di Serre, morendo poco tempo dopo nella prigione di Tarnovo e lasciandola vedova. Da questa unione era nata una figlia, Teodora Angelina Comnena.

(2) Il Codice gr.122 conservato nella Biblioteca Estense di Modena è una copia manoscritta realizzata nel XV sec. della Epitome delle storie di Giovanni Zonara che abbraccia un periodo compreso tra la creazione del mondo e la morte di Alessio I Comneno (1118). In questa redazione del XV secolo è stata aggiunta una lista, accompagnata a margine dai relativi ritratti, degli imperatori e delle loro consorti saliti sul trono dopo Alessio I fino alla caduta dell'Impero.