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lunedì 9 maggio 2022

Abbazia di Sant'Elia, Castel Sant'Elia

 Abbazia di Sant'Elia, Castel Sant'Elia


La basilica di Sant'Elia sorge nella valle Suppentonia, subito al di sotto del borgo di Castel Sant'Elia.

La prima testimonianza dell'esistenza di un insediamento monastico in questo sito ricorre in un documento relativo ad una contesa di proprietà datato 5 giugno 557. Nel documento compaiono i nomi dell'abate Anastasio, di Papa Vigilio, che ricompone la controversia, e del generale Belisario.
Il monastero è nominato inoltre nei Dialoghi di Papa Gregorio Magno (590-604). Il fatto che nei Dialoghi non venga menzionato in riferimento al monastero l'ordine benedettino, fa avanzare l'ipotesi che si trattasse di un insediamento legato piuttosto al monachesimo orientale.
I Dialoghi indicano sant'Anastasio come primo abate del monastero. Alla sua morte – tra il 550 e il 577 – gli successe molto probabilmente il suo amico Nonnoso. I corpi dei due santi furono tumulati nella cripta della basilica dove rimasero fino al 602, quando Papa Gregorio Magno li fece nascondere per evitare fossero profanati dai Longobardi.

L'abside vista dall'esterno

La basilica, fondata tra VIII ed il IX secolo, fu poi ricostruita all’inizio dell’XI secolo. Compare per la prima volta nelle fonti scritte nel 1076 in una citazione di Gregorio VII.
I Benedettini rimasero al monastero di Sant’Elia fino al 1256, quando Alessandro IV lo concesse ai Canonici dell’Ospedale di Santo Spirito in Saxia di Roma, possesso confermato dallo stesso pontefice con una bolla del 14 Luglio 1258.
Nel 1260, i canonici di Santo Spirito eressero un nuovo campanile, come attestato da un’epigrafe, già murata sul lato frontale dello stesso, ora giacente nel camposanto sotto le sue rovine.
Nel 1541 la Camera Apostolica vende il “Castrum S. Eliae” a Pierluigi Farnese; in tale data, probabilmente, il monastero non esisteva più, in quanto, di esso, non se ne fa menzione.
Nel 1607 la caduta di un masso dalla rupe danneggiò la parete laterale sinistra: la riparazione fu curata dai Farnese che possedettero la basilica fra il 1540 e il 1649, quando la Basilica di Sant’Elia e i suoi possedimenti, già inclusi nel ducato di Castro, vennero incamerati dal Governo pontificio in pagamento dei debiti contratti da Ranuccio II Farnese.
Nel 1855 precipitò la torre campanaria, devastando una porzione della navata centrale e di quella laterale sinistra, e la cappella dedicata alla Vergine posta a ridosso dell’entrata laterale destra.

Costruita completamente in tufo, la chiesa ha una facciata a doppio spiovente di semplice struttura e che risale all' XI sec. La parte superiore è caratterizzata da tre sezioni rientranti delimitate in alto da archetti pensili. Una lapide ivi apposta ricorda il restauro di Pio IX.

Presenta nella parte superiore la decorazione delle arcatelle pensili ed ospita tre portali: nel portale sinistro sono reimpiegati frammenti marmorei provenienti dall’antico ciborio, anche quello centrale, che ingloba il precedente del X secolo, è stato realizzato con frammenti di marmo; in alto emergono due teste di arieti: quella di sinistra assiste alla negatività delle scene sottostanti, mentre quella di destra è appagata dalla visione benefica.
Il portale destro presenta un affresco raffigurante la Madonna col Bambino sulla lunetta.  


L'interno, in stile romanico, presenta una pianta a tre navate con transetto, il tutto contenuto in un rettangolo sghembo.
Il transetto e parte della navata centrale presentano un pavimento cosmatesco verosimilmente ascrivibile alla fine del XII e più probabilmente ai primi decenni del XIII secolo.

Nella navata sinistra, si trovano lesene, plutei, transenne, alcuni sarcofagi di età imperiale romana, frammenti di epigrafi.
La navata centrale presenta sette archi per lato, sorretti da sei colonne con differenti capitelli corinzi e da due semi colonne terminali.
Le colonne di cipollino e di bigio che delimitano la navata centrale, provengono quasi certamente dallo spoglio di ville e monumenti romani sono corredate da capitelli, pure di spoglio, corinzi a doppio o triplo giro di foglie, dai quali si differenziano i quattro impiegati sui semipilastri in muratura addossati alla controfacciata e all’arco trionfale.


Affreschi

Nella parete di sinistra, al registro sottotetto, intercalata alle due monofore, inizia la teoria dei Profeti nimbati, che prosegue poi sulla parete di fondo e sul transetto destro, decorazione pittorica omogenea e della stessa mano di quella dell’abside, di cui si dirà in seguito.


Profeti nimbati

Al registro inferiore una scena con ampie lacune e non decifrabile, poi due raffigurazioni tratte dal libro dell’Apocalisse: la Donna vestita di Sole e il Drago rosso affrontato da San Michele Arcangelo (1).



Nella parete di fondo, al registro superiore continua la serie dei Profeti nimbati, parzialmente perduta, ai due registri inferiori inizia quella dei Ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse diretti verso l’Agnello che sollevano in alto coppe d’oro velate: avanzano in processione verso l’abside, sollevando in alto le velate coppe d’oro ripiene di profumi.
Al registro inferiore tre riquadri votivi, raffiguranti Santo Stefano, una Santa non riconosciuta e Santa Lucia.


Il catino absidale è dominato nella parte alta dalla figura del Cristo Redentore con al fianco Pietro e Paolo – che mostrano dei cartigli con passi tratti dalle Sacre Scritture - e ai lati Sant’Elia e Sant’Anastasio (l’interpretazione di quest’ultima figura è controversa, secondo alcuni raffigura Mosè, secondo altri San Nonnoso).
Ai piedi del redentore si legge la scritta:

IOH(annes) ET/ STEFANUS/ FR(a)T(re)S PICTORES/ ROMANI/ ET NICO/LAUS NEPU(s) IOHANNIS

Ed è piuttosto raro trovare firmato un affresco di quest'epoca.

I cinque personaggi si muovono su un verde prato disseminato di fiorellini bianchi, al centro del quale, ai lati del Cristo, sgorgano i quattro fiumi dell'Eden (Pison, Ghicon, Tigri e Eufrate, Genesi, II, 11-14) corredati dalle relative iscrizioni.
Chiude il catino una fascia decorativa con fioroni policromi, che corre anche nell’intradosso dell’arco absidale, profilata da strisce rosse: sul bordo superiore è dipinta in bianco un’iscrizione esortativa, con cui si invitano coloro che entrano nella chiesa a guardare per prima la figura del Cristo (Vos qui intratis me primu(m) respiciatis).

Più in basso, sul tamburo, Dodici agnelli in movimento verso l’Agnello di Dio.
Questi, provenienti dalle città paradisiache (Gerusalemme, identificata dall’iscrizione IERUSA/LEM, e Betlemme, perduta insieme agli ultimi tre agnelli sulla destra) si muovono su un fondo giallo scanditi da esili palmizi a gruppi di tre, per la presenza delle monofore, e convergono verso l’Agnello divino.

La finestra di sinistra, è stata tamponata e dipinta con un San Giovanni Battista nel XVI secolo.
Nella parte inferiore è rappresentato un Corteo di sante - due sole riconoscibili dalle iscrizioni: Caterina e Lucia - che portano corone da offrire ad una figura assisa in trono (probabilmente la Vergine), tra i due arcangeli, Michele e Raffaele, di cui rimangono parte della veste in rosso mattone, del braccio e della mano che impugna la croce astile gemmata.
Alla sinistra del trono è raffigurato, come d’uso di ridotte dimensioni, il committente, un monaco benedettino, in prossimità della figura si legge la scritta: [—]EAT [—] [m]O[n]ACHUS PA[—]. 

L'Arcangelo Michele e, in scala molto ridotta, il monaco fondatore della chiesa

Il transetto destro è anch’esso ricoperto di affreschi, realizzati dagli stessi artisti dell’abside, articolati su quattro registri.
Al registro superiore, sia nella parete frontale che in quella destra, prosegue la lunga teoria di Profeti nimbati, nei due registri inferiori la processione dei Ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse diretti verso l’Agnello.
Segue, al registro più in basso, Morte e funerali dell’abate Anastasio e il dolore dei monaci con l’arcangelo Michele che chiama, dopo gli altri monaci, lo stesso Anastasio.

Il transetto destro è anch’esso ricoperto di affreschi, realizzati dagli stessi artisti dell’abside, articolati su quattro registri.

Al registro superiore, sia nella parete frontale che in quella destra, prosegue la lunga teoria di Profeti nimbati, nei due registri inferiori la processione dei Ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse diretti verso l’Agnello.

Il corteo dei 24 Vegliardi 

Segue, al registro più in basso, Morte e funerali dell’abate Anastasio e il dolore dei monaci con l’arcangelo Michele che chiama, dopo gli altri monaci, lo stesso Anastasio.  

Nella parete di destra del transetto sono raffigurate scene tratte dall'Apocalisse.

Il primo riquadro a sinistra contiene momenti diversi della narrazione e cioè l'apparizione del Figliuolo dell'Uomo a Giovanni fra i sette candelabri (I, 12) , poi nuovamente l'evangelista a colloquio con un angelo, evidente allusione agli scritti inviati alle sette chiese, ed infine la visione dell'Anonimo fra i simboli degli evangelisti e con i ventiquattro vegliardi che pregano dopo aver gettato le corone e lasciato i loro troni (IV, 12 e ss.).
Nel secondo riquadro è l'apertura dei primi quattro sigilli (VI, 1-3) ; ma a causa dello stato frammentario vi si scorge solo l'evangelista a colloquio con l'aquila e i primi due cavalieri.

Il sesto sigillo

Nel registro successivo la narrazione continua con l'apertura del sesto sigillo (VI, 12 e ss.) : Giovanni è sempre ripetuto in basso a sinistra, eretto ed impassibile; al centro, ai quattro angoli della terra, rappresentata come un solido informe, quattro angeli trattengono i venti, figurette ignude di gusto classicheggiante, pronte a soffiare nelle lunghe trombe; l'angelo in alto a mezzo busto ordina di attendere che vengano segnati gli eletti del popolo d'Israele. 
Nel secondo riquadro di questo registro, Giovanni questa volta prende parte attiva alla cerimonia alzando la destra nel gesto dell'acclamazione, l'angelo con il turibolo sta presso l'altare d'oro mentre un altro suona la tromba (Poi venne un altro angelo e si fermò presso l’altare, reggendo un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi, perché li offrisse, insieme alle preghiere di tutti i santi, sull’altare d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme alle preghiere dei santi. Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, voci, fulmini e scosse di terremoto. I sette angeli, che avevano le sette trombe, si accinsero a suonarle, VIII, 3-6).

La sesta tromba

Nel primo riquadro del registro più basso sembra di poter riconoscere il flagello della sesta tromba (Diceva al sesto angelo, che aveva la tromba: «Libera i quattro angeli incatenati sul grande fiume Eufrate». Furono liberati i quattro angeli, pronti per l’ora, il giorno, il mese e l’anno, al fine di sterminare un terzo dell’umanità. Il numero delle truppe di cavalleria era duecento milioni; ne intesi il numero. Così vidi nella visione i cavalli e i loro cavalieri: questi avevano corazze di fuoco, di giacinto, di zolfo; le teste dei cavalli erano come teste di leoni e dalla loro bocca uscivano fuoco, fumo e zolfo, IX, 14-17). Nel riquadro si vede Giovanni assistere al galoppo dei tre cavalieri che
travolgono gli uomini, uccidendoli in uno squallido paesaggio chiuso al fondo da fantastici picchi.

Nell'ultimo riquadro è narrata invece la settima calamità, l'apparire della bestia e della Donna vestita di sole (XII, I e ss, per il testo cfr. nota 1). La narrazione proseguiva sulla parete opposta, dove un primo riquadro è perduto, ma in un secondo dopo la battaglia il mostro perseguita la donna, cui però sono state date le ali (vedi sopra). Quattro ulteriori riquadri legati a questo ciclo sono del tutto mancanti. 

I dipinti votivi disseminati lungo le navate e nella parte bassa del transetto sinistro sono invece di epoche più tarde.


La cripta

Si accede alla cripta tramite una ripida scala, aperta nel fondo della navatella destra, che introduce in un ambiente voltato a botte, di forma rettangolare e di piccole dimensioni con un’absidiola ricavata nello spessore di muro della parete di fondo, in cui si apre una finestra centinata un tempo schermata da una transenna in stucco, oggi trafugata.

L'ambiente è precedente all’intero complesso chiesastico, probabilmente è parte del primitivo cenobio, sotto l’intonaco di rivestimento sono emersi i resti di una decorazione ad affresco.
Si accede quindi alla Cripta vera e propria, che si può datare al tardo XI secolo e costituiva parte di una struttura di culto anteriore all’attuale.


La pianta ha la forma di un rettangolo absidato, è suddivisa in sei campate coperte a volta a crociera, oggi intonacate, con pesanti sottarchi che si dipartono dai due sostegni centrali per poi ricadere sui pilastri semicilindrici in muratura sormontati da capitelli, addossati al perimetro dell’ambiente, formando così delle specchiature arcuate sulle pareti.
L’intero ambiente è circondato da un basso sedile in muratura, conservato per tutta la sua estensione, tranne che in un tratto nell’abside.
La muratura è di grandi blocchi di tufo, regolarmente squadrati, con poca malta, dotata di due sole aperture, corrispondenti alla fila inferiore di finestre nell’abside: la meridionale mantiene il suo profilo originale di stretta monofora a feritoia strombata verso l’interno, mentre quella centrale è stata chiaramente ampliata. Nella cripta si trova oggi un altare a cassa indicato come tomba di sant'Anastasio.

 

Note


(1) Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli. (Apocalisse XII,1-9).





domenica 4 marzo 2018

Le terme di Cellomaio e la chiesa di San Pietro apostolo, Albano

Le terme di Caracalla

Vennero fatte costruire sul lato occidentale dei castra albana da Caracalla (211-217), forse per ingraziarsi i legionari della II Parthica in subbuglio dopo l'assassinio del fratello e coimperatore Geta (dicembre 211). Sono note anche con il nome di terme di Cellomaio, probabile corruzione della locuzione Cella maior con cui venivano indicate per distinguerle da quelle più piccole, costruite all'interno dei castra.

 
L’impianto termale appare realizzato in opera cementizia a scaglie di peperino, ricoperta da una cortina laterizia di colore rossastro, e presenta una pianta quadrangolare, ai cui spigoli si ergono torri-contrafforti. L'alzato era articolato su tre piani, il primo con funzione di sostegno alla struttura era utilizzato come ambiente di servizio; mentre gli altri due, costituiti da stanze ampie ed ariose e da finestroni sormontati da arcate, erano decorati da mosaici ed adibiti alle attività delle terme, quali il frigidarium, il calidarium, la palestra ed altri servizi.

Inserti murari in opera saracinesca realizzati in epoca medioevale
 
L'unico ambiente rimasto integro è un'aula di 37 metri per 12 occupata fin dall'alto Medioevo dalla chiesa di San Pietro fondata durante il pontificato di Ormisda (514-523). Le rovine dell'imponente complesso termale costituirono quindi la base di un perimetro difensivo al cui interno si sviluppò il nuovo centro abitato, il castellum albanense di epoca medioevale.
 
Chiesa di San Pietro apostolo

La chiesa fu fondata molto probabilmente da papa Ormisda (514-523), o comunque sotto il suo pontificato, sfruttando – come già detto - un'aula del preesistente complesso termale. Sul lato verso Cellomaio sono ancora visibili i resti di due volte a botte che univano l'aula al complesso termale.
Nel X secolo prese il sopravvento, nel governo della Chiesa, la famiglia dei Conti di Tuscolo che succedono ai Crescenzi, ed iniziano una lunga dittatura della città di Roma e della Sede Pontificia, attraverso il cosiddetto “papato di famiglia”. Questa famiglia, originaria dei Colli Albani, estese il suo potere anche ad Albano e prese possesso anche della chiesa di San Pietro Apostolo, che passò direttamente alla sua dipendenza. L’ufficiatura venne affidata ai monaci benedettini.
 
Lato verso la via Appia
 
Nel sec. XII la chiesa subì un radicale restauro: lungo i muri perimetrali furono aperte due strette finestre con arco tondo ad oriente e cinque ad occidente. Lavori che furono rinvenuti in occasione dei restauri del 1931. In quello stesso anno i restauri scoprirono le fondazioni dell’abside, sotto i gradini dell’attuale ingresso principale, e sul muro ora di facciata si rinvennero internamente l’arcone a laterizi della stessa abside, ben riconoscibile anche all’esterno, insieme ad alcuni resti di pitture decorative risalenti al XII secolo.
Lato verso Cellomaio, su cui si nota l'impronta della volta a botte che collegava l'aula al complesso termale, e ingresso attuale della chiesa.
 
Il fronte della Chiesa “medioevale”, che si trova nell’opposta parete corta, ove è ora appoggiato l’altare maggiore, presentava esternamente, anche prima del restauro, un parametro di bolognini intercalati con filari di laterizi. Appariva coronata da un timpano con cornice a mensole di marmo e denti di sega in cotto, anch'esse scoperte nel 1931.
 
L'ingresso della chiesa mediovale
 
Nel 1440 i principi Antonio e Francesco Savelli, signori di Albano (1), acquistarono dai monaci benedettini la chiesa – di cui mantennero il patronato fino al 1697 - con l'intento di farne la chiesa palatina del vicino palazzo baronale (2). Alla fine si riservarono però soltanto la cappella dei Santi Rocco e Sebastiano dove vennero tumulati Antonello Savelli (1517) e la figlia Ersilia (1544) (3).
 
Tombe di Antonello ed Ersilia Savelli
 
Campanile:
eretto nel XII secolo e di stile romanico, presenta una pianta quadrata ed è articolato in quattro piani. Nei primi due piani si aprono finestre binate monofore ad arco tutto sesto, mentre quelle che si trovano negli altri piani sono bifore, divise invece che da colonnine, da un piedritto quadrangolare di marmo.
 
 
Le facciate del campanile appaiono inoltre riccamente decorate da inserti ceramoplastici e di marmi policromi. In corrispondenza del secondo piano del lato prospiciente la via Appia si nota inoltre la presenza di un'edicola formata da due colonnine che sostengono arco a tutto sesto, che un tempo racchiudeva i resti pittorici (oggi completamente scomparsi) di una Vergine dalle forme bizantine.
Interno:
sotto il muro in cornu evangelii si trova un affresco detto Il Santaro, risalente al XIV secolo, diviso in due zone da una fascia ondulata a fondo rosso cupo. Nella parte superiore è dipinto Sant' Onofrio anacoreta, coperto da lunghi capelli stilizzati a cordelle e una santa indicata dalla didascalia ancora leggibile come Margherita, con il fuso nella mano destra e la rocca stretta al petto dalla sinistra; la figura è parzialmente inserita in un fondo con una sgargiante cornice a disegni geometrici. In basso a destra notiamo tre cagnolini bianchi sovrapposti, che corrono verso la santa (4). La ieraticità delle figure, l’assenza di naturalismo e gli squillanti accordi cromatici dell’insieme, permettono di confrontare questa parte superiore con gli affreschi più antichi dell'Abbazia di San Nilo a Grottaferrata (1272 c.ca).
 
Santa Margherita
 
Ben diverso l’artista che dipinse la fascia inferiore ove, a fianco del Cristo Flagellato e grondante di sangue per le ferite prodotte dai flagelli dei due fustigatori laterali e rappresentati in proporzioni ridotte, compaiono la Vergine dal dolcissimo volto, con le mani protese verso il Figlio quasi voglia presentarlo ai fedeli, e Maria Maddalena in profondo dolore. La gamma cromatica, la pennellata pastosa e volumetrica rimandano in questo caso ad un artista di ambito tutto italiano a cui non è estranea la lezione del Cavallini (1240-1330).
 
La Flagellazione
 
Da notare inoltre, sulla parete destra dell'attuale controfacciata, una piccola nicchia decorata da un affresco, dove è riprodotta l’immagine della Vergine orante con in petto il medaglione recante l’effigie del Bambino. L’impianto stilistico e iconografico è tipicamente bizantineggiante. Si tratta del tipo iconografico della Vergine blacherinitissa, la Vergine del Segno: Colei che, secondo la profezia di Isaia, presenta al mondo l’avvento dell’era della salvezza nell’Incarnazione del Verbo (Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, Isaia, VII,14). Portatrice privilegiata, anzi protagonista di questo “segno”, la Vergine orante è al tempo stesso colei che intercede per gli uomini e trasmette la grazia divina.
L’immagine, nonostante sia abbastanza rovinata, lascia intravedere una figura viva della Madonna che è assisa in trono e presenta, appunto, il medaglione con l’immagine di Gesù giovinetto benedicente.
 
 
Note:
 
(1) I Savelli furono infeudati ad Albano sotto il pontificato di Onorio III (1216-1227), al secolo Cencio Savelli.

(2) Il palazzo comunicava con la chiesa per mezzo di un arco che scavalcava la via Appia e che originariamente sosteneva il condotto che conduceva l'acqua al complesso termale dalle cisterne poste sotto palazzo Savelli. Questo arco fu demolito soltanto nel 1828.

(3) Nel 1946 per isolare il campanile fu deciso l’abbattimento della cappella e le tombe principesche, con i relativi epitaffi, vennero trasportati nel vano della Chiesa: oggi sono visibili accanto all'entrata laterale della chiesa.

(4) La leggenda vuole che Santa Margherita da Cortona, vissuta nel XIII secolo, venisse guidata da un cane alla scoperta del cadavere del compagno che era stato assassinato durante una partita di caccia. Morta nel 1297 ed onorata sin da subito come beata, santa Margherita da Cortona fu tuttavia canonizzata soltanto nel 1728. La santa raffigurata nell'affresco dovrebbe quindi essere molto più probabilmente Santa Margherita di Antiochia a cui l'anonimo frescante ha sovrapposto la leggenda legata invece alla omonima santa cortonese, non ancora venerata come tale all'epoca di esecuzione dell'affresco.
 


venerdì 2 marzo 2018

I castra albana, Albano

I castra albana, Albano

La datazione ad oggi considerata più corretta per i castra albana li fa risalire a Settimio Severo (193-211) che, non appena divenuto imperatore dopo una violenta guerra civile, pensò di sciogliere temporaneamente la guardia pretoriana e di acquartierare vicino a Roma per la sua sicurezza personale e politica la Legio II Parthica (vedi scheda), unità da egli stesso creata nel 197 per la campagna contro i Parti del 195-198.
I castra si presentano come un grande rettangolo fortificato, dotato di quattro porte (praetoria, decumana, principalis sinixtra e principalis dextra), con gli angolo arrotondati e rinforzati da torrette circolari.
Il perimetro della cerchia muraria è di 1334 metri: il lato nord-ovest misura 434 metri, mentre il parallelo lato sud-est misura 437 metri, ed i lati corti misurano 224 metri quello a nord-est e 239 quello a sud-ovest. L'area complessiva si aggira di conseguenza sui 95.000 metri quadrati e si sviluppa su un terreno in forte pendenza (circa 40 metri di dislivello).


Lato NE: il tratto del muro romano meglio conservato – lungo circa 50 m. - è quello che attualmente funge da divisione tra le proprietà del seminario vescovile e dei Missionari del Preziosissimo Sangue che reggono la chiesa di San Paolo.
 
 
Appare particolarmente robusto perchè doveva contenere la spinta del terrapieno esterno. Non c'è traccia invece della Porta decumana che doveva aprirsi a metà di questo tratto.
Proseguendo verso sud, all'angolo con via Castro Partico, si nota l'angolo arrotondato del muro romano, ancora visibile, che non presenta segni della presenza di una torretta circolare, ma solo di una disposizione dei blocchi di peperino più accurata.

Lato SE: scendendo lungo la via Castro Partico, ad una sessantina di metri dall'angolo arrotondato, il muro ingloba una torretta di guardia rettangolare adibita attualmente ad uso colonico. Sporge di circa 40 cm. all'esterno del muro ed è alta 8 m. ma, non essendovi traccia di cresta o di una finestra si può supporre che in origine fosse più alta.

 
Circa duecento metri più a valle si trovano i resti della porta principalis sinixtra, l'unica delle due portae principales di cui ad oggi siano visibili resti.
 
Porta principalis sinixtra
 
Consta di un unico fornice dove i conci si riuniscono ad incastro con i blocchi orizzontali del muro: è larga 3.85 metri e non si trovano tracce di torrette di guardia ai suoi lati. A valle della porta non è più possibile riconoscere alcuna traccia del muro.

Lato SO: i resti più evidenti sono quelli relativi alla Porta Praetoria. Situata al centro del muro, la porta era inglobata in un edificio moderno fino a che il devastante bombardamento aereo anglo-americano del febbraio 1944 non permise la "liberazione" del monumento romano.
 
Porta Praetoria, lato esterno

La porta consta di tre fornici e due ambienti laterali a base quadrata, supposti essere altrettante torri di guardia.

Porta Praetoria, lato interno (fornice e torre di guardia di sinistra)
 
La Porta praetoria affacciava sulla via Appia, il cui tracciato correva sotto l'attuale corso Matteotti.
 
Porta Praetoria, planimetria attuale

Da via San Pancrazio si accede ai resti dell'unica torretta di guardia circolare ben conservata, situata 3.40 metri sotto l'attuale piano di calpestìo di via Alcide de Gasperi. In realtà l'edificio si presenta di problematica decifrazione: la volta dell'unica stanza è situata solo 1.60 metri sopra il piano dell'intervallum (la strada che girava attorno alle mura dall'interno), ed anche ammettendo che esistesse un secondo piano, la torre non avrebbe raggiunto un'altezza plausibile per essere una torre di guardia. La conclusione è pertanto che questa sia una costruzione speciale, simmetrica forse solo alla torre dell'angolo sud-est oggi perduta.

Lato NO: la maggior parte del muro di questo lato dopo la summenzionata torretta circolare è interrata sotto alla case moderne: si può intuire il sito della porta principalis dextra, situato in un cortile interno su via don Giovanni Minzoni.

I castra albana rimasero in uso come quartier generale della Legio II Parthica fino al suo scioglimento da parte di Costantino il grande dopo la battaglia di Ponte Milvio (ottobre 312).
Durante la guerra greco-gotica Albano viene indicata da Procopio (De bello gothico, I, 14; II, 4 e 7) come uno dei presidi della cerchia posta da Belisario a difesa di Roma nonchè al controllo della via Appia che costituiva la principale arteria di comunicazione con l'Italia meridionale. E' presumibile che a quest'epoca la popolazione risiedesse ancora all'interno dei castra mentre molti indizi suggeriscono che in epoca altomedievale questa si sia trasferita sul lato opposto della via Appia, abbandonando i castra e sfruttando le rovine delle terme di Cellomaio per costituire una nuova cinta difensiva.




domenica 21 gennaio 2018

Il sepolcro degli Orazi e dei Curiazi ad Albano

Il sepolcro degli Orazi e dei Curiazi ad Albano

Lato nord

Venendo da Roma, il cosiddetto sepolcro degli Orazi e dei Curiazi (1) si trova sulla destra della via Appia, all'altezza del XV miglio, appena superato l'abitato di Albano.

Lato NE
 
Su un parallelepipedo a pianta quadrata (m.15 di lato e 7.50 di altezza) svettavano ai quattro angoli altrettanti torrioni a forma di tronco di cono (ne rimangono in piedi solo due), a cui doveva aggiungersene un quinto (più alto) che si ergeva in posizione centrale su un ampio tamburo circolare. Il podio presenta in basso uno zoccolo modanato ed in alto una cornice a dentelli.
La muratura è in conglomerato cementizio (scaglie di peperino legate con malta) rivestito da blocchi squadrati di peperino.
La camera funeraria si trovava all'interno del torrione centrale, la cui entrata era sul lato sud dell'edificio (quindi non prospettava sull'Appia).

Particolari della modanatura dello zoccolo e della cornice a dentelli

L'attribuzione del sepolcro agli Orazi e Curiazi cominciò a circolare nel XVI secolo (2), tanto che i Savelli fecero apporre sul lato settentrionale dell'edificio una lapide che connotava il monumento in questo senso (3).
Nondimeno, le tecniche edilizie impiegate fanno escludere una datazione all'età arcaica collocandolo piuttosto versò la metà del I sec. a.C.
Secondo alcuni autori potrebbe trattarsi del mausoleo edificato in onore di Pompeo Magno, le cui ceneri furono fatte traslare ad Albano, dove la famiglia aveva ampi possedimenti, dalla vedova Cornelia.
Secondo altra ipotesi, si tratterebbe invece della ricostruzione della tomba del condottiero etrusco Arunte – il figlio del re Porsenna che cadde combattendo contro la Lega latina sotto le mura di Ariccia (507-506 a.C.) - fatta realizzare dalla famiglia aricina degli Azzii che riteneva di discenderne. Quest'ultima ipotesi trova conforto nelle similitudini che l'edificio presenta con la tomba di Porsenna a Chiusi come appare nella descrizione lasciataci da Plinio: Il re venne sepolto presso la città di Chiusi, in un luogo in cui ha lasciato un monumento di forma quadrata fatto di blocchi di pietra squadrati: ogni lato è lungo trecento piedi ed alto cinquanta (…). Al di sopra di questa base quadrata si elevano cinque piramidi, quattro agli angoli e una centrale, che sono larghe alla base settantacinque piedi ed alte centocinquanta; come coronamento hanno sulla punta un disco di bronzo e un unico baldacchino ricurvo che si sovrappone a tutte e cinque e a cui stanno appese, rette da catene, delle campanelle (Plinio, Storia naturale, XXXVI, 19).

G.B. Piranesi, Sepolcro dei tre fratelli Curazj in Albano
da Antichità di Albano e di Castelgandolfo, Roma 1764
 
Nel 1812, Giuseppe Valadier, ricevette da Antonio Canova, in qualità di presidente dell'Accademia di San Luca, l'incarico di restaurare il monumento che versava in condizioni di degrado. I lavori iniziarono però soltanto nel 1828 e terminarono circa dieci anni dopo.

Il monumento (lato sud) come appariva in una fotografi del 1865,
poco dopo il restauro del Valadier


Note:
 
(1) Per la descrizione del duello degli Orazi e dei Curiazi vedi scheda La via Appia: i tumuli degli Orazi edei Curiazi.

(2) Il primo a parlarne è Leandro Alberti nel suo Descrittione di tutta Italia (1550)

(3) La lapide venne rimossa alla fine del XVIII secolo e trasferita nella vicina chiesa della Madonna della Stella.