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domenica 21 febbraio 2016

Il sarcofago di Stilicone

Il sarcofago di Stilicone


Il cosiddetto Sarcofago di Stilicone si trova nella basilica di Sant'Ambrogio a Milano ed oggi è inglobato in un ambone costruito in epoca medievale. Fu scolpito molto probabilmente nella seconda metà del IV secolo.
 
Il sarcofago originale nella sua collocazione attuale all'interno dell'ambone (*)
 
Appare come una cassa di pietra massiccia, sufficientemente larga per contenere i resti di diverse persone, e sembra risultare dall'assemblaggio di due pezzi eterogenei, il coperchio ed il cassone. Il motivo è che la volta di Sant' Ambrogio cadde nel 1196 e l’opera che possiamo vedere oggi è stata composta cinque anni dopo utilizzando i migliori frammenti recuperabili.
E' generalmente attribuito a due diversi intagliatori di area milanese, al primo dei quali viene attribuito il coperchio, mentre al secondo i rilievi sui fianchi del sarcofago.
Stilicone può essere o non essere mai stato sepolto qui (il sarcofago cominciò ad essergli attribuito solo nel XVIII secolo, secondo altri conteneva invece i resti dell'imperatore Graziano), ma questo ingarbugliato palinsesto di scultura, metà pagano e metà cristiano, di incerta provenienza, difficile da decifrare, di caratteristiche nobili e in definitiva con qualcosa di strano all' apparenza, ne rappresenta abbastanza bene la figura storica.

Il suo orientamento, identico a quello dei resti tardoantichi del presbiterio, indica che si trova nella posizione attuale fin dal IV secolo, mentre l'ambone, costruito sopra successivamente, segue l'orientamento dell'edificio medioevale.
E' un sarcofago “a porte di città” con scena di Traditio Legis sul lato anteriore e con la raffigurazione del collegio apostolico sul lato posteriore. Si tratta di due temi allegorici, nati nella seconda metà del quarto secolo, che hanno spesso come sfondo mura e porte di città che, nella fattispecie, corrono lungo tutti e quattro i lati del cassone.

Lato A
 
La fronte (lato A) del sarcofago è divisa in due parti orizzontali. Al centro della parte superiore è Cristo, stante, con i cappelli lunghi e la barba; indossa tunica e pallio, ha la mano destra sollevata e stringe un rotolo con la mano sinistra. Alla sua sinistra si trova Pietro, che tiene una croce sulla spalla sinistra e riceve il rotolo con la destra; alla destra di Cristo sta invece Paolo, che compie il gesto dell’acclamatio. Queste tre persone formano la scena della Traditio Legis ai cui lati si dispongono gli altri apostoli. Inginocchiati ai piedi del Cristo, quelli che sono stati ritenuti Stilicone e Serena, soprattutto in virtù degli abiti di foggia militare indossati dall'uomo.
L’origine della scena si trova nell’arte imperiale; quando l’imperatore manda un suo funzionario in una provincia, gli consegna il rotolo chiuso, che il funzionario riceve con le mani coperte da un velo (cfr. il Missorio di Teodosio, 388-393); tale atto sancisce il passaggio del diritto dall’imperatore al funzionario. La sua diffusione a partire dalla seconda metà del IV secolo ed in particolare a Roma (cfr. scheda Il complesso di S.Costanza a Roma), sembra porla in relazione con la volontà di sottolineare il primato di Pietro – e quindi del Papa suo successore - all’interno della Chiesa.

Lato B, coperchio

Sul lato verso l'altare (lato B) del coperchio si trova una delle prime Natività conosciute, Gesù è raffigurato in fasce con il volto da adulto adagiato in un sarcofago che fa da culla, immagine che richiama il tema della vita e della morte ricorrente nell'iconografia cristiana, soprattutto nell'ambito battesimale; ai lati del Bambino vi sono un bue ed un asino che, secondo alcuni, sono immagine dei profeti Isaia e Osea, altri interpretano l'asino come simbolo di Israele e il bue dei Gentili; a fianco dei due animali sono poi rappresentati due uccelli che mangiano un grappolo d'uva, uno si nutre con convinzione, l'altro appare più dubbioso, anche in questo caso sembra che il primo sia immagine del popolo d'Israele, più pronto a credere e a "nutrirsi" della fede, mentre l'altro starebbe ad indicare le maggiori difficoltà dei Gentili nell'accogliere il nascente messaggio cristiano.


Lato B, cassone

Nella faccia del cassone sottostante alla Natività, Elia rapito dal carro di fuoco lascia il mantello ad Eliseo (2 Re, II, 1-12) ; alla sua destra, Mosè e Noè; in basso e più piccoli, Adamo ed Eva.

Lato C
 
Sul lato lungo rivolto verso i fedeli (lato C) vediamo Gesù raffigurato come un giovane imberbe che manda i discepoli a proclamare il Vangelo (Missio apostolorum).
L’immagine principale è costituita, anche nel lato posteriore, dalla raffigurazione del collegio apostolico; al centro sta Cristo, senza barba e con capelli lunghi, seduto in trono; tiene un libro nella mano sinistra e con la mano destra fa il gesto della parola.
I discepoli hanno i piedi sovrapposti l'uno con l'altro come a formare una catena che indica simbolicamente la continuità del messaggio della Chiesa con il Cristo. Ai piedi del Cristo sarebbero inginocchiati Stilicone e la moglie Serena. Sopra, sul coperchio, in un clipeo sono scolpiti i volti dei due committenti e, di lato, a destra una Natività classica composta da Giuseppe e Maria ai lati del Bambino e i Re Magi a porgere omaggio, a sinistra del clipeo è raffigurata una scena che ha quale elemento principale l’immagine di una statua a mezzo busto poggiata sopra una colonna, a destra della quale stanno tre uomini con il berretto frigio e a sinistra altri due uomini; si tratta dell’episodio nel quale i tre giovani ebrei rifiutano di adorare la statua del re babilonese Nabucodonosor e vengono gettati nella fornace (Daniele, III, 1-56)
Lato D
 
L’estremità sinistra del lato destro del cassone (lato D) è definita da un pilastrino ornato di girali vegetali. Presso il pilastro è raffigurata la scena del sacrificio di Isacco; a destra di questa stanno quattro uomini stanti, uno dei quali tiene un rotolo chiuso e un altro un libro aperto. Non è chiaro chi siano questi personaggi, che sembrano procedere verso il collegio apostolico raffigurato sulla fronte del sarcofago.
 
(*) A causa della difficoltà di fotografare il sarcofago nella sua collocazione attuale, le immagini utilizzate nella scheda sono tratte dal suo calco in gesso attualmente conservato presso il Museo della civiltà romana a Roma.






domenica 9 settembre 2012

La cappella di S.Aquilino, Milano

La cappella di S.Aquilino nella basilica di S.Lorenzo a Milano



La basilica di S.Lorenzo colpisce sia per l’elaborata planimetria a tetraconco, ampiamente diffusa in area egea e mediorientale, ma assai rara nell’Occidente latino, sia per i numerosi problemi posti dalla sua cronologia e dalla sua funzione originale. Questo nonostante che molte parti del suo articolato complesso siano ancora conservate.
Il termine post quem per la fondazione della chiesa e dei suoi corpi annessi è dato dal reimpiego per le fondazioni dei blocchi dell’anello esterno del non lontano anfiteatro, verosimilmente demolito nel 401 all’approssimarsi dei Goti di Alarico, che avrebbero tenuto sotto assedio Milano per mesi: il loro uso per creare una vasta platea di fondazione soprattutto per la cappella di S. Aquilino – parte del progetto originale forse come mausoleo imperiale – permette di collocare la fondazione nel decennio successivo al 401, forse ad opera della committenza di
Stilicone (giustiziato a Ravenna nel 408, per ordine dello stesso imperatore Onorio: la damnatio memoriae che colpì il suo nome potrebbe spiegare la perdita del ricordo di un suo ruolo nella fondazione di questa chiesa, citata già da fonti scritte della fine del V secolo, ma che tacciono il nome del suo fondatore).
L'edificio compare per la prima volta nelle fonti scritte in relazione alla sepoltura al suo interno del vescovo milanese Eusebio I (morto nel 452), il che significa che a quella data la chiesa doveva essere stata terminata e consacrata. È noto dalle fonti scritte che una delle tre cappelle ottagonali annesse, quella di S. Sisto (lato nord della chiesa) fu costruita dal vescovo Lorenzo I, alla fine del V secolo, ma anche in questo caso l’edificio avrebbe potuto essere compreso nel progetto originario; infine, proprio in seguito alle recenti indagini sulle murature antiche, l’esame del carbonio 14 ha permesso di individuare mattoni della prima età longobarda nelle pareti di S. Aquilino.
La chiesa era preceduta da un vasto quadriportico, la cui superficie eguagliava quasi quella della basilica. I pochissimi avanzi, rintracciati a livello di fondazioni, hanno permesso di ricostruirlo come porticato su quattro lati, e dotato di esedre terminali sul lato adiacente alla facciata, che davano maggiormente risalto a questo spazio. Lungo la strada, un colonnato architravato fungeva da prospetto monumentale, con ingresso unico al centro sottolineato da un arco fra le colonne mediane (il loro intercolumnio è maggiore), soluzione glorificante che imitava i prospetti palatini di Spalato e Ravenna, il che avvalora ulteriormente l’ipotesi di un committente imperiale o strettamente legato alla corte. Le sedici colonne corinzie, con fusti scanalati e rudentati, sono in marmo di Musso e risalgono al II secolo, esattamente come gli architravi: si tratta di spoglie omogenee, probabilmente ricavate da un edificio civile di Mediolanum. Le aggiunte in mattoni sopra gli architravi appartengono alla fase basso medievale della chiesa: in origine, un attico e un timpano sempre in marmo dovevano completare la parte terminale della struttura. Avancorpi in muratura inquadravano ai lati questo prospetto.
La chiesa vera e propria, a pianta tetraconca, costituiva il centro del complesso. L'elaborata struttura del corpo centrale è leggibile nelle fondazioni, messe in luce negli anni Trenta: quattro torri angolari quadrate, disposte ai vertici di un quadrilatero, sono collegate da quattro esedre semicircolari dotate di un ambulacro interno a due piani. Lo spazio risultava quindi divisi in un vano centrale e in un ambulacro continuo (le quattro basi delle torri erano percorribili attraverso arcate), separati in origine da colonne (tutte sostituite nel XVII secolo) e da pilastri in muratura; anche la galleria al primo piano doveva essere aperta mediante colonnati, ma anche in questo caso tutti i sostegni risalgono al periodo barocco. Le più recenti indagini strutturali hanno definitivamente permesso di risolvere la dibattuta questione delle coperture originarie: le quattro esedre erano coperte da semicatini in muratura, mentre lo spazio quadrato centrale da una vasta volta a crociera, sempre in muratura: le tracce degli attacchi alle base delle quattro torri (che servivano appunto a contraffortare le spinte) non permettono ricostruzioni diverse della sua forma. Sappiamo dalle fonti che la chiesa fu danneggiata da incendi e terremoti nell’XI e XII secolo. Il Versum del Mediolano civitate, del 738, menziona lo splendore dei mosaici a fondo d’oro della cupola, e la lucentezza dei marmi dell’interno: le poche tessere i pochi frammenti di crustae marmoree recuperate negli scavi, assieme a qualche lacerto di pannello in stucco ancora alle pareti, permettono di farsi un’idea dello splendore interno dell’edificio: le ampie finestre ad arco che si aprivano nei muri esterni sicuramente inondavano questi spazi di luce naturale, esaltando lo splendore dei rivestimenti parietali. Un ultimo, interessante particolare costruttivo è dato dalla struttura esterna delle torri (una ancora interamente tardoantica), composte di blocchi sovrapposti leggermente rientranti, secondo un modello che trova esempi nella coeva architettura militare.
In asse su ciascuna esedra si addossano al corpo centrale tre sacelli ottagonali, sempre di origine paleocristiana e che ne completavano la struttura, anche se probabilmente avevano funzioni differenti.
La tradizione vuole che questa cappella fosse stata edificata da Galla Placidia perchè le servisse da sepoltura, è infatti anche detta cappella della Regina.
In origine era denominata cappella di S.Genesio in relazione alla antica tradizione milanese che Galla Placidia fosse la fondatrice del culto a questo santo.
La dedicazione a S.Aquilino avvenne infatti solo nel 1015, quando le sue ossa vi furono riposte subito dopo il suo martirio.

Sarcofago detto di Galla Placidia

La cappella
è stata costruita assieme all’atrio a forcipe che le fa da vestibolo entro la metà del V secolo, ma con una tecnica muraria in parte differente da quella della chiesa vera e propria: questo sarebbe indizio di una cronologia leggermente posteriore rispetto al tetraconco; ciò non significa che l’edificio non facesse parte del progetto originario, ma solo che difficoltà varie (probabilmente riconducibili alla situazione politica e militare del tempo) hanno rallentato e forse interrotto per un certo tempo l’attività del cantiere.
La funzione originaria doveva essere quella di mausoleo, forse imperiale, forse destinato a un membro della dinastia teodosiana: questa ipotesi potrebbe essere confermata dal materiale usato per i rivestimenti parietali, il porfido rosso, ora scomparso ma attestato da Giuliano da Sangallo (che definisce S. Aquilino “tuto di porfido”).
Al vestibolo si accede attraverso un sontuoso portale scolpito con motivi vegetali e scene di corsa nel circo, di età flavia, altro elemento che arricchiva questi spazi e ne accresceva il carattere monumentale.
Lo spazio interno dell’ottagono era scandito, nel livello inferiore, da nicchie alternatamente rettangolari e semicircolari, nel livello superiore da nicchie rettangolari finestrate e collegate da una galleria ricavata in spessore di muro.
La cupola a padiglione è in mattoni e ha i rinfianchi colmati di anfore annegate nella malta.
Le pareti del vestibolo erano ricoperte in basso di marmi, in alto di mosaici a fondo azzurro con teorie di personaggi biblici, apostoli e martiri su due livelli, inquadrati da paraste: ne restano scarsi resti, integrati da linee e profili sull’intonaco steso al momento della loro scoperta. Anche il sacello ottagono aveva pavimenti e pareti ricoperti da marmi colorati: dagli scarsi resti scoperti in una delle nicchie si è potuto ricostruire che i motivi decorativi erano di tipo geometrico.
Nei semicatini delle nicchie est ed ovest sopravvivono ampie tracce dei mosaici originari.
Il primo, meglio conservato, raffigura Cristo docente fra gli apostoli, Cristo è rappresentato imberbe con una mano benedicente e l'altra che tiene i rotoli delle leggi, rappresentati anche ai suoi piedi all'interno di una cesta. Gli Apostoli indossano gli abiti tipici dei Senatori romani, hanno pose molto naturalistiche e sono caratterizzati da volti diversi gli uni dagli altri. La figura del Cristo presenta molte affinità con quella del mosaico della chiesa di Hosios David a Tessalonica.


L'altra è una scena di difficile interpretazione (L'ascensione di Elia? Il Cristo/Sol invictus che risveglia i pastori?).


L’altissima qualità di questi mosaici, opera di maestranze di grande abilità, che hanno reso con spiccato senso naturalistico le figure e i paesaggi, fanno rimpiangere la perdita del resto del ciclo (che si estendeva anche alla cupola): in queste due raffigurazioni contrapposte sono state lette le metafore dell’alba (Cristo che risveglia i pastori) e del tramonto (immagine del paradiso). I confronti stilistici con i mosaici della basilica di S. Maria Maggiore a Roma (quarto decennio del V secolo), permettono di ipotizzare una cronologia entro il 450 circa.
Negli spazi della galleria al primo livello rimangono frammenti di affreschi raffiguranti tarsie di marmi colorati: sono coevi all’edificio, e sembrerebbero una soluzione “a risparmio” rispetto ai più costosi sectilia.