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lunedì 10 ottobre 2016

Palaiopanagia, Manolada

Palaiopanagia, Manolada
E' situata nel cimitero del paesino di Manolada

 
In questa chiesa pregò Ferdinando di Majorca prima della battaglia del 5 luglio 1316 (cfr. scheda Morea, Introduzione).
 
 
Dedicata alla Dormizione della Vergine, presenta una pianta a croce libera con bracci della stessa lunghezza, quello occidentale sopravanzato da un nartece a forma di pi greco - coperto da cinque cupolette emisferiche - a formare un deambulatorio che avvolge la navata centrale. Le due campate laterali del nartece comunicano inoltre per mezzo di aperture con il corpo principale della chiesa.
 
Facciata occidentale, ai lati della porta d'ingresso le due croci in blocchi di pietra squadrata sottolineate da una cornice in mattoni.

I larghi blocchi di pietra che formano croci nella muratura dalla facciata occidentale sono caratteristici della seconda metà dell'XI sec e del XII, mantre la loro sottolineautura in mattoni li riferisce alla fase più tarda di questo periodo. La chiesa è sostanzialmente un ibrido, con la parte orientale costruita come una pianta a croce libera che diventa a croce inscritta, per la presenza del nartece, nella metà occidentale. Di particolare interesse il modo in cui è eretta la cupola, che mostra un estremamente raro arrotondamento degli angoli del tamburo.
 

L'interno è affrescato.



lunedì 5 settembre 2016

Monastero delle Blachernae, Killini

Monastero delle Blachernae, Killini

Lato meridionale

Si trova svoltando a sinistra della strada principale (bivio segnalato da un cartello) circa 2.5 km prima dell'abitato di Killini. Il monastero, di cui la chiesa era il katholikon e al cui interno si trova, ospita attualmente una residenza per malati psichiatrici.
Probabilmente la chiesa era già in costruzione all'epoca della conquista latina e fu soltanto ultimata con l'inserimento di elementi gotici come l'anteposizione del porticato sul lato occidentale.


Presenta una pianta basilicale a tre navate con nartece ed esonartece.
La parte occidentale, in particolare il piano superiore del nartece che appare tripartito, presenta finestre a sesto acuto, con sottili colonne poste agli angoli della costruzione, gocciolatoi e altri elementi gotici. Le mensole incassate nella parete ai lati degli ingressi nord e sud indicano inoltre come anch'essi fossero originariamente sopravanzati da portichetti a campata unica.

Il piano superiore del nartece visto dal lato meridionale. Agli angoli della costruzione si notano le sottili colonne ed in basso a sinistra l'inserimento della meridiana. Al di sopra ed al di sotto della bifora, l'inserimento di lastre marmoree di reimpiego.

Il porticato appare ricostruito nel XVIII secolo, così come le volte che ricoprono le navate laterali risalgono ad un epoca più tarda rispetto alla costruzione originale.

Il portico anteposto alla facciata occidentale

Secondo un'ipotesi avanzata da Demetrios Athanasoulis le maestranze che ultimarono la chiesa potrebbero essere le stesse che costruirono la chiesa di Merbaka, in base alla presenza dello stilobate su cui poggiano entrambi gli edifici e all'ampio utilizzo di frammenti marmorei di epoca mediobizantina.

Particolare di un gocciolatoio

Anche la meridiana incassata nella parete meridionale – già in sè piuttosto anomala nel contesto di una chiesa bizantina - appare collocata esattamente nella stessa posizione di quella della chiesa di Merbaka, nella parte occidentale della parete meridionale.
Molto particolare è anche la scalinata addossata al fianco settentrionale della chiesa che conduce al piano superiore del nartece.

Lato settentrionale

All'interno, la rappresentazione dell'Agnus Dei nell'abside ne attesta la dedicazione al rito latino.

Facciata absidale



domenica 4 settembre 2016

Panaghia Katholike, Gastouni

Panaghia Katholike, Gastouni

Lato sud

Datata da una iscrizione 1278-1279, fu fatta edificare dai fratelli Kalligoupolis, esponenti di una
nobile famiglia greca, integratasi al nuovo sistema feudale introdotto dai conquistatori crociati al punto che il fratello più grande aveva assunto il nome francese di Guillaume in omaggio al principe Guillaume II Villehardouin morto nello stesso anno di fondazione della chiesa.


La chiesa è del tipo a croce iscritta a due colonne, con una cupola centrale che poggia su tamburo ottagonale. Abside aggettante esagonale all'esterno.

Lato absidale

La muratura esterna del tipo a "cloisonnè" è arricchita da cornici a dente di sega e da inserti ceramoplastici (pratica quest'ultima importata dall'Italia e diffusasi con la dominazione latina).
L'arco acuto che sormonta l'ingresso settentrionale (oggi murato) mostra anch'esso l'influenza della cultura latina.
 
Lato nord

Caratteri architettonici che compaiono anche in altre chiese edificate nel Peloponneso durante la dominazione latina sono le finestre trilobate con lobi della stessa altezza e incorniciate da una decorazione a mattoni (cfr. la chiesa della Palaiopanagia a Manolada) e il modo in cui le cornici a dente di sega avvolgono le finestre per estendersi, alla base di queste, al resto dell'edificio (cfr. la chiesa di Merbaka).

La finestra trilobata sul lato sud
 
Da notare anche il motivo di corsi di mattoni concentrici che decora il timpano della finestra absidale.

All'interno, nella decorazione parietale si distinguono due strati di affreschi, il più recente dei quali risale al 1702 (Ioannikios Neiros, vescovo di Olena fece ridecorare completamente la chiesa). Dello strato più antico, coevo alla fondazione della chiesa, sono visibili solo dei frammenti.

Volta del braccio settenrionale, resti della decorazione originaria (XIII sec)
 
Agli inizi del XVIII secolo, alla facciata occidentale fu addossato un porticato che venne chiuso e trasformato in esonartece durante il secolo successivo.
Anche le attuali ampie aperture d'ingresso sono aggiunte successive alla fondazione della chiesa.


venerdì 2 settembre 2016

Castello di Patrasso

Castello di Patrasso

La cittadella

Il castello fu fatto costruire da giustiniano, dopo il terremoto del 551, sull'acropoli della città, sulle prime balze del monte Panachaico, reimpiegando materiali provenienti dagli edifici distrutti (in alcuni tratti della muratura riconducibile a quest'epoca si notano ancora i fusti di colonna provenienti dagli antichi templi).

Resti di muratura giustinianea incorporati nel tratto settentrionale delle mura della cittadella 

La fortezza rimase da allora continuativamente in uso fino alla seconda guerra mondiale.
In epoca bizantina fu assediata senza successo da Slavi, Bulgari e Normanni.
Nel 1205 cadde in mano ai crociati e divenne il capoluogo di una delle più estese ed importanti delle 12 baronie in cui fu diviso originariamente il Principato d'Acaia e dove fu infeudato un cavaliere provenzale, Guillaume Aleman. Nel 1278 un suo discendente, Guillaume II Aleman, vendette i diritti sulla baronia all'Arcivescovado di Patrasso che – a parte un breve periodo in cui il vescovo Stefano Zaccaria, fratello dell'ultimo principe di Acaia, Centurione II, lo affidò ai veneziani (1408-1413) – ne rimase proprietario fino al 1430 quando la città, dopo quasi un anno di assedio, fu riconquistata da Costantino Dragaze e tornò in mani bizantine* .
Conquistata dai Turchi nel 1460, fu presa dai veneziani durante la guerra di Morea (1687) che la tennero fino al 1714 quando la città cadde nuovamente in mani ottomane, in cui rimase fino al 1828, quando fu conquistata dal corpo di spedizione francese inviato da Carlo X a sostegno dell'insurrezione greca ed al comando del generale Nicolas Joseph Maison e successivamente consegnato all'esercito di liberazione greco.
Pochi anni dopo,Triantaphyllos Lazaretos, comandante della piazzaforte, fece demolire tutti gli edifici che si trovavano all'interno del castello.

 
1. Fossato esterno
2. Ingresso principale
3. Fossato interno
4. Cittadella
5. Moschea
6. Bastione SE
7. Torre di Patrinella
8. Terrapieno sud
9. Casamatte
10. Torre sud
11. Ingresso meridionale
12. Torrione circolare (veneziano)
13. Opera di fortificazione esterna
14. Torrione circolare (ottomano)

nero: resti giustinianei (551)
verde: resti del periodo latino (1205-1278)
giallo: opere veneziane (1408-1413)
azzurro: ammodernamenti di epoca paleologa (1430-1460)
rosso: epoca ottomana

Il castello presenta un'ampia cinta esterna, rafforzata da torri e bastioni e a pianta triangolare, che racchiude un'area di circa 22.600 mq.

La cittadella (4). Nella parte nordorientale, su un rialzo naturale del terreno e preceduta da un fossato, si trova la cinta interna – rafforzata da sei torri (Hexapyrgion) - che racchiude la cittadella. La cittadella – come il resto della fortezza - è stata ampiamente rimaneggiata nel corso del tempo dai diversi proprietari.
 
Il ponte che da accesso alla cittadella e l'antemurale (falsabraga)
 
L'antemurale che precede l'alta cinta muraria è ad esempio un'aggiunta di epoca ottomana mentre, al suo interno, la massiccia torre quadrata a due piani, molto simile al dongione delle coeve fortezze occidentali, risale alla dominazione latina ed ospitava la residenza del feudatario.
 
Il dongione
 
Sempre all'interno, le otto arcate che sostengono il camminamento di ronda sul lato occidentale risalgono al periodo paleologo mentre la merlatura degli spalti risale a quello ottomano.
 
 
A quest'ultimo periodo risale anche l'inglobamento delle due torri quadrate, che si alzavano nei pressi dell'angolo settentrionale della cittadella, nella costruzione di un massiccio bastione poligonale.
 
A destra il dongione e a sinistra e in secondo piano il bastione poligonale

La sezione settentrionale della cinta muraria esterna conserva ampi tratti della muratura giustinianea, nel cui spessore si osserva l'inserimento di spolia provenienti dagli edifici dell'antica acropoli.
Al breve periodo (1408-1413) in cui la fortezza fu affidata ai veneziani risale invece l'ampio torrione circolare (12) posto all'angolo occidentale del perimetro difensivo ed atto ad ospitare le artiglierie, come quelli successivamente costruiti dagli ottomani a metà delle mura settentrionali (14) e sull'angolo SE (6).

Ingresso al torrione veneziano (12)

Interno del Bastione SE (6)

La torre di Patrinella (7). Si alza all'incirca a metà della sezione meridionale della cinta esterna e deve il suo aspetto attuale ai restauri intrapresi dai Paleologi.
 
 
Secondo la tradizione locale Patrinella, donna di umili origini e dedita alla prostituzione, uccise il figlio avuto dal suo amante dopo che questi l'aveva lasciata piegandosi alla morale pubblica che disapprovava l'unione. Il crimine scioccò la società dell'epoca e Patrinella fu rinchiusa in questa torre da dove continuò a maledire i suoi concittadini e la sua città fino al giorno della sua morte. Dopo la sua morte si trasformò nella cultura popolare in un fantasma evocato dai genitori per spaventare i bambini disobbedienti ma c'è chi ancora giura di averla sentita trascinare le sue catene lungo le mura del castello.

Note:

* Pandolfo Malatesta, nominato arcivescovo di Patrasso da papa Martino V nel 1424, fu l'ultimo ad esercitare sulla diocesi anche il potere temporale.










mercoledì 31 agosto 2016

Castello di Chlemoutsi (Clermont)

Castello di Chlemoutsi (Clermont)

Apertura: 8.000-15.00, chiuso il lunedì


Fu fatto edificare da Goffredo I di Villehardouin tra il 1220 ed il 1223 a conclusione di un contenzioso che lo aveva contrapposto al clero. Il clero era proprietario di circa un terzo delle terre del Principato d'Acaia ma era esentato dal servizio militare, quindi il principe chiese loro di aumentare le donazioni a favore delle spese per la difesa. Al rifiuto del clero, il principe rispose confiscando i beni della chiesa e con questi fondi diede inizio alla costruzione della fortezza.
Il nome di Clermont deriva probabilmente dalla corruzione del locale Chlemoutsi mentre nelle fonti italiane, a partire dal XV secolo compare come Castel Tornese, probabilmente confondendo la collocazione della zecca del principato che si trovava invece nella vicina Clarentza.
Il castello fu eretto sulla collina di Chelonata in una posizione strategica da cui controllava sia la città di Clarentza, il principale porto commerciale del Principato, che quella di Andravida, sede del potere amministrativo.
A dispetto del ruolo strategico della sua posizione e della sua imponenza non fu mai oggetto di importanti operazioni militari e svolse prevalentemente la funzione di prigione per detenuti di alto lignaggio come il generale bizantino Alessio Philes che, catturato dopo la battaglia di Makryplagi (1263), vi morì poco dopo esservi stato rinchiuso.
Alla morte di Guglielmo II Villehardouin (1278), in forza del trattato siglato a Viterbo nel 1267 tra l'imperatore latino di Costantinopoli Baldovino II e Carlo d'Angiò, il Principato passò sotto il controllo angioino ma il castello di Clermont rimase come lascito ereditario, insieme alla baronia di Kalamata, alla vedova Anna (Agnese) Angelina Comnena d'Epiro, terza moglie di Guglielmo II e figlia del despota epirota Michele II.
Nel 1280 Anna si risposò con il barone Nicola II di Saint Homer, signore della metà di Tebe, e l'anno successivo fu raggiunto un accordo con gli angioni in base al quale il castello passò sotto il loro controllo. Negli anni '90 vi fu detenuto come ostaggio il futuro despota d'Epiro Tommaso I Ducas Comneno.
Nel 1314 vi fu imprigionata Margherita di Villehardouin, figlia di Guglielmo II Villehardouin e Anna Angelina Comnena, che rivendicava i suoi diritti sul principato e che vi morì l'anno seguente. Nel giugno del 1315 il castello fu conquistato da suo genero Ferdinando di Majorca prima di essere sconfitto e ucciso nella battaglia di Manolada (5 luglio 1316) da Luigi di Borgogna, secondo marito di Matilde d'Hainault - figlia di Florent d'Hainault e della figlia maggiore di Guglielmo II Villehardouin, Isabella - che reclamava anch'egli il diritto alla successione.
Nel 1418 il castello passò sotto il controllo del despota epirota Carlo I Tocco e nel 1428 fu ceduto all'allora despota di Morea Costantino Dragaze come parte della dote nuziale di Maddalena Tocco.
Nel 1446 Tommaso Paleologo vi fece rinchiudere il figlio illegittimo di Centurione II – Giovanni Asen Zaccaria – che reclamava il titolo del padre e che riuscì a evadere nel 1453 ponendosi a capo di una rivolta.
Con la conquista ottomana (1460) il castello perse la sua importanza strategica.
Rimasto in mano ai veneziani al termine della guerra di Morea (1699), nel 1701 il provveditore generale di Morea, Francesco Grimani, ne propose lo smantellamento perchè troppo lontano dal mare.
Nel 1825 parte delle mura furono bombardate dalle artiglierie di Ibrahim Pascià per impedire agli insorti greci di utilizzarlo.
Rispetto alla conformazione originale, nel corso del tempo, le uniche trasformazioni furono realizzate dagli ottomani, principalmente per adeguare le difese al fuoco d'artiglieria.

Il cuore del castello presenta la forma di un esagono irregolare a cui si addossa sul lato occidentale, dove il pendio è meno scosceso, un'opera poligonale, le cui mura abbracciano un'ampia corte centrale.
L'ingresso principale alla cinta esterna si trovava originariamente al termine di un recesso del muro di NO sbarrato da una saracinesca. Il recesso fu riempito dagli ottomani per ripristinare la continuità della muratura. Furono anche aggiunti dei contrafforti dove le nuove mura si congiungevano alle vecchie mentre fu lasciato a cielo aperto lo spazio tra la nuova porta e quella originaria.

L'ingresso principale come si presenta attualmente

Sul lato interno, sono addossati alle mura una serie di edifici, quello meglio conservato si trova in prossimità della porta, che erano adibiti a caserme e stallaggi o magazzini e che risalgono alla fondazione del castello. Il parapetto merlato con cui culminano le mura risale invece ad epoca ottomana.

L'ingresso principale visto dall'interno
 
Le mura del lato a sinistra dell'ingresso, nel punto dove si congiungono con quelle della fortezza interna, presentano una posterla ed all'interno, quasi in corrispondenza ad essa una scalinata di pietra che conduce al cammino di ronda. Sul lato opposto, presentano invece un'unica torre semicircolare, molto probabilmente un'aggiunta ottomana, così come il terrapieno costruito all'interno delle mura in corrispondenza dell'angolo SO e destinato ad accogliere una batteria di artiglieria.
 
La torre circolare di epoca ottomana
 
Dietro l'edificio in primo piano, la piazzola per l'artiglieria costruita in epoca ottomana
 
Il tratto meridionale delle mura presenta una rientranza di 5 m all'incirca a metà del suo decorso, dove si apre un'altra posterla. Questo tratto di mura presenta inoltre evidenti tracce di riparazioni (con frammenti di tegole e corsi di pietra) di epoca ottocentesca perchè nel 1825 furono cannoneggiate da Ibrahim Pascià.
La fortezza interna ha una cinta a pianta esagonale, rafforzata sul lato occidentale da due torri circolari (ma con la base a pianta quadrata).

Le due torri circolari che rafforzano il tratto occidentale delle mura della fortezza interna
 
L'ingresso si trova in un avancorpo sul lato settentrionale ed è formato da un passaggio a volta che attraverso una doppia porta introduce alla corte interna.
L'ingresso alla fortezza interna. Sulla sinistra s'intravedono la posterla aperta nelle mura della fortezza esterna e la scalinata che conduceva al camminamento di ronda
 
A sinistra della prima porta e a livello del piano superiore si nota una piccola abside che apparteneva alla cappella che era dedicata a Santa Sofia. La cappella era un tempo interamente affrescata ed era illuminata da quattro ampie finestre ad arco acuto che si aprivano sulla corte.

L'abside della cappella
 
All'interno, attorno alla corte centrale, si dispone una serie continua di edifici a due piani, separati da un solaio di legno, oggi in gran parte crollato, un tempo sostenuto da archi traversi impostati su pilastri laterali addossati alle pareti e su una serie di pilastri centrali. Il piano superiore era costituito da una serie di gallerie coperte da una volta a ogiva, interrotte ogni 7-10 m. da muri traversi, mentre ampie finestre si aprivano verso la corte interna.

La corte della fortezza interna
 
Nell'ala a destra dell'ingresso (circa 300 mq.), si svolgevano le funzioni pubbliche (le udienze del principe, la sua proclamazione, i banchetti, etc.). L'accesso al piano superiore di quest'ala – che aveva un'estensione continua, priva cioè dei muri traversi di separazione che si trovano in corrispondenza dei piani superiori degli altri settori - avveniva per mezzo di una scalinata di pietra che terminava con un'ampia balconata che dominava la corte.

Resti della scalinata che conduceva alla sala delle udienze
 
La fortezza interna è stata assai meno rimaneggiata di quella esterna in epoca ottomana e rappresenta tuttora un esempio abbastanza tipico dell'architettura militare occidentale del XII sec. trapiantata in Grecia. Mancando però gli elementi caratteristici del gotico, la si direbbe più che altro una forma di transizione dal romanico.
 
Nel museo: in alcune sale del castello è allestita una mostra permanente che raccoglie interessanti reperti provenienti dagli edifici di matrice latina della regione dell'Elide. Tra questi segnaliamo:
- la pietra tombale di Anna Angelina Comnena ritrovata nella chiesa di S.Sofia di Andravida (cfr. scheda);
- un capitello proveniente dalla stessa chiesa in cui sono scolpite le armi dei Villerhardouin (è forse l'unico esempio ritrovato di queste armi);
- due cornici di finestre gotiche ed un affresco raffigurante un santo militare a cavallo provenienti dalla chiesa di San Francesco a Clarentza;
- un capitello proveniente dal monastero di Isova.


lunedì 29 agosto 2016

Clarentza

Clarentza


Vi si accede per mezzo di un sentiero che parte dall'estremo limite occidentale dell'attuale cittadina di Killini.
Fondata da Guglielmo II Villerhardouin alla metà del XIII secolo sui resti dell'antica città di Killene, Clarentza divenne il porto più importante del Principato d'Acaia attraverso cui si svolgeva il commercio con l'Italia. E' quindi uno dei rari casi in cui i Latini fondarono in Morea una città ex novo.
Nel 1267 il principe d'Acaia Guglielmo II Villehardouin, su concessione del re di Francia Luigi IX, fondò a Clarentza una zecca che battè denari tornesi fino al 1353.
Nel 1278 passò sotto il controllo degli Angioni che impressero alla città un nuovo sviluppo.
Nel 1316 fu conquistata da Ferdinando di Majorca nel corso della guerra di successione che lo contrapponeva a Luigi di Borgogna.
Con la disgregazione del Principato agli inizi del XV secolo iniziò invece il suo declino.
Nel 1407 fu presa e messa a ferro e fuoco da Leonardo II Tocco.
Nel 1414 fu restaurata da Centurione Zaccaria, ultimo principe d'Acaia, per cadere nelle mani dell'avventuriero italiano Franco Oliverio che, alla testa di un centinaio di mercenari, se ne impadronì con un colpo di mano nel 1417-1418 e la tenne fino al 1421-22, quando la vendette al despota epirota Carlo I Tocco.
Assediata da Giovanni VIII Paleologo nel 1427, nel 1428 fu ceduta a Costantino Dragaze, allora despota di Morea, come dote di Maddalena Tocco, la nipote del despota epirota che gli fu data in sposa per sugellare la pace tra i due despotati.
Saccheggiata dai catalani nel 1430, Costantino Dragaze ne fece abbattere le mura nel 1431 per evitare una nuova cattura.
Nel 1432 divenne sede del despota Tommaso Paleologo.
Nel 1460 cadde nelle mani dei Turchi.


1. Chiesa di San Francesco
2. Porta di Andravida
3. Porta di Chlemoutsi
4. Cittadella

La città murata occupava un'area di forma irregolare larga all'incirca 450x350 m, a nord della quale, dove ora si trova una zona paludosa, si apriva il porto interno a ridosso del quale, all'esterno della cinta muraria, sorgeva il quartiere commerciale.
Le mura erano rinforzate da torri e bastioni a pianta quadrangolare nei punti più vulnerabili come gli angoli o le porte, in particolare il bastione settentrionale sul fronte del porto era a pianta pentagonale. Nelle mura si aprivano tre porte, quella del mare ancora non è stata bene individuata, quella orientale – detta anche Porta di Andravida – era rinforzata da una torre ed aveva un ponte in pietra che scavalcava il fossato esterno.

Porta di Andravida (2)

Il ponte che da accesso alla porta

L'ingresso sudorientale (Porta di Chlemoutsi) era costituito da una torre, l'imposta della volta che ne copriva il passaggio è ancora visibile nelle mura.

Porta di Chlemoutsi (3)

La cittadella (4): nell'angolo sudovest della cinta muraria – distrutta da Costantino Paleologo ed oggi segnalata solo da una cresta del terreno lungo la scarpa interna del fossato – un'altra cinta difensiva a forma di pi greco e rafforzata agli angoli da due torri quadrate circonvallava una piccola cittadella. Sull'angolo NO della cittadella si alzava un'altro massiccio torrione, successivamente collassato in mare.

I resti della torre NO franati sulla riva

L'ingresso si trovava in corrispondenza della torre SE ed era inquadrato da una cornice gotica.
Torre SE

La torre NE era a due piani, priva di ingresso al piano terreno e coperta da una volta emisferica

Torre NE

Il riutilizzo di spolia di stile occidentale ed un'iscrizione che mostra la data 1441-42 ne fanno risalire la costruzione al periodo in cui la città era sede del despota Tommaso Paleologo.
 
Chiesa di S.Francesco (1): dedicata a S.Francesco (*), si trova in prossimità dell'attuale ingresso al sito archeologico, e - come la chiesa di Santa Sofia ad Andravida - ospitava anche le assemblee dei nobili latini. Da quanto deducibile sulla base delle notizie riportate dalle fonti scritte, dovrebbe essere stata costruita intorno al 1260.


Presenta una pianta a navata unica (43x15 m.) che termina con un santuario a pianta rettangolare, fiancheggiato da due cappelle laterali. Come nelle chiese di Isova e Andravida soltanto il santuario era coperto da volte a crociera, sostenute da colonne disposte sugli angoli, mentre la nave era coperta da un tetto a capriate.
La chiesa era divisa in due da una parete trasversale, che probabilmente separava il clero dalla congregazione. Presenta due ingressi sui lati lunghi ed un monumentale portale gotico – chiuso in epoca successiva e di cui residua parte della mostra - sulla facciata occidentale. Fotografie scattate prima del 1940, quando le pareti della chiesa furono abbattute dai tedeschi, mostrano la presenza di ampie finestre gotiche (due delle quali sono attualmente visibili nel Museo di Chlemoutsi).

Aspetto attuale del santuario

La chiesa ospitava numerose sepolture, ad arcosolio lungo le pareti e ad altre a fossa che si aprivano sul pavimento. Le pareti erano interamente ricoperte almeno da due strati di affreschi.

La tomba da cui proviene l'affresco

Sopra la tomba inserita nello spessore della muratura di fronte alla cappella settentrionale, è stato recuperato un affresco raffigurante un santo militare a cavallo attualmente conservato nel Museo di Chlemoutsi.

Particolare dell'affresco recuperato

Il fatto che la tomba sia inserita nello spessore della muratura - quindi coeva alla costruzione della chiesa - ha fatto pensare che possa trattarsi della tomba del fondatore.

Sepoltura addossata all'esterno del fianco meridionale della chiesa

Dopo il collasso del monumento, al suo interno, nella parte occidentale, venne costruito un complesso di tre stanze mentre, in epoca recente, nel santuario venne costruita una cappella.

I tre ambienti ricavati all'interno della chiesa, a ridosso della facciata occidentale

Note:

(*) Il Ministro Provinciale francescano per la Romània risiedeva a Clarentza.