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lunedì 6 aprile 2015

I Santi militari

I Santi militari


Il culto per i santi militari comincia ad emergere intorno al IX secolo. Un forte impulso allo sviluppo del loro culto viene infatti dal formarsi di un'aristocrazia militare provinciale, che diverrà sempre più influente nell'impero bizantino e che identifica in essi i propri santi predecessori (*).
Christopher Walter, nella sua monumentale opera di catalogazione, The Warrior Saints in Byzantine Art and Tradition (Ashgate, 2003), raccoglie e analizza le biografie di 75 santi militari. Occorre però notare che non tutti hanno alle spalle un reale curriculum militare: alcuni hanno infatti raggiunto questo particolare status grazie ad interventi a difesa della città di cui erano protettori, o a favore delle armi cristiane più in generale, operati dopo la loro morte. Tra questi il caso più emblematico è quello di San Demetrio di Tessalonica (cfr. scheda) inizialmente raffigurato vestito della semplice clamide diaconale e solo a partire dal IX-X secolo, dopo i suoi interventi a sostegno della città assediata dai nemici, in armatura da soldato romano.

* L'ipotesi avanzata da Bakirtzis  (cfr. Ch. Bakirtzis, Warrior Saints or Portraits of Members of the Family of Alexios I Komnenos? in Mosaic. Festschrift for A. H. S. Megaw, ed. J. Herrin et al., Atene 2001) secondo cui nella chiesa della Panagia Kosmosoteira a Feres (1152) quattro membri della famiglia imperiale comnena, tra cui gli imperatori Alessio I e Giovanni II, sarebbero ritratti nelle vesti di altrettanti santi militari, offrirebbe un inedito riscontro iconografico al processo di identificazione dell'aristocrazia militare con questa categoria di santi.


Artemio: Di nobili origini, per ordine dell'imperatore Costanzo II (337-361), che era di fede ariana, Artemio andò a prendere le reliquie di sant'Andrea apostolo, san Luca evangelista e san Timoteo dai territori oltre il Danubio e le portò a Costantinopoli (3 marzo 357). Costanzo lo compensò nominandolo nel 360 dux Aegypti, governatore militare dell'Egitto.
Entrato in carica, Artemio seguì la politica religiosa del suo imperatore, volta a promuovere l'Arianesimo perseguitando i vescovi fedeli alle posizioni sostenute dal concilio di Nicea. Diede infatti la caccia al vescovo Atanasio di Alessandria, torturando e uccidendo la sua seguace Eudemonia. Quando il patriarca Teofilo di Alessandria ordinò il saccheggio del Serapeo, il tempio dedicato al dio Serapide, la popolazione locale si ribellò: Artemio intervenne ordinando alle proprie truppe di sedare la sommossa con la forza.

San Artemio
chiesa di S.Nicola Orfano, Tessalonica, 1311-1322

Nel 363 Giuliano l'Apostata succedette al cugino Costanzo. La popolazione di Alessandria accusò allora Artemio di malgoverno dinanzi al nuovo imperatore, portando tra gli esempi l'uso delle truppe contro la popolazione nell'episodio del Serapeo. Giuliano fece processare Artemio, il quale fu trovato colpevole e giustiziato nella città di Antiochia.
Non sono quindi molto chiare le ragioni per cui fu santificato dalla Chiesa ortodossa. Teodoreto da Cirro (V sec.) nella sua Historia Ecclesiastica racconta che Artemio avrebbe distrutto numerosi idoli e templi pagani e per questa ragione Giuliano avrebbe in realtà ordinato la confisca delle sue proprietà e la sua decapitazione. Secondo la Passio Artemii - redatta poco prima del X secolo da un certo monaco Giovanni di incerta identificazione - in cui non si fa cenno della sua fede ariana, Artemio sarebbe stato invece messo a morte per essere intervenuto a difesa dei Cristiani perseguitati da Giuliano. Non sempre è raffigurato in abiti militari.

Demetrio di Tessalonica: vedi scheda.

Eucarpio e Trofimo: Eucarpio e Trofimo erano due soldati stanziati a Nicomedia durante il regno di Diocleziano (284-305 che si distinguevano per la particolare ferocia con cui applicavano i decreti anticristiani dell'imperatore.
 
Sant'Eucarpio
Rotonda di San Giorgio, Tessalonica, IV-V sec.
 
Un giorno, mentre avevano appena arrestato alcuni cristiani, videro scendere dal cielo una nuvola di fuoco che prese consistenza avvicinandosi a loro. Dalla nuvola emerse una voce che disse: “Perchè siete così zelanti nel minacciare i miei servi? Non illudetevi, nessuno può sopprimere quelli che credono in Me con tutte le loro forzae! E' meglio che vi uniate a loro e scopriate anche voi il Regno dei Cieli.”
Eucarpio e Trofimo caddero a terra spaventati, non osando alzare gli occhi, e si dissero l'un l'altro: “Davvero questo è il grande Dio, che si è manifestato a noi. Faremmo bene a diventare i Suoi servitori ”. Quindi il Signore parlò dicendo:“ Alzatevi e pentitevi, perché i vostri peccati sono perdonati ”. Mentre si alzavano, videro nella nuvola l'immagine di un Uomo che emanava raggi e una grande moltitudine in piedi attorno a lui.
Attoniti, gridarono con una voce sola: “Accoglici, Signore, perchè abbiamo peccato. Non c'è altro Dio all'infuori di te, il Creatore e vero Dio e noi non siamo ancora nel numero dei suoi servi”. Ma in quel mentre la nuvola si sollevò in cielo e scomparve.
Convertiti da questa apparizione, i due santi liberarono tutti i prigionieri cristiani. Per questo vennero imprigionati e sottoposti a tortura, appesi, le loro carni vennero lacerate da ferri acuminati. Quando fu acceso un grande fuoco, Eucarpio e Trofimo vi si gettarono di propria volontà, chiedendo perdono al Signore dei loro peccati e affidandogli le loro anime.

Eustazio (Eustachio) Placido: Placido era un generale romano all'epoca di Traiano (98-117) che, benché pagano, era per sua natura una persona spinta a fare grandi beneficenze. La Legenda aurea racconta che un giorno (100-101) andando a caccia, inseguì un cervo di rara bellezza e grandezza e quando questi si fermò sopra una rupe e volgendosi all’inseguitore, aveva tra le corna una croce luminosa e sopra la figura di Cristo che gli dice: “Placido perché mi perseguiti? Io sono Gesù che tu onori senza sapere”.

San Eustazio
chiesa del Salvatore in Chora, Costantinopoli, 1316-1321

Riavutosi dallo spavento, il generale decise di farsi battezzare prendendo il nome di Eustazio (Eustachio) insieme alla moglie ed ai due figli che presero i nomi di Teopista, Teopisto e Agapio.
Ritornato sul monte, riascoltò la misteriosa voce che gli preannunciava che avrebbe dovuto dar prova della sua pazienza. E qui iniziano i guai, la peste gli uccide tutta la servitù e poi i cavalli e il bestiame; i ladri gli rubano il resto.
Eustazio decide quindi di emigrare in Egitto, durante il viaggio non potendo pagare il nolo, si vede togliere la moglie dal capitano della nave che se n’era invaghito. Sbarcato a terra prosegue il viaggio a piedi con i figli, che gli vengono rapiti uno da un leone e l’altro da un lupo; salvati dagli abitanti del luogo, i due ragazzi crescono nello stesso villaggio senza conoscersi.
Rimasto solo, Eustazio si stabilisce in un villaggio vicino chiamato Badisso, guadagnandosi il pane come guardiano, sta lì per 15 anni, finché avendo i barbari violati i confini dell’Impero, Traiano lo manda a cercare per riportarlo a Roma.



San Eustazio
chiesa del Protaton, Keyres, Monte Athos, 1290-1310

Di nuovo comandante delle truppe, arruola soldati da ogni luogo; così fra le reclute finiscono anche i suoi due figli, robusti e ben educati, al punto che Eustazio pur non riconoscendoli, li nomina sottufficiali, tenendoli presso di sé.
Vinta la guerra, le truppe sostano per un breve riposo in un piccolo villaggio, proprio quello in cui vive coltivando un orto, Teopista, che era rimasta sola dopo la morte del capitano della nave e viveva in una povera casupola. I due sottufficiali le chiedono ospitalità, e nel raccontarsi le loro vicissitudini, finiscono per riconoscersi come fratelli, anche Teopista li riconosce ma non lo dice, finché il giorno dopo presentatasi al generale, per essere aiutata a rientrare in patria, riconosce il marito, segue un riconoscimento fra tutti loro e così la famiglia si ricompone.
Intanto morto Traiano, gli era succeduto Adriano (117-138), il quale accoglie a Roma il generale vincitore dei barbari decretandogli il trionfo. Il giorno seguente, quando doveva partecipare al rito di ringraziamento nel tempio di Apollo, Eustachio si rifiuta essendo cristiano. L’imperatore per questo lo condanna alla morte nel circo insieme aalla moglie ed ai figli, ma il leone per quanto aizzato non li tocca nemmeno e allora vengono introdotti vivi in un bue di bronzo arroventato, morendo subito, ma il calore non brucia loro nemmeno un capello.
I cristiani recuperarono i corpi dei martiri e gli diedero sepoltura, in questo luogo Costantino il grande fece costruire un primo oratorio dedicato a Sant'Eustachio su cui fu in seguito edificata la chiesa ancora esistente. 

Giorgio: Le poche notizie pervenute sono contenute nella Passio Georgii – che però il Decretum Gelasianum del 496, classifica tra le opere apocrife (supposte non autentiche, contraffatte). Nel De situ terrae sanctae di Teodoro Perigeta (530 ca.) si attesta che a Lydda in Palestina (l'attuale Lod presso Tel Aviv in Israele) vi era una basilica costantiniana, sorta sulla tomba di san Giorgio e compagni, martirizzati verosimilmente nel 303, durante la persecuzione di Diocleziano (detta basilica era già meta di pellegrini prima delle Crociate, fino a quando il Saladino non la fece abbattere).
La notizia viene confermata anche dall'Itinerarium Antoninii (570 ca.) (*), dal monaco Adamnano di Iona (De locis sanctis, 698 c.ca) e da un’epigrafe greca, rinvenuta ad Eraclea di Betania datata al 368, che parla della “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”.
I documenti successivi, che sono nuove elaborazioni della passio sopra citata, offrono notizie sul culto, ma sotto l’aspetto agiografico non fanno altro che complicare maggiormente la leggenda, che solo tardivamente si integra dell’episodio del drago e della fanciulla salvata dal santo.
Dalla passio apprendiamo che Giorgio era nato in Cappadocia ed era figlio di Geronzio persiano e Policronia cappadoce, che lo educarono cristianamente; da adulto divenne tribuno dell’esercito di Diocleziano. Alla proclamazione del primo editto dioclezianeo contro i cristiani (303) il tribuno Giorgio di Cappadocia distribuì i suoi beni ai poveri e dopo essere stato arrestato per aver strappato l’editto, confessò davanti al tribunale la sua fede in Cristo; al rifiuto di abiurare fu sottoposto a tortura e poi buttato in carcere. Qui ha la visione del Signore che gli predice sette anni di tormenti, tre volte la morte e tre volte la resurrezione.
E qui la fantasia dei suoi agiografi, spazia in episodi strabilianti, difficilmente credibili: vince il mago Atanasio che si converte e viene martirizzato; viene tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade; risuscita operando la conversione del magister militum Anatolio con tutti i suoi soldati che vengono uccisi a fil di spada; entra in un tempio pagano e con un soffio abbatte gli idoli di pietra; converte l’imperatrice Alessandra che viene martirizzata; l’imperatore lo condanna alla decapitazione, ma Giorgio prima ottiene che l’imperatore ed i suoi settantadue dignitari vengano inceneriti; promette protezione a chi onorerà le sue reliquie ed infine si lascia decapitare.


San Giorgio
chiesa del Salvatore in Chora, Costantinopoli, 1316-1321

Il culto per il martire iniziò quasi subito, come dimostrano i resti archeologici della basilica eretta qualche anno dopo la morte (303?) sulla sua tomba nel luogo del martirio a Lydda. La leggenda del drago comparve soltanto molti secoli dopo in epoca medioevale, quando il trovatore normanno Wace (La vie des Saints, 1170 ca.) e soprattutto Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea, fissano la sua figura come cavaliere eroico.
Essa narra che nella città di Silene in Libia, vi era un grande stagno, tale da nascondere un drago, il quale si avvicinava alla città, e uccideva con il fiato quante persone incontrava. I poveri abitanti gli offrivano per placarlo, due pecore al giorno e quando queste cominciarono a scarseggiare, offrirono una pecora e un giovane tirato a sorte.
Un giorno fu estratta la giovane figlia del re, il quale terrorizzato offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma il popolo si ribellò, avendo visto morire tanti suoi figli, dopo otto giorni di tentativi, il re alla fine dovette cedere e la giovane fanciulla piangente si avviò verso il grande stagno.
Passò proprio in quel frangente il giovane cavaliere Giorgio, il quale saputo dell’imminente sacrificio, tranquillizzò la principessina, promettendole il suo intervento per salvarla e quando il drago uscì dalle acque, sprizzando fuoco e fumo pestifero dalle narici, Giorgio non si spaventò, salì a cavallo e affrontandolo lo trafisse con la sua lancia, ferendolo e facendolo cadere a terra.
Poi disse alla fanciulla di non avere paura e di avvolgere la sua cintura al collo del drago; una volta fatto ciò, il drago prese a seguirla docilmente come un cagnolino, verso la città. Gli abitanti erano atterriti nel vedere il drago avvicinarsi, ma Giorgio li rassicurò dicendo: Non abbiate timore, Dio mi ha mandato a voi per liberarvi dal drago: Abbracciate la fede in Cristo, ricevete il battesimo e ucciderò il mostro.
Allora il re e la popolazione si convertirono e il prode cavaliere uccise il drago facendolo portare fuori dalla città, trascinato da quattro paia di buoi.
La leggenda era sorta al tempo delle Crociate, influenzata da una errata interpretazione di un’immagine di Costantino il grande, trovata a Costantinopoli, dove il sovrano schiacciava col piede un drago, simbolo del “nemico del genere umano”.
La fantasia popolare e i miti greci di Perseo che uccide il mostro liberando la bella Andromeda, elevarono l’eroico martire della Cappadocia a simbolo di Cristo, che sconfigge il male (demonio) rappresentato dal drago. I crociati accelerarono questa trasformazione del martire in un santo guerriero, volendo simboleggiare l’uccisione del drago come la sconfitta dell’Islam. L'anonimo autore (probabilmente un semplice soldato al seguito di Boemondo di Taranto) della cronaca della prima crociata nota come Gesta Francorum (1100-1101) lo descrive intervenire insieme a San Demetrio e San Maurizio a fianco dei crociati il 28 giugno del 1098 nella battaglia contro l'esercito dell'atabeg di Mosul, Kerbogha, che stava assediando Antiochia.
San Giorgio è per altro onorato anche dai musulmani, che gli diedero l’appellativo di ‘profeta’.

(*) L'Itinerarium Antoninii è stato a lungo ritenuto opera di Antonino da Piacenza, un martire piacentino delle persecuzioni dioclezianee, è invece quasi sicuramente opera di un pellegrino devoto al santo martire che descrive il suo viaggio in Terrasanta effettuato intorno al 570.

Maurizio: generale dell'esercito romano sotto l'imperatore Massimiano (286-305), comandava la leggendaria Legione Tebana (*) interamente formata da soldati reclutati nell'Alto Egitto e per la gran parte cristiani. Inizialmente stanziata in Mesopotamia, ai confini orientali dell'impero, la legione fu trasferita nell'Europa centrale (300 c.ca) per contrastare la pressione che le tribù barbare dei Quadi e dei Marcomanni esercitavano sul confine delle Gallie e reprimere la rivolta che era scoppiata tra le popolazioni locali. Secondo alcune versioni, dopo essersi comportati valorosamente in battaglia, i legionari rifiutarono di sacrificare agli dei di Roma, secondo altre rifiutarono di sterminare gli abitanti di un villaggio nei pressi di Agaunum (l'attuale Saint Maurice en Valais, in Svizzera) perchè quasi tutti cristiani come loro. In conseguenza dell'insubordinazione, Massimiano ordinò la decimazione della legione, ma i legionari, confortati dal loro comandante, rimasero fermi nel loro rifiuto. Massimiano ordinò quindi un'altra decimazione e procedette finchè tutti i legionari (gli effettivi di una legione romana erano all'epoca circa 6.600) non furono uccisi.
Le notizie più antiche dell'episodio provengono dalla Passio Acaunensium martyrum attribuita al vescovo di Lione sant'Eucherio (380-449). Alcune contraddizioni, come il fatto che la decimazione non fosse più in uso nell'esercito romano da molti anni, fanno però dubitare della veridicità dell'episodio. Nel corso del tempo, diversi commilitoni di Maurizio – come sant'Urso, san Vittore di Xanten o san Gereone - sono anch'essi divenuti oggetto di venerazione.

(*) L'esistenza di una Legio I Maximiana, nota anche come Legio Maximiana Thebaeorum, è riportata nella Notitia Dignitatum (un documento redatto tra la fine del IV e gli inizi del V secolo che contiene un elenco delle unità militari dell'esercito romano).

 
Mercurio di Cesarea: Figlio di un cristiano di origini scite che lo fece battezzare con il nome di Filopatros, fu arruolato nell'esercito romano e servì sotto l'imperatore Decio (249-251). Assegnato alla legione dei Martenses stanziata in Armenia, si distinse per il valore militare dimostrato combattendo contro i persiani e raggiunse rapidamente il grado di generale.

San Mercurio
chiesa della Teotokos Peribleptos (San Clemente), Ocrida, Macedonia, 1295

Divenne noto con il soprannome di “Mercurio” attribuitogli dai commilitoni per le sue virtù militari. Allo scatenarsi delle persecuzioni anticristiane, non rinnegò il suo battesimo e venne condannato a morte. Fu legato a quattro pali e tagliato con coltelli per tutto il corpo, mentre sotto di lui divampava un fuoco, le cui fiamme venivano spente dal suo stesso sangue. Poi venne sospeso per la testa, con un macigno attaccato ai piedi. Quindi venne flagellato con fruste metalliche. Alla fine, portato a dorso d'asino a Cesarea di Cappadocia, sua città natale, venne decapitato (250 c.ca). Quando subì il martirio aveva 25 anni. Era di corporatura imponente, splendido alla vista, biondo, con le guance rosate.

San Mercurio
Hosios Loukas, Beozia, XI sec.

Più di cento anni dopo la sua morte, quando il 26 giugno 363 l'imperatore Giuliano l'apostata morì in circostanze non del tutto chiare colpito a morte da un giavellotto non si sa bene da chi scagliato, prese corpo la leggenda, probabilmente diffusa inizialmente dagli stessi cristiani – riportata per la prima volta nella Cronografia di Giovanni Malalas (VI sec.) e, successivamente, anche da Jacopo da Varagine nella Legenda aurea (XIII sec.) - che fosse stato ucciso da San Mercurio per ordine della Vergine implorata da San Basilio di liberare i cristiani dalle persecuzioni avviate dall'imperatore apostata. Per questa ragione il santo è a volte raffigurato nell'atto di trafiggere con una lancia l'imperatore Giuliano.


San Mercurio mentre uccide Giuliano
Monastero di Sant'Antonio sul Mar Rosso, 1232-1233
 
Nestore di Tessalonica: Discepolo di san Demetrio fu martirizzato insieme a lui a Tessalonica (vedi scheda).
 
San Nestore di Tessalonica
Nea Moni, Chios, XI sec.


Procopio: Eusebio di Cesarea (265-340) nel suo I martiri di Palestina lo indica come primo martire di Palestina, dove i decreti di Diocleziano contro i cristiani del 303 ebbero immediata attuazione.
Procopio era nato a Gerusalemme da padre cristiano e madre pagana che gli avevano dato il nome di Nenias. Morto il padre, fu cresciuto ed educato dalla madre nella religione pagana. Raggiunta la maggiore età fu notato da Diocleziano che lo prese a palazzo per svolgervi il servizio militare.
Quando l'imperatore decise di dare inizio alle persecuzioni anticristiane, ordinò a Nenias di recarsi ad Alessandria al comando di un distaccamento e sterminare i cristiani. Durante il viaggio, nella notte la terra fu scossa da un terremoto ed una croce sfolgorante apparve a Nenias mentre una voce gli diceva: io sono Gesù, il figlio crocefisso di Dio, in questo segno sconfiggerai i tuoi nemici e la mia pace sarà con te. Questa visione cambiò la vita di Nenias, che, anziché eseguire gli ordini dell'imperatore, lanciò il suo distaccamento contro gli arabi che stavano assediando Gerusalemme.
Entrato in città da vincitore, si presentò alla madre dichiarandole di essere cristiano. Portato davanti al governatore, depose ai suoi piedi il cinturone e la spada a significare che egli era soltanto un soldato del Cristo re. Richiesto di fare libagioni ai tetrarchi, rispose con un verso di Omero: Non è bene che vi sia un governo di molti; uno sia il capo, uno il re. Dopo essere stato torturato fu rinchiuso in prigione dove il Signore lo visitò nuovamente e lo battezzò con il nome di Procopio.
Quando fu condotto al patibolo, Procopio levò le braccia al cielo e pregò per i poveri ed i derelitti, gli orfani e le vedove e per la Santa Chiesa, poi offrì serenamente il collo alla spada del carnefice. Era l'8 luglio del 303.

San Procopio
chiesa del Salvatore in chora, Costantinopoli, 1316-1321

I Quaranta martiri di Sebaste: vedi scheda.

Sergio e Bacco: Sergio e Bacco erano due alti ufficiali dell'esercito del cesare d'Oriente Massimino Daia (305-313) presso la cui corte ricoprivano rispettivamente la carica di primicerius e secundarius delle scholae palatinae (i reggimenti della guardia imperiale). Stanziati in Siria, furono accusati di essere cristiani da chi invidiava la loro posizione; condotti al tempio di Giove ed invitati a sacrificare, essi rifiutarono, venendo così degradati e fatti girare per dileggio per le vie della città, vestiti da donna.
Lo stesso Massimino Daia fece invano un tentativo di farli apostatare, di fronte al loro rifiuto, furono inviati da Antioco, prefetto della provincia siro-eufratese, perché fossero uccisi.
Nel castrum di Barbalisso, Bacco fu sottoposto ad una cruenta flagellazione, tanto spietata che sotto i colpi morì; il suo corpo fu lasciato insepolto, ma di notte i cristiani lo raccolsero seppellendolo in una grotta vicina.
Sergio invece fu costretto a camminare con dei chiodi conficcati nei piedi, attraverso i castra di Saura, Tetrapirgio e Resafa, finché in quest’ultimo presidio fortificato venne decapitato.
Venne sepolto nello stesso luogo dell'esecuzione e sulla sua tomba venne eretto un piccolo martyrion. Al termine delle persecuzioni venne costruita una chiesa dedicata al santo che inglobò il precedente edificio martiriale e che divenne meta di pellegrinaggi.
Nel 491, essendosi l'antico presidio militare notevolmente sviluppato e accresciuto anche grazie al culto per il santo, l'imperatore Anastasio I rinominò l'insediamento Sergiopolis.
Invocati in epoca bizantina come i santi protettori delle milizie sono quasi sempre raffigurati con al collo il maniakion che spettava al loro rango.

I santi Sergio (a sn.) e Bacco (a ds.)
Icona lignea (VII sec?) di probabili origini costantinopolitane, appartenuta al monastero di Santa Caterina nel Sinai ed attualmente conservata presso il Bohdan e Varvara Khanenko Museum di Kiev

I santi Teodori (Teodoro Tirone e Teodoro Stratelatos): vedi scheda