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domenica 30 agosto 2015

Santa Maria della croce, Casarano

Santa Maria della croce, Casarano

Facciata occidentale

La chiesa di Santa Maria della croce è ubicata nella parte più antica di Casarano conosciuta come Casaranello.
La chiesa presenta attualmente una pianta a tre navate che termina con un santuario tripartito. Molto probabilmente la pianta originaria – che dovrebbe risalire al V-VI secolo – era a croce latina con un'unica navata (1). Non è chiaro però in quale periodo il braccio occidentale della croce sia stato demolito per dar luogo alle tre navate.
La piccola finestra rotonda che si apre nell'attuale facciata, circondata da una fusarola e da una specie di dentellatura consistente in gruppi di tre orecchioni, suggerisce una datazione al XII-XIII secolo.
Le tre navate sono voltate a botte come anche i tre bracci superstiti della croce, mentre alla loro intersezione si eleva una bassa cupola impostata su pennacchi che appare deformata e quasi ellissoidale.

La cupola

Cupola: decorata a mosaico, presenta al centro una croce di colore giallo che campeggia su un fondo verde-mare circondata da un'ampia fascia blu.
Tutta la superficie della cupola è punteggiata di stelle a sei raggi, che finiscono in punti. Le stelle formano cinque cerchi, nel cerchio verde-mare esse sono gialle e bianche, nella zona blu soltanto bianche. L'intera cupola è infine circondata da un'iride formata di piccoli rombi scintillanti di porpora, giallo, bianco e verde. La decorazione richiama molto da vicino quella della calotta del mausoleo di Galla Placidia e, in misura minore, quella del battistero di S.Giovanni in fonte. Ma, mentre a Ravenna il cielo è monocromatico e le stelle lo riempiono senza ordine e senza lasciare il centro libero per la croce, qui il cielo è distinto in due zone da diverse tonalità di colore e le stelle si dispongono in ordini concentrici. Il mosaico ravennate dà quindi una rappresentazione naturalistica del firmamento, quello di S.Maria della croce intrepreta la concezione del cielo dell'astronomia bizantina ripartendolo in due zone: il cielo propriamente detto e lo spazio aereo (stereoma).
Anche lo stile delle forme – dure e sistematiche – delle girali d'acanto nei pennacchi, che non trovano analogie nelle decorazioni musive del mausoleo e del battistero precedentemente citati, sembrano rimandare all'influenza di esempi orientali (2).

I mosaici della volta del braccio orientale sono divisi in tre compartimenti rettangolari, circondati da cinque fregi ornamentali. Il primo ad imitazione di perle e pietre preziose, il secondo costituito da una intrecciatura, il terzo da una specie di dentellatura, il quarto dalla cosiddetta voluta di Vitruvio, il quinto che ripete il motivo del primo.
Il compartimento mediano è inoltre coperto di un ornamento a squame, i due laterali sono decorati da due nastri, l'annodamento dei nastri forma dei cerchi grandi e piccoli, nei quali sono inserite diverse figure. Nei compartimenti laterali si osserva centralmente una piccola croce e nei diversi cerchi e pennacchi sono raffigurate delle anitre, degli uccelli acquatici a gambe lunghe, un pesce, una lepre, un grappolo d'uva, ecc.

Affreschi:
Sul secondo pilastro di destra (ora staccato e spostato sulla parete sud) è ritratto papa Urbano VI (1378-1389) - il predecessore di papa Bonifacio IX (1389-1404) che era originario di Casarano, ed è molto probabilmente riferibile a quest'epoca - ma era sovrapposto ad affreschi del X-XI secolo (la Santa Barbara riportata in luce sul pilastro) come evidente anche nel pilastro di faccia dove, al di sotto dell'intonaco caduto, è appasa una Madonna in trono con il Bambino.
Su quest'ultimo affresco compaiono diverse iscrizioni, purtroppo in parte mutile.
Una in particolare - composta di 15 righe e situata nella parte sinistra - riporta, anche se in maniera incompleta, la data di riconsacrazione della chiesa e il nome del vescovo di Gallipoli che la riconsacrò. La notizia incisa dal prete Acindino non dovrebbe essere, secondo Jacob (1988), molto più recente dell’affresco stesso e la sua datazione collocarsi tra il 988 e il 1033.

San Nicola e San Demetrio (?)

Al X-XI secolo dovrebbe appartenere anche il dittico sito nell'abside con un santo vescovo e un santo militare: il santo vescovo, è senza dubbio san Nicola, grazie alla scoperta dell'iscrizione esegetica a lato (Stefano Cortese, 2004); l'altro santo indossa la clamide, ha uno scudo, forse san Demetrio o san Sebastiano. Recenti studi hanno attribuito a questo primo ciclo di affreschi anche la santa ubicata in controfacciata (Sabato 2011), vicino la porta d'ingresso, identificata come santa Paraskevi (3).

Nel registro inferiore: L'Ultima cena ed il Tradimento di Giuda; in quello superiore, scene del ciclo di Santa Caterina d'Alessandria.

Alla prima metà del XIII secolo appartengono i frammenti superstiti del Dodekaorton campito lungo la navata centrale: le 4 scene sopravvissute sono il Tradimento di Giuda e l'Uultima cena a sinistra, fronteggiate dall'Anastasis e dalle Pie donne al sepolcro. L'episodio dell'Ultima cena, in particolare,
appare fortemente improntato a stilemi iconografici bizantini (il tavolo a forma di sigma, il parapetasma – la tenda attorcigliata al bastone - che fa da sfondo alla scena e la disposizione del Cristo all’estrema sinistra del tavolo).

Deesis

Allo stesso periodo dovrebbe risalire anche la Deesis posta originariamente nell'abside e ora ubicata nella navata meridionale: la singolarità dell'opera è data dal fatto che non è formata dalla consueta triade con il Cristo in trono (benedicente alla greca e con il vangelo aperto) tra la Vergine e san Giovanni Evangelista: in questo caso, compare infatti una quarta figura a sé stante, forse Santa Caterina o Santa Margherita di Antiochia (Falla Castelfranchi, 2004).
Qualche decennio più tardi vengono affrescati, sempre nella navata centrale ma nell'emivolta, i cicli agiografici di Santa Caterina d'Alessandria a sinistra e Santa Margherita di Antiochia a destra, attribuiti ad un pittore di epoca sveva e databili attorno al 1250-1260. Il primo scorre da ovest verso est, mentre il secondo procede in direzione opposta.

Scene del ciclo di Santa Caterina

Scene del ciclo di Santa Margherita di Antiochia

Al tardo XIV secolo va invece riferito l'affresco – peraltro fortemente rimaneggiato nel corso del tempo - una volta collocato nell'abside ed oggi posto nelle vicinanze della sagrestia e raffigurante la Vergine con il braccio il Bambino a cui offre un fiore. In basso a destra s'intravede il volto di un uomo, probabilmente il committente dell'opera.


Note:

(1) Due chiese siciliane nei pressi di S.Croce di Camerina studiate dal D'Orsi e riferibili al VI-VIII secolo presentano anch'esse – come lo stesso mausoleo di Galla Placidia - una pianta a croce latina sormontata da cupola paragonabile a quella di S.Maria della Croce.


(2) Cfr. le bordure del cosiddetto mosaico di Orfeo rinvenuto in una tomba gerosolimitana ed oggi conservato nel Museo archeologico di Istanbul e ritenuto riferibile al IV-V secolo ed il fregio del pavimento musivo della cosiddetta Casa bruciata di Madaba e riferibile al VI-VII sec.).

Mosaico di Orfeo
Museo archeologico di Istanbul

(3) L'identificazione con la santa è suggerita da un confronto con la sua raffigurazione presente nella chiesa di Santa Maria dell'Idri a Nociglia.


sabato 29 agosto 2015

L'abbazia di Sant'Angelo al Raparo

L'abbazia di Sant'Angelo al Raparo

La facciata absidale prima del crollo del tetto e della cupola

Si tratta di un monastero costruito nel 984 da un gruppo di monaci basiliani, guidati da San Vitale da Castronuovo, che trovarono nella grotta di monte Raparo - già dedicata al culto dell'Arcangelo Michele - circondata da vegetazione rigogliosa, una dimora stabile e sicura per sfuggire alle persecuzioni iconoclaste che vessarono molti nuclei di monaci bizantini, costretti a cercare rifugio nelle zone più interne e impervie della Calabria, della Puglia e della Basilicata (come la zona del Raparo), considerata a quei tempi inaccessibile.

La facciata absidale come si presenta attualmente dopo i lavori di restauro non ancora ultimati.

Il katholikon del monastero, edificato al di sopra della grotta, presenta una pianta a navata unica voltata a botte e incrociata da un transetto rudimentale anch'esso voltato a botte. Lateralmente si aprono delle piccole cappelle, le cui volte, simili alle precedenti, si elevano fino al livello della botte centrale. Nel mezzo, su quattro mensoloni ad angolo, s' innalza il tamburo cilindrico, su cui poggia la cupola. All'esterno il tamburo della cupola e l'abside aggettante all'esterno sono decorati con archetti leggermente rilevati. La cupola a calotta è ricoperta da un tetto a gradini.

Della decorazione a fresco si distinguono oggi a malapena alcune figure di santi vescovi disposte in fila nel registro inferiore dell'abside. I santi tengono in mano dei lunghi cartigli che recano scritti in greco salmi in lode dell'Onnipotente. Alcuni sono vestiti con le cappe ornate dalle croci nere dei monaci basiliani e tutti indossano l'omophorion che ne attesta la dignità vescovile.
Secondo le scarse notizie reperibili nelle fonti scritte nell'abside era raffigurata la Comunione degli Apostoli, mentre sul muro a sinistra prima dell'innesto dell'abside, al di sopra dell'altare della prothesis, era raffigurato San Lorenzo, uno dei diaconi della Chiesa, che aveva il compito di assistere il sacerdote ed aiutarlo a distribuire l'eucarestia.


La grotta sottostante è ricca di stalattiti e stalagmiti, con numerose gallerie e vasche a più gradini, bagnate dalle acque della fonte Trigella (dal latino trigelida = molto fredda). Questa ha la particolarità di produrre acqua solo in primavera e in estate, per poi essiccarsi completamente in inverno. L'umanista Giovanni Pontano nel poema Meteore (1505) narra che la fonte è legata alla leggenda della ninfa Ripenia che, per sfuggire al fauno Crapipede, si rifugiò nelle vasche della Trigella. Il fauno per vendicarsi fece prosciugare la sorgente e rese l'acqua non potabile.
Poco dopo l'ingresso si aprono, scavate nel tufo, delle celle, e su una delle pareti dell'angusto corridoio, per cui si accede all'interno, si vede dipinto un religioso inginocchiato davanti alla figura dell'arcangelo Michele rappresentato in abiti regali e con il globo crucigero nella mano sinistra databile all'XI secolo.
 

Dopo il progressivo abbandono, probabilmente nel corso del XVI secolo, dell'insediamento monastico – trasformato in abbazia con il subentrare dei monaci benedettini tra il 1291 ed il 1308 – alcuni dei suoi pregevoli arredi furono trasferiti nella chiesa matrice del paese di San Chirico, dedicata ai SS. Pietro e Paolo, dove ancora si trovano.

Il polittico attribuito a Simone da Firenze: attualmente collocato nel presbiterio a sinistra dell'altare maggiore, fu eseguito nel 1531 circa. Nella predella – opera probabilment di mani d'aiuto - è raffigurata l'Ultima cena. Nel registro sovrastante, da sinistra a destra: San Benedetto, San Michele Arcangelo e San Gregorio Magno. Ai piedi di San Gregorio e di San Benedetto sono inginocchiati rispettivamente, come recita l'iscrizione, Antonio di Sanseverino, che fu abate dell'abbazia di Sant'Angelo e Ugo di Sanseverino, conte di Saponara, committenti dell'opera. Nel registro superiore sono raffigurati la Natività al centro con Santa Lucia e San Donato nelle tavole laterali. Nella cimasa, al centro l'Altissimo, affiancato dalla Vergine Annunciata e dall'Arcangelo Gabriele.
 
 
Al di sopra dell'altare maggiore spicca un Crocefisso ligneo del XIV secolo proveniente anch'esso dall'abbazia di sant'Angelo. 


venerdì 28 agosto 2015

La Basilica di Santa Caterina d'Alessandria, Galatina

La Basilica di Santa Caterina d'Alessandria, Galatina

 
La chiesa fu fatta edificare da Raimondello Orsini del Balzo, marito della contessa di Lecce Maria d'Enghien (cfr. scheda La contea di Lecce e la casa di Brienne), e terminata nel 1391 - come dalla data incisa sull'architrave della porta laterale della chiesa, posta alla sinistra dell’osservatore – con l'intento di diffondere il rito latino. Raimondello fece costruire anche l'attiguo ospedale (attualmente denominato Palazzo Orsini e sede del Municipio) ed un monastero (che non è più quello che vediamo oggi ma quello ricostruito nel XVII secolo a ridosso della chiesa) per i frati francescani della Vicarìa di Bosnia ai quali fu conferito nel 1392, insieme alla cappellanìa dell'ospedale, l'incarico di officiare in latino nella chiesa di S.Caterina.
Secondo la tradizione, nel corso di una spedizione in Terrasanta, Raimondello visitò il monastero sinaita di Santa Caterina dove riposano le spoglie della santa. Mentre si inginocchiava per baciare la mano della salma, le sottrasse un dito (nascondendolo in bocca dopo averlo morso) che riportò nel Salento ed attorno al quale fece erigere la chiesa a lei dedicata.
La chiesa fu costruita sui resti di una preesistente chiesa bizantina risalente al IX-X secolo le cui tracce sono ben visibili nel muro esterno della navata destra in cui è stata inglobata l'abside.
La facciata si presenta tricuspidale, con tre portali splendidamente ornati da intagli in pietra leccese, in doppia fascia su quelli laterali e in tripla fascia su quello centrale.
La cuspide centrale sovrasta di molto quelle laterali. Al fastigio, sotto il cornicione, la facciata è ornata con archetti rampanti ciechi a tutto sesto trilobati. Lo stesso motivo decorativo adorna anche le cuspidi minori e ricorre sulle pareti superiori della navata maggiore e su quella della navata laterale di destra. Su quella di sinistra esso è scomparso a motivo della nuova costruzione seicentesca del convento che venne addossata alla chiesa. Il portale principale ha un pròtiro, ridotto ora a due colonne che poggiano su due leoni stilofori e sorreggono due aquile.
In origine il pròtiro si componeva di quattro colonne e il sagrato, con un declivio da uno a cinque gradini davanti alla chiesa, era delimitato da quattro esili tronconi di colonne marmoree che, avanzi del primitivo convento, erano state poste a uguale distanza tra loro a due metri dalla facciata. Sull’architrave del portone centrale, il bassorilievo di Gesù assiso tra i dodici Apostoli richiama la decorazione dei sarcofagi romani del IV secolo.

 
La facciata è divisa orizzontalmente in due sezioni poste su piani differenti: la superiore rientrante e l' inferiore sporgente.
La sezione superiore, ornata con archetti rampanti, ha tre acroteri: una croce al centro, San Francesco d’Assisi, a destra, e San Paolo Apostolo, a sinistra.
Al centro il rosone che illumina l’interno, contornato da due fasce riccamente intagliate e sormontato da un mezzo architrave aggettante di pietra finemente intagliata.
Dodici esili colonnine, a guisa di raggiera, partendo dall’esterno si fermano intorno ad un cerchio più piccolo che racchiude le armi dei Del Balzo, a vetri colorati legati in piombo.
Le cuspidi minori, un po’ rientranti, sono ornate come la maggiore, con archetti rampanti, ed hanno due grandi occhi ciascuna: i maggiori, verso l’esterno, ed i minori, dalla parte interna, collocati in asse con i portali laterali.
Proseguendo l'esame esterno dell'edificio troviamo una grande edicola di forma ottagonale che costituisce l'abside con cui termina la nave, aggiunto da Giovanni Antonio Orsini del Balzo, intorno al 1460. Questa parte che doveva servire al grande edificio "quasi di lanterna per renderlo luminoso" si differenzia molto anche architettonicamente dal restante corpo di fabbrica. E’ costruita su una base di forma ottagonale, con sette grandi finestre a strombo interno ed esterno, cinque delle quali sono aperte e due murate. Fasci di colonne polìstili suddividono il perimetro interno in otto lati. Le grandi luci delle finestre (m. 7 di altezza) si aprono sui muri perimetrali, divisi dalle colonne, e poggiano su mensole con fregi a piccoli archi. Lo stesso motivo ornamentale degli archetti trilobati è ripetuto al vertice.
La cupola esterna è nascosta da una balaustra traforata cuspidale, conservata solo in parte; e la sua copertura è a scalea.
Sempre all’esterno le grandi finestre sono sormontate dalle armi delle famiglie: del Balzo,Orsini,d’Enghien, Colonna e Clermont (Chiaromonte), inquartate.

 
L'interno della chiesa si presenta a cinque navate, le due intermedie adibite ad ambulacri, che terminano tutte con un abside. La navata centrale, lunga 50 metri, dalla porta al coro, si slancia verso l’alto, essendo molto più larga e sovrastando di molto le navate laterali minori. Da questa, centrale, si accede ai deambulacri e da essi alle navate laterali per mezzo di tre grandi archi a sesto acuto ribassato. Fasci di sette colonne polìstili dividono la nave centrale in tre campate, la quarta campata, corrispondente all’attuale presbiterio, costituiva l’abside della chiesa costruita da Raimondello ed era sopraelevata rispetto al restante piano della chiesa.
Dal vano del presbiterio si sviluppa il coro ottagonale aggiunto verso il 1460 da Giovanni Antonio Orsini del Bal­zo. All'impianto e alla penombra delle campate si contrappone quest'ultimo vano invaso dalla luce che penetra attraverso cinque dei sette finestroni. Secondo alcu­ni studiosi il coro ottagonale sarebbe stato aggiunto alla chiesa per conferire più giuste proporzioni all'edificio, ma soprattutto per ospitare il mauso­leo dello stesso Giovanni Antonio Orsini del Balzo.
 
Affreschi
Il programma iconografico, ritenuto frutto della committenza di Maria d'Enghien - che guardava alla basilica non tanto sotto la prospettiva del fedele quanto secondo un'ottica tutta politica in cui operava una identificazione tra se stessa e Santa Caterina d'Alessandria - in base a considerazioni stilistiche, araldiche (gli stemmi presenti negli affreschi) e storiche, è probabile che sia stato realizzato in un arco di tempo compreso tra il 1419 (anno del matrimonio tra il figlio della contessa Giovanni Antonio e Anna Colonna) e il 1435. Dal punto di vista stilistico e formale gli affreschi rimangono un problema, poiché le maestranze operanti in Galatina non sono affatto omogenee.
Soltanto il pannello raffigurante Sant'Antonio Abate (sulla faccia interna del pilastro orientale della navata laterlale) reca una firma e una data: Franciscus de Arecio fecit anno 1435.
Sant'Antonio Abate
 
Un primo pittore si può individuare nelle scene dell'Apo­calisse della prima campata, in cui sono ravvisabili affinità con la pittura padana e umbro-marchigiana. Le corrispondenze tra le singole scene del Ciclo dell'Apocalisse ed il testo giovanneo sono illustrate in Massimo Negro, Galatina. La Basilica di Santa Caterina e l'Apocalisse, 2013, a cui si rimanda. Qui ci si sofferma soltanto sulla raffigurazione di Babilonia (nella lunetta che sovrasta il portale d'ingresso nella controfacciata): Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna. La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d’oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d’oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione. Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: “Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra” (Apocalisse, XVII, 3-5).
 
 
La donna porta i capelli raccolti secondo l'uso delle nobildonne e non sciolti come se fosse una semplice prostituta perchè, ancorchè tale, è pur sempre una regina. Secondo alcuni studiosi, per volere di Maria d'Enghien, avrebbe le fattezze dell'odiata cognata Giovanna II di Napoli.
 
Nelle vele della volta della seconda campata sono raffigurati il Trionfo della Chiesa ed i Sette Sacramenti.
 
 
Nella vela orientale la Chiesa è personificata in un pontefice sostenuto da Cristo in sembianze giovanili – entrambi racchiusi in una mandorla – che porge le chiavi a San Pietro ed il libro della Legge a San Paolo. In alto due angeli sostengono un baldacchino a forma d'ombrello, simbolo delle chiese insignite del titolo di basilica. Nella vela meridionale sono rappresentati Battesimo e Cresima. La vela occidentale è divisa in tre sezioni con Confessione (un sacerdote seduto nel confessionale raccoglie la confessione di un penitente, a sinistra si osserva un gruppo di flagellanti), Eucaristia e Sacerdozio (un vescovo infonde il sacro crisma sulle mani di uno dei diaconi genuflessi ai suoi piedi, mentre in alto il Cristo benedicente ratifica l'atto compiuto dal vescovo). Nella vela settentrionale sono infine rappresentati Matrimonio ed Estrema unzione. Nella sposa (incinta), secondo alcuni, sarebbe stata ritratta la stessa Maria d'Enghien.
 
 
Qui è stata individuata una mano diversa (quella del cosiddetto Maestro delle Vele) da quella del Ciclo dell'Apocalisse, dotata di una sottile vena decorativa di carattere familiare, che ricorda i maestri dell'Italia centrale e a cui vengono attribuiti anche le scene della Vita e del Martirio di Santa Caterina nel presbiterio e quelle della Vita di Maria nella navata destra.
Sulle pareti della seconda campata sono affrescate le scene del ciclo della Genesi attribuite ad una mano ancora diversa, di chiara matrice giottesca, a cui viene attribuito anche il Ciclo cristologico sulle pareti della terza campata.
 
Eva tentata dal serpente
 
Nella testa del serpente che tenta Eva sarebbero nuovamente riprodotte le sembianze di Giovanna II di Napoli. 

Eva mangia il frutto proibito

Nella scena in cui Adamo ed Eva mangiano il frutto proibito, si può notare come non si tratti di una mela ma piuttosto di un fico o di un dattero (cfr. scheda La cripta del peccato originale, nota 1) mentre nel Ciclo di Cristo, questi viene tentato due volte, una da un diavolo vestito da francescano e l'altra da un diavolo vestito da domenicano a significare che il male si nasconde dove meno te l'aspetti.
Nelle vele della volta della terza campata sono raffigurate le Schiere angeliche e sulle pareti – come già detto – le scene del Ciclo di Cristo.
Le pareti del presbiterio sono invece occupate da diciassette riquadri che illustrano la Vita ed il Martirio di Santa Caterina.
Parte del ciclo di Santa Caterina affrrescato sulla parete sinistra del presbiterio con il cenotafio di Raimondello Orsini del Balzo. Al termine del coro s'intravede quello del figlio Giovanni Antonio 
 
Sulla parete della navata destra è illustrato il racconto della Vita di Maria come narrata nell'apocrifo Protovangelo di Giacomo. Infine, conformemente al programma iconografico delle chiese bizantine, la parte inferiore delle pareti della basilica è coperta da figure di santi: anche gli ambulacri e i sottarchi sono abbelliti con riquadri isolati. In un riquadro nell'ambulacro di destra, in cui è raffigurato l'imperatore Teodosio che bacia il piede del Bambino in braccio alla Vergine con accanto S.Giuseppe, nella donna alle spalle della Vergine, che fissa lo spettatore a braccia conserte, potrebbe nuovamente essere ritratta la committente Maria d'Enghien.
 
 
Sepolture
Cenotafio di Raimondello Orsini del Balzo: Originariamente il monumento aveva una collocazione diversa. Era infatti collocato sulla parete di fondo dell'abside originaria, che è poi l’attuale presbiterio, nel posto d’onore, alle spalle dell’altare maggiore. Dovendosi costruire la nuova abside, l’attuale coro di forma ottagonale, questo monumento venne rimosso e riposizionato , in cornu evangeli, rovinando anche alcuni affreschi preesistenti. Il cenotafio si presenta mutilo nella parte superiore, mandata in pezzi da un fulmine il 19 novembre 1867.
Due colonne con capitelli traforati, floreali, sorreggono un sarcofago su cui è scolpita l’immagine del principe rappresentato disteso, vestito dell’abito dei frati francescani. Due angeli sollevano una tenda per lasciar vedere la figura giacente sul letto di morte, con la testa ricoperta da un cappuccio poggiata su di un cuscino di stelle. La parte superiore del sarcofago ha una fascia con tracce di una iscrizione, in caratteri gotici, ormai illeggibile. La parte inferiore è formata da una trabeazione scolpita a traforo con leoni alternati a soggetti floreali: al centro, due leoni sorreggono le armi degli Orsini del Balzo. Sul sarcofago lo stesso principe è riprodotto nuovamente, in ginocchio, a mani giunte. Sempre in questa parte superiore del cenotafio completano il monumento due colonnine di forma ottagonale, delle quali è rimasta una sola, che sorreggevano un arco trionfale monocuspidale all’esterno e a tutto sesto nella parte interna. Al centro, in alto, ancora una riproduzione delle armi Orsini Del Balzo, sostenute da due orsi rampanti. La lastra in pietra leccese riproducente ancora una volta le armi degli Orsini Del Balzo, che si trova tra le due colonne reggenti il sarcofago, collocata in basso, sembra essere di epoca posteriore.
 
Cenotafio di Raimondello Orsini Del Balzo
 
Cenotafio di Giovanni Antonio Orsini del Balzo: Eretto nel coro, ne occupa per intero la parete di fondo. Poggia su quattro colonne ottagonali, poggiate su quattro leoni, in pose diverse e con figure tra gli artigli. Quattro capitelli floreali sostengono un architrave che a sua volta sostiene il cenotafio. Sull’architrave sono dipinti quattro stemmi e due ritratti: a sinistra quello di Raimondello, con le lettere P e R, e a destra quello di Giovanni Antonio, con le lettere P. I. A. Al centro di essa una piccola testa di donna: forse la stessa Maria d’Enghien. Anche la figura del principe Giovanni è rappresentata vestita del saio dei frati francescani - secondo il costume dei regnanti di Napoli - distesa sul sarcofago, con la testa poggiata su un cuscino ricamato mentre due angeli socchiudono i lembi di una tenda appena aperta. Sulla cornice superiore, alla fine di un’epigrafe, l’anno 1562; con al centro un medaglione con l’effigie della moglie Anna Colonna. Al di sopra del cenotafio è collocato un tabernacolo sostenuto da quattro colonnine polistili tortili. L’arco, a tutto sesto, è ornato all’interno da quattro fregi recanti ciascuno un mascherone. All’esterno tre acroteri: due angeli con cartiglio, sui pinnacoli laterali, e Gesù benedicente, al vertice centrale. Gli spioventi sono ornati con foglie rampanti. L’arma degli Orsini Del Balzo è sorretta da due angeli in volo.
 

Cenotafio di Maria d'Enghien: Fatto erigere dal figlio Giovanni Antonio, ne rimangono soltanto quattro colonne, delle quali, due sono addossate al muro e due sostengono quel che rimane di un antico baldacchino gotico. L’arma posta al fastigio è quella della regina di Napoli. Nel 1700 infatti, i frati francescani, da questo monumento ricavarono l’attuale altare di S. Francesco.


 




martedì 25 agosto 2015

La cripta di Santa Cristina, Carpignano salentino

La cripta di Santa Cristina, Carpignano salentino

Si può visitare solo su prenotazione (Tel. 339-44025798)



L'attuale sistemazione esterna risale alla seconda metà del XVIII secolo.
La pianta della cripta è caratterizzata da due navate – originariamente divise da due pilastri (successivamente, quello crollato, fu sostituito da tre più piccoli) e due absidi precedute da un nartece con una tomba ad arcosolio posta all’inizio della parete settentrionale.


Nei secoli la chiesa ha subito numerosi rimaneggiamenti e oggi conserva gli affreschi più antichi di Puglia, datati grazie anche alla presenza di iscrizioni in greco in cui vengono citati committenti e artisti.
L’aspetto più importante della cripta è rappresentato dal ciclo di affreschi realizzati in senso cronologico e antiorario a partire dalla parete orientale fino a ricoprire tutta la parete occidentale.
Gli affreschi sono accompagnati da iscrizioni in greco datate (fatto eccezionale per l’Italia meridionale), l’arco cronologico della realizzazione degli affreschi va dal 959 alla seconda metà dell’XI secolo.
Nella chiesa prevale la raffigurazione della santa titolare al cui culto si affiancò, solo in un secondo momento, il culto di
Santa Marina di Antiochia (santa orientale nota anche con il nome di Pelagia o Margherita), mentre appare quasi del tutto assente il ciclo cristologico, fatta eccezione per la rappresentazione dell’Annunciazione dipinta sull’abside destra ai lati del Cristo benedicente seduto su un trono con la spalliera a forma di lira. Nell’Annunciazione l’angelo, a sinistra del Cristo, giunge con il braccio destro alzato e la mano benedicente mentre la Vergine, dipinta sulla destra del Cristo, con la mano sinistra regge il fuso con cui fila il velo per il Tempio. A destra del Cristo compare un’iscrizione in cui vengono citati i donatori di parte della decorazione dell’abside: il prete Leone (esponente del basso clero e quindi libero di sposarsi) e la moglie Crisolea, l'autore dell'affresco, il pittore Teofilatto, e una data: l’anno del mondo 6467 cioè il 959.

Abside di destra (1)

Fra le due absidi della chiesa i recenti restauri hanno portato alla luce sul muro alcune tracce di affreschi raffiguranti Sant’Anna con la piccola Maria in braccio e i resti di una piccola nicchia decorata con una tovaglia liturgica (podéa) con frange e croci scure su fondo bianco. Probabilmente si tratta della nicchia della prothesis cioè del piano d’appoggio posto solitamente a sinistra dell’altare che accoglieva le offerte del pane e del vino e su cui avevano inizio l’azione liturgica ed i riti propedeutici alla consacrazione (preparazione dei pani).

Abside di sinistra (2)
 
Proseguendo lungo la parete orientale, nella seconda abside, compare nuovamente l’immagine del Cristo in trono che un’iscrizione ci dice affrescata dal pittore Eustazio, a devozione del “protopapas” Elia, che sicuramente prese a modello il Cristo dipinto sull’abside destra nel 959. L’iscrizione dell’affresco riporta la data del 1020 e il nome del donatore, Aprile con la sua famiglia. Alla destra del Cristo in trono compare la Vergine che presenta il Bambino, dal nimbo crucigero, seduto sulle sue gambe, mentre alla sinistra del Cristo c’è l’Arcangelo Michele vestito con il loros, la  lunga stola decorata usata dagli imperatori bizantini e dagli arcangeli Michele e Gabriele, sistemata a formare una croce (nelle chiese rupestri è frequente l’immagine dell’Arcangelo Michele in vesti imperiali).

L'Arcangelo Michele
 
Sul pilastro ad ovest sono affrescate Santa Cristina, San Nicola e San Teodoro studita con barba lunga e mantello bruno, igumeno del monastero costantinopolitano di S. Giovanni in Studion e strenuo avversario dell’iconoclastia.
 
Pilastro occidentale (3)
 
Sulla parete settentrionale compaiono i Santi Nicola e Vincenzo, la Vergine con Bambino e San Giovanni Evangelista. Seguono due immagini con santa Cristina, cinta da corona per la sua origine regale, e San Teodoro stratelatos a cavallo identificato dall'iscrizione in greco, seguono santi non bene identificati e viene menzionato il pittore Costantino.

Nel nartece, al termine della parete settentrionale, si apre la tomba ad arcosolio del giovane Stratigoulès accompagnata da una lunga iscrizione metrica in greco, dipinta tra 1055 e 1075, che ci informa che la tomba era stata scavata per un notabile del posto di cui non si conserva il nome e poi usata per accogliere le spoglie del figlio morto in giovane età. Il padre del giovane Stratigoulès (letteralmente “generalino”, non si tratta quindi del nome ma del vezzeggiativo con cui l'ufficiale chiamava il giovane figlio) era uno spatario di Carpignano cioè un ufficiale dell'esercito bizantino di rango intermedio e probabilmente sepolto anch'egli nei pressi dell’arcosolio.
Al centro dell’arcosolio compare l’immagine di santa Cristina, nel sottarco la Vergine con il Bambino e san Nicola benedicente alla greca; nei pressi dell’arcosolio ci sono altre sepolture.
 
Tomba dello Stratigoulès (7)

A destra della tomba
venne eretto nel 1775 un altare dedicato alla Madonna delle Grazie (con quest’ultimo titolo la cripta è oggi più diffusamente conosciuta tra gli abitanti di Carpignano) che venne addossato alla parete affrescata di cui lascia intravedere, attraverso un'ovale, una Madonna con Bambino di origine bizantina ma più volte ritoccata in epoche successive.
Sulla parete occidentale le immagini di S.Biagio e S.Antonio Abate a fianco dei quali compare un’immagine settecentesca di Santa Marina.

Santa Marina (9)
 
L'iconografia della santa è quella classica con accanto il drago da cui, come viene raccontato nelle cronache che ne descrivono la vita, la fanciulla ebbe a sfuggire squarciandogli il ventre.
L’affresco settecentesco venne realizzato nei pressi di una più antica immagine ormai sbiadita e dai connotati poco leggibili nella quale la popolazione del luogo identificava la santa dal “bel colorito”.
Recenti restauri hanno portato a delle incredibili sorprese riguardo questa figura non ben leggibile. E’ infatti comparsa un’ala ad indicare che non si tratta di Santa Marina bensì dell' Arcangelo Raffaele - che s'intravede nell'immagine a sinistra dell'affresco settecentesco - ai cui piedi si notano dei topi, a significare la protezione accordata dall'arcangelo contro le pestilenze (1).
 La realizzazione dell’affresco nel XVIII secolo accanto all’antica immagine erroneamente attribuita alla santa, lascia intendere che tale immagine già all’epoca non doveva trovarsi in buone condizioni, altrimenti non sarebbe stato necessario rifarla.
L’affresco divenne quindi il luogo in cui le mamme portavano i propri figli perché colpiti dall’ittero o dall’epatite chiedendo l’intercessione della santa. Passavano un pezzo di stoffa, un fazzoletto o anche la cannottiera del piccolo, sull’affresco strofinandolo successivamente sulle guance del malato che veniva poi fatto orinare nell’angolo della cripta nei pressi dell’affresco.
 
Recenti restauri hanno inoltre messo in luce la presenza di uno strato d’affreschi precedenti a quelli datati 959, corrispondenti alla prima decorazione della cripta, realizzati quindi contemporaneamente alla prima fase della conquista bizantina della regione.
Gli affreschi delle due absidi mostrano in ogni caso puntuali riferimenti alla pittura della dinastia macedone (2) - inaugurata da Basilio I (867-886) - particolarmente devota agli arcangeli Michele e Gabriele e sono legati per affinità stilistiche al primo strato pittorico della chiesa idruntina di San Pietro e alla fase pittorica risalente al X-XI secolo della chiesa di Santa Maria della Croce a Casaranello.
 
Note:
 
(1) Raffaele è considerato infatti l'arcangelo della guarigione divina (vedi anche qui).
 
(2) Considerevoli, in questa prospettiva, appaiono le similitudini tra il Cristo Pantokrator raffigurato nell'abside di destra e quello raffigurato nel timpano della Porta imperiale della chiesa costantinopolitana di Santa Sofia (870 circa).
 
 
 
 














giovedì 13 agosto 2015

Chiesa di Santo Stefano, Soleto

Chiesa di Santo Stefano, Soleto

Si può visitare solo su prenotazione (Tel. 333-8451218)


Il piccolo portale in stile romanico è sormontato da un piccolo rosone dello stesso stile e, in cima, da un campanile a vela. Al di sopra del rosone che sovrasta il portale d’ingresso con molta difficoltà si possono notare due piccoli scudi araldici, quello meglio conservato sembra raffigurare le armi dei del Balzo Orsini (la stella a sedici punte inquartata al corno da caccia).
Gli archetti ciechi che scorrono sulla facciata, quattro per lato sotto ciascun spiovente, sono quasi tutti diversi tra di loro (ogivali, trilobati, a tutto sesto).
Originariamente la facciata era sicuramente affrescata ma oggi non restano che poche labili tracce di pittura.
All'interno il programma iconografico testimonia la transizione dalla cultura greca a quella latina, promossa dalla corte angioina e realizzata dai Del Balzo Orsini. Gli anonimi frescanti, autori del ciclo pittorico soletano, interpretarono appieno il passaggio epocale in cui cultura greca e latina si sovrapposero, mostrando una cospicua dose di eclettismo nell’incrociare stilemi artistici ancora bizantini, dettati da esigenze liturgiche, con motivi gotici, secondo la moda francese importata per via napoletana. Il programma iconografico, del tutto particolar, sembra inoltre risultare da una sorta di compromesso tra l'istanza cattolico romana sostenuta dalla committenza dei Del Balzo Orsini e quella greco-ortodossa sostenuta dal protopapas Giorgio de Tullie.
La chiesa fu probabilmente fondata da Raimondello Del Balzo Orsini sul finire del XIV secolo, ma il programma iconografico fu portato a termine a più riprese sotto il patronato della moglie Maria d'Enghien e del figlio Giovanni Antonio (cfr. scheda La contea di Lecce e la casa di Brienne).

Affreschi
Abside: nella parte inferiore il Cristo Emanuele, la Divina Sapienza, come precisa l’iscrizione greca che accompagna l’immagine e a cui era probabilmente originariamente dedicata la chiesa, che concelebra sull'altare insieme a quattro santi vescovi (due per lato), alla destra del Cristo S.Giovanni Crisostomo e S.Basilio, alla sua sinistra S.Anastasio e S.Gregorio Nazianzeno.

Abside

Nella parte superiore è raffigurata la Pentecoste, con la Vergine al centro affiancata dagli apostoli e sullo sfondo le mura di Gerusalemme. Gli apostoli tengono nelle mani dei cartigli con i dodici capitoli del simbolo (credo) apostolico. In maniera del tutto anomala per una chiesa di rito ortodosso lo Spirito Santo che discende sugli Apostoli sotto forma di colomba, procede però dal Padre e dal Figlio (raffigurati uno sopra all'altro al vertice del catino absidale con le mani protese verso il basso).
A sinistra dell'abside, c'è una nicchia con resti di affresco che assolveva alle funzioni della prothesis.
Al di sopra del catino absidale, l'Ascensione con il Cristo in una mandorla sollevata da quattro angeli. Ancora più in alto la figura di Cristo in trono, ai lati della quale si dispongono i simboli dei quattro evangelisti, due serafini e, ancora più lateralmente, l'inconsueta rappresentazione dei Troni (1).

Raffigurazione dei Troni
 
Parete settentrionale: su questa parete si trova una porta murata (che forse introduceva ad una sagrestia oggi non più eistente), sull’architrave della quale era posta l’iscrizione dedicatoria di cui oggi si legge a stento soltanto "fu eretta..", stranamente l'iscrizione sembra essere stata cancellata volutamente.
La decorazione parietale è divisa in quattro sezioni orizzontali articolate in riquadri. Dall’alto in basso, le prime tre sono dedicate al Ciclo Cristologico, mentre nell’ultima sezione in basso, la più larga, sono rappresentate figure di santi e sante.
Nell'ultimo riquadro della prima sezione, tra i personaggi che assistono al Battesimo di Cristo, forse si celano i ritratti di Raimondello Orsini Del Balzo e Maria d'Enghien, committenti della chiesa.
 
Ipotetico ritratto di Raimondello Del Balzo Orsini e Maria d'Enghien
 
Il primo riquadro della seconda sezione mostra la Tentazione di Cristo nel deserto, anche qui, come nella basilica di Santa Caterina a Galatina, il diavolo è nelle sembianze di un frate francescano ma al posto dei piedi ha zampe palmate da rapace (questo potrebbe rappresentare un avvertimento ai fedeli di rito ortodosso a non seguire la tentazione costituita dalla predicazione francescana di abbracciare la fede latina). Seguono la Guarigione del cieco e quella dell'indemoniato, dalla cui bocca fuoriesce una piccola figura nera (il maligno). Seguono la Resurrezione di Lazzaro e l'Ingresso a Gerusalemme che è l’ultimo dei riquadri chiaramente visibile della seconda sezione. Quelli successivi sono infatti molto compromessi; si possono intravedere i contorni delle figure ma la colorazione è andata quasi del tutto persa.
Il secondo riquadro della terza sezione raffigura Cristo davanti a Pilato. Si può notare come Pilato abbia un’espressione sorridente, quasi benevola sul viso. Appare invece chiaramente chi è il grande accusatore del Cristo, il Gran Sacerdote Caifa, ritratto con le caratteristiche sembianze degli ebrei dell’epoca e con una borsa di denari in mano (secondo Francesco Manni, uno studioso soletino, si tratterebbe invece di Giuda).
Il primo riquadro della seconda sezione mostra la Tentazione di Cristo nel deserto, anche qui, come nella basilica di Galatina, il diavolo è nelle sembianze di un frate francescano ma al posto dei piedi ha zampe palmate da rapace (questo potrebbe rappresentare un avvertimento ai fedeli di rito ortodosso a non seguire la tentazione costituita dalla predicazione francescana di abbracciare la fede latina). Seguono la Guarigione del cieco e quella dell'indemoniato, dalla cui bocca fuoriesce una piccola figura nera (il maligno). Seguono la Resurrezione di Lazzaro e l'Ingresso a Gerusalemme che è l’ultimo dei riquadri chiaramente visibile della seconda sezione. Quelli successivi sono infatti molto compromessi; si possono intravedere i contorni delle figure ma la colorazione è andata quasi del tutto persa.
Il secondo riquadro della terza sezione raffigura Cristo davanti a Pilato. Si può notare come Pilato abbia un’espressione sorridente, quasi benevola sul viso. Appare invece chiaramente chi è il grande accusatore del Cristo, il Gran Sacerdote Caifa, ritratto con le caratteristiche sembianze degli ebrei dell’epoca e con una borsa di denari in mano (secondo Francesco Manni, uno studioso soletino, si tratterebbe invece di Giuda).

Parete meridionale: è occupata dalla raffigurazione del ciclo di S.Stefano protomartire.
Nel primo riquadro il alto a sinistra si notano due figure, quella di un uomo e di una donna, inginocchiate in preghiera con lo sguardo rivolto verso l’Ascensione nella parete absidale. A seguire vi è uno strano riquadro in cui si vede la scena di un banchetto, ove si nota una ricca e imbandita tavolata intorno alla quale siedono diversi personaggi intenti a mangiare. In questo secondo riquadro ricompaiono, tra gli altri, nuovamente le due figure presenti nel primo riquadro. Sono alle due estremità del tavolo. L’uomo è chiaramente e più facilmente riconoscibile; ha in mano un coltello e sta tagliando una pietanza su di un piatto. Potrebbe trattarsi dei committenti o di figure ad essi legate (l'uomo col cappello potrebbe essere l'autoritratto del frescante, la stessa figura sembra ricorrere anche nel Coro degli Eletti nel Giudizio dipinto sulla controfacciata, vedi oltre) .
Procede poi la narrazione della vita del santo che, più che sugli Atti degli Apostoli sembra basarsi su una passio, la Fabulosa Vita sancti Stephani protomartyris, del X secolo. Dopo la nascita (nella nobildonna riccamente vestita che compare in questo riquadro, Manni ipotizza il ritratto diMaria d'Enghien), si vede Santo Stefano che predica in riva al mare, dove è ormeggiata una cocca mediterranea del primo Quattrocento sopra la quale si possono individuare diversi personaggi che si sporgono in direzione del santo.
 
Parete meridionale, lato absidale.
Nel riquadro in alto a destra potrebbe essere ritratta Maria d'Enghien.
 
La stella presente sul capo del santo sta a significare la luce emanante dal suo volto ma, al tempo stesso, ricorda la stella cometa dello stemma dei Del Balzo.
Dopo la rappresentazione della scena di un anziano visitato da un angelo, seguono tre riquadri che si riferiscono all'incontro del santo con un cavaliere.
Nel primo riquadro si vede il cavaliere fortemente inclinato in avanti come morto, dell’epoca con l’elmo ornato da una corona di gigli angioini. Con lui una serie di armigeri con lance e una lunga tromba a cui è legato uno stendardo bianco con una testa di moro (con cui venivano rappresentati coloro che provenivano dall’oriente o dal continente africano).
Nel riquadro successivo si nota come il cavaliere, pur rimanendo inginocchiato e a mani giunte, volge il suo sguardo verso il Santo, il quale sembra impartirgli una serie di istruzioni e raccomandazioni.
Infine nel terzo riquadro, il cavaliere si è spogliato della sua armatura e dell’elmo, e riceve il battesimo da Stefano. La carnagione scura del cavaliere ne ribadisce l'origine orientale. Ma non c'è traccia di questa conversione e battesimo nell'agiografia del santo.
I riquadri successivi illustrano il martirio del santo. Prima viene bastonato (i bastonatori sono chiaramente identificati come ebrei dal cerchio rosso che portano sulla tunica) (2) poi si tenta di metterlo in croce ma, come viene raccontato nella passio, giunge un angelo a strapparlo dalla croce.
Nell'ultimo riquadro, che può essere idealmente diviso in due parti, nella prima il santo viene lapidato, nell'altra si nota il corpo del santo privo di vita a terra, mentre in alto due angeli reggono la sua anima che si indirizza verso il Padre e il Figlio che compaiono in alto .
Nell’ultima sezione in basso si susseguono diverse figure, da sinistra verso destra compaiono il Cristo Sapienza – Verbo di Dio, Maria con il Bambino, Santo Stefano e la Crocifissione con Maria e Giovanni.
 
Controfacciata: è interamente occupata dalla raffigurazione del Giudizio Universale.
 
Nella fascia parietale interna del rosone è raffigurata una Deesis con il Cristo biondo, dai capelli lunghi e sguardo severo, con le mani alzate rivolte verso coloro che volgono a lui lo sguardo, a mostrare le ferite inferte dai chiodi, e con la veste lacerata a mostrare la ferita al costato. A destra e sinistra della Deesis si dispongono gli apostoli, in due gruppi di sei (In verità vi dico: voi che mi avete seguito, nella rigenerazione, quando il Figlio dell’Uomo sederà sul suo trono di gloria, sederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele, Matteo XIX, 28).
 
La Deesis dipinta all'interno del rosone
 
Al di sotto, racchiusa in un cerchio rosso, l'ostensione della croce e degli altri strumenti della Passione, ai lati, inginocchiati, i Progenitori. Accanto a ciascuno di loro un angelo che suona la tromba del giudizio a cui rispondono a sinistra la personificazione della Terra e a destra quella del Mare.
Più in basso, sopra l’arco della porta d’ingresso, si staglia la figura dell’arcangelo Michele che, con la spada in mano e in armatura angioina, regge la bilancia della giustizia per pesare le anime.
A destra dell'arcangelo il Coro degli Eletti, in prima fila un papa - probabilmente Martino V(1417-1431) - con il caratteristico triregno, poi a seguire due cardinali, un vescovo latino e, infine un ecclesiastico greco. Accanto al vescovo latino, si nota la testa di un francescano, il cui profilo richiama la maschera di pietra dell’effigie di Raimondello del Balzo Orsini presente all’interno della Basilica di Santa Caterina a Galatina. L'ultima figura in alto con il cappello, che somiglia a quella del banchetto che inizia il ciclo di Santo Stefano, potrebbe nuovamente ritrarre l'autore degli affreschi.
 
Il Coro degli Eletti. La freccia nera indica Raimondello Del Balzo Orsini in abito francescano, quella rossa l'ipotetico autoritratto del frescante. 
 
A sinistra dell'arcangelo, la coppia distesa sul letto con un diavolo che fa loro aria con un ventaglio, raffigura coloro che la domenica, anzichè recarsi alla messa, rimangono a poltrire a letto.
 
 
Più in basso è rappresentato il Paradiso, difeso da spesse mura e da una torre quadrata e merlata, con la porta socchiusa a guardia della quale sta un angelo rosso con la spada sguainata. Dinanzi alla porta Pietro che accompagna il Buon Ladrone. All'interno siedono Abramo, con in grembo l'anima del mendicante Lazzaro con il capo cinto da una corona di rose, Isacco e Giacobbe, anch'essi con in grembo delle anime.
 
L'Ingresso al Paradiso
A destra è raffigurato l'Inferno, in cui troneggia la figura di Satana (sbalzato in gesso e dal volto gravemente deturpato forse per un rituale apotropaico) su un drago a due teste che divorano i dannati; tiene in braccio il corpo nudo di Giuda. Il ricco Epulone è raffigurato mentre si porta la mano alla bocca chiedendo acqua. Un angelo spinge verso l'Inferno le anime dannate con un forcone, tra cui le didascalie permettono di riconoscere gli eresiarchi Ario, Sabellio e Nestorio.
 
 
Note:
 
(1) Secondo lo Pseudo-Dionigi (De coelesti Hierarchia, V sec.) le schiere angeliche dei Troni – il nome sta ad indicare la loro vicinanza al trono di Dio - sono rappresentate come delle ruote di fuoco, con le ali intorno. Le ali sono disseminate di occhi. (cfr. anche scheda Arcangeli, Cherubini, Serafini, Troni e Tetramorfi). 

(2) Il IV Concilio lateranense (1215) aveva stabilito che gli ebrei dovessero portare un segno distintivo: il velo giallo per le donne – lo stesso contrassegno delle prostitute - ed un cerchio rosso per gli uomini. Tale obbligo fu ribadito da Maria d'Enghien negli Statuti di Lecce emanati nel 1445.