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venerdì 27 aprile 2018

La chiesa di Agios Evlos (Junus bey turbe), Ainos

La chiesa di Agios Evlos (Junus bey turbe), Ainos

Lato nord

Si trova subito a sud dell'abitato di Ainos (l'attuale Enez, nella Tracia turca), all'interno di un cimitero ottomano.
Yunus bey – un rinnegato cristiano forse di origini catalane - fu comandante in capo della flotta ottomana dal 1456 al 1459. In quanto tale nel 1456 appoggiò con la flotta l'attacco sferrato via terra da Maometto II contro la città di Ainos, occupando le isole di Samotracia e Imbro che appartenevano alla stessa baronia all'epoca governata da Dorino Gattilusio (1). Rimosso dalla carica, e probabilmente fatto giustiziare dal sultano, nel 1459, fu sepolto in questa chiesa che fu trasformata nel suo mausoleo (turbe).
 
La chiesa bizantina, databile alla fine del XIV secolo o agli inizi del XV, era precedentemente molto probabilmente dedicata a Sant' Evlos, di cui è attestata l'esistenza di un centro di culto ad Ainos in una agiografia del XIV secolo.
L'edificio presenta una pianta a croce libera (con i bracci N e S che appaiono leggermente accorciati rispetto a quelli E e O) con il naos coperto da una cupola impostata su un alto tamburo cilindrico traforato da quattro strette finestre in corrispondenza degli assi cardinali. L'abside aggettante all'esterno è di forma semicircolare.

Lato est
 
Quando la chiesa fu trasformata in mausoleo dell'ammiraglio, l'ingresso sul lato occidentale venne murato e ne venne aperto uno nuovo su quello settentrionale. Il sarcofago di Junus bey venne invece collocato nel braccio meridionale.
 
Abside
 
Note:
 
(1) Vedi scheda La baronia di Ainos.
 


mercoledì 25 aprile 2018

La Fatih Camii di Ainos (Enez)

La Fatih Cami di Ainos (Enez)

Lati ovest e sud. Sullo sfondo s'intravedono le mura della cittadella

Si trova all'interno della cittadella (ormai abbandonata) di Ainos (l'attuale Enez in Turchia) e la sua dedicazione non è nota (1). Hasluck (1908) la dice dedicata a San Costantino (ma non riporta la fonte), mentre Vacotoupolos (1981) riporta una dedica alla Divina Sapienza (Hagia Sophia) con cui è anche attualmente nota.

 
Nella lunetta al di sopra dell'ingresso principale rimangono i resti di un affresco che raffigura al centro la Theotokos, in piedi su un suppedaneo, che indossa una veste blu e sopra questa una sopravveste purpurea, alla sua sinistra si dispone la figura di un vescovo – identificato dall'omophorion – che tiene un libro nella sinistra mentre con la destra accenna alla Vergine. Per i suoi caratteri stilistici può essere datato agli inizi dell'età paleologa.
La presenza della raffigurazione della Vergine in un punto così importante della costruzione sembra suggerire una dedica alla Teotokos.
Dopo la conquista ottomana (1456) fu trasformata in moschea e dedicata a Maometto II (Fatih=Conquistatore) e come tale funzionò fino al 1965 quando, gravemente danneggiata dal terremoto, fu abbandonata. E' stata oggetto di un recente restauro.


Osterhaut propone una datazione dell'edificio al XII secolo.
Presenta una pianta piuttosto inusuale che può essere descritta nei termini di una pianta basilicale coperta da una cupola centrale. Il naos è a pianta cruciforme ed è preceduto da nartece ed esonartece. La cupola che lo ricopre era impostata su quattro pilastri a forma di L, ciascuno dei quali al livello più basso accoglie due colonne.

I bracci sud (in cui è stato ricavato il mihrab) e quello nord della croce. L'arco acuto che sostiene la cupola sul lato meridionale è frutto di un rimaneggiamento ottomano.
 
Il santuario è tripartito e presenta absidi semicircolari all'interno e poligonali all'esterno (ennagonale quello centrale e pentagonali le due laterali).

L'abside centrale con il troncone del minareto aggiunto in epoca ottomana
 
La facciata occidentale dell'esonartece appare porticata e slegata dal corpo principale - a cui è comunque coeva - ed era probabilmente coperta in origine da un tetto di legno. Da notare il ritmico alternarsi di colonne e pilastri nel prospetto della facciata esterna.

La muratura alterna fasce realizzate con la tecnica “a mattone arretrato”, tipica dell'XI-XII secolo, a fasce in pietra squadrata. In diversi punti compaiono motivi decorativi a mattoni, particolarmente elaborato quello che si osserva nella conca absidale della prothesis.

La prohesis con la decorazione a mattoni della conca absidale
 
Gli archi del portico appaiono notevolmente allungati verso l'alto come quelli delle finestre che si aprivano sul lato settentrionale (oggi crollato), queste ultime avevano una forma ed una disposizione particolare: in numero di tre con una più alta al centro fiancheggiata da due più basse.

Il lato settentrionale fotografato nel 1960 c.ca
 
Una analoga disposizione delle finestre si riscontra soltanto nella costantinopolitana Kalendarhane camii (il rimaneggiamento che le ha conferito gran parte del suo aspetto attuale risale al 1190-1195). Qui si nota solo nelle fotografie che raffigurano la parete settentrionale prima del crollo determinato dal terremoto del 1965 perchè la parete sud è stata fortemente alterata in epoca ottomana per ospitarvi il mihrab. D'altra parte, l'allungamento del braccio occidentale della croce e l'innesto della cupola su un impianto basilicale consente il raffronto con alcune chiese di transizione tra la pianta basilicale e quella a croce inscritta come la Hagia Eirene di Costantinopoli (532), in un rimando ad esempi architettonici del passato che non stona nel più generale revival dell'antico che caratterizza il periodo comneno.

Il lato meridionale. La muratura dell'esonartece appare chiaramente non legata a quella del corpo principale.
 
Gran parte degli elementi marmorei sono di reimpiego, in particolare i capitelli delle colonne del naos, sia quelli corinzi che quelli cubici, sembrano databili al VI secolo mentre i capitelli delle colonne del portico – ricavati da prototipi del VI secolo – sembrano realizzati in epoca più tarda (IX-X sec.).

capitello di una delle colonne del naos
 
Della decorazione pittorica originale – oltre al già citato affresco con la Teotokos – è rimasto anche un altro lacerto, nell'arco d'ingresso della prothesis, dove si distingue un santo stante e barbato che indossa una semplice tunica rossoarancio.

 
 
Note:
 

sabato 21 aprile 2018

La baronia di Ainos sotto i Gattilusio (1382-1456)

La baronia di Ainos sotto i Gattilusio (1382-1456)


Niccolò Gattilusio (1382-1409)
Fratello minore di Francesco I Gattilusio (cfr. scheda L'isola di Lesbo), primo signore dell'isola di Lesbo, grazie ai buoni uffici di questi, ottenne dall'imperatore Giovanni V Paleologo la signoria della città e della baronia di Ainos (l'attuale Enez, in Turchia), sita sulla costa della Tracia orientale in prossimità della foce dell'Evros (Maritza).
Istituita all'epoca della partitio Romaniae successiva alla IV crociata, la baronia di Ainos era per lungo tempo appartenuta titolarmente ai duchi di Borgogna. Tornata sotto controllo bizantino alla caduta dell'Impero latino, nel 1352 venne assegnata da Giovanni VI Cantecuzeno al genero Niceforo II Orsini, ex despota d'Epiro. Dal 1356 era rientrata nei possedimenti di Giovanni V che vi aveva insediato un proprio governatore.
Oltre a rivestire una notevole importanza strategica – trovandosi al confine con territori ormai sotto controllo ottomano – la baronia era anche particolarmente ricca grazie alla pescosità delle acque della zona e, soprattutto, alla presenza delle importanti saline del lago di Jala Göl.
Dopo la morte improvvisa del fratello Francesco, nel corso del violento terremoto che colpì Lesbo nell'agosto 1384, Niccolò Gattilusio venne chiamato dai maggiorenti dell'isola a esercitare la reggenza in nome del giovane nipote Jacopo (miracolosamente scampato al terremoto) che assunse il nome dinastico di Francesco II. Per i tre anni successivi tutti i domini della famiglia furono quindi riuniti sotto il suo controllo.
Nel 1387, l'arrivo a Lesbo del futuro imperatore Manuele II Paleologo – cugino di Francesco II - dopo il fallimento della campagna militare che dal suo appannaggio di Tessalonica aveva lanciato contro i possedimenti turchi nei Balcani, scatenò un contrasto tra zio e nipote. Alla politica di sostanziale equidistanza da bizantini e turchi intrapresa da Niccolò, il nipote preferiva infatti una più netta presa di posizione antiturca. Di conseguenza Niccolò decise di rientrare nella propria baronia, dedicandosi alla sua amministrazione e all'incremento delle sue rendite.
La morte prematura di Francesco II, nel 1404, lo portò nuovamente a Lesbo in qualità di reggente della signoria per conto del giovane erede Jacopo.
Sposatosi con una nobildonna greca di nome Elena che gli diede soltanto un figlia femmina di nome Marietta, alla sua morte nel 1409, non avendo discendenti diretti maschi, lasciò in eredità la baronia al più giovane dei suoi pronipoti, Palamede.

L'ingresso alla cittadella di Ainos
 
I Gattilusio rinforzarono in maniera massiccia le fortificazioni della città ereditate dai bizantini, come testimoniato da alcune placche marmoree incassate nella muratura.
 

Placca marmorea incassata nella muratura del bastione meridionale che si riferisce alla costruzione di una torre. A sinistra la cotta di maglia emblema araldico dei Gattilusio, a destra forse l'aquila coronata dei Doria. L'iscrizione in latino la data al 1 maggio 1382 o 1385.
 
Placca marmorea con le insegne dei Gattilusio incassata sulla faccia meridionale di una torre quadrata. L'iscrizione la data al 1 agosto 1413.

I resti del palazzo dei Gattilusio si trovano probabilmente lungo il muro di nordovest della cittadella ma devono ancora essere indagati.

Palamede Gattilusio (1409-1455)
Terzogenito di Francesco II Gattilusio, signore di Lesbo, nacque probabilmente nell'ultima decade del XIV secolo. Nel 1409 ereditò dal prozio la baronia di Ainos che governò inizialmente sotto la tutela del fratello maggiore Jacopo.
Grazie alla sua parentela con la casa regnante dei Paleologi - più volte orgogliosamente ricordata nelle sue iscrizioni - mantenne sempre stretti rapporti tanto con la corte imperiale di Costantinopoli quanto con esponenti di alcune delle principali famiglie dell'aristocrazia bizantina che lo consideravano come un loro pari a tutti gli effetti.
Queste relazioni gli consentirono di ampliare pacificamente i suoi possedimenti annettendosi nel 1430 l'isola di Samotracia – che gli fu concessa da Giovanni VIII – e, tra il 1450 e il 1453, quella di Imbro, concessagli da Costantino XI. Su entrambe istallò come governatore il nobile greco Giovanni Laskaris Ryndakenos e provvide a rafforzarne le difese.
Da una moglie di cui non si conosce il nome ebbe ben sette figli e attraverso un'accorta politica matrimoniale cercò di consolidare i suoi rapporti con la madrepatria genovese – da cui si aspettava di essere sostenuto contro la minaccia turca – e con la corte bizantina.
1) Giorgio (morto nel 1449), che sposò Elena (Eufrosine) Notaraina, figlia dell'ultimo primo ministro bizantino, Luca Notaras (1).
2) Dorino, che successe al padre alla sua morte nel 1455 e che sposò Elisabetta Crispo, figlia del duca di Nasso Giacomo II.
3) Caterina, che sposò Marco Antonio Doria
4) Ginevra, che nel 1442 sposò il futuro doge di Genova Lodovico Campofregoso.
5) Costanza, che sposò Gian Galeazzo Campofregoso.
6) nome sconosciuto, che sposò il cugino Francesco Gattilusio, figlio di Dorino I di Lesbo, che però morì appena sei mesi dopo le nozze.
7) Valentina, che sposò Giorgio del Carretto marchese di Zucarello.

Palamede Gattilusio morì nel 1455.

Dorino Gattilusio (1455-1456)
Secondogenito di Palamede, si trovò ad ereditare la signoria grazie alla prematura scomparsa del fratello maggiore Giorgio. Non doveva però avere buoni rapporti con il padre, giacchè questi lasciò disposto nel suo testamento che avrebbe dovuto dividere il potere con i figli del fratello maggiore. Dorino non diede però seguito a questo mandato testamentario, escludendo i nipoti dalla gestione del potere e dal patrimonio di famiglia. Visti respinti tutti gli appelli ad una composizione pacifica del dissidio, la fazione che parteggiava per i due ragazzi, capeggiata dalla madre Elena Notaraina, si risolse a inviare un'ambasceria a Costantinopoli presso il sultano Maometto II, affinché quest'ultimo intervenisse costringendo Dorino, in quanto suo vassallo e tributario, a reintegrare nei loro diritti gli spossessati nipoti oppure, in caso di rifiuto, che lo destituisse.

Ricevuto su un piatto d'argento un pretesto per impadronirsi di un caposaldo strategicamente importante (in caso di Crociata infatti la città di Ainos, posta a ridosso dei territori occupati dagli ottomani, avrebbe potuto costituire un ottimo appoggio per una testa di ponte delle armi cristiane) nonché molto ricco grazie alle saline, il sultano non esitò ad intervenire militarmente.
Nel cuore dell'inverno, mentre Dorino si trovava nel suo castello di Samotracia, Maometto II occupò la città di Ainos che gli si arrese senza opporre resistenza, mentre la flotta ottomana, al comando dell'ammiraglio Junus bey (2), occupava Imbro arrestando il governatore Giovanni Laskaris Ryndakenos e sostituendolo con un altro notabile locale, Michele Critobulus, che diverrà il biografo di Maometto e il cui atteggiamento filoturco era già noto alla Sublime Porta. Mentre la flotta ottomana si avvicinava a Samotracia, Dorino riuscì a sottrarsi alla cattura e a raggiungere la costa a bordo di una piccola imbarcazione. Da qui non gli mancò il coraggio di recarsi a Costantinopoli dove, facendo leva sul suo fascino, era quasi riuscito a convincere il sultano a rendergli i possedimenti di Samotracia e Imbro se non fosse intervenuto Janus bey che suggerì al sultano d'insediarlo piuttosto nell'entroterra dove sarebbe stato meno pericoloso. Il sultano gli assegnò quindi il remoto distretto di Zichni, vicino a Serres nella Macedonia centrale.

Scontento della sistemazione e probabilmente fidandosi poco del sultano, con l'aiuto di alcuni fedelissimi, riuscì ad eliminare la scorta turca e ad imbarcarsi rifugiandosi alla corte del duca di Nasso, Guglielmo II Crispo con cui era imparentato e che gli diede in moglie la nipote Elisabetta, figlia del defunto duca Giacomo II (cfr.scheda Il Ducato dell'Arcipelago).

Dal 1463 al 1467, la città di Ainos e alcuni possedimenti nelle isole di Samotracia, Imbro e Tasos furono concessi da Maometto II in appannaggio al deposto Despota di Morea Demetrio Paleologo (cfr. scheda Morea, Introduzione).

Note:
(1) Su Luca Notaras vedi scheda L'assedio di Costantinopoli, paragrafo La sorte dei comandanti cristiani.
(2) Vedi scheda La chiesa di Agios Evlos (Junus bey turbe).


mercoledì 11 marzo 2015

Panagia Kosmosoteira, Feres


Chiesa del Monastero della Panagia Kosmosoteira a Feres
 
 
La chiesa dedicata alla Panagia Kosmosoteira (Salvezza del mondo) fu fondata nel 1152, come katholikon dell'omonimo complesso monastico, da Isacco Comneno (1), il terzogenito di Alessio I, che vi fece molto probabilmente edificare anche la tomba in cui venne tumulato. Si ha infatti notizia che nel 1183 Andronico I, il figlio di Isacco, sostò nel monastero per visitare la tomba del padre.
Nel XIV secolo il monastero venne abbandonato dai monaci e trasformato in complesso fortificato e tra il 1371 ed il 1373 venne occupato dai turchi. Nel 1443 Bertrandon de la Broquiere osservò che la cittadina di Vera, sviluppatasi intorno all'originario insediamento monastico, aveva una popolazione mista di greci e turchi, le fortificazioni erano state parzialmente distrutte e la chiesa convertita in moschea.
 
La chiesa presenta una pianta quasi quadrata (15x20m.) del tipo a croce greca inscritta ed è sormontata da cinque cupole, di cui quella centrale dodecagonale. Le finestre della cupola centrale sono intervallate da pilastrini in mattoni (mentre quelle delle cupole laterali sono intervallate da colonnette sempre in mattoni), su sei dei quali compaiono lettere ornamentali composte in mattoni dall'incerto significato.

 
Esternamente la facciata orientale presenta le tre absidi aggettanti, di cui la centrale a 5 facce e le due laterali a 4. La muratura è del tipo a mattone arretrato (filari di mattoni disposti su piani sfalsati, mascherando i filari più arretrati con lisciature di malta) caratteristica dell'edilizia di età comnena (cfr. il monastero costantinopolitano del Pantokrator). In questo impianto, all'interno, emergono però delle anomalie, la più rimarchevole delle quali è lo sdoppiamento in due colonne dei sostegni occidentali della cupola (quasi ad alludere ad un impianto a tre navate) (2).
 
 
Originariamente la chiesa era avvolta da un deambulatorio, probabilmente di un materiale più leggero, di cui rimangono i segni sui lati nord, sud ed ovest. La parte occidentale del deambulatorio avrebbe costituito l'esonartece destinato, come scritto nel typikon redatto dallo stesso Isacco Comneno, ad ospitare le sepolture del suo segretario Michele e del suo domestico Leone Kastamonites.

In epoca ottomana, quando la chiesa fu convertita in moschea, furono apportate alcune modifiche, le principali delle quali sono:
1) Gli affreschi furono interamente ricoperti d'intonaco;
2) furono aperti due nuovi ingressi nelle facciate nord e sud;
3)  fu aperta una finestra sul lato occidentale.

Affreschi:
1) Nelle pareti N e S dei bracci della croce sono raffigurati: più in alto i busti di due gerarchi, poi due profeti a figura intera che reggono dei cartigli, tra i montanti che partiscono le tre finestre, più in basso i busti di due santi militari ed infine, sul registro più basso, la processione dei gerarchi concelebranti rivolta verso il santuario.
 
parete sud
 
2) Negli archi sopra le due coppie di colonne l'Annunciazione e la Presentazione al tempio. L'Annunciazione, solitamente collocata sui pilastri che introducono al bema, è qui invece collocata dalla parte opposta.
 
L'angelo dell'Annunciazione
 
3) Nella prothesis troviamo: sulla parete sud la Comunione degli Apostoli (solitamente rappresentata nelle pareti absidali), un arcangelo nella cupola ed una figura non identificata nella conca absidale.
 
La Comunione degli Apostoli
 
4) Nel diakonikon un altro arcangelo è raffigurato nella cupola con un serafino collocato in uno dei pinnacoli.
Non è chiaro come fosse decorata la cupola centrale (l'intonaco sovrapposto in epoca ottomana non è stato rimosso), mentre nelle altre due cupole sul lato occidentale sono raffigurati rispettivamente il Cristo (cupola SO) e la Vergine (cupola NO).
Cupola NO

I quattro santi militari raffigurati sulle pareti nord e sud spiccano per le notevoli dimensioni e la collocazione di primo piano in seno al programma iconografico della chiesa. Queste caratteristiche unite all'assenza di didascalie che li identifichino e all'accentuata caratterizzazione dei volti, ha fatto supporre (Ch. Bakirtzis, Warrior Saints or Portraits of Members of the Family of Alexios I Komnenos? in Mosaic. Festschrift for A. H. S. Megaw ,ed. J. Herrin et al., Atene 2001) che vi siano in realtà raffigurati i membri della famiglia imperiale: Alessio I ed i suoi tre figli Giovanni II, Andronico e lo stesso Isacco.
 
Alessio I Comneno (1081-1118)
 
Andronico Comneno
 
Giovanni II Comneno (1118-1143)
 
Isacco Comneno
 
La tomba di Isacco Comneno: nel typikon del monastero Isacco Comneno esprime chiaramente la volontà di essere sepolto nella nuova chiesa da lui fondata, disponendo anche il trasferimento di alcuni elementi di arredo dalla tomba che aveva in precedenza predisposto per sé nel monastero di Chora. La tomba, che doveva consistere in un sarcofago marmoreo di cui la lastra conservata attualmente presso il Museo ecclesiastico di Alessandropoli doveva costituire la pietra di copertura, non è però mai stata ritrovata. Seguendo le indicazioni contenute nel typikon la sua collocazione più probabile doveva però essere nell'angolo nordoccidentale della chiesa, isolata dal resto del naos da una cancellata bronzea di cui il fondatore richiede il trasferimento da Chora. Ad ulteriore conforto di questa ipotesi, su uno degli archi che sostengono la cupola che sovrasta questa zona, è raffigurata la scena funeraria delle Tre Marie al sepolcro in cui l'angelo seduto sulla tomba del Cristo sembra indicare in basso, dove doveva appunto trovarsi il sepolcro di Isacco Comneno.

Le Tre Marie al Sepolcro.
La freccia rossa segnala il braccio destro dell'angelo che sembra indicare verso il basso.

All'esterno inoltre, in corrispondenza dell'angolo nordoccidentale, è inserita nella muratura un'aquila composta in mattoni come a sottolineare ulteriormente il luogo di sepoltura di un membro della famiglia imperiale.


Note:

(1) Quando il 15 agosto del 1118 il fratello Giovanni II divenne imperatore dei romei, succedendo al padre Alessio I, suo fratello Isacco fu nominato sebastokrator, una delle cariche più alte dell'impero bizantino. Egli profuse il suo impegno soprattutto in opere filantropiche, tra cui il restauro del monastero di Chora. Nel 1130 i rapporti tra Giovanni II e Isacco s'incrinarono: Isacco fu infatti costretto a lasciare Costantinopoli, rimanendone lontano per sei anni, perché accusato di far parte di un presunto complotto per rovesciare il fratello. Nel 1136 Isacco ritornò a Costantinopoli e si riconciliò pacificamente con l'imperatore. L'8 aprile 1143 morì Giovanni II, e Isacco dovette nuovamente andarsene da Costantinopoli, quindi si trasferì a Eraclea Pontica, e tra il 1145 e il 1146 tentò di usurpare il trono al nipote Manuele I Comneno, ma senza successo. Molto probabilmente nel 1152 Isacco fu costretto dall’imperatore Manuele I a ritirarsi a vita privata in una zona rurale in Tracia, vicino al monastero di Ainos, con un vitalizio consono al suo rango. Qui, nei pressi dell'attuale città di Feres, fondò il monastero dedicato alla Vergine Kosmosoteira.

(2) Questo sdoppiamento dei pilastri occidentali della cupola non ha precedenti nell'architettura costantinopolitana mentre compare nelle coeve chiese crociate, potrebbe quindi essere un riflesso dell'influenza che la cultura latina esercitò sulla corte comnena. Un'altra spiegazione potrebbe trovarsi anche nella necessità di aprire le campate occidentali per rendere visibile la tomba del fondatore.