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martedì 4 luglio 2017

La cappella della Maddalena nel castello di Copertino

La cappella della Maddalena nel castello di Copertino


Il castello di Copertino si presenta attualmente nella forma impressagli dalla ristrutturazione commissionata dal marchese Alfonso Granai Castriota all’architetto pugliese Evangelista Menga e portata a termine tra il 1530 ed il 1540 (come recita l’iscrizione incisa sulla cortina est e sulle facce dei due bastioni che la delimitano), a partire da un preesistente nucleo di epoca normanno-sveva di cui si conserva il mastio scarpato e quadrangolare, sul cui lato est, nel 1407, in occasione del loro matrimonio, furono incastonate le armi del re di Napoli Ladislao d'Angiò Durazzo e di Maria d'Enghien.

Le armi di Ladislao d'Angiò Durazzo e Maria d'Enghien
 
Il castello attuale si sviluppa attorno ad un cortile quadrato, circondato da un fossato e rafforzato, agli angoli, da quattro bastioni a punta di lancia, collegati al cortile – sul quale si affacciano corpi di fabbrica di epoche differenti – da enormi gallerie.
 
Lungo tutto il perimetro esterno si osservano novanta feritoie le cui cavità consentivano un facile movimento dei cannoni. Queste sono distribuite su tre ordini separati da due cordoni marcapiano.
Il fastoso portale, a cui recentemente è stata data un'esemplare decodificazione iconografica, è attribuito allo scultore neretino Francesco Bellotto su probabile disegno di Evangelista Menga. Le sue decorazioni, realizzate in calcarenite locale, risultano integrate successivamente con stucchi per proteggerle dai venti che nei secoli hanno esercitato un’azione polverizzante.


Superato il portale si entra nella corte dove una scalinata scoperta conduce al “palazzo vecchio” di epoca quattro-cinquecentesca composto da circa 20 stanze. A metà della rampa si trova la cappella della Maddalena.

L'ingresso alla cappella

Alla cappella di forma quadrata (lievemente rettangolare nel senso della larghezza) con unica abside fortemente decentrata posta all'estremità sn. del lato NE, si accede attraverso una porta (per lungo tempo rimasta murata). Le sue pareti, come si intuisce dai frammenti pittorici superstiti (spesso a livello di semplice sinopia), accoglievano un ciclo pittorico di altissima qualità con le Storie di Cristo e della Maddalena, poi irrimediabilmente danneggiato quando, abbattuta la volta, si procedette a inglobare l'oratorio nell'attuale struttura cinquecentesca.

Nel 1998 un intervento di restauro condotto dalla Soprintendenza puntò l'attenzione sul recupero di numerosi frammenti pittorici, rinvenuti staccati e privi di riferimento logistico. Tali frammenti furono selezionati tra i materiali di risulta di cui era colma la cappella al momento della scoperta. Alcuni di essi provengono dalle pareti, altri dalla demolita volta. Al primo gruppo sono da collegare le scene dell'Ultima e cena e del Noli me tangere, al secondo i resti di incorniciature e stemmi facenti capo alle famiglie Enghien-Brienne, Orsini del Balzo e Chiaromonte (Clermont). Tali insegne araldiche, se da una parte consentono di ricostruire la committenza del ciclo, dall'altra s'intrecciano ai passaggi feudali della contea di Copertino che Maria d'Enghien avrebbe ceduto in dote alla figlia Caterina del Balzo Orsini, in occasione delle nozze con Tristano Chiaromonte nel 1415 o poco dopo.
La presenza degli stemmi araldici dei due sposi stabilisce nella data del loro matrimonio il termine post quem per la realizzazione del ciclo di affreschi mentre il termine ante quem è fissato dalla data di morte di Caterina (24 aprile 1429).

Ciò che resta del ciclo cristologico si individua all’interno di una nicchia ubicata nell’angolo di raccordo tra la parete sud-est e quella sud-ovest: a una ormai rarefatta Fuga in Egitto segue una Natività sopra la quale era raffigurata la scena dell’Annuncio ai pastori. In alto si riconoscono due pastori e, poco più in basso, la sagoma della Vergine, una sinopia della mangiatoia, il bue, l’asino e San Giuseppe, ritratto come di consueto in disparte, sul margine destro della composizione.

Il ciclo cristologico
 
Il ciclo cristologico si sviluppava probabilmente dal basso verso l'alto, dove erano dipinte le scene dell’Ultima Cena e del Noli me Tangere individuate nel materiale di risulta.

Il programma decorativo della parete sud-ovest è attualmente scandito in due registri pittorici sovrapposti, che in origine dovevano essere completati da un terzo registro superiore istoriato.
Il registro più basso è decorato a finti marmi, come nelle altre pareti, mentre in quello superiore si possono riconoscere le sinopie di due scene tratte dalla Legenda Aurea.
 
Parete sud.ovest
 
La prima rappresenta la Maddalena che presagendo la sua morte si fa comunicare dal vescovo Massimino: la santa è raffigurata in ginocchio mentre riceve la comunione dal suo compagno di
viaggio, alle cui spalle si osserva un altare ricoperto da una tovaglia a frange; lo stesso altare, nel brano immediatamente successivo, fa da retroscena alla Morte della Santa, come si evince dal corpo disteso in terra e avvolto nei lunghi capelli.
 
Parete nord-ovest
 
Il racconto prosegue nella parete nord-ovest con i Funerali della Maddalena, procedendo da sinistra si osserva: un giovane che tiene con due mani un bastone (una croce astile?), quindi un santo vescovo (Massimino?), con la destra benedicente e la sinistra che indica un passo delle sacre scritture, mentre, davanti al corpo esanime della Maddalena, partecipano alle esequie due giovani, uno dei quali, affranto, porta la mano destra al viso per asciugare le lacrime.
 
 
Il brano seguente, dopo la consueta cornice divisoria, reca un sarcofago finemente scorciato – en pendant a un altro sarcofago rappresentato longitudinalmente nel registro rasoterra (1) - dove viene deposta la salma; si distingue chiaramente la figura di un uomo, con vesti di colore rosa antico, proteso verso i piedi del defunto e seguito da un altro personaggio che porta al volto un panno giallo in segno di disperazione. La deposizione è da ritenersi non già quella di Cristo – come da alcuni ipotizzato - ma quella del corpo della Maddalena, come provano i tratti di colore giallo e un disegno ondulato pertinente alla sua folta chioma.
Nel riquadro successivo è raffigurata la Maddalena con in mano il vaso dell'unguento, inginocchiate ai lati della Maddalena la contessa di Lecce Maria d'Enghien (a destra) e la figlia Caterina (a sinistra), probabili committenti dell'affresco (2).
 
Note:
 
(1) La Legenda Aurea riporta che non appena morta la Maddalena, il Beato Massimino cosparse il corpo della Maddalena con aromatici unguenti ed espresse il desiderio di venire sepolto, dopo la sua morte, accanto alla santa. Su questa base si può ipotizzare che il menzionato sepolcro rappresentato nel registro rasoterra, sotto la scena del Funerale, sia quello del beato Massimino, compagno d'esilio della Maddalena e primo vescovo di Aix (vedi anche scheda La cappella della Maddalena nella torre di Belloluogo).
(2) Secondo alcuni studiosi proprio Copertino sarebbe la città natale di Maria d'Enghien.




giovedì 29 giugno 2017

La cappella della Maddalena nella torre di Belloluogo, Lecce

La cappella della Maddalena nella torre di Belloluogo, Lecce


Situata nei pressi dell'ingresso settentrionale della città di Lecce, la Torre di Belloluogo si presenta di forma cilindrica, con alcune finestre ad arco a sesto acuto ed è collocata dalla sua fondazione sopra un banco di roccia calcarea, circondata ed isolata dal terreno circostante da un vasto fossato ricolmo d'acque sorgive in tutte le stagioni (è l'unico fossato salentino colmo d'acqua in permanenza). Nella parte superiore si aprono delle strette feritoie (saettiere).
 
 
Fatta costruire probabilmente tra la fine del XIII e gli inizi del XIV secolo da Ugo (1271-1296) o da Gualtiero V di Brienne (1296-1311) come istallazione militare, fu scelta da Maria d'Enghien come residenza elettiva dopo il suo rientro da Napoli (1418).

Superato il ponte di pietra (che sostituisce l'originale ponte levatoio), si accede al pianterreno, caratterizzato da un pavimento in pietra leccese che al centro disegna un ottagono.
 
 
Il piano nobile, a cui si accede per mezzo di una scala esterna, è diviso in quattro vani, in uno di questi, il più grande, un grande camino si trova presso la finestra che guarda a ponente.

Planimetria del piano nobile

Nell'altro vano di maggiore ampiezza si trova una cappella, dove Maria d'Enghien si ritirava a pregare, e dove è affrescato il ciclo della Maddalena a cui la contessa era particolarmente devota.
Gli episodi del ciclo sono raffigurati sia secondo la versione evangelica (nella parete destra), sia secondo la versione riportata dalla Legenda aurea di Jacopo da Varagine (nella parete sinistra) che inizia con La partenza dalla Galilea. Le scene sono inserite in riquadri ornati da racemi e da cosmatesche. All'incrocio delle cosmatesche sono rappresentati i quattro profili dei componenti della famiglia committente.


Nell'abside è rappresentata la Crocefissione con la Maddalena inginocchiata ai piedi del Crocefisso.

 
Maria Maddalena compare nel vangelo di Luca tra le donne che assistevano finanziariamente Gesù per spirito di riconoscenza:
C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni. (Luca, VIII, 2-3)
E' indicata poi come una delle tre Marie presenti alla Crocefissione:
Presso la croce di Gesù stavano sua madre e la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, e Maria Maddalena. (Giovanni, XIX, 25)

E' ancora lei, di primo mattino nel primo giorno della settimana, assieme a Salomè e Maria la madre di Giacomo il Minore, (Matteo XXVIII, 1 e Marco XVI, 1-2, oltre che nell'apocrifo Vangelo di Pietro, 12), ad andare al sepolcro, portando unguenti per ungere la salma. Le donne trovarono il sepolcro vuoto ed ebbero una visione di angeli che annunciavano la resurrezione di Gesù (Matteo XXVIII, 5).
 
Le Pie donne al sepolcro
 
Maria Maddalena, in un primo momento corre a raccontare quanto visto a Pietro e agli altri apostoli, (Giovanni XX, 1-2). Ritornata al sepolcro, si soffermò piangendo davanti alla porta della tomba. Qui il Signore risorto le apparve, ma in un primo momento non lo riconobbe.
Solo quando venne chiamata per nome fu consapevole di trovarsi davanti Gesù Cristo in persona, e la sua risposta fu nel grido di gioia e devozione, "Rabbunì", cioè "maestro buono". Avrebbe voluto trattenerlo, ma Gesù la invitò a non trattenerlo e le disse:
Non mi trattenere (Noli me tangere), perché non sono ancora salito al Padre mio; ma va' dai miei fratelli e dì loro: Sto ascendendo al Padre mio e al Padre vostro, al Mio Dio e al vostro Dio. (Giovanni XX, 17).
 
Noli me tangere
 
Nell'esegesi medioevale la Maddalena è stata identificata anche con Maria di Betania, sorella di Marta e del risorto Lazzaro e con la peccatrice (di cui non viene detto il nome) che unge i piedi a Gesù a casa di Simone il Fariseo, probabilmente a Nain, in Galilea:
Ed, ecco, una donna in città, che era una peccatrice, quando lei seppe che Gesù sedeva nella casa dei Farisei, portò una scatola di unguento, e si levò in piedi ai suoi piedi dietro lui piangendo, e iniziò a lavare i suoi piedi, e li pulì con i capelli della sua testa, e baciò i suoi piedi, e li unse con l'unguento. (Luca, VII, 36-40).
 
La Maddalena lava i piedi a Gesù
 
L'identificazione è sostenuta dal fatto che Maria di Betania unge i piedi del Signore mentre Gesù è festeggiato in una cena in casa di Simone il lebbroso, la peccatrice senza nome mentre Gesù è in casa di un fariseo che si chiama Simone. Sembra poco probabile che per due volte in due luoghi differenti Gesù sia stato unto con una quantità di olio di nardo avente esattamente lo stesso valore (Marco XIV, 5 e Giovanni XII, 5) e che per due volte questo abbia dato luogo alle stesse pesanti critiche da parte dei presenti.
La Legenda aurea, la summa dell'agiografia medioevale compilata da Jacopo da Varagine nel XIII secolo, riprende il racconto evangelico ma narra anche le vicende della Maddalena dopo la morte di Gesù che iniziano con la Partenza dalla Galilea:
(...) quattordici anni dopo la passione del Signore, quando Stefano era stato già martirizzato e gli altri discepoli scacciati dalla Giudea, i seguaci di Cristo si separarono per le diverse regioni della Terra per diffondere la parola di Dio. Tra i settantadue discepoli c'era il beato Massimino a cui furono affidati da San Pietro Maria Maddalena, Lazzaro, Marta, Marcella (la domestica di Marta) e il beato Celidoneo cieco dalla nascita e risanato da Cristo e molti altri cristiani che furono posti dagli infedeli su di una nave e spinti in mare senza nocchiero perché vi perissero; ma per volere divino giunsero a Marsiglia dove non vi fu alcuno che li volesse ricevere nelle proprie case, cosicché dovettero ripararsi sotto il porticato di un tempio.
Partenza dalla Galilea
 
Lo stile degli affreschi ricorda molto da vicino quelli delle chiese di Santo Stefano di Soleto e di Santa Caterina di Galatina nonchè quello delle miniature trecentesche.
 
In prossimità della torre si trova un complesso di ambienti ipogei, in alcuni dei quali alcuni studiosi hanno identificato il ninfeo di Maria d'Enghien.
 
 

 

sabato 24 settembre 2016

La basilica di San Sabino, Canosa

La basilica di San Sabino, Canosa

La facciata attuale della chiesa

Esternamente si presenta oggi nell'aspetto impressole dall'imponente ristrutturazione ottocentesca che fece seguito al grave danneggiamento subito dall'edificio durante il terremoto del 1851. L'opera di restauro e ampliamento ha però praticamente inglobato al suo interno l'antica chiesa la cui fisionomia appare ancora riconoscibile una volta entrati ed oltrepassato l'avancorpo ottocentesco.
L'impianto originario della basilica attualmente dedicata a San Sabino (1) è infatti con tutta probabilità l'ultima fondazione in ordine di tempo riconducibile alla sua committenza.

In neretto la planimetria della chiesa del VI secolo 

Si tratta di un impianto a croce latina con tre navate, transetto ed un'unica abside semicircolare in cui si aprono tre finestre e coperto da 5 cupole (3 lungo l'asse longitudinale e 2 sui bracci del transetto).

Al centro, l'abside della chiesa del VI secolo.

Le pareti della navata centrale, che comunica con quelle laterali per mezzo di sei arcatelle, sono caratterizzate da una non perfetta perpendicolarità con il piano di calpestio, molto probabilmente esito di ripetuti eventi sismici. La chiesa originaria era inoltre preceduta da un vasto atrio.
Tutte le colonne – in numero di 18 - su cui s'impostano gli arconi che sostengono le cupole sono di spoglio, a differenza dei capitelli, parte dei quali furono realizzati quando la chiesa fu costruita.

La cupola meridionale del transetto

Recentemente, asportando l’intonaco che rivestiva l’interno della cupola del braccio destro del transetto, è stata portata allo scoperto la muratura originaria che si è rivelata realizzata in tufelli a formare 33 cerchi concentrici resi con mattoncini, alcuni dei quali con il celebre monogramma del vescovo Sabino, e al centro una croce greca realizzata con tasselli di pietra lavica, leggermente a nord della croce si trova inoltre inserito un altro tassello di questa pietra. 
 
La croce inserita nella chiave di volta della cupola ed il puntino nero a nord di essa

In questo braccio del transetto, al di sopra della porta che introduce alla sacrestia, si notano inoltre i resti di un affresco databile XI-XII secolo recentemente riscoperto (2013) che raffigura la Crocefissione e che molto probabilmente apparteneva ad un ciclo più esteso.


Si riconoscono il braccio destro del Cristo, l'angelo sul braccio della croce e, ai piedi della croce, il gruppo delle Tre Marie (il volto della Vergine è stato riportato in luce), sulla destra parte del popolo che assiste e sullo sfondo la città di Gerusalemme. Da notare, ai lati della croce, la presenza dei simboli del sole e della luna.
Nel corso del tempo la chiesa venne comunque rimaneggiata in varie occasioni (la ristrutturazione avvenuta intorno al 1080 sotto il vescovo Ursone, ad esempio, venne a lungo ritenuta l'atto di fondazione dell'edificio) fino al massiccio intervento di fine '800 (2).


L'ambone:
 
 
Interamente scolpito in marmo grigiastro, è formato da una cassa quadrata sostenuta da quattro arcatelle impostate su altrettante colonne con capitelli a fogliame stilizzato. Dalla fronte della cassa sporge il lettorino semicilindrico con un'aquila ad ali spiegate che tra gli artigli stringe una testa umana e con il capo sostiene il leggìo decorato da una protome leonina.
Sulla cornice superiore della fiancata destra si legge:

P(er) IUSSIONEM D(omi)NI MEI GUITBERTI VEN(erabili)S P(res)B(ite)R EGO ACCEPTUS PECCATOR ARCHIDIAC(o)N FECI HOC OPUS

Il nome di Acceptus, che però in questo caso si qualifica come sculptor, accompagnato dalla data di esecuzione (1040), figura anche nei frammenti del pulpito rinvenuti nella chiesa di San Michele a Monte Sant'Angelo che appaiono da un lato formalmente simili e dall'altro stilisticamente diversi dall'ambone canosino. Differenze di stile che sono state interpretate sia nel senso di una datazione più precoce sia in quelllo di una più tardiva di quest'ultimo.

a sn. l'ambone di Canosa a ds. quello di Monte Sant'Angelo.

Lasciando irrisolto il nodo della datazione, si potrebbe però anche ipotizzare l'esistenza di un maestro ideatore (Acceptus) che si sia servito di maestranze diverse pe la realizzazione dei due amboni.

La cattedra di Ursone:


Al centro dell'abside è attualmente collocato il seggio episcopale, opera eseguita dallo scultore Romualdo per Ursone, vescovo della diocesi unita di Bari e Canosa (1080-1089), come si evince dall'iscrizione posta all'esterno del bracciolo sinistro.
Di ispirazione bizantina, la cattedra è costituita da un altissimo sedile con alla base una predella decorata da due aquile che poggia su due elefanti portatori.
Nell'insieme da l'idea di risultare dall'assemblaggio di due manufatti di stile diverso. La severa sobrietà della parte superiore, ricavata nello stesso marmo grigiastro dell'ambone, contrasta infatti nettamente con la ricchezza orientaleggiante dell'apparato decorativo della parte inferiore scolpita in un marmo d'intonazione molto più calda. Probabilmente Romualdo rimaneggiò per Ursone una cattedra vescovile preesistente, coeva all'ambone ed opera della stessa bottega. Alcune incongruenze strutturali (la sopraelevazione elevatissima del sedile e l'assenza di un poggiapiedi) fanno inoltre pensare che la cattedra fosse più che altro destinata a “rappresentare” il vescovo in sua assenza piuttosto che ad accoglierlo fisicamente.

Note:

(1) La chiesa, originariamente dedicata ai martiri romani SS.Giovanni e Paolo fu ridedicata al santo vescovo canosino da papa Pasquale II nel 1102. Agli inizi del IX secolo il vescovo Pietro aveva già fatto traslare in questa sede i resti del santo dal luogo originario di sepoltura.
(2) I resti del porticato colonnato che si vedono accanto al Mausoleo di Boemondo – che fu addossato alla parete meridionale del transetto poco dopo il 1111 – sembrano invece risalire al XV-XVI sec.






domenica 18 settembre 2016

Il Mausoleo di Boemondo, Canosa

Il Mausoleo di Boemondo, Canosa


E’ il monumento funerario dell’eroe normanno della I Crociata - il primogenito di Roberto il Guiscardo e della sua prima moglie Alberada di Buonalbergo - Boemondo d’Altavilla principe di Antiochia. Addossato al muro esterno del braccio destro del transetto della Cattedrale di San Sabino, fu eretto dopo il 1111, anno della morte di Boemondo.
La sua grande devozione a San Sabino e l'amore per Canosa, convinsero sua madre Alberada a costruire qui il suo mausoleo.


Per la struttura esterna i progettisti si ispirarono ai trascorsi crociati di Boemondo, visto che il mausoleo ricorda molto da vicino il tempietto sovrastante il Santo Sepolcro di Gerusalemme. L'edificio è diviso in due parti: quella superiore caratterizzata da un tamburo poligonale oggi coperto da una cupoletta emisferica; quella del corpo del monumento di forma quadrangolare, con una piccola abside a destra, rivestita di lastre di marmo greco di reimpiego e scandita da arcatelle cieche e lesene.
 
 
La cupola originaria era probabilmente di forma piramidale ottagonale e culminante con una pigna marmorea, era lastricata di marmi bianchi provenienti dall'isola di Paros e venne sostituita dalla copertura attuale durante il restauro del 1904 (1).

Lungo il margine superiore del tamburo corre la seguente iscrizione in versi:

Magnanimus Sirie iacet hoc sub tegmine princeps,
quo nullus melior nascetur in orbe deinceps.
Grecia victa quater, pars maxima Partia mundi
ingenium et vires sensere diu Buamundi.
Hic acie in dena vicit virtutis abena
agmina millena, quod et urbs sapit Anthiocena.

(Sotto questa copertura giace il magnanimo principe della Siria, migliore del quale non nascerà più alcuno al mondo. La Grecia vinta quattro volte, la Partia, grandissima parte del mondo, ebbero a lungo prova dell’ingegno e delle forze di Boemondo. Costui in dieci battaglie sottomise alle redini della sua virtù schiere di migliaia di uomini: cosa che sa anche la città di Antiochia).

All'interno si accedeva attraverso una porta bronzea asimmetrica realizzata alla fine dell'XI secolo da Ruggero da Melfi (2).

 
I due battenti presentano innegabili diversità di stile e di manifattura. Per ovviare a questa discrepanza Ruggero, maestro campanario, elaborò una cornice vegetale similare per ambedue, tipica ornamentazione da bordo di campana. La prima valva, quella di sinistra – molto probabilmente di reimpiego - è un blocco unico a fusione piena, con tre identici rosoni nel cui centro furono applicati una protome di leone, un fiore a sei petali entro una fascia decorativa di matrice islamica e, sopra, un rilievo della Vergine con il Bambino di cui oggi rimane solo la didascalia (Maria Mater Dei e, a ds, Ihs Filius Mariae). Su quest'anta è incisa anche una versatile iscrizione che inneggia a Boemondo continuando quella del cupolino.
Nella seconda formella dell'anta di destra, il principe di Antiochia è raffigurato insieme al fratellastro Ruggero Borsa, preferito dal padre nella successione del ducato pugliese, che morì nello stesso anno: sono inginocchiati davanti a una immagine del Cristo di cui oggi rimane solo la croce. Acerrimi nemici in vita appaiono qui riappacificati nella morte.
Nella formella sottostante, i due cugini Boemondo II – figlio di Boemondo e Costanza di Francia, principe di Antiochia (1111-1130) e Guglielmo II – figlio di Ruggero Borsa e Adele di Fiandra, duca di Puglia e Calabria (1111-1127) - sono tenuti per mano dallo zio Tancredi, in un gesto di colleganza.

Boemondo II, Tancredi d'Altavilla e Guglielmo II
 
L'anta di destra fu ottenuta assemblando quattro formelle, che si incastravano una nell'altra. Le due centrali presentano le scene di corte sopra descritte mentre le altre due, la superiore e la inferiore, presentano altrettanti dischi arabescati.
All'interno, il mausoleo si presenta oggi spoglio, a causa dei ripetuti restauri. Gli unici elementi decorativi sono costituiti da due grandi colonne di sostegno e dalla lastra incassata nel pavimento, che ricopre la tomba di Boemondo riportando la semplice dicitura: 'BOAMUNDUS' in una raffinata cornice decorata a palmette simile a quella della porta.



Note:

(1) Contro l'ipotesi di una forma piramidale della copertura originaria vedi A.D Fiorini, Quando la cupola del Mausoleo di Boemondo era una piramide ottagonale, 2013.
(2) Al di sopra del riquadro inferiore dell'anta di destra si legge l'iscrizione: Sancti Sabini Canusii Rogerius Melfie campanarum fecit has ianuas et candelabrum.

Schede correlate:

Il Principato di Antiochia



 

sabato 17 settembre 2016

Il Battistero di San Giovanni, Canosa

Il Battistero di San Giovanni, Canosa

Si può visitare solo su prenotazione (Tel. 333-8856300)


 

L’area di Piano San Giovanni, dominata dal monumentale battistero paleocristiano, è ubicata nel comparto sudorientale della città di Canosa, in prossimità del tracciato dell'antica via Traiana.
Il battistero monumentale, riconducibile alla committenza del vescovo Sabino, appare costituito da un massiccio corpo a pianta dodecagonale, al centro del quale è posta una vasca battesimale eptagonale attorno a cui corre un deambulatorio. Il corpo centrale era preceduto da un nartece concluso alle estremità da due piccole absidiole.
 
La vasca battesimale centrale
 
Attorno alla vasca battesimale era disposta una peristasi formata da dieci colonne (sette delle quali sono state rinvenute) mentre lungo le pareti del poligono si conservano undici blocchi di fondazione in calcare sommariamente squadrato sul quale dovevano poggiare le colonne di sostegno della copertura. Lungo gli assi principali dell'edificio si trovavano quattro camere (cappelle A,B,C,D) che si aprivano con una porta sul vano centrale; tra le cappelle si disponevano altrettanti corridoi che comunicavano invece con due porte con il vano centrale.
L'ambulacro doveva essere coperto da volte a crociera impostate sulle colonne disposte lungo il perimetro del poligono e sull'anello della peristasi (1).
L'area della vasca era invece verosimilmente coperta da una cupola che si impostava con pennacchi sul poligono in muratura (2).

Verso la fine dell'Ottocento la struttura subì ad ogni modo profonde modifiche al fine di essere adattata a frantoio. Lo spazio interno fu profondamente alterato con la costruzione di quattro pilastri quadrati centrali sui quali si impostano le volte a vela che restituiscono uno spazio organizzato in maniera molto diversa da quello originario.
Il battistero era molto probabilmente decorato da mosaici parietali; mentre della pavimentazione musiva policroma originaria restano tre frammenti in uno degli ambienti interni, decorato con un ornato geometrico a stelle a quattro punte con rettangoli tra le stelle.
 

Davanti al battistero si apriva infine un vasto atrio formato da due ali porticate e da uno spazio centrale scoperto. Agli inizi del VII secolo, probabilmente a seguito di un terremoto, si verificò il crollo delle ali porticate e, sulle murature in rovina fu edificata una basilica a tre navate (3), scandite da pilastri quadrati, con abside orientato (4) che ricalcava la preesistente struttura di accesso orientale all'atrio. In questa fase il nartece del battistero assunse le funzioni di collegamento tra i due edifici.
 
Il nartece visto da Nord.
A destra l'ingresso al battistero, a sinistra quello di collegamento con l'atrio e, successivamente con la chiesa di San Salvatore.
 
 
Note:

(1) Alternativa a questa ipotesi potrebbe essere quella di una volta a botte anulare rinforzata da archi radiali impostati sulle colonne.
(2) Alcuni autori hanno ipotizzato al di sopra dell'ambulacro una galleria anulare con funzioni di matroneo sulle cui pareti si sarebbe impostata la cupola di copertura.
(3) Dovrebbe trattarsi della basilica dedicata al Salvatore che compare nelle fonti scritte.
(4) La muratura curvilinea, le cui fondazioni sono ancora visibili, in cui fu edificata l'abside apparteneva molto probabilmente già all'atrio di cui costituiva l'ingresso secondo una soluzione già riscontrata nella basilica di San Leucio.
 
In primo piano, l'abside della chiesa di San Salvatore


 

sabato 3 settembre 2016

L'arco di Traiano ed il ponte sull'Ofanto, Canosa

L'arco di Traiano, Canosa


Usciti da Canosa scendendo dal colle per la Via Cerignola, superato il passaggio a livello della ferrovia Barletta-Spinazzola, s'incontra sulla sinistra l'arco di Traiano. Si trova attualmente all'interno di un vivaio privato ma è sempre accessibile al pubblico.
L'arco sorgeva lungo l'antica via Traiana, una variante dell'Appia costruita tra il 108 ed il 110 su un preesistente tracciato di epoca repubblicana che collegava Benevento e Brindisi, e segnava l'accesso onorario alla città. Noto in ambito locale anche come Arco di Varrone, dal nome di Gaio Terenzio Varrone, uno dei consoli che furono sconfitti a Canne (216 a.C.) da Annibale, risale presumibilmente all'epoca in cui fu costruita la strada.

 
Si presenta come un arco a un solo fornice - come quello dedicato dal Senato all'imperatore nel 114 ed eretto a Benevento, città da cui partiva la via Traiana - costruito in laterizi e probabilmente in origine rivestito di marmo. Sui piloni si notano delle lesene disposte sugli spigoli esterni e al centro dei lati sulla fronte dell'arco, che dovevano sorreggere una trabeazione. E' alto circa 13 m (il basamento è parzialmente interrato), largo 12 e profondo 5 ed era sormontato da un attico oggi completamente scomparso.

Bassorilievo conservato nel Museo diocesano di Trani raffigurante un guerriero dace.

Sulla base di alcune convergenze iconografiche con il ciclo raffigurato nella Colonna Traiana e dell'assoluta mancanza in Puglia di altri rilievi di epoca romana che raffigurino episodi bellici, Luigi Todisco (1) ritiene che questi due frammenti, l'uno attualmente conservato nel Museo diocesano di Trani e proveniente dalla chiesa di S.Maria de Russis (attualmente ridedicata a San Giacomo) dove era stato reimpiegato come spolia e l'altro incassato in una delle pareti di castel del Monte, possano essere considerati coevi e provenienti da uno stesso monumento, di carattere pubblico, volto a celebrare le guerre daciche di Traiano conclusesi nel 106. Lo studioso ritiene inoltre che questo monumento possa essere identificato nell'arco canosino e che i due frammenti appartenessero alla decorazione dell'attico oggi scomparso. 
 
Bassorilievo incassato nel cortile di Castel del Monte raffigurante un corteo trionfale
 
  
Il ponte sull'Ofanto: Proseguendo lungo la strada per Cerignola, ad una distanza di circa 3 km dal centro di Canosa, s'incontra il ponte con cui l'antico tracciato della via Traiana scavalcava l'Ofanto e che per secoli ha consentito di collegare Canosa alla Daunia.
 

 
L'imponente schiena d'asino poggia su una struttura in legno di quercia ricoperta di calcestruzzo e fondata su grossi blocchi tufacei e si articola in cinque arcate a tutto sesto, sorrette da enormi pilastri terminanti a cuspide.

 
Coevo alla costruzione della strada romana (108-110), pur rimaneggiato nel corso del tempo da numerosi interventi di manutenzione e di restauro dell'elevato, conserva tuttora intatti i pilastri, le spalle e la platea di fondazione.
Nel letto del fiume, ai piedi del ponte, s'intravede ancora la passerella in cemento realizzata durante l'ultimo conflitto mondiale per consentire il passaggio dei mezzi pesanti americani.

Note:
 
(1) L. Todisco, Rilievi romani a Trani, Castel del Monte, Canosa in Mélanges de l'Ecole française de Rome. Antiquité, tome 105, n°2. 1993, pp. 873-894

martedì 30 agosto 2016

Basilica di San Leucio, Canosa

Basilica di San Leucio, Canosa

Si può visitare solo su prenotazione (Tel. 333-8856300)

Sullo sfondo, le colonne dell'abside meridionale

Sorta ricalcando esattamente la pianta dell’antico tempio di Minerva - probabilmente in stato di abbandono dal IV secolo - la basilica di San Leucio a Canosa deve la sua realizzazione alla committenza del celebre vescovo Sabino, come attestato dal rinvenimento nella muratura di mattoni con il suo monogramma, di cui la tradizione fissa l’episcopato tra il 514 e il 566 (1).
 
Particolare del podio dell'antico tempio su cui venne eretta la basilica
 
Il preesistente edificio pagano non doveva essere però completamente distrutto, dal momento che fu sottoposto a una sistematica opera di spoglio e riuso dei materiali edilizi per la costruzione del nuovo edificio di culto.

Capitello figurato con la testa di Minerva proveniente dall'antico tempio ellenistico (III sec. a.C.) e reimpiegato nella basilica.

La chiesa, inizialmente dedicata ai SS.Cosma e Damiano – le cui reliquie erano state portate a Canosa dal vescovo Sabino al ritorno da uno dei suoi viaggi a Costantinopoli - fu ridedicata a San Leucio probabilmente soltanto nell'VIII secolo, quando il culto del santo si diffuse in quest’area della Puglia a seguito della traslazione delle sue ossa da Brindisi a Trani ad opera di marinai tranesi.
Del tutto particolare è la pianta della basilica, consistente in un doppio tetraconco, ossia in un grande quadrato esterno (m 47 x 47) dotato di quattro absidi al centro di ciascun lato; al suo interno ne è inserito un altro concentrico (m 28 di lato), costituito da pilastri in blocchi con rinforzi di muratura in listato conformati a L agli angoli e rettangolari alle testate delle quattro absidi che pure lo articolano su ogni lato, queste delineate però da un giro di quattro colonne anziché da muratura piena come nel quadrato maggiore.

 
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Pianta della basilica nella prima fase costruttiva
 
I due quadrati vengono cosi a delimitare un ambulacro a quattro bracci, comunicante attraverso i passaggi tra i pilastri con un esteso spazio centrale. In Italia, l'unico esempio accostabile a questo impianto è la basilica milanese di S.Lorenzo ma va sottolineata anche la similitudine con la scomparsa chiesa giustineanea dei SS.Apostoli che il vescovo ebbe sicuramente modo di vedere durante i suoi viaggi a Costantinopoli.
Nella sua prima fase la basilica era anche dotata, sul lato Nord, di due ampi vani rettangolari attestati sulla linea esterna dell’abside (l’unica con fronte rettilineo), accessibili sia dall’interno della chiesa che dall’esterno e nei quali si possono forse riconoscere i pastoforia, o comunque ambienti di servizio.

L'ingresso in corrispondenza dell'abside orientale

Non è da escludere inoltre che al fronte settentrionale si addossasse un grande spazio, pure delimitato da muri in blocchi con fondazioni in cementizio, forse interpretabile come nartece.
Per quanto riguarda invece le coperture, mentre i bracci dell’ambulacro erano voltati a botte e le absidi coperte da più alti catini a semicupola, il quadrato centrale era verosimilmente sormontato da una grande volta a quattro vele.
Resta invece dubbio se già in questa prima fase l’altare della chiesa fosse collocato presso l’abside occidentale, come tuttora visibile.

Il pavone raffigurato nel pavimento dell'abside occidentale esterna

In una seconda fase edilizia (forse già nello stesso VI secolo), seguita probabilmente a un terremoto che aveva causato il crollo di ampie porzioni del muro esterno (specialmente nella parte centro-meridionale), delle absidi e dell’intera copertura centrale, la basilica fu sottoposta a una consistente opera di restauro e ristrutturazione.
Venne aggiunta una serie di speroni quadrangolari lungo la metà esterna dell’edificio e due grossi pilastri pentagonali furono inseriti all’interno a contraffortare le colonne dell’abside meridionale; quindi si procedette alla ricostruzione della volta centrale, che venne ora poggiata su quattro nuovi sostegni introdotti nel quadrato interno, costituiti da pilastri angolari in muratura e da colonne addossate.

Pianta della basilica nella II fase costruttiva
 
La volta a quattro vele che copriva lo spazio centrale venne quindi presumibilmente sostituita da una cupola impostata su quattro sostegni, trasformando la pianta della chiesa in una croce greca iscritta, che è l'impianto privilegiato dall'architettura giustinianea.
A questa fase si può attribuire anche la ricostruzione, nel settore a ridosso dell’abside occidentale
interna, del presbiterio con l’altare e relativo ciborio, di cui restano alcuni elementi dell’arredo scultoreo in marmo proconnesio (base e fusto di colonnina ottagonale) e la connessa stesura di nuovi mosaici con motivi geometrici, vegetali e figurati, tra cui spicca il famoso pavone.

Ad un epoca poco successiva va invece fatta risalire la tamponatura, a mezzo di tramezzi, delle absidi orientale ed occidentale.
A partire dal VII secolo (se non prima), nell’area immediatamente circostante la basilica e
successivamente anche al suo interno (braccio Sud dell’ambulacro) comincia ad impiantarsi tutta una serie di sepolture di diversa forma e tipologia che venne progressivamente a formare a una vera e propria area di necropoli. A fianco dell'abside meridionale venne inoltre costruito il mausoleo dove furono riposti i resti di San Leucio.

Il mausoleo di San Leucio addossato al fronte meridionale della basilica

Note:


(1) Sembra in realtà più probabile che l'edificio pagano fosse stato trasformato in chiesa già alla fine del IV secolo ma l'intervento del vescovo Sabino ne determinò comunque la conformazione visibile tuttora.