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domenica 24 marzo 2019

Il casale di Santa Maria Nova

Il casale di Santa Maria Nova


La tenuta che ha come edificio principale il cosiddetto Casale di Santa Maria Nova si estende al V miglio della Via Appia Antica, dove la strada compie una lieve curva in prossimità dei monumenti noti come Tumuli degli Orazi e dei Curiazi, nel luogo riconosciuto dalle fonti antiche (Livio e Strabone) come Fossae Cluiliae, dove correva l'antico confine che separava l'ager romanus dal territorio di Alba Longa.
Il Casale di Santa Maria Nova, è così denominato per essere appartenuto dal XIV secolo fino al 1875 ai Monaci Olivetani di Santa Maria Nova – attualmente nota come chiesa di santa Francesca Romana al Palatino - che lo acquistarono nel 1393 dalla nobile famiglia romana dei Sanguigni e ne mantennero ininterrottamente la proprietà fino al 1873, quando la Giunta liquidatrice dell'Asse ecclesiastico ne decise la vendita all'incanto che due anni dopo si aggiudicò Isidoro Marfori. Ceduto al conte Niccolò Marcello nel 1909, rimase in mano a privati fino al 2006 quando venne acquistato dalla Soprintendenza archeologica che ne ripristinò la continuità con la Villa dei Quintili.


Il fabbricato principale fu edificato riutilizzando le murature di un imponente edificio di epoca romana, forse una conserva d'acqua o un castellum aquae a due piani, parte integrante del sistema di distribuzione idrica della zona e della Villa dei Quintili come attestano le numerose strutture antiche presenti in tutto il sito.

La grande cisterna a pianta rotonda (Cisterna Piranesi) 

Un’altra grande cisterna, a pianta rotonda, divisa all’interno da setti murari, è posta lungo il muro di epoca rinascimentale che separa la tenuta di Santa Maria Nova dalla Villa dei Quintili, dove è indicata la presenza di « grandi bagni », descritti da Luigi Canina nella metà dell’800. E' l’unica cisterna a pianta circolare della villa e fu realizzata intorno alla prima metà del II secolo con un calcestruzzo in scaglioni di basalto. Nel XVII secolo fu inglobata nel muro di recinzione che separava la Tenuta di Santa Maria Nova da quella dei Quintili. Il suo diametro misura circa 29 metri, pari a 100 piedi romani.
Internamente è suddivisa in sei camere parallele e comunicanti coperte con volte a botte, e le sue pareti sono completamente rivestite da “ cocciopesto” per renderle impermeabili: la sua funzione principale era il rifornimento d’acqua agli impianti residenziali e termali dei Quintili.

Veduta della cisterna dall'alto

Tra il 1500 ed il 1600 le tre camere centrali, quelle più lunghe e più capienti, furono dotate di nuove coperture a doppio spiovente, realizzate con una massicciata in scaglie di basalto; i tre piccoli frontoni che si vennero a formare agli estremi delle coperture, in prossimità del paramento curvilineo dell’edificio, furono sistemati con una cortina di mattoni di riutilizzo; sotto di essi venne scalpellata la muratura portante del tamburo costruttivo per realizzare i tre accessi alle “gallerie”, che da questo momento in poi cambiarono destinazione d’uso, divenendo ambienti adatti al ricovero degli animali e alla conservazione del loro foraggio.
E' nota anche come Cisterna Piranesi per via di un'opera del celebre incisore che la raffigura sul finire del XVIII secolo già con il nuovo sistema di coperture.

In prossimità dell'ingresso alla tenuta si trova un casaletto, costruito nel 1876 come stalla, che si alza su strutture romane in opera reticolata, con relative fondazioni, oggi adibito a punto di accoglienza e biglietteria.


Il nucleo originario del casale principale è invece formato dal monumento di epoca romana, verosimilmente una conserva d’acqua o un castellum aquae a due piani, riconducibile alla prima metà del II secolo.
Gli ambienti situati al piano terreno e la soprastante torre tardo-romana, che corrispondono al nucleo più antico dell’edificio, hanno conservato fino ad oggi la struttura originaria nonostante il riuso dei secoli successivi. La muratura è in opera laterizia con poderosi contrafforti esterni disposti sugli angoli e lungo le pareti longitudinali. L’interno era originariamente diviso in quattro vani comunicanti tra loro mentre all’esterno due scale, le cui tracce sono in parte visibili sui lati nord e sud, conducevano al piano superiore.


In età tardo-romana avviene la sopraelevazione della torre in opera laterizia, con funzione difensiva e di avvistamento realizzata nel VI secolo, verosimilmente, nel corso delle guerre greco-gotiche. Tracce di muratura del IX secolo, poste in prossimità della torre, ne attestano l'utilizzo anche in età altomedievale, indizio della trasformazione del monumento in fabbricato annesso al fondo agricolo.
Tra il XIII e il XIV secolo, con un'ulteriore sopraelevazione della torre in scaglie di marmo bianche, e quella dell’intero edificio in blocchetti di tufo grigio nonché con la costruzione del redimen, ossia la cinta muraria, si registra una ulteriore modificazione che configura l’aspetto tipico del casale della Campagna Romana.
Alcune caratteristiche, oggi perdute ma ancora visibili nei disegni del XIX secolo, come la facciata gradonata sul lato est e il coronamento merlato dei prospetti longitudinali, dovevano ricordare il Palazzo Caetani a Capo di Bove.


All'ultimo piano della torre è visibile una decorazione a scacchi bianchi e rossi che richiama lo stemma dei Sanguigni.

Stemma dei Sanguigni
Nel XVI secolo, ulteriori trasformazioni del monumento sono evidenti in una ulteriore sopraelevazione in blocchi irregolari di tufo grigio, nella realizzazione della piccola cappella semicircolare e nella costruzione dei due recinti adiacenti al redimen, edificati con materiali di spoglio. L’ampliamento è legato alle rinnovate esigenze funzionali del fondo agricolo; intorno al corpo di fabbrica principale si consolida il sistema dei tre cortili riservati a orto, corte del casale e pascolo per gli animali domestici.
L’edificio è utilizzato al piano terra a magazzini per lo stipare le derrate, gli attrezzi e quant’altro necessario allo svolgimento dell’attività agricola; al piano superiore per l’abitazione dei conduttori del fondo.
La piccola cappella, fruibile dal primo piano del casale, che coincide con il vano superiore del monumento, si erige sui resti del pianerottolo della scala romana. Il luogo di preghiera, elegante nelle forme, è plausibile sia stato realizzato dai monaci Olivetani che in una fase, hanno condotto in prima persona l’azienda agricola.
Lo stemma dell’Ordine, scolpito su vecchi cippi di confine del tenimentum, è visibile su due gradini della scala moderna costruita a ridosso del lato principale del casale.
Lo stemma degli Olivetani su un gradino della scala esterna

L'impianto termale

In una delle zone meglio indagate, si è riscoperto un piccolo impianto termale prospiciente la Via Appia alimentato dall’acqua di alcune cisterne collocate a breve distanza (forse anche di quella, imponente, su cui si è impiantato il Casale principale).
L'aula absidata (frigidarium)

Prima degli scavi recenti era a vista solo la parte più alta di alcune strutture, tra cui quella della parete curva della sala absidata. Lo scavo ne ha chiarito la funzione come frigidarium, con vasche per l’abluzione in acqua fredda, una semicircolare, l’altra rettangolare. La muratura in mattoni era interamente rivestita di pregevoli lastre di marmo cipollino e breccia corallina. A sinistra di questa sala sono visibili i due ambienti della parte più calda delle terme (calidarium e tepidarium), con il sistema di riscaldamento che metteva in circolo, attraverso i tubuli di terracotta sulle pareti e l’intercapedine (ipocausto) sotto ai pavimenti, l’aria calda prodotta dai forni (praefurnia) collocati negli ambienti di servizio circostanti.
Il calidarium ed il tepidarium di cui sono evidenziati gli ipocausti
Queste sale sono decorate da mosaici con scene di spettacoli gladiatori e di circo.
schema ricostruttivo

Il pavimento del calidarium (a sinistra nella ricostruzione), è decorato da un mosaico con raffigurazione di scena di circo con quattro cavalli accoppiati: due si fronteggiano incedenti al passo, contrapposti ad un elemento centrale, forse una palma, su un terreno accidentato; gli altri due sono divergenti e sembrano nell’atto di ripartire impetuosamente, con la zampa anteriore sinistra sollevata dal suolo, il dorso contratto, nello sforzo dello scatto.


Del cavallo meglio conservato, si apprezzano ancora i finimenti come frontale e testiera, il collare con fila di falere e al centro del petto una borchia (bulla). In basso, a sinistra dell’animale, restano tre lettere di dubbia interpretazione: TOT; nulla rimane del suo antagonista, di cui si può supporre la raffigurazione speculare; di quello nell’angolo nord resta la testa, buona parte del corpo e se ne legge il nome in alto alla sua destra, INVICT[V]S; ha gli stessi finimenti di quello precedente e la corta coda è decorata con nastri (teniae); dell’altro nell’angolo opposto rimane solo parte del treno posteriore.
Il mosaico che decora il tepidarium rappresenta un gladiatore con rete e tridente (raetiarius) che indica una figura mancante sulla sua destra di cui si conservano l’impugnatura di una spada e una porzione di scudo.


Il giovane, con capigliatura corta e ciuffo sulla fronte, indossa l’abbigliamento tipico, una sorta di pantaloncino trattenuto da una fascia (subligaculum e balteus), e gli accessori difensivi (galerus paracolpi sopra la spalla sinistra e manica lungo il braccio). Il tridente è tenuto in posizione di riposo. Tra la testa e il braccio destro è indicato il nome del combattente, MONTANUS, elemento raro e importante.
Un secondo personaggio in tunica tiene in mano una lunga bacchetta (virga, rudis) che punta verso la figura mancante; indossa calzari chiusi e la veste decorata da bande verticali, è trattenuta in vita da una cintura. Anche per lui è indicato il nome, ANTONIUS e si tratta quasi certamente di un arbitro al massimo livello d’esperienza.

La presenza di un marchio di fabbrica dell’età di Commodo, impresso su un mattone nell’intercapedine del sistema di riscaldamento, ha permesso di datare il mosaico dei gladiatori alla fine del II secolo, quindi a un intervento edilizio successivo alla fondazione dell’impianto originario, per motivi di restauro o adeguamento della struttura.
Le scene rappresentate, con i combattimenti gladiatori tanto cari all’imperatore Commodo - che amava cimentarsi personalmente nell’arena - i cavalli delle quattro fazioni del circo, evocazione dello sport popolare per eccellenza, assieme alle dimensioni limitate degli edifici, collegati quasi certamente all’edificio residenziale situato nelle vicinanze, fanno supporre che l'impianto termale fosse utilizzato dal presidio militare dell’imperatore, preposto alla difesa della Villa dei Quintili.