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sabato 28 aprile 2018

Il Triopio di Erode Attico: il cenotafio di Annia Regilla

Il Triopio di Erode Attico: il cenotafio di Annia Regilla

Lato sud

L'edificio si presenta come un sepolcro a tempietto a due piani, in laterizio, coperto da un tetto a doppio spiovente che si regge su una volta a crociera impostata su pilastri angolari; al piano superiore, illuminato dalle finestre rettangolari, avevano luogo i riti funebri, mentre nel piano inferiore, privo di finestre, era allestita la cella sepolcrale. Di particolare effetto è l'uso di due tipi di laterizio: mattoni gialli per le pareti e tegole rosse nelle modanature.

Lato est
 
La parete orientale è la più decorata, forse perché si affacciava su una strada - la via Asinaria - che, partendo dalla via Appia raggiungeva probabilmente la Porta Asinaria (1) dopo aver incrociato la via Latina. E' ornata da due semicolonne ottagonali incassate nel muro, che partiscono la parete in tre riquadri; al centro una finestra rettangolare ha una bella cornice sorretta da mensole che formano una specie di baldacchino, mentre ai lati si vedono due vani rettangolari ornati con ricche cornici, che contenevano delle iscrizioni in marmo; in basso corre una fascia decorata a meandri.

Lato nord
 
L'ingresso è sul lato verso il fiume Almone, dove una gradinata conduce al piano superiore, formando davanti alla porta un podio largo tre metri: qui secondo alcuni autori si alzava un piccolo pronao a quattro colonne, di cui però mancano evidenze archeologiche.
Sopra la porta principale, una nicchia semicircolare è sormontata da un timpano ad angolo molto acuto, ed è fiancheggiata da due finestre la cui cornice superiore è sorretta da mensole.

Intorno al IX secolo l'edificio fu trasformato in oratorio cristiano. Il discreto stato di conservazione del manufatto è dovuto in buona parte al suo riutilizzo in epoca successiva come fienile (documentato da un disegno di Carlo Labruzzi della fine del XVIII sec.) – cosa che gli assicurò una certa manutenzione - ma non si può escludere che per un periodo sia stato anche utilizzato come fortificazione.

Carlo Labruzzi, 1789

Fino al XIX secolo infatti - come appare ancora nel disegno realizzato dall'architetto inglese George Wightwick nel 1825 - immediatamente a ridosso del cenotafio, si alzava una torre di avvistamento, le cui fondamenta sono oggi incorporate nel vicino casale, che faceva parte del sistema difensivo della valle (2).
 
da George Withwick, Select Views of Roman Antiquities, 1828 

L'identificazione con il tempio del dio Redicolo - avanzata per la prima volta dal Nibby sulla base di un passo di Plinio che lo colloca nei pressi della via Appia all'altezza del secondo miglio (non è chiaro però se a destra o a sinistra dell'antica via) – con cui il monumento è anche conosciuto, va invece senz'altro rigettata in quanto non ci sono dubbi che si tratti di un sepolcro, anche se quasi sicuramente non accolse mai le spoglie di Annia Regilla – la moglie di Erode Attico - che venne sepolta in Grecia, dove si trovava quando morì in circostanze non del tutto chiare.
 
Note:
 
(1) Le arcate dell'acquedotto ottocentesco che si nota nelle vicinanze insistono probabilmente sul tracciato dell'antica via Asinaria.

 

 
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venerdì 27 aprile 2018

La chiesa di Agios Evlos (Junus bey turbe), Ainos

La chiesa di Agios Evlos (Junus bey turbe), Ainos

Lato nord

Si trova subito a sud dell'abitato di Ainos (l'attuale Enez, nella Tracia turca), all'interno di un cimitero ottomano.
Yunus bey – un rinnegato cristiano forse di origini catalane - fu comandante in capo della flotta ottomana dal 1456 al 1459. In quanto tale nel 1456 appoggiò con la flotta l'attacco sferrato via terra da Maometto II contro la città di Ainos, occupando le isole di Samotracia e Imbro che appartenevano alla stessa baronia all'epoca governata da Dorino Gattilusio (1). Rimosso dalla carica, e probabilmente fatto giustiziare dal sultano, nel 1459, fu sepolto in questa chiesa che fu trasformata nel suo mausoleo (turbe).
 
La chiesa bizantina, databile alla fine del XIV secolo o agli inizi del XV, era precedentemente molto probabilmente dedicata a Sant' Evlos, di cui è attestata l'esistenza di un centro di culto ad Ainos in una agiografia del XIV secolo.
L'edificio presenta una pianta a croce libera (con i bracci N e S che appaiono leggermente accorciati rispetto a quelli E e O) con il naos coperto da una cupola impostata su un alto tamburo cilindrico traforato da quattro strette finestre in corrispondenza degli assi cardinali. L'abside aggettante all'esterno è di forma semicircolare.

Lato est
 
Quando la chiesa fu trasformata in mausoleo dell'ammiraglio, l'ingresso sul lato occidentale venne murato e ne venne aperto uno nuovo su quello settentrionale. Il sarcofago di Junus bey venne invece collocato nel braccio meridionale.
 
Abside
 
Note:
 
(1) Vedi scheda La baronia di Ainos.
 


mercoledì 25 aprile 2018

La Fatih Camii di Ainos (Enez)

La Fatih Cami di Ainos (Enez)

Lati ovest e sud. Sullo sfondo s'intravedono le mura della cittadella

Si trova all'interno della cittadella (ormai abbandonata) di Ainos (l'attuale Enez in Turchia) e la sua dedicazione non è nota (1). Hasluck (1908) la dice dedicata a San Costantino (ma non riporta la fonte), mentre Vacotoupolos (1981) riporta una dedica alla Divina Sapienza (Hagia Sophia) con cui è anche attualmente nota.

 
Nella lunetta al di sopra dell'ingresso principale rimangono i resti di un affresco che raffigura al centro la Theotokos, in piedi su un suppedaneo, che indossa una veste blu e sopra questa una sopravveste purpurea, alla sua sinistra si dispone la figura di un vescovo – identificato dall'omophorion – che tiene un libro nella sinistra mentre con la destra accenna alla Vergine. Per i suoi caratteri stilistici può essere datato agli inizi dell'età paleologa.
La presenza della raffigurazione della Vergine in un punto così importante della costruzione sembra suggerire una dedica alla Teotokos.
Dopo la conquista ottomana (1456) fu trasformata in moschea e dedicata a Maometto II (Fatih=Conquistatore) e come tale funzionò fino al 1965 quando, gravemente danneggiata dal terremoto, fu abbandonata. E' stata oggetto di un recente restauro.


Osterhaut propone una datazione dell'edificio al XII secolo.
Presenta una pianta piuttosto inusuale che può essere descritta nei termini di una pianta basilicale coperta da una cupola centrale. Il naos è a pianta cruciforme ed è preceduto da nartece ed esonartece. La cupola che lo ricopre era impostata su quattro pilastri a forma di L, ciascuno dei quali al livello più basso accoglie due colonne.

I bracci sud (in cui è stato ricavato il mihrab) e quello nord della croce. L'arco acuto che sostiene la cupola sul lato meridionale è frutto di un rimaneggiamento ottomano.
 
Il santuario è tripartito e presenta absidi semicircolari all'interno e poligonali all'esterno (ennagonale quello centrale e pentagonali le due laterali).

L'abside centrale con il troncone del minareto aggiunto in epoca ottomana
 
La facciata occidentale dell'esonartece appare porticata e slegata dal corpo principale - a cui è comunque coeva - ed era probabilmente coperta in origine da un tetto di legno. Da notare il ritmico alternarsi di colonne e pilastri nel prospetto della facciata esterna.

La muratura alterna fasce realizzate con la tecnica “a mattone arretrato”, tipica dell'XI-XII secolo, a fasce in pietra squadrata. In diversi punti compaiono motivi decorativi a mattoni, particolarmente elaborato quello che si osserva nella conca absidale della prothesis.

La prohesis con la decorazione a mattoni della conca absidale
 
Gli archi del portico appaiono notevolmente allungati verso l'alto come quelli delle finestre che si aprivano sul lato settentrionale (oggi crollato), queste ultime avevano una forma ed una disposizione particolare: in numero di tre con una più alta al centro fiancheggiata da due più basse.

Il lato settentrionale fotografato nel 1960 c.ca
 
Una analoga disposizione delle finestre si riscontra soltanto nella costantinopolitana Kalendarhane camii (il rimaneggiamento che le ha conferito gran parte del suo aspetto attuale risale al 1190-1195). Qui si nota solo nelle fotografie che raffigurano la parete settentrionale prima del crollo determinato dal terremoto del 1965 perchè la parete sud è stata fortemente alterata in epoca ottomana per ospitarvi il mihrab. D'altra parte, l'allungamento del braccio occidentale della croce e l'innesto della cupola su un impianto basilicale consente il raffronto con alcune chiese di transizione tra la pianta basilicale e quella a croce inscritta come la Hagia Eirene di Costantinopoli (532), in un rimando ad esempi architettonici del passato che non stona nel più generale revival dell'antico che caratterizza il periodo comneno.

Il lato meridionale. La muratura dell'esonartece appare chiaramente non legata a quella del corpo principale.
 
Gran parte degli elementi marmorei sono di reimpiego, in particolare i capitelli delle colonne del naos, sia quelli corinzi che quelli cubici, sembrano databili al VI secolo mentre i capitelli delle colonne del portico – ricavati da prototipi del VI secolo – sembrano realizzati in epoca più tarda (IX-X sec.).

capitello di una delle colonne del naos
 
Della decorazione pittorica originale – oltre al già citato affresco con la Teotokos – è rimasto anche un altro lacerto, nell'arco d'ingresso della prothesis, dove si distingue un santo stante e barbato che indossa una semplice tunica rossoarancio.

 
 
Note:
 

lunedì 23 aprile 2018

chiesa del Cristo Pantepoptes

chiesa del Cristo Pantepoptes (Eski Imaret Cami)


La chiesa del Cristo Pantepoptes (letteralmente =che tutto osserva) fu fatta edificare da Anna Dalassena (1), madre di Alessio I Comneno, poco dopo l'ascesa al trono di questi (1081), come katholikon dell'omonimo monastero dove si ritirò a vita monastica - probabilmente tra il 1096 e il 1097 - e dove morì e fu sepolta (1100-1102).
La chiesa sorge sul quarto colle di Costantinopoli da cui domina il Corno d'oro. Durante l'assedio crociato Alessio V Murzuflo pose qui il suo quartier generale per sorvegliare i movimenti della flotta veneziana.
Durante l'occupazione latina fu affidato ai benedettini di S.Giorgio Maggiore di Venezia che lo spogliarono di tutti gli arredi e le reliquie.
Dopo la conquista parte del monastero del Pantepoptes venne trasformata in mensa dei poveri e annessa al complesso della moschea Fatih. Imaret (letteralmente: cucina della minestra) era uno dei nomi utilizzati per indicare queste cucine pubbliche, Eski Imaret Cami significa quindi semplicemente moschea dell'antica cucina.

Lato meridionale
 
Esternamente presenta una muratura del tipo a mattone arretrato – i filari di mattoni sono disposti su piani sfalsati, mascherando i filari più arretrati con lisciature di malta – che venne introdotta per la prima volta in epoca comnena. In vari punti della muratura si osserva la presenza di motivi decorativi in mattoni più o meno complessi: una croce greca inscritta in una rondella, che ricorre più volte, fasce di decorazione a meandri o a spina di pesce.
 
 
L'abside centrale, aggettante e poligonale all'esterno, è traforato da tre alte finestre al di sopra della quali si aprono altrettante nicchie che hanno la funzione di alleggerire la costruzione.
Purtroppo una visione completa dell'edificio dall'esterno è impedita dall'addossamento di nuove costruzioni lungo il lato settentrionale e parte della facciata occidentale.

All'interno: presenta una pianta a croce greca inscritta con una cupola che originariamente poggiava su quattro colonne, sostituite durante il periodo turco da altrettanti pilastri ottogonali, abside (rimaneggiata in epoca ottomana) fiancheggiata dai pastoforia – che presentano una curiosa pianta trilobata - nartece ed esonartece. La cupola s'imposta su un tamburo dodecagonale ed è percorsa da nervature. Sul tamburo si aprono dodici finestre esternamente separate da colonnette.
 
 
Un recente restauro ha dimostrato che l'esonartece era originariamente un portico aperto (costruito poco dopo l'edificio originale), l'aspetto attuale - in cui è sormontato da una galleria che si apre con un tribelon verso il naos – è probabilmente frutto di un rifacimento di epoca paleologa (2). Appare diviso in tre campate, quella centrale sormontata da cupoletta, quelle laterali coperte da volte a crociera.

Lato ovest

Di particolare interesse è la galleria da cui si accede a due stanze che si trovano al di sopra delle campate occidentali del naos, ad un livello più alto della galleria stessa, mentre questa terminava a sud e a nord con delle aperture che forse comunicavano con scale esterne. E' probabile che questi accessi fossero riservati alla fondatrice.
Della decorazione interna originale, non rimane quasi nulla se non alcune modanature in marmo, cornici e telai di porte.

Il santuario in cui è stato ricavato il mihrab


Note:

(1) E' stato osservato che l'epiteto di pantepoptes, piuttosto inusuale riferito al Cristo, molto meglio si adatterebbe al ruolo di eminenza grigia svolto dalla Dalassena nel determinare le fortune politiche della famiglia dei Comneni.
 
(2) La chiesa poggia su una sottostruttura formata dal soffitto voltato a botte di una cisterna sottostante che manca in corrispondenza dell'esonartece a confermarne la costruzione in epoca più tarda.


sabato 21 aprile 2018

La baronia di Ainos sotto i Gattilusio (1382-1456)

La baronia di Ainos sotto i Gattilusio (1382-1456)


Niccolò Gattilusio (1382-1409)
Fratello minore di Francesco I Gattilusio (cfr. scheda L'isola di Lesbo), primo signore dell'isola di Lesbo, grazie ai buoni uffici di questi, ottenne dall'imperatore Giovanni V Paleologo la signoria della città e della baronia di Ainos (l'attuale Enez, in Turchia), sita sulla costa della Tracia orientale in prossimità della foce dell'Evros (Maritza).
Istituita all'epoca della partitio Romaniae successiva alla IV crociata, la baronia di Ainos era per lungo tempo appartenuta titolarmente ai duchi di Borgogna. Tornata sotto controllo bizantino alla caduta dell'Impero latino, nel 1352 venne assegnata da Giovanni VI Cantecuzeno al genero Niceforo II Orsini, ex despota d'Epiro. Dal 1356 era rientrata nei possedimenti di Giovanni V che vi aveva insediato un proprio governatore.
Oltre a rivestire una notevole importanza strategica – trovandosi al confine con territori ormai sotto controllo ottomano – la baronia era anche particolarmente ricca grazie alla pescosità delle acque della zona e, soprattutto, alla presenza delle importanti saline del lago di Jala Göl.
Dopo la morte improvvisa del fratello Francesco, nel corso del violento terremoto che colpì Lesbo nell'agosto 1384, Niccolò Gattilusio venne chiamato dai maggiorenti dell'isola a esercitare la reggenza in nome del giovane nipote Jacopo (miracolosamente scampato al terremoto) che assunse il nome dinastico di Francesco II. Per i tre anni successivi tutti i domini della famiglia furono quindi riuniti sotto il suo controllo.
Nel 1387, l'arrivo a Lesbo del futuro imperatore Manuele II Paleologo – cugino di Francesco II - dopo il fallimento della campagna militare che dal suo appannaggio di Tessalonica aveva lanciato contro i possedimenti turchi nei Balcani, scatenò un contrasto tra zio e nipote. Alla politica di sostanziale equidistanza da bizantini e turchi intrapresa da Niccolò, il nipote preferiva infatti una più netta presa di posizione antiturca. Di conseguenza Niccolò decise di rientrare nella propria baronia, dedicandosi alla sua amministrazione e all'incremento delle sue rendite.
La morte prematura di Francesco II, nel 1404, lo portò nuovamente a Lesbo in qualità di reggente della signoria per conto del giovane erede Jacopo.
Sposatosi con una nobildonna greca di nome Elena che gli diede soltanto un figlia femmina di nome Marietta, alla sua morte nel 1409, non avendo discendenti diretti maschi, lasciò in eredità la baronia al più giovane dei suoi pronipoti, Palamede.

L'ingresso alla cittadella di Ainos
 
I Gattilusio rinforzarono in maniera massiccia le fortificazioni della città ereditate dai bizantini, come testimoniato da alcune placche marmoree incassate nella muratura.
 

Placca marmorea incassata nella muratura del bastione meridionale che si riferisce alla costruzione di una torre. A sinistra la cotta di maglia emblema araldico dei Gattilusio, a destra forse l'aquila coronata dei Doria. L'iscrizione in latino la data al 1 maggio 1382 o 1385.
 
Placca marmorea con le insegne dei Gattilusio incassata sulla faccia meridionale di una torre quadrata. L'iscrizione la data al 1 agosto 1413.

I resti del palazzo dei Gattilusio si trovano probabilmente lungo il muro di nordovest della cittadella ma devono ancora essere indagati.

Palamede Gattilusio (1409-1455)
Terzogenito di Francesco II Gattilusio, signore di Lesbo, nacque probabilmente nell'ultima decade del XIV secolo. Nel 1409 ereditò dal prozio la baronia di Ainos che governò inizialmente sotto la tutela del fratello maggiore Jacopo.
Grazie alla sua parentela con la casa regnante dei Paleologi - più volte orgogliosamente ricordata nelle sue iscrizioni - mantenne sempre stretti rapporti tanto con la corte imperiale di Costantinopoli quanto con esponenti di alcune delle principali famiglie dell'aristocrazia bizantina che lo consideravano come un loro pari a tutti gli effetti.
Queste relazioni gli consentirono di ampliare pacificamente i suoi possedimenti annettendosi nel 1430 l'isola di Samotracia – che gli fu concessa da Giovanni VIII – e, tra il 1450 e il 1453, quella di Imbro, concessagli da Costantino XI. Su entrambe istallò come governatore il nobile greco Giovanni Laskaris Ryndakenos e provvide a rafforzarne le difese.
Da una moglie di cui non si conosce il nome ebbe ben sette figli e attraverso un'accorta politica matrimoniale cercò di consolidare i suoi rapporti con la madrepatria genovese – da cui si aspettava di essere sostenuto contro la minaccia turca – e con la corte bizantina.
1) Giorgio (morto nel 1449), che sposò Elena (Eufrosine) Notaraina, figlia dell'ultimo primo ministro bizantino, Luca Notaras (1).
2) Dorino, che successe al padre alla sua morte nel 1455 e che sposò Elisabetta Crispo, figlia del duca di Nasso Giacomo II.
3) Caterina, che sposò Marco Antonio Doria
4) Ginevra, che nel 1442 sposò il futuro doge di Genova Lodovico Campofregoso.
5) Costanza, che sposò Gian Galeazzo Campofregoso.
6) nome sconosciuto, che sposò il cugino Francesco Gattilusio, figlio di Dorino I di Lesbo, che però morì appena sei mesi dopo le nozze.
7) Valentina, che sposò Giorgio del Carretto marchese di Zucarello.

Palamede Gattilusio morì nel 1455.

Dorino Gattilusio (1455-1456)
Secondogenito di Palamede, si trovò ad ereditare la signoria grazie alla prematura scomparsa del fratello maggiore Giorgio. Non doveva però avere buoni rapporti con il padre, giacchè questi lasciò disposto nel suo testamento che avrebbe dovuto dividere il potere con i figli del fratello maggiore. Dorino non diede però seguito a questo mandato testamentario, escludendo i nipoti dalla gestione del potere e dal patrimonio di famiglia. Visti respinti tutti gli appelli ad una composizione pacifica del dissidio, la fazione che parteggiava per i due ragazzi, capeggiata dalla madre Elena Notaraina, si risolse a inviare un'ambasceria a Costantinopoli presso il sultano Maometto II, affinché quest'ultimo intervenisse costringendo Dorino, in quanto suo vassallo e tributario, a reintegrare nei loro diritti gli spossessati nipoti oppure, in caso di rifiuto, che lo destituisse.

Ricevuto su un piatto d'argento un pretesto per impadronirsi di un caposaldo strategicamente importante (in caso di Crociata infatti la città di Ainos, posta a ridosso dei territori occupati dagli ottomani, avrebbe potuto costituire un ottimo appoggio per una testa di ponte delle armi cristiane) nonché molto ricco grazie alle saline, il sultano non esitò ad intervenire militarmente.
Nel cuore dell'inverno, mentre Dorino si trovava nel suo castello di Samotracia, Maometto II occupò la città di Ainos che gli si arrese senza opporre resistenza, mentre la flotta ottomana, al comando dell'ammiraglio Junus bey (2), occupava Imbro arrestando il governatore Giovanni Laskaris Ryndakenos e sostituendolo con un altro notabile locale, Michele Critobulus, che diverrà il biografo di Maometto e il cui atteggiamento filoturco era già noto alla Sublime Porta. Mentre la flotta ottomana si avvicinava a Samotracia, Dorino riuscì a sottrarsi alla cattura e a raggiungere la costa a bordo di una piccola imbarcazione. Da qui non gli mancò il coraggio di recarsi a Costantinopoli dove, facendo leva sul suo fascino, era quasi riuscito a convincere il sultano a rendergli i possedimenti di Samotracia e Imbro se non fosse intervenuto Janus bey che suggerì al sultano d'insediarlo piuttosto nell'entroterra dove sarebbe stato meno pericoloso. Il sultano gli assegnò quindi il remoto distretto di Zichni, vicino a Serres nella Macedonia centrale.

Scontento della sistemazione e probabilmente fidandosi poco del sultano, con l'aiuto di alcuni fedelissimi, riuscì ad eliminare la scorta turca e ad imbarcarsi rifugiandosi alla corte del duca di Nasso, Guglielmo II Crispo con cui era imparentato e che gli diede in moglie la nipote Elisabetta, figlia del defunto duca Giacomo II (cfr.scheda Il Ducato dell'Arcipelago).

Dal 1463 al 1467, la città di Ainos e alcuni possedimenti nelle isole di Samotracia, Imbro e Tasos furono concessi da Maometto II in appannaggio al deposto Despota di Morea Demetrio Paleologo (cfr. scheda Morea, Introduzione).

Note:
(1) Su Luca Notaras vedi scheda L'assedio di Costantinopoli, paragrafo La sorte dei comandanti cristiani.
(2) Vedi scheda La chiesa di Agios Evlos (Junus bey turbe).


mercoledì 11 aprile 2018

Mescidi dello sceicco Solimano

Mescidi dello sceicco Solimano (Şeyh Süleyman Mescidi)
al n.26 di Zeyrek caddesi

Lato sud

La funzione originaria di questo edificio, che si trova sul quarto colle di Costantinopoli, nelle vicinanze del Monastero del Pantokrator, non è del tutto chiara. Spesso è stato considerato risalire al periodo paleologo anche se parte della muratura sembra suggerire una datazione più antica.
Esternamente, sotto il profilo strutturale, mostra una parte superiore ottagonale, sormontata da una cupola poco profonda, giustapposta ad una parte inferiore a base quadrata.
La muratura delle due parti è completamente diversa. La parte inferiore, di epoca bizantina, è a corsi alterni di mattoni e pietre (come nelle mura teodosiane), mentre quella superiore è costruita interamente in mattoni e sembra riconducibile al periodo ottomano.
All'interno, invece, la pianta è del tutto ottagonale. Si tratta quindi di un cilindro ottagono la cui parte inferiore è compresa all'interno di una struttura muraria a pianta quadrata. Sui lati dell'ottagono si aprivano inoltre originariamente quattro nicchie semicircolari, alternate ad altrettante aperture d'ingresso.
A sn. pianta e alzato dell'edificio in epoca bizantina, a ds. dopo i rimaneggiamenti di epoca ottomana
 
La pianta ottagona ha fatto pensare ad una originaria funzione di battistero dell'edificio, ipotesi suffragata dal rinvenimento, nel corso di recentissimi restauri, del perimetro di fondazione, al centro dell'edificio e a livello della sua pavimentazione più antica, di una vasca ottagonale.

la vasca battesimale (indicata dalla freccia)

Nondimeno, la cripta posta al di sotto del piano pavimentale originale mal si accorda con la funzione battesimale dell'edificio. Al di sotto della cripta si trova inoltre una cisterna interamente scavata nella roccia.
E' quindi ipotizzabile che l'edificio, nato come battistero, sia stato successivamente trasformato in cappella funebre. Meno probabile sembra invece il suo riutilizzo come biblioteca del Monastero del Pantokrator ipotizzato da alcuni studiosi.

Lato ovest
 
Convertito in mescidi (piccola moschea) dallo sceicco Solimano poco dopo la caduta della città, l'edificio fu fortemente rimaneggiato per adattarlo al nuovo culto. Il tamburo della cupola venne sopraelevato e le otto finestre che vi si aprono incluse entro archeggiature e cornici a sesto acuto. All'interno la nicchia meridionale venne murata per ospitarvi il mirhab, gli ingressi originari vennero anch'essi murati (sostituiti da finestre lungo i lati sud e ovest) mentre ne venne aperto uno nuovo sulla parete occidentale demolendo la nicchia settentrionale.

Lato est
 
Nel 1756 l'edificio fu gravemente danneggiato da un incendio e successivamente restaurato. Dopo un progressivo degrado è stato nuovamente restaurato in epoca recente e riaperto al pubblico nel 2016.
 
L'edificio come appariva dalla stessa angolazione nel XIX secolo
da A.G. Paspates, Byzantinai meletai topographikai, 1877
 
 
Note:

(1) In questa chiave, sono state osservate significative similitudini d'impianto con alcuni edifici battesimali del V-VI secolo come il Battistero neoniano di Ravenna o quello di Albenga. Altre similitudini sono state peraltro rilevate con un edificio – un martyrion o una cappella funebre – ritenuto di età paleologa (XIII-XV sec.) e appartenente un tempo al complesso del monastero costantinopolitano di Gastria.
 
  Battistero di Albenga