L'attuale
denominazione di Porta Maggiore non trova una giustificazione storica o logistica, ma
sembra semplicemente derivata dall’uso che ne faceva normalmente il
popolo romano, a motivo della sua grandiosità.
Fu costruita sotto
l’imperatore Claudio nel 52 per consentire all'acquedotto Claudio
di scavalcare le vie Praenestina e Labicana.
Appare realizzata
interamente in opera quadrata di travertino con i blocchi in bugnato
rustico secondo lo stile dell'epoca. Presenta una grande unica
struttura con due fornici, con finestre sui piloni, inserite in
edicole con timpano e semicolonne di stile corinzio.
I due fornici
permettevano il passaggio della via Labicana, oggi via Casilina, (il
sinistro) e della via Prenestina.
L'attico è diviso
da marcapiani in tre fasce. Le due superiori corrispondono ai canali
degli acquedotti Anio Novus (il più alto) e Aqua Claudia.
Gli spechi dei due acquedotti all'attico della porta
Successivamente la
porta monumentale fu inserita nel tracciato delle mura costruite
intorno alla città dall'imperatore Aureliano nella seconda metà del
III secolo ed assunse il nome di Porta
Praenestina o Labicana.
Fu fortificata ai
tempi dell'imperatore Onorio, il quale, nel 402, avanzò le due
aperture verso l’esterno e fece costruire un bastione davanti alla
porta vera e propria, suddividendola in due porte distinte, la
Praenestina a destra e la Labicana
a sinistra, che erano rinforzate, a scopo soprattutto difensivo, da
torri quadrate poste ai lati e da un bastione cilindrico al centro,
ed erano sormontate da finestrelle ad arco, quattro sulla Praenestina
e cinque sulla Labicana.
Si trattava però
di una struttura decisamente asimmetrica e priva di equilibrio
architettonico, difetti quasi certamente dovuti ai diversi livelli
delle due strade (la Labicana era più in basso), per cui le torri
erano disallineate e le finestre, con le relative camere di manovra,
fuori piano.
La porta onoriana in una incisione di Luigi Rossini (1829)
Nel 537-538, in
occasione dell’assedio dei Goti di Vitige, la porta fu chiusa, come
anche altre, per limitare il numero delle aperture da dover
difendere; chiusa risultava anche nel 966, limitatamente al fornice
Labicano, che comunque sembra essere stato quasi sempre chiuso, forse
già poco dopo i lavori di Onorio.
Nel 1838 papa
Gregorio XVI fece restaurare la porta, demolendo la struttura
onoriana (forse anche perché troppo brutta, così asimmetrica e
squilibrata) e ripristinando, probabilmente, l’antico assetto
aureliano, come ci tiene a precisare in un’iscrizione all’estrema
sinistra.
Ma gli archi erano
così grandi (circa 6 m di larghezza per 14 di altezza) che
l’eventuale difesa di tali aperture poteva risultare problematica.
Si provvide quindi a restringere entrambi gli accessi con la
costruzione di altrettante quinte merlate, il cui effetto estetico
era paragonabile alla bruttura onoriana che si era voluta eliminare.
La porta gregoriana in una fotografia del 1890
La datazione del
rifacimento della porta durante il regno di Onorio è
comunque certificata da un’iscrizione (visibile anche su PortaTiburtina) posta all’estrema sinistra del piazzale Labicano (quindi
sul lato esterno della porta), dove è rimasta una delle cortine
onoriane. L’iscrizione, oltre alle consuete lodi per gli imperatori
Arcadio ed Onorio, riporta, come curatore dell’opera, il nome di
Flavio Macrobio Longiniano, prefetto di Roma nel 402:
«
Il
Senato e il Popolo di Roma appose per gli Imperatori Cesari Nostri
Signori e principi invittissimi Arcadio e Onorio, vittoriosi e
trionfanti, sempre augusti, per celebrare la restaurazione delle
mura, porte e torri della Città Eterna, dopo la rimozioni di grandi
quantità di detriti. Dietro suggerimento del distinto e illustre
soldato e comandante di entrambe le forze armate, Flavio Stilicone,
le loro statue vennero erette a perpetuo ricordo del loro nome.
Flavio Macrobio Longiniano, distinto prefetto dell'Urbe, devoto alle
loro maestà e ai divini numi curò il lavoro »
L'iscrizione
risulta di un certo interesse storico anche perché contiene il nome
di Stilicone, il generale romano
giustiziato nel 408 perché accusato di tradimento e connivenza con
il visigoto Alarico I. Il suo nome subì una damnatio memoriae e
venne abraso da tutte le iscrizioni e cancellato da tutte le fonti
ufficiali. Si trattò però di una damnatio parziale, perché,
mentre sull’iscrizione della Porta Tiburtina il nome di Stilicone
risulta essere stato eliminato, non altrettanto è accaduto su
quella, identica, di Porta Maggiore.
Resti della struttura onoriana
Nel corso
dell’intervento del 1838 venne inoltre riportato alla luce, rimasto
inglobato nella torre cilindrica tra i due archi (occasione in cui fu
probabilmente anche tagliato) ed ora visibile subito fuori della
porta, il sepolcro di M. Virgilio Eurisace, fornaio (probabilmente un
liberto arricchito), e di sua moglie Atistia, databile intorno al 30
a.C.
Il sepolcro di Eurisace
Nel 1915 il Comune
di Roma effettuò altri lavori per la sistemazione del piazzale,
demolendo la residua struttura eretta da Gregorio XVI, ma solo nel
1956, a seguito dei lavori effettuati dall’architetto Petrignani,
la porta tornò all’antico assetto originario e la piazza
all'antico livello, riscoprendo il basolato della due strade e i
resti dell'antiporta onoriana.
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