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sabato 16 gennaio 2016

Il teatro romano di Lecce

Il teatro romano di Lecce


Seguendo la strada - via dell'Arte della cartapesta - che fiancheggia il lato sinistro della chiesa di Santa Chiara si giunge al teatro romano di età augustea riscoperto casualmente nel 1929 durante la risistemazione dei giardini dei palazzi Romano e d'Arpe.
La cavea, con un diametro interno di 19 metri ed uno esterno probabilmente di oltre 75 (la parte superstite corrisponderebbe infatti soltanto all'ima cavea), è ripartita in sei cunei da cinque scalette a raggiera, divisi in dodici gradoni che potevano contenere fino a cinquemila spettatori. Alla base della cavea – ricavata in un banco di roccia interamente rivestito in opus quadratum - si notano tre grandi gradoni in pietra su cui venivano collocati i seggi mobili riservati alle autorità cittadine.
All'orchestra, interamente pavimentata in pietra, si accedeva attraverso una stretta galleria coperta. Sul pavimento si notano inoltre numerosi fori su cui probabilmente sorgevano are in onore di Dioniso.
La scena è lunga 30 m. e larga 7,70 e sul suo pavimento spiccano i lunghi incassi trasversali che un tempo alloggiavano i sostegni della pedana lignea, mentre davanti al logeion (palcoscenico) si nota un canale destinato ad accogliere il sipario.

 
La parete di fondo della scena era riccamente decorata con colonnati e nicchie che ospitavano statue a tutto tondo, alcune delle quali sono giunte fino a noi e si possono attualmente ammirare nel Museo Sigismondo Castromediano.

Amazzone
Museo Castromediano, Lecce





sabato 9 gennaio 2016

Abbazia di Santa Maria di Cerrate

Abbazia di Santa Maria di Cerrate
Lungo la strada provinciale Casalabate- Squinzano (SP 100)


Secondo la leggenda l’Abbazia venne fondata in seguito a una visione da parte di Tancredi d’Altavilla – conte di Lecce (1149-1154 e 1169-1194) e ultimo re normanno di Sicilia (1189-1194) - a cui apparve l’immagine della Madonna, dopo aver inseguito una cerbiatta (cervata) in una grotta.

Molto più probabilmente, la fondazione del complesso, che sorge in prossimità del tracciato dell'antica via Traiana calabra, risale invece alla fine dell’XI secolo o agli inizi del XII secolo, quando Boemondo d’Altavilla (1058-1111), prozio di Tancredi, vi insediò un cenobio di monaci basiliani con uno scriptorium ed una biblioteca, la cui presenza è attestata fino alla metà del XII secolo.
Nel 1531 il complesso abbaziale – in cui oltre alla chiesa, si annoveravano stalle, alloggi per i contadini, un pozzo, un mulino e due frantoi sotterranei a testimonianza di una progressiva trasformazione in masseria – passa sotto il controllo dell’Ospedale degli Incurabili di Napoli che la terrà fino al 1877.

1. Chiesa
2. Portico
3. Casa monastica
4. Museo e Foresteria (al primo piano sono collocati gli affreschi staccati dalla chiesa)
5. Ex-stalle
6. Frantoi ipogei
7. Aia
8. Agrumeto
9. Pozzo
 
Nel 1711 l'abbazia viene però saccheggiata e gravemente danneggiata da un'incursione di pirati turchi e successivamente abbandonata al degrado fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando cominciano i primi restauri.
La facciata, a doppio saliente e con rosone centrale, presenta una chiara impronta romanica ed è decorata da una serie di arcatelle cieche che proseguono anche lungo i fianchi.
Il portale, racchiuso in un protiro e riferibile a fine XII - inizi XII secolo, è sormontato da un’arcata con altorilievi di eccezionale qualità che raccontano il ciclo della nascita del Cristo.


A sinistra la Vergine annunciata, segue la scena della Visitazione, e quindi la processione dei Magi unita alla Natività nell’unica scena dell’Adorazione (sottolineata dalla presenza della stella in chiave all’arco), il bagno del Bambino a cui in basso assiste San Giuseppe e l’Arcangelo Gabriele annunciante (oggi privo di testa).
La porta d’ingresso vera e propria, al contrario, è semplicemente incorniciata da una decorazione minuta ed elegante mutuata dal repertorio vegetale.


Sul fianco sinistro della chiesa è addossato un porticato, edificato nel XIII secolo, sostenuto da ventiquattro colonne con capitelli raffiguranti elementi zoomorfi e figure mitologiche. In prossimità del portico un pozzo con vera rettangolare datato al 1585.

Capitello del Portico

All'interno la chiesa presenta una pianta basilicale a tre navate scandite da due file di colonne che sostengono archi a sesto acuto.
Sull'altare maggiore si alza un baldacchino che risale al 1269.


La decorazione pittorica, invece, si trova parte in situ e parte esposta – dal 1975, dopo essere stata staccata – nell'attiguo Museo recentemente costituito. Gli affreschi più antichi, di gusto bizantino, risalgono alla fine del XII secolo e si trovano nelle absidi e nei sottoarchi.
All’interno della chiesa sopravvivono cinque santi vescovi con in mano il vangelo che occupano la parte bassa dell’abside centrale mentre nel catino campeggia l’Ascensione. Nei sottoarchi sono invece dipinte sagome a figura intera di santi monaci. Lungo l'arco absidale e gli archi delle navate (come anche nella chiesa idruntina di San Pietro) si notano lettere bianche in caratteri pseudocufici intrecciate a tralci di vite dipinti in rosso.
Nel XV secolo si sovrappone a questa decorazione un secondo strato con Madonne e santi cavalieri di gusto cortese, come è possibile ammirare sulla parete della navata sinistra e in altri affreschi staccati e conservati all’interno dell’adiacente Museo.
Il lato sinistro era decorato da una raffigurazione di stile bizantino della Dormizione della Vergine deposta sul letto di morte e sovrastata dagli angeli (ora rimosso ed esposto nel succitato Museo).

L'affresco della Dormizione oggi nel Museo

Sotto di esso, gli affreschi antecedenti raffiguravano Santa Anna che tiene in braccio la Vergine e San Gioacchino, San Giorgio a cavallo affiancato (forse) da San Demetrio e da altre figure non ancora identificate.

L'affresco di Sant'Anna e San Gioacchino a destra

Alcune volte, come nel caso dell’altare barocco dedicato a Sant’Oronzo (1661), sulla parete destra, gli arredi aggiunti in epoca successiva hanno distrutto ciò che c’era sovrapponendosi agli affreschi. Altre volte, sempre sulla parete destra, vicende non del tutto chiare hanno portato ad una fantasiosa e caotica ricomposizione delle scene dipinte. Probabilmente i blocchi di pietra su cui era l’affresco vennero smontati e riutilizzati, per poi passarvi sopra un secondo strato di intonaco che faceva da base ad un nuovo affresco. Quello che oggi vediamo è un vero e proprio puzzle, da ricostruire con l’immaginazione perché ricompaia il santo cavaliere che sconfigge il drago per salvare la principessa.


Nel Museo è stato trasferito anche un grande pannello dove sono riportati gli affreschi di gusto cortese provenienti dalla navata destra e che raffigurano in sequenza una bella Annunciazione, una scena con San Giorgio che trafigge il drago, Sant’Eustachio e il Miracolo della cerva. Quest’ultima rappresentazione si collega alla leggenda della fondazione dell'abbazia, essendo il Santo un generale romano, convertitosi al cristianesimo per aver incontrato una cerva con una croce tra le corna, personificazione di Gesù. Qui, tra le corna della cerva, appare direttamente il volto del Cristo (anche se precedentemente vi era stato dipinto quello della Vergine). 


martedì 5 gennaio 2016

Il Tempietto di San Miserino

Il Tempietto di San Miserino
Lo si raggiunge uscendo dal paese di San Donaci in direzione di Mesagne; dopo circa 5 km, poco prima del segnale del km 9, a un incrocio si prende a sinistra la strada provinciale 51 in direzione di Oria; dopo aver percorso 2,2 km, in corrispondenza del segnale del km 17, si parcheggia l’auto all’inizio di una sterrata sulla sinistra, individuata da un filare di alberi. A piedi si segue la sterrata fino al primo incrocio; qui si piega a destra in direzione di un edificio rurale. Il tempietto di San Miserino è esattamente alle sue spalle.
Angolo NE

Il Tempietto di San Miserino, è situato sul tracciato di un’antica strada che, discostandosi dalle due vie ufficiali - la Traiana calabra e l’Appia – nel tratto tra Lecce ed Oria, permetteva di raggiungere più rapidamente la via Appia in direzione di Roma partendo da Otranto.


In blu il tragitto della via Appia, in rosso quello della via Traiana calabra mentre la linea tratteggiata indica l'ipotetico tracciato del Limitone dei Greci.

Questa variante viaria – ricordata in documenti notarili del 1100 con il nome di via ad Lippium (Lecce) - ebbe un ruolo importante anche durante le guerre greco-gotiche e venne utilizzata come asse di scorrimento preferenziale per lo spostamento degli eserciti. Essa doveva avere lo stesso andamento del cosiddetto Limitone dei Greci - ossia di quella strada che secondo alcuni studiosi venne fortificata dai Bizantini quando, cessate le lotte con i Longobardi del Ducato di Benevento, restò assegnata a quest’ultimi la parte settentrionale del Salento - lungo un tracciato che da Torre Santo Stefano, presso Otranto, passando a nord di Lecce e attraverso i territori di San Pietro Vernotico, Mesagne ed Oria si ricongiungeva alla via Appia. Restavano dunque ai Longobardi Taranto, Oria e Brindisi; ai Bizantini Otranto, Lecce e Manduria.

L'edificio si articola in un ambiente a pianta ottagonale inscritto in un quadrato, coperto da una cupola a sesto ribassato impostata su una ghiera di conci di tufo, a cui si accede da un ingresso sul lato meridionale, dove s'innesta anche un avancorpo costituito da due ambienti voltati a botte.


Lato meridionale

L'ambiente centrale è caratterizzato da quattro nicchie semicircolari che si aprono lungo gli assi obliqui, fra le quali, lungo le pareti N e E, sono poste due nicchie a scarsella mentre ad O si trova un'apertura laterale.
Le nicchie absidali sono coperte da semicupole ed inquadrate da semipilastri. Un gradino girava intorno alle absidi e alle nicchie disegnando un ottagono.
Sul pavimento si notano i resti di una decorazione musiva a tessere bianche e nere (quelle bianche formavano una cornice che seguiva l'ottagono disegnato dalle absidi), databile al II secolo, quando l'edificio svolgeva probabilmente la funzione di ninfeo.

Resti del pavimento a mosaico

I capitelli dei semipilastri – di forma troncopiramidale, molto bassi e schiacciati - mostrano invece una decorazione a stucco, a foglie d'acanto spinoso alternate a boccioli.

Capitello

Si osservano inoltre lacerti di decorazione a fresco, soprattutto in corrispondenza delle absidi. La decorazione a bande rosse che ripartisce in più registri lo spazio pittorico appare successiva a quella a stucco dei capitelli giacchè si sovrappone ad essa.
Il lato occidentale dell'edificio si presenta più danneggiato: sono infatti crollati sia i pilastri che l'archeggiatura sovrastante.

Lato occidentale

L'arco meridionale – da cui si accedeva al vano centrale – è quello più ampio e la presenza di solchi lungo i pilastri d'imposta fa supporre la presenza di una porta.

Il solco lungo il pilastro d'imposta dell'ingresso sul lato meridionale

I due ambienti addossati sul lato meridionale sono voltati a botte e non comunicano tra loro, sembra inoltre improbabile che ne esistesse un terzo, come da più parti ipotizzato per attribuire all'edificio una pianta a tre navate, perchè la muratura non presenta alcuna connessione, anzi appare conclusa e realizzata con una cortina regolare di blocchetti.
Sul lato occidentale dell'edificio partono due setti murari perpendicolari pertinenti ad un ambiente coperto da una volta a crociera (nartece?) e caratterizzato dalla presenza di un arcosolio sul muro nord.
L'imposta residua dell'arcosolio

L'ipotesi più probabile è che l'edificio rappresenti un'entità architettonica compatta, progettata e costruita insieme in tutte le sue parti e rimaneggiata e rifunzionalizzata varie volte nel corso del tempo. La struttura originaria era connessa ad una grande villa romana di età imperiale e la sua prima destinazione dev'essere stata quella di ninfeo o di impianto termale. Sul lato est del prospetto, si nota infatti - oltre allo sfondamento della nicchia a scarsella operato in epoca più tarda - laddove si innesta l’ambiente a botte un'incavo, probabile alloggiamento per una fistula (tubo usato nell’antichità per la conduttura delle acque).


Lato est

La decorazione a stucco dei capitelli, databile all'VIII-IX secolo, va riferita invece alla fase in cui l'edificio era già stato trasformato in chiesa – con una probabile titolazione a San Martino successivamente corrotta in un inesistente San Miserino - la cui esistenza in loco è documentata dal 1233.
Nel 1671 la chiesa è diruta e abbandonata. Si sfonda l'abside SE ostruendo poi l'apertura con un grosso blocco di calcare, si chiude l'ingresso meridionale e si abbatte la nicchia a scarsella sul lato orientale.

Lo sfondamento dell'abside SE