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domenica 1 maggio 2022

Abbazia di San Clemente, Casauria

Abbazia di San Clemente, Casauria


Secondo il Chronicon Casauriensis - manoscritto compilato intorno alla seconda metà del XII secolo dal monaco Giovanni di Berardo su incarico dell' Abate Leonate - la fondazione dell'abbazia, voluta dall'imperatore e re d'Italia Ludovico II (844-875) quale ex-voto per essere scampato alla congiura del principe longobardo Adelchi ed essere stato liberato dalla prigionia nel ducato di Benevento - risale al settembre 871 e fu inizialmente dedicata alla SS.Trinità. 
Nell'872, su concessione del papa Adriano II, l'imperatore vi fece traslare le reliquie di san Clemente papa e martire (88-97) – martirizzato sotto Traiano - che erano state portate a Roma nell'868 da Cirillo e Metodio. 
Quale fosse la configurazione originaria della chiesa e del complesso abbaziale non è pero noto.
Nel 1176 divenne abate Leonate dei conti di Manuppello (1155-1182), che avviò un ambizioso intervento di ristrutturazione della chiesa che, dopo il sacco saraceno della seconda decade del X secolo e quello del conte normanno di Manoppello Ugo di Malmozzetto (1078) – era andata incontro a una progressiva decadenza. L'abate progettò il portico antistante e l'oratorio soprastante dedicato a san Michele Arcangelo, alla Santa Croce e a Tommaso Becket (che era stato canonizzato nel 1173). I lavori furono terminati sotto il suo successore Giole (1182-1189) che fece anche realizzare la porta bronzea del portale centrale. 
I secoli seguenti videro la progressiva decadenza del cenobio benedettino, non soltanto per cause naturali (ad esempio, per il terremoto del 1348), ma soprattutto a motivo dell’incuria in cui venne abbandonata l’abbazia.

L’edificio è stato ripristinato nei primi decenni del XX secolo sotto la guida di Carlo Ignazio Gavini e, successivamente. alla fine degli anni ’60.

La facciata della chiesa è dunque preceduta da un portico a tre fornici divisi da pilastri rettangolari con colonne addossate su ogni faccia. È coperto da volte a crociera innervate da costoloni prismatici. Fornice centrale a tutto sesto, laterali a sesto acuto. In corrispondenza di questi, tre portali con lunette istoriate. 
I capitelli delle colonne del fornice centrale presentano i Dodici Apostoli, sei per parte. Nel fornice di destra bue di San Luca e aquila di San Giovanni.

Portale centrale

Il portale centrale ha l’archivolto formato da tre archi a ferro di cavallo concentrici e gradualmente rastremanti; nella lunetta rilievo in cinque scomparti: nei due laterali grande rosa, in quello di sinistra sormontata da aquila stringente lepre, in quello centrale San Clemente papa in trono con la destra benedicente e nella sinistra il pastorale, a sinistra San Cornelio Martire con manipolo e san Febo con manipolo e stola, a destra l'Abate Leonate che presenta il modello della chiesa.

particolare dell'architrave

Nel sottostante archistrave sono scolpiti quattro episodi della storia dell'abbazia, in tutti è raffigurato Ludovico II. Da sinistra a destra:
1) a Roma, Papa Adriano II consegna all'imperatore le reliquie di San Clemente;
2) L'imperatore, seguito dal conte Suppone con la spada sguainata, da il beneplacito ai monaci Celso e Beato (1) per trasportare le reliquie dove si sta costruendo l'abbazia;
3) Nella parte destra del rilievo Ludovico II consegna lo scettro all'abate Romano, il primo che resse il monastero;
4) il milite Sisenando e il vescovo di Penne Grimoaldo (871-876) cedono all'imperatore – affiancato dal conte Eribaldo – i diritti sul territorio dell'isola pescariense (qui rappresentato dal cesto di frutta).

Negli stipiti quattro benefattori coronati (probabilmente quattro re d'Italia) a sinistra dall’alto Ugo di Provenza (926-947) e Berengario I (888-924), a destra dall’alto Lotario II (947-950) e Lamberto II (894-898) con in mano un rotolo; le parti della chiesa visibili sopra le loro teste corrispondono probabilmente a quelle che essi concorsero a restaurare. Nei capitelli e sopra le figure dello stipite sinistro sono raffigurati simbolicamente i vizi: Avarizia (uomo con gambe divaricate) e Calunnia (drago che sussurra a un uomo); nel capitello di destra toro cavalcato da figura che si congeda dal male passato, rappresentante la Vittoria della virtù sul vizio.


Ugo di Provenza

Nella lunetta del portale sinistro San Michele Arcangelo uccide il drago. L’imbarcazione sottostante, emersa dallo strato di intonaco durante i lavori di restauro, simbolizza l’ultimo viaggio in cui le anime sono appunto accompagnate dall'arcangelo psicopompo.


Lunetta del portale sinistro

Nella lunetta del portale destro Madonna con Bambino, nell’iconografia dell’hodegetria-protettrice dei viandanti.


Lunetta del portale destro

La parte superiore della facciata, sopra l’attico coronato da cornici e da archetti pensili, presenta quattro bifore, due architravate e due leggermente ogivali, provenienti dall'antico monastero e qui ricollocate nel 1448. 

A sinistra del portico si notano i resti della originaria torre campanaria mentre a destra si trova il convento ricostruito in epoca settecentesca.  


Interno: presenta una pianta a croce latina con bracci del transetto poco sporgenti, tre navate longitudinali divise da sette arcate ogivali su pilastri rettangolari, eccetto il primo e il terzo di sinistra, cruciformi e due con mezze colonne addossate. La navata mediana è illuminata da tre monofore per lato. L’interno si conclude con un transetto sopraelevato e abside semicircolare; copertura a capriate realizzata con mattoni dipinti a losanghe.

Nel presbiterio l'altare maggiore è costituito da un sarcofago romano-cristiano figurato e strigilato (fine IV, inizio V sec.).


Il ciborio di epoca quattrocentesca è sostenuto da quattro colonne che poggiano su una predella con un’iscrizione che ricorda che insieme ai resti di S. Clemente sono conservati nella chiesa anche quelli di SS. Pietro e Paolo (pur dubitando dell’affermazione contenuta sul gradino, si deve comunque ricordare che nel Medioevo l’affermarsi del culto per la Vergine e i Santi, implica come conseguenza che le loro reliquie comincino ad essere spartite ). I capitelli di tre colonne presentano ornamentazioni a palma, il quarto ha invece una composizione di foglie massicce in quattro ordini. Il prospetto (in cui l’arco trilobato presenta ai margini un’Annunciazione) è scandito da sette formelle, con la Vergine fra due angeli in quelle centrali e i simboli dei quattro evangelisti (l'angelo, il leone, l'aquila, il bue) nelle altre. Nell’arco trilobato di sinistra una testa con tre volti (la Trinità), da due dei quali escono Adamo ed Eva: questo lato privo di sculture fu completato ai tempi del restauro del 1920 da Cesare Ventura. Nell’arco di destra due angeli reggono uno stemma. Nella facciata posteriore è invece ripetuta la storia della fondazione dell’abbazia, con gli stessi caratteri che si ritrovano sull’architrave del portale maggiore. Il ciborio costruito, eccetto le colonne, con stucco durissimo termina con una piramide ottagonale. All’interno della cupola spicca, su fondo celeste, un Cristo Pantocrator.


Nella navata sinistra è collocato dal 1931 il sarcofago marmoreo del vescovo di Boiano, Berardo Napoleoni (1364-1390), recuperato dalla chiesa madre di Castiglione a Casauria. E' opera quattrocentesca che ha al centro del lato più lungo della cassa uno stemma araldico( forse dei Brancaccio).

Note

(1) I due monaci non sono affatto figure di secondo piano: Celso era il praepositus (l'amministratore dei beni dell'abbazia) e Beato il secondo abate. Il conte Suppone II, membro dell'influente famiglia dei Supponidi, rappresentava invece la massima autorità civile (simboleggiata dalla spada che impugna) in assenza dell'imperatore.



domenica 3 aprile 2022

Chiesa di Santa Maria ad cryptas, Fossa

 Santa Maria ad Cryptas, Fossa

La chiesa di Santa Maria ad Cryptas (o delle Grotte) si trova a circa un chilometro dal centro del paese di Fossa e a qualche chilometro dal monastero di Santo Spirito ad Ocre, dal quale a lungo dipese. Presumibilmente la chiesa è stata costruita una prima volta nel IX o X secolo sui i resti di un tempio di Vesta trasformati nella cripta dalla quale ne derivò il nome.

Sul precedente tempio quattro secoli dopo venne costruito un edificio in stile gotico-cistercense da parte di maestranze benedettine. La sua costruzione su un pendio ha reso successivamente necessarie opere di consolidamento con un muro di controspinta interrato lungo tutto il lato a valle e due piloni di appoggio agli estremi della parete laterale della chiesa. Tra le pietre della muratura esterna si notano resti provenienti dagli edifici della città romana di Aveia, sulla quale fu successivamente costruita l'attuale Fossa.

La facciata principale sul lato ovest è molto semplice ed ha una struttura a capanna con un prolungamento sul lato sinistro per l'aggiunta del rinforzo sulla parete a valle. Il portale gotico a sesto acuto è sormontato da una grande finestra rettangolare. I due pilastri sono rivestiti ai lati da colonnine con capitelli decorati con rosoni, fiori e palme. I capitelli sostengono dei leoni (quello di destra è andato perduto) ed un terzo si trova sopra l'arco del portale. Nella lunetta si notano i resti di un affresco del quale restano poche tracce.

La finestra al di sopra del portale risulta non in linea con lo stile della facciata e presumibilmente è stata realizzata in tempi più recenti.

La facciata posteriore è caratterizzata da un frontone triangolare e presenta due aperture, la prima in basso lunga e stretta a doppia strombatura, mentre la seconda in alto piccola quadrata. Altre due finestre a doppia strombatura, lunghe e strette si trovano su ciascun lato della chiesa.

L'interno si presenta a navata unica, con abside terminale e volta a botte (la copertura attuale è però a capriate) innervata da costoloni.

Nella decorazione parietale si distinguono due diverse fasi: una realizzata contemporaneamente alla fondazione della chiesa ed opera di frescanti bizantino-cassinesi (abside, parete meridionale, arco trionfale e parete di contro-facciata) l'altra, opera di frescanti toscani protogiotteschi che ridecorarono la parete settentrionale crollata a seguito del terremoto del 1313 e dedicati al ciclo della Vergine.
Il ciclo bizantino-cassinese inizia dalla parete destra dell'arco trionfale per proseguire sulla parte meridionale. I primi episodi sono dedicati alla Creazione e iniziano dal quarto giorno, con un giovane Dio senza barba che separa il sole dalla luna; segue poi la creazione degli Angeli, degli animali, degli uccelli. Infine la creazione dell'uomo, della donna e la cacciata dal Paradiso Terrestre.

Nella seconda campata l'unico affresco tuttora leggibile raffigura i sei Profeti, intenti a proclamare il messaggio scritto in latino che portano nella mano destra. Molti dipinti presenti in quest'area sono andati perduti a causa della costruzione dell'altare in pietra, realizzato nel 1597, recante lo stemma di Fossa.


Al centro dell'ultima campata di destra, due santi militari affrontati: San Giorgio – ben riconoscibile nell'atto di trafiggere il drago - e forse San Menas (1) e, sul registro più basso, la rappresentazione degli "Ultimi sei mesi dell'anno" (gli altri sei dovevano essere rappresentati sulla parete opposta), interpretati da sei diversi personaggi: ogni mese rappresenta una specifica attività, da compiere in quel periodo; e quindi a Luglio la mietitura, Agosto la battitura del grano, Settembre la raccolta di frutti, Ottobre la pigiatura dell'uva, Novembre la semina e Dicembre lo sgozzamento del maiale. Nel registro più basso troviamo raffigurati Abramo, Isacco e Giacobbe.

Giudizio universale: è raffigurato nella controfacciata con un proseguimento sulla parete di destra, nel primo registro in basso.


Nel registro più alto troviamo al centro il Cristo in trono racchiuso in una mandorla e fiancheggiato dalla Vergine e da San Giovanni. Nel registro sottostante gli Apostoli stanti divisi in due gruppi di sei dal finestrone centrale; nel terzo registro a sinistra la schiera degli Eletti a sinistra e, a destra quella dei Reprobi, ognuna sopravanzata da un angelo che dispiega un cartiglio. Al centro tra i due angeli c’è un altro personaggio frutto di un’aggiunta successiva; il quarto registro, più stretto degli altri, è occupato dai sepolcri che si aprono per lasciar uscire i corpi dei risorti; nell'ultimo registro, a sinistra del portale d'ingresso l'Arcangelo Michele che pesa le anime (psicostasia) mentre a destra del portale è raffigurato l'Inferno. Sulla parete meridionale, adiacenti al riquadro della psicostasia, sono raffigurati Abramo, Isacco e Giacobbe con in grembo le anime dei Giusti.

Tornando alla parete dell'arco trionfale, a sinistra del riquadro che da' inizio al ciclo della Genesi – il Creatore che separa il giorno dalla notte - troviamo la scena dell'Adorazione dei Magi che è invece l'ultima del ciclo dell'Infanzia di Cristo che si svolgeva sulla parete settentrionale e qui si concludeva.

Nel registro più basso dell'abside si svolge su tre lati il ciclo della Passione. 
Le pitture del lato destro sono quasi completamente perdute mentre a sinistra troviamo l'Ultima cena e il Bacio di Giuda. 

Ultima cena

Nella parete di fondo, al centro, la Crocefissione con a sinistra la Flagellazione e a destra la Deposizione nella tomba. Al di sotto di questo pannello sono raffigurati il donatore e la sua famiglia (ben dieci personaggi). Recentemente D.Piccirilli ha identificato il capostipite nel cavaliere provenzale Morel de Saurs che, sceso in Italia al seguito di Carlo I d'Angiò, resse il feudo di Ocre dal 1269 al 1283.

I donatori
                       
Nella scena della Deposizione nel sepolcro, il corpo bendato di Cristo, dopo essere stato posato sul pittoresco sepolcro in pietra, da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo al margine della scena, sta per essere richiuso; San Giovanni avvicina la mano del Maestro al suo viso, a cercare una carezza mentre le tre donne, provate da dolore, si stringono la veste al seno.


Deposizione nel sepolcro

Alcuni studiosi ritengono che chi ha dipinto gli affreschi di Santa Maria ad Cryptas abbia avuto modo di osservare molto da vicino la Sindone (2), tanto da poterne addirittura notare delle particolarità come il pollice della mano destra piegato innaturalmente verso il basso (la lesione del nervo che muove il pollice, provocata dal chiodo della crocifissione, lo fa piegare verso l’interno della mano).

Nella scene della Flagellazione, Crocifissione e Deposizione troviamo ricorrere altri caratteri molto particolari che sembrano riconducibili solo alla fisionomia del Cristo come appare nella Sindone. Ad esempio il fatto che il corpo di Cristo denoti la figura di un uomo molto alto, decisamente troppo per l’epoca, cosi come sembrerebbe risultare anche dal Sacro sudario (3); inoltre la barba è sempre raffigurata bipartita a due punte come anche nel volto impresso nella Sindone.


Flagellazione

Nella Crocifissione inoltre, il Cristo è raffigurato con il capo flesso a destra e il corpo incurvato e spostato da un lato. Nel Sacro Lino, infatti, sembra di vedere una gamba più corta dell’altra. Si tratta della sinistra, rimasta più flessa sulla croce per la sovrapposizione del piede sinistro sul destro e così fissata dalla rigidità cadaverica. Sembra che il frescante, convinto che il Cristo avesse una gamba più corta, abbia impresso al bacino una forte inclinazione per ottenere poi che i piedi fossero inchiodati alla stessa altezza.   


Crocefissione

Anche alcune caratteristiche del pannello in cui sono raffigurati i donatori sembrano rimandare ad una committenza templare. Il fondo, ad esempio, è partito in bianco e nero così come lo stendardo dell'Ordine - il così detto beauceant - mentre la croce sullo scudo del capostipite è in campo blu che era il colore adottato dai templari italiani per la croce.

Altri rimandi all'Ordine si riscontrano nel pannello dove sono raffigurati i due santi militari, San Giorgio e San Mena, che appaiono abbigliati come i cavalieri di Terrasanta: il primo mostra lo scudo crociato mentre il secondo porta il mantello bianco dei templari.

L'icona della Vergine galactofora

Un tabernacolo ligneo con due ante, datato 1283 e dipinto a tempera, era collocato in fondo alla navata laterale sinistra – oggi al di sotto di una loggia aggiunta nel XVI secolo - all’interno di un’edicola marmorea, dove ora è stata posizionata una sua riproduzione (l'originale è attualmente conservato presso il Museo dell'Aquila). 



Il tabernacolo è costituito da una tavola principale, nella quale è raffigurata la Vergine che allatta il Bambino, e da due ante laterali, notevolmente compromesse, sulle quali sono raffigurate storie cristologiche. Il fondo è delimitato perimetralmente da una fascia blu e rossa, sulla quale sono rappresentate dei girali fogliacei, mentre nella zona centrale sono raffigurati dei motivi circolari su uno sfondo attualmente verde scuro. La Vergine è assisa su un trono senza spalliera né cuscini. Il trono ha i lati decorati con elementi geometrici e floreali chiari su sfondo rosso ed ha un suppedaneo rialzato di color verde scuro sulla quale corre perimetralmente un’iscrizione a lettere gotiche rosse su campo dorato. L’iscrizione riporta la data di esecuzione e la firma dell’autore: A(NNO) D(OMINI) MCC OCTOGESIMO III GENTIL(IS) D(E) ROCCA ME PI(NXIT).
La Vergine è rappresentata con una tunica blu, con cintura, polsi e collo rosso con decorazioni d’oro, sopra la quale è posizionato un lungo mantello rosso che le copre anche le gambe. Sul capo e sulle spalle le cade un velo blu decorato, una rielaborazione del classico maphorion bizantino. La bicromia rosso/oro è presente in tutte le decorazioni dell’opera.
Il Bambino è raffigurato nell’atto di benedire alla latina con la mano destra, mentre nella sinistra regge un libro sul quale è posta l’iscrizione, sempre a lettere gotiche rosse, «Ego Sum Lux Mundi Qui Sequitur».  

Gli affreschi della parete settentrionale, come già accennato, sono frutto della ridecorazione della parete a seguito del crollo del 1313 e sviluppano le scene del ciclo della Vergine. Inoltre, i riquadri del registro più basso appaiono ricoperti da affreschi realizzati nel XVI secolo.
Al centro della parete si trova un altare ad edicola entro cui è rappresentata un'Annunciazione datata 1486 e firmata “Sebastiano” (identificato con Sebastiano di Cola da Casentino).


Note:

(1) Alcune lettere riferibili a San Menas sembrano ancora leggibili nell'iscrizione ma non si ravvisano altre connotazioni utili. La figura è stata anche interpretata come San Martino o San Maurizio.

(2) Secondo alcuni la Sindone, trafugata dalla Cappella della Vergine del Faro di Costantinopoli durante il sacco crociato del 1204 da Ottone de la Roche, sarebbe stata custodita dai Templari per un lungo periodo. Ricordiamo però che la prima notizia riferita con certezza alla Sindone che oggi si trova a Torino risale al 1353 (secondo altri al 1355). (cfr. anche scheda La cacciata del duca di Atene dell'Orcagna)

(3) Non è facile, per una serie di ragioni, determinare con assoluta precisione l'altezza dell'uomo della Sindone, che dovrebbe comunque aggirarsi attorno ai 180 cm. L'altezza media dell'uomo dell'epoca era invece di circa 165 cm.








domenica 19 dicembre 2021

Il castello di Roccascalegna

Il castello di Roccascalegna

Lato nordovest

Originariamente il borgo sorse come avamposto longobardo per il controllo della Valle del Rio Secco. Per difendere l'area, dove ora sorge il castello, venne eretta una torre d'avvistamento che costituì il primo nucleo della fortificazione. Il vero e proprio castello, tuttavia, è, verosimilmente, di epoca normanna. Nel 1320 Roccascalegna (1) viene nominata infatti "cum castellione", all'epoca, quindi, il castello già esisteva. Nel XV secolo vi risulta infeudato un soldato di ventura, Raimondo Annechino, agli ordini di Giacomo di Caldora. La dinastia feudataria giunge fino a Giovanni Maria Annechino a cui si deve una ristrutturazione del castello – con l'aggiunta di quattro torri - per adattarlo all'uso delle armi da fuoco (1525). Giovanni pagò però il sostegno dato al re di Francia Francesco I contro l'imperatore Carlo V con la perdita di tutti i possedimenti di famiglia (1528). In seguito il feudo viene concesso ai Carafa che lo tengono fino alla fine del secolo, quando sono costretti a cederlo per onorare i propri debiti. Ai Carafa succedono i Corvo o de Corvis che tengono Roccascalegna per oltre un secolo (1599-1717) anche se soltanto uno di loro dimorò nel castello, Giuseppe, che, ad appena 46 anni, morì (1645) in circostanze poco chiare durante un viaggio e fu sepolto nella Chiesa di San Pietro.Gli ultimi feudatari di Roccascalegna sono stati i Nanni, ma anche questi hanno avuto poca cura del feudo e dei sudditi; il Castello, sia che fosse in cattive condizioni, sia che fosse stato la scena di un omicidio, sia che non fosse più in grado di ospitare degnamente un nucleo familiare di una certa consistenza, fu abbandonato e l’abitazione del feudatario fu costruita in una zona più comoda e di facile accesso.


Si accede alla fortezza per mezzo di una lunga gradinata che dalla chiesa di san Pietro, eretta probabilmente nel XV secolo (2), conduce alla porta d'ingresso della fortezza realizzata in rovere massiccio. 


Da qui è possibile osservare i resti della garitta e della torre di guardia – a pianta circolare – che proteggeva l'ingresso. Una volta oltrepassato l'ingresso, sulla sinistra, si nota un un portale in pietra ornato da un cuore rovesciato che introduceva ad una prima torre a base circolare crollata nel 1940. A questa torre crollata è legata la leggenda del barone Corvo de Corvis che, nel 1646 avrebbe reintrodotto il discusso ius primae noctis assieme ad altre stramberie vessatorie come quella di costringere i propri sudditi a venerare un corvo nero e chi si rifiutava di genuflettersi al cospetto di questa creatura veniva arrestato e buttato in un pozzo, dove vi erano delle spade conficcate nel terreno. La leggenda vuole che una giovane sposa, recandosi al talamo del barone per consumare la notte d'amore che gli spettava, lo avrebbe altresì accoltellato a morte. L'impronta della mano insanguinata del barone avrebbe quindi resistito a tutti i tentativi di cancellarla fino al crollo della torre nel 1940. 


La corte del castello, sullo sfondo la chiesa del Santo Rosario

Proseguendo lungo il fianco nord-ovest si incontrano altre due torri addossate alle mura: la Torre del carcere e la Torre del forno (3) e, con essa comunicante, la cappella del S. Rosario, costruita nel 1577, come testimonia l'iscrizione sul portale d'ingresso. Dall' esterno della chiesa, tramite gradini in pietra che si insinuano nella roccia, si accede all'ultima torre detta "Torretta", l'unica del complesso a pianta quadrata posta sul punto più alto dello sperone roccioso e coronata da merlatura guelfa. 


Nella muratura esterna del fianco nord-ovest sono ben visibili le tracce di una precedente merlatura prima che le torri venissero sopraelevate e rinforzate in età aragonese sotto la signoria di Giovanni Maria Annechino.

Note:

(1) Secondo alcuni il termine deriverebbe dal francese "scarenna", che indica il fianco scosceso di una montagna - successivamente corrotto in scalegna. Secondo altri andrebbe invece posto in relazione con la scala lignea che dava accesso all'antica torre di avvistamento. Un'ultima ipotesi lo correla invece al nome di un feudatario longobardo di nome "Aschari" da cui "Rocca ascharenea" poi corrotto in Roccascalegna. 

(2) Per una datazione della chiesa al XV secolo propendono sia la data "1461" incisa su un arco del presbiterio, sia la reclinatio capitis (la leggera rotazione dell'abside rispetto all'asse centrale a simulare l'inclinazione del capo del Cristo sulla croce). 


(3) All'interno di questa torre è attualmente conservata una ricostruzione della macchina utilizzata dai bizantini per lanciare il micidiale fuoco greco.