Santa Maria ad Cryptas, Fossa
La chiesa di Santa Maria ad Cryptas (o
delle Grotte) si trova a circa un chilometro dal centro del paese di
Fossa e a qualche chilometro dal monastero di Santo Spirito ad Ocre,
dal quale a lungo dipese. Presumibilmente la chiesa è stata
costruita una prima volta nel IX o X secolo sui i resti di un tempio
di Vesta trasformati nella cripta dalla quale ne derivò il nome.
Sul precedente tempio quattro secoli
dopo venne costruito un edificio in stile gotico-cistercense da parte
di maestranze benedettine. La sua costruzione su un pendio ha reso
successivamente necessarie opere di consolidamento con un muro di
controspinta interrato lungo tutto il lato a valle e due piloni di
appoggio agli estremi della parete laterale della chiesa. Tra le
pietre della muratura esterna si notano resti provenienti dagli
edifici della città romana di Aveia, sulla quale fu successivamente
costruita l'attuale Fossa.

La facciata principale sul lato ovest è
molto semplice ed ha una struttura a capanna con un prolungamento sul
lato sinistro per l'aggiunta del rinforzo sulla parete a valle. Il
portale gotico a sesto acuto è sormontato da una grande finestra
rettangolare. I due pilastri sono rivestiti ai lati da colonnine con
capitelli decorati con rosoni, fiori e palme. I capitelli sostengono
dei leoni (quello di destra è andato perduto) ed un terzo si trova
sopra l'arco del portale. Nella lunetta si notano i resti di un
affresco del quale restano poche tracce.
La finestra al di sopra del portale
risulta non in linea con lo stile della facciata e presumibilmente è
stata realizzata in tempi più recenti.
La facciata posteriore è
caratterizzata da un frontone triangolare e presenta due aperture, la
prima in basso lunga e stretta a doppia strombatura, mentre la
seconda in alto piccola quadrata. Altre due finestre a doppia
strombatura, lunghe e strette si trovano su ciascun lato della
chiesa.
L'interno si presenta a navata unica,
con abside terminale e volta a botte (la copertura attuale è però a
capriate) innervata da costoloni.
Nella decorazione parietale si
distinguono due diverse fasi: una realizzata contemporaneamente alla
fondazione della chiesa ed opera di frescanti bizantino-cassinesi
(abside, parete meridionale, arco trionfale e parete di
contro-facciata) l'altra, opera di frescanti toscani protogiotteschi
che ridecorarono la parete settentrionale crollata a seguito del
terremoto del 1313 e dedicati al ciclo della Vergine.
Il ciclo bizantino-cassinese inizia
dalla parete destra dell'arco trionfale per proseguire sulla parte
meridionale. I primi episodi sono dedicati alla Creazione e iniziano
dal quarto giorno, con un giovane Dio senza barba che separa il sole
dalla luna; segue poi la creazione degli Angeli, degli animali, degli
uccelli. Infine la creazione dell'uomo, della donna e la cacciata dal
Paradiso Terrestre.
Nella seconda campata l'unico affresco
tuttora leggibile raffigura i sei Profeti, intenti a proclamare il
messaggio scritto in latino che portano nella mano destra. Molti
dipinti presenti in quest'area sono andati perduti a causa della
costruzione dell'altare in pietra, realizzato nel 1597, recante lo
stemma di Fossa.
Al centro dell'ultima campata di
destra, due santi militari affrontati: San Giorgio – ben
riconoscibile nell'atto di trafiggere il drago - e forse San Menas (1) e,
sul registro più basso, la rappresentazione degli "Ultimi sei
mesi dell'anno" (gli altri sei dovevano essere rappresentati
sulla parete opposta), interpretati da sei diversi personaggi: ogni
mese rappresenta una specifica attività, da compiere in quel
periodo; e quindi a Luglio la mietitura, Agosto la battitura del
grano, Settembre la raccolta di frutti, Ottobre la pigiatura
dell'uva, Novembre la semina e Dicembre lo sgozzamento del maiale.
Nel registro più basso troviamo raffigurati Abramo, Isacco e
Giacobbe.
Giudizio universale: è
raffigurato nella controfacciata con un proseguimento sulla parete di
destra, nel primo registro in basso.

Nel registro più alto troviamo al
centro il Cristo in trono racchiuso in una mandorla e fiancheggiato
dalla Vergine e da San Giovanni. Nel registro sottostante gli
Apostoli stanti divisi in due gruppi di sei dal finestrone centrale;
nel terzo registro a sinistra la schiera degli Eletti a sinistra e, a
destra quella dei Reprobi, ognuna sopravanzata da un angelo che
dispiega un cartiglio. Al centro tra i due angeli c’è un altro
personaggio frutto di un’aggiunta successiva; il quarto registro,
più stretto degli altri, è occupato dai sepolcri che si aprono per
lasciar uscire i corpi dei risorti; nell'ultimo registro, a sinistra
del portale d'ingresso l'Arcangelo Michele che pesa le anime
(psicostasia) mentre a destra del portale è raffigurato l'Inferno.
Sulla parete meridionale, adiacenti al riquadro della psicostasia,
sono raffigurati Abramo, Isacco e Giacobbe con in grembo le anime dei
Giusti.
Tornando alla parete dell'arco
trionfale, a sinistra del riquadro che da' inizio al ciclo della
Genesi – il Creatore che separa il giorno dalla notte
- troviamo la scena dell'Adorazione dei Magi che è invece
l'ultima del ciclo dell'Infanzia di Cristo che si svolgeva sulla
parete settentrionale e qui si concludeva.
Nel registro più basso dell'abside si
svolge su tre lati il ciclo della Passione.
Le pitture del lato
destro sono quasi completamente perdute mentre a sinistra troviamo
l'Ultima cena e il Bacio di Giuda.
Ultima cena
Nella parete di fondo, al centro,
la Crocefissione con a sinistra la Flagellazione e a destra la
Deposizione nella tomba. Al di sotto di questo pannello sono
raffigurati il donatore e la sua famiglia (ben dieci personaggi). Recentemente D.Piccirilli ha
identificato il capostipite nel cavaliere provenzale Morel de Saurs
che, sceso in Italia al seguito di Carlo I d'Angiò, resse il feudo
di Ocre dal 1269 al 1283.
Nella scena della Deposizione nel sepolcro, il corpo bendato
di Cristo, dopo essere stato posato sul pittoresco sepolcro in
pietra, da Giuseppe di Arimatea e Nicodemo al margine della scena,
sta per essere richiuso; San Giovanni avvicina la mano del Maestro al
suo viso, a cercare una carezza mentre le tre donne, provate da
dolore, si stringono la veste al seno.
Deposizione nel sepolcro
Alcuni studiosi ritengono che chi ha
dipinto gli affreschi di Santa Maria ad Cryptas abbia avuto modo di
osservare molto da vicino la Sindone (2), tanto da poterne addirittura
notare delle particolarità come il pollice della mano destra piegato
innaturalmente verso il basso (la
lesione del nervo che muove il pollice, provocata dal chiodo della
crocifissione, lo fa piegare verso l’interno della mano).
Nella scene della Flagellazione,
Crocifissione e Deposizione troviamo ricorrere altri caratteri molto
particolari che sembrano riconducibili solo alla fisionomia del
Cristo come appare nella Sindone. Ad esempio il fatto che il corpo di
Cristo denoti la figura di un uomo molto alto, decisamente troppo per
l’epoca, cosi come sembrerebbe risultare anche dal Sacro sudario (3);
inoltre la barba è sempre raffigurata bipartita a due punte come
anche nel volto impresso nella Sindone.
Flagellazione
Nella Crocifissione inoltre, il Cristo
è raffigurato con il capo flesso a destra e il corpo incurvato e
spostato da un lato. Nel Sacro Lino, infatti, sembra di vedere una
gamba più corta dell’altra. Si tratta della sinistra, rimasta più
flessa sulla croce per la sovrapposizione del piede sinistro sul
destro e così fissata dalla rigidità cadaverica. Sembra che il
frescante, convinto che il Cristo avesse una gamba più corta, abbia
impresso al bacino una forte inclinazione per ottenere poi che i
piedi fossero inchiodati alla stessa altezza.
Crocefissione
Anche alcune caratteristiche del
pannello in cui sono raffigurati i donatori sembrano rimandare ad una
committenza templare. Il fondo, ad esempio, è partito in bianco e
nero così come lo stendardo dell'Ordine - il così detto beauceant - mentre la croce sullo scudo
del capostipite è in campo blu che era il colore adottato dai
templari italiani per la croce.
Altri rimandi all'Ordine si riscontrano nel
pannello dove sono raffigurati i due santi militari, San Giorgio e
San Mena, che appaiono abbigliati come i cavalieri di Terrasanta: il
primo mostra lo scudo crociato mentre il secondo porta il mantello
bianco dei templari.
L'icona della Vergine galactofora
Un tabernacolo ligneo con due ante,
datato 1283 e dipinto a tempera, era collocato in fondo alla navata
laterale sinistra – oggi al di sotto di una loggia aggiunta nel XVI
secolo - all’interno di un’edicola marmorea, dove ora è stata
posizionata una sua riproduzione (l'originale è attualmente
conservato presso il Museo dell'Aquila).

Il tabernacolo è costituito
da una tavola principale, nella quale è raffigurata la Vergine che
allatta il Bambino, e da due ante laterali, notevolmente compromesse,
sulle quali sono raffigurate storie cristologiche. Il fondo è
delimitato perimetralmente da una fascia blu e rossa, sulla quale
sono rappresentate dei girali fogliacei, mentre nella zona centrale
sono raffigurati dei motivi circolari su uno sfondo attualmente verde
scuro. La Vergine è assisa su un trono senza spalliera né cuscini.
Il trono ha i lati decorati con elementi geometrici e floreali chiari
su sfondo rosso ed ha un suppedaneo rialzato di color verde scuro
sulla quale corre perimetralmente un’iscrizione a lettere gotiche
rosse su campo dorato. L’iscrizione riporta la data di esecuzione e
la firma dell’autore: A(NNO) D(OMINI) MCC OCTOGESIMO III GENTIL(IS)
D(E) ROCCA ME PI(NXIT).
La Vergine è rappresentata con una
tunica blu, con cintura, polsi e collo rosso con decorazioni d’oro,
sopra la quale è posizionato un lungo mantello rosso che le copre
anche le gambe. Sul capo e sulle spalle le cade un velo blu decorato,
una rielaborazione del classico maphorion bizantino. La
bicromia rosso/oro è presente in tutte le decorazioni dell’opera.
Il Bambino è raffigurato nell’atto
di benedire alla latina con la mano destra, mentre nella sinistra
regge un libro sul quale è posta l’iscrizione, sempre a lettere
gotiche rosse, «Ego Sum Lux Mundi Qui Sequitur».
Gli affreschi della parete
settentrionale, come già accennato, sono frutto della ridecorazione
della parete a seguito del crollo del 1313 e sviluppano le scene del
ciclo della Vergine. Inoltre, i riquadri del registro più basso
appaiono ricoperti da affreschi realizzati nel XVI secolo.
Al centro della parete si trova un altare ad
edicola entro cui è rappresentata un'Annunciazione datata 1486 e
firmata “Sebastiano” (identificato con Sebastiano di Cola da
Casentino).
Note:
(1) Alcune lettere riferibili a San
Menas sembrano ancora leggibili nell'iscrizione ma non si ravvisano
altre connotazioni utili. La figura è stata anche interpretata come
San Martino o San Maurizio.
(2) Secondo alcuni la Sindone, trafugata
dalla Cappella della Vergine del Faro di Costantinopoli durante il
sacco crociato del 1204 da Ottone de la Roche, sarebbe stata
custodita dai Templari per un lungo periodo. Ricordiamo però che la
prima notizia riferita con certezza alla Sindone che oggi si trova a
Torino risale al 1353 (secondo altri al 1355). (cfr. anche scheda La cacciata del duca di Atene dell'Orcagna)
(3) Non è facile, per una serie di
ragioni, determinare con assoluta precisione l'altezza dell'uomo della
Sindone, che dovrebbe comunque aggirarsi attorno ai 180 cm. L'altezza
media dell'uomo dell'epoca era invece di circa 165 cm.