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martedì 8 agosto 2023

Chiesa di San Giovanni Evangelista, Ravenna

 Chiesa di San Giovanni Evangelista, Ravenna

La chiesa venne costruita per volontà di Galla Placidia in seguito ad un voto fatto all'evangelista durante la perigliosa traversata che da Costantinopoli la ricondusse a Ravenna nel 424: viste le pessime condizioni atmosferiche, l'augusta promise che, se avesse toccato terra, avrebbe costruito una chiesa dedicata a Giovanni nel luogo dello sbarco. La costruzione iniziò nel 425 e terminò nel 434, si tratta quindi della più antica basilica ravennate.
Verso l’anno Mille venne costruito sulla destra della chiesa un monastero e la chiesa fu affidata ai monaci benedettini che vi si stabilirono.
planimetria della chiesa originaria

La chiesa originaria era a tre navate ed era preceduta da nartece, poi inglobato – tra VIII e X secolo - dalle navate. Traccie dell’antico nartece si troverebbero nei grandi archi tamponati visibili sulle pareti nord e sud in prossimità della facciata. Tramite essi si accedeva probabilmente ad ambienti laterali annessi al nartece stesso, forse deputati ad assolvere la funzione dei pastoforia, non presenti al tempo della prima edificazione ma realizzati successivamente, durante l'episcopato di Mariniano (595-618).
Nel 1316 – grazie ad un generoso lascito testamentario - vennero apportate modifiche alla chiesa e al monastero inserendo elementi gotici di cui resta il portale con la strombatura ogivale. Fu anche costruito un quadriportico antistante alla basilica distrutto durante i bombardamenti della II guerra mondiale.
Nel 1459 la basilica fu affidata ai Canonici Regolari di San Salvatore.
Nel 1568 l'abate Teseo Aldrovandi fece ristrutturare e abbellire la chiesa. Molto probabilmente le ultime tracce dei mosaici di epoca placidiana furono distrutte durante i lavori di ampliamento del presbiterio voluti dall'abate. A questo scopo venne inoltre murato un arco su ogni lato della navata e nelle lunette l'abate commissionò a Roberto Longhi due affreschi raffiguranti rispettivamente Galla Placidia nella tempesta e il miracolo del sandalo. 

L'affresco raffigurante Galla Placidia nella tempesta nella sua collocazione originaria

Lo stesso affresco come si può osservare oggi al Museo Nazionale di Ravenna

Nel corso delle trasformazioni settecentesche cui fu sottoposta la basilica, le lunette vennero scialbate e rimasero invisibili fino ai restauri novecenteschi, quando gli affreschi vennero strappati e le tamponature degli archi rimosse. Oggi i due affreschi sono conservati nel Museo Nazionale di Ravenna.
In occasione del VI centenario dantesco celebrato a Ravenna nel 1921, la basilica fu oggetto di un importante piano di recupero volto all'eliminazione di tutte le sovrapposizioni settecentesche.
Tra gli interventi principali – oltre alla già citata rimozione della tamponatura degli archi prossimi alll'abside - si annoverano: l’apertura della loggia al secondo livello dell’abside (prima tamponata), l'oscuramento della bifora rinascimentale di facciata, il rifacimento del soffitto, il recupero dei mosaici del piano pavimentale del 1213 (già scoperto parzialmente nel Settecento), il restauro degli affreschi della volta della cappella trecentesca (detta anche “giottesca”), la liberazione del corpo esterno della chiesa con l’abbattimento di alcuni fabbricati pertinenti l’ospedale insediato nell’Ottocento, il restauro del campanile.
planimetria della chiesa attuale

Il portale trecentesco è oggi addossato al muro occidentale dello spazio racchiuso che introduce alla basilica. E' riccamente decorato con statue e bassorilievi: nella lunetta, è raffigurata l'Apparizione di San Giovanni a Galla Placidia, affiancata da due gruppi di angeli; ai lati della strombatura, vi è l'Annunciazione; nel timpano, invece, al centro c'è il bassorilievo con San Giovanni e un imperatore (probabilmente Valentiniano III), alla sua sinistra San Barbaziano (1) con sacerdoti, alla sua destra Galla Placidia con soldati e, sopra, il Redentore.


La facciata della basilica è molto semplice, con un alto protiro ad arco medievale con pilastrini in mattoni. Sotto il protiro si trovano il portale d'ingresso e una monofora.

All'interno la chiesa presenta attualmente una pianta a tre navate con abside poligonale all'esterno e circolare all'interno, traforato da sette monofore intervallate da colonnine di marmo. 


Abside

Le navate sono scandite da due filari di 12 colonne di marmo proconnesio.


Nella navata sinistra, sono appesi alla parete i frammenti musivi che provengono dalla decorazione pavimentale ordinata dall’abate Guglielmo nel 1213, come emerge da una lacunosa iscrizione (2). Dieci di questi frammenti celebrano le gesta della quarta crociata e la nascita dell'impero latino di Costantinopoli. Il tema – del tutto inconsueto, anche perché i crociati furono inizialmente scomunicati da papa Innocenzo III per aver rivolto le armi contro altri cristiani – è svolto con estrema aderenza alla realtà storica (come nel pannello in cui si vedono i crociati addossare le scale alle mura marittime direttamente dalle navi come realmente avvenne), sì da originare un variegato ventaglio di ipotesi circa le ragioni che potrebbero aver spinto l'abate a questa rappresentazione apologetica (3).  


I crociati assaltano le mura marittime di Costantinopoli

La resa di Costantinopoli

Altri lacerti musivi rappresentano invece temi medievali classici, un frammento dei mesi, scene di caccia e soprattutto animali fantastici e favolistici.
All'incirca a metà della navata sinistra si apre poi una cappella di forma quadrata aperta nel XIV secolo. E' voltata a crociera e presenta affreschi di scuola giottesca che raffigurano Santi, Dottori della Chiesa (S.Girolamo, Sant'Ambrogio, Sant'Agostino e S.Gregorio), e gli Evangelisti con i loro simboli. Sull'altare un affresco della Maddalena che tende le braccia verso la croce.


Ricostruzione ipotetica dei mosaici absidali di epoca placidiana


L’ipotesi ricostruttiva della decorazione di epoca imperiale della zona absidale, si basa principalmente su quattro sermoni e su descrizioni lasciate da artisti e antiquari che ebbero modo di vederli e prevede la presenza della cattedra vescovile dietro la quale la parete era rivestita in marmo. Al di sopra si sviluppavano i mosaici in cinque fasce orizzontali.
Nella prima, in corrispondenza della cattedra, San Pietro Crisologo celebrante con l’angelo, sulla sinistra le figure di Arcadio e Eudossia, e sulla destra Teodosio II ed Eudocia.
Nella seconda fascia l’iscrizione:

CONFIRMA HOC DEVS QVOD OPERATVS ES IN NOBIS A TEMPLO SANCTO TVO, QVOD EST IN IERVSALEM. TIBI OFFERENT REGES MVNERA.

La terza fascia era interrotta da una loggetta centrale, composta da sette arcate, ai cui lati si presuppone la raffigurazione dei quattro evangelisti.
Nella quarta fascia l’iscrizione:

SANCTO AC BEATISSIMO APOSTOLO IOHANNI EVANGELISTAE GALLA PLACIDIA AVGVSTA CVM FILIO SVO PLACIDO VANTINIANO AVGVSTO EF FIALIA SUA IVSTA GRATA HONORIA AVGVSTA LIBERATIONIS PERICVCVM MARIS VOTVM SOLVENT. 

Nell’ultima fascia, corrispondente al catino absidale, era rappresentato il Salvatore con il Vangelo aperto nella mano sinistra. Alla sommità dell’arco di trionfo, al centro la figura del Redentore che consegna il libro a San Giovanni Evangelista e a destra e sinistra era ripetuta la scena di Galla Placidia con la prole guidati dal santo sulla barca in tempesta.
Dai peducci dell’arco partiva l’iscrizione:

AMORE CHRISTI NOBILIS ET FILIVS TORNITVI SANCTVS IOHANNES ARCANA VIDIT. GALLA PLACIDIA AVGVSTA PROSE ET HIS OMNIBVS HOC VOTVM SOLVIT

Sottostante la scritta le immagini, forse clipeate, di antenati e parenti di Galla Placidia. A sinistra Valentiniano I, Graziano – nonno e zio dell'augusta - il marito Costanzo e i fratelli, morti in tenera età, Graziano e Giovanni. A destra Costantino, il padre Teodosio I, i fratellastri Arcadio e Onorio e il figlio avuto da Ataulfo, Teodosio.
Con questo particolare programma iconografico, l'augusta, da poco insediatasi sul trono d'Occidente come reggente del figlio Valentiniano, sembra volerne ribadire la legittimità in forza della sua appartenenza a pieno titolo alla dinastia teodosiana regnante in Oriente.


Note:

(1) sacerdote di origini antiochene, si recò a Roma dove gli furono attribuiti diversi miracoli. Galla Placidia lo fece venire alla corte dio Ravenna dove divenne il suo padre spirituale.

(2) All’interno di un circolo un tempo visibile sul pavimento in mosaico della navata centrale, erano indicati sia il nome del committente che l’anno di esecuzione dell’intera opera: «Dnus Abbas Guilielmus hoc op [...] anno millesimo ducentesimo tertio decimo».  

(3) Una esauriente disamina di queste ipotesi si trova in Gianantonio Tassinari, San Giovanni Evangelista e i mosaici della Quarta crociata. Considerazioni araldiche in Ravenna Studi e Ricerche, n. XXIV, 2018









venerdì 6 gennaio 2012

Piazza del Popolo

Piazza del popolo


Palazzo comunale

Acquista la sua conformazione attuale solo nel XV secolo, quando la città è sotto il dominio della Serenissima. Nel 1483 furone erette le due colonne davanti al palazzo del Comune, al culmine delle quali sono poste le statue di Sant'Apollinare e di San Vitale, i patroni di Ravenna. Quella di S.Vitale vi è stata posta solo nel 1644 in sostituzione del leone marciano. Entrambe poggiano su basamenti circolari ornati di motivi floreali e segni zodiacali.

 
 
Palazzo comunale: risale al XV sec. ma è stato ripetutamente restaurato. L'ornato delle finestre e la merlatura risalgono all'ultimo restauro (1857) mentre il voltone che collega il palazzo alla restrostante piazza XX Settembre risale al XV secolo.

Palazzetto veneziano

Palazzetto veneziano: collegato al palazzo comunale da un cavalcavia, deve il suo aspetto attuale ad un restauro novecentesco. Ultimato dai veneziani nel 1444, conserva del suo aspetto originario la loggia sostenuta da otto colonne di granito con capitelli del VI secolo (4 dei quali presentano il monogramma di Teodorico) ed un balconcino al secondo piano.

Palazzo della Prefettura

Palazzo della Prefettura: contiguo al palazzetto veneziano. Fu edificato nel XVIII secolo, quando Ravenna passò sotto il controllo dello Stato pontificio. Fu sede del vescovo e successivamente del cardinale legato, nell'ambito di un complesso che includeva anche l'edificio retrostante (attuale sede delle Poste) con le carceri e gli alloggi per i funzionari e le guardie svizzere.


Statua di papa Clemente XII (1730-1740): opera di Pietro Bracci, originariamente posta al centro della piazza, è attualmente dislocata al centro del chiostro che precede la basilica di S.Vitale

domenica 1 gennaio 2012

Domus dei tappeti di pietra (palazzetto teodoriciano-bizantino)

Palazzetto teodoriciano-bizantino

Nel 1993, nel corso dei lavori per la realizzazione di un garage al n.47 di via d'Azeglio è stato scoperto un sito che presentava numerose sovrapposizioni stratigrafiche conseguenti al progressivo abbassamento del suolo ravennate.
Il restauro ha privilegiato lo strato di epoca teodoriciana-bizantina (V-VI sec.) in cui sul sito si ergeva un palazzetto in cui sono stati individuati 14 ambienti coperti e due cortili e tre differenti fasi edificatorie:
  1. Fine V - inizio VI sec.
  2. metà VI sec.
  3. Fine VI-sec.
Durante la prima fase, l'atrio dell'edificio (2) ha interrotto la strada romana che originariamente separava due isolati distinti. L'atrio congiungeva due settori del palazzo, quello settentrionale, probabilmente adibito a funzioni pubbliche e quello meridionale, adibito ad uso privato.

Nel contesto degli scavi sono stati ritrovati due emblemata, l'uno al centro del pavimento della stanza 10 e l'altro in corrispondenza della stanza 12 ma ad un livello inferiore, coevo ad un edificio di grandi dimensioni e databile alla fine del IV sec.

 
Danza dei geni delle Stagioni: appartiene alla seconda fase costruttiva, in un'area in precedenza aperta trasformata in un nuovo ambiente di rappresentanza di vaste dimensioni.
In primo piano e di spalle è raffigurato l'Autunno, con una tunica corta ed una corona sul capo, a sinistra la Primavera, con una corona di rose e foglie verdi, a destra l'Estate (molto daneggiata), in posizione frontale l'Inverno, l'unico coperto da un mantello ed il capo cinto da una composizione di canne. Sullo sfondo un musico suona una syringa, molto probabilmente è una personificazione del Tempo al cui ritmo danzano le Stagioni.
Il girotondo – anziché la disposizione in fila che si ritrova in soggetti precedenti e coevi – sembra derivare da una precisa indicazione del committente riflettendo una concezione circolare (senza inizio né fine) del Tempo piuttosto che quella lineare del Cristianesimo. Del pari le figure si esibiscono in una danza animata e tridimensionale e non mostrano i caratteri di astrazione e staticità dei coevi mosaici bizantini ravennati.


Il Buon Pastore: l'identificazione di questo soggetto con il tema religioso del Buon Pastore è tutt'altro che certa. Mancano infatti l'aureola e la pecora sulle spalle. Si è ipotizzato che i due uccelli azzurri ai lati della testa – realizzati in pasta vitrea e non in marmo – fungano essi da aureola o comunque da cornice onorifica difficilmente attribuibile ad un normale pastore (potrebbe trattarsi di Orfeo, per la presenza della syringa appesa ad un albero)


giovedì 15 dicembre 2011

Palazzo di Teodorico

Palazzo di Teodorico



Identificato come tale in virtù della somiglianza con il mosaico di Sant'Apollinare nuovo che lo raffigura, è in realtà databile tra il VII e il IX sec. Dovrebbe più probabilmente trattarsi dell'ardica della chiesa di S.Salvatore in Calchis, forse fatta costruire da Astolfo come nuova cappella palatina dopo la presa della città (750). 
Il protostorico Agnello, nel Liber pontificalis ecclesiae ravennatis (IX sec.), scrive comunque che la chiesa di San Salvatore era posta sul luogo ove si apriva la porta principale del palazzo di Teodorico.
Secondo altri studiosi potrebbe invece trattarsi dei resti di un corpo di guardia, costruito quando il palazzo divenne residenza dell'esarca (VII-VIII sec.), sul modello di quello costantinopolitano chiamato Chalke (da cui il termine in calchis) per via delle sue monumentali porte bronzee.
Interamente costruito in laterizi, presenta al piano inferiore una grande porta centrale affiancata da due aperture a doppio arco, al piano superiore una grande nicchia affiancata da due loggette cieche formate da colonne che poggiano su mensole marmoree. All'interno sono esposti frammenti musivi probabilmente provenienti dal palazzo reale che doveva trovarsi nelle vicinanze, ma fu completamente devastato dai Longobardi e spoliato a più riprese da Carlo Magno per concessione di papa Adriano I (772-795). 
Pur trattandosi di un edificio di epoca più tarda, il richiamo alla corrente teodoriciana è nondimeno evidente nell'uso delle forti archeggiature e del dominante nicchione centrale.
La tradizione di identificare il rudere col palazzo di Teoderico pare sia nata nel XVII secolo, quando vi fu addossato il sarcofago di porfido, ora nel mausoleo di Teodorico, che si ritiene aver contenuto le spoglie del sovrano goto.

All'interno dell'edificio sono attualmente conservati i frammenti della pavimentazione musiva rinvenuti nell'area circostante.
 
Pianta dell'area di scavo
 
Dalle più recenti analisi dei dati di scavo nell'area sembra possibile evincere che a fine I sec. a.C.-inizio II sec. esistevano qui due complessi edilizi:
1. Quello settentrionale riconducibile ad una villa suburbana, con triclinium/tablinum affiancato da altri ambienti e affacciato su un atrio.
2. Nel settore meridionale è stata invece individuata una serie di ambienti affacciati su un corridoio (portico A1), ripavimentati a mosaico verso la fine del I sec. - inizi del II, riguardo ai quali non è possibile stabilire se facessero parte della villa suburbana.
Nel IV secolo l'intero complesso risulta essere una residenza di notevoli dimensioni, costituita dagli ambienti dei settori settentrionale e meridionale che gravitano attorno ad un grande cortile porticato. In età onoriana (393-423) la residenza viene ulteriormente monumentalizzata e si trova ad avere, a nord, una grande aula absidata (Stanza L) pavimentata, forse proprio in questa fase, in opus sectile: è probabile, ma non dimostrabile archeologicamente, che il complesso sia il palazzo imperiale di Onorio, che nel 402 trasferì la capitale a Ravenna.
In età teodericiana (493-526) il palazzo viene nuovamente trasformato: nel settore nord vengono aggiunti alcuni ambienti fra cui un grande triclinio triabsidato (Sala S); alcuni ambienti vengono ripavimentati a mosaico. Secondo l'ipotesi più probabile il sovrano goto avrebbe riutilizzato per la sua residenza il palazzo preesistente, fatto erigere da Onorio al momento del trasferimento della capitale a Ravenna, sui resti di strutture di età imperiale, identificate con una villa suburbana, almeno nella parte settentrionale del complesso. E.Russo (2005) ritiene che il palazzo di Onorio sia sorto nell'area della sede del praefectus classis, cioè di un edificio militare dotato di ambienti di rappresentanza.
Le ultime modifiche di una certa consistenza si hanno nella seconda metà del VI secolo, quando il livello di alcuni ambienti è innalzato mediante una nuova pavimentazione a mosaico. Il palazzo rimase attivo almeno fino all'VIII secolo inoltrato.
 
Frammento del pavimento in opus sectile della Stanza L
 
Pavimento musivo del Portico A1
 
Nei frammenti superstiti è delineata una scena di caccia a cavallo. Si distinguono una rete, con andamento ellissoidale; un cavaliere, di cui rimane solo un lembo grigio della clamide, con il cane a fianco; tre cavalieri all'inseguimento di tre fiere, due dei quali vestiti con tunica rossa e clamide grigia; almeno tre cinghiali; un personaggio appiedato, con corta tunica color nocciola e alti calzari rinforzati di cuoio, che stringe tra le braccia un animale ferito. Molto probabilmente la scena ritrae una venatio nell'anfiteatro più che una vera caccia campestre.
 
Particolare della scena di caccia al cinghiale
 

Pavimento musivo della Sala S
 
 

La scena centrale presenta la raffigurazione dell'episodio mitologico di Bellerofonte che uccide la Chimera: l'eroe ha il braccio destro alzato, il capo rivolto a sinistra, la clamide rosso-rosata aperta dietro le spalle; del cavallo alato Pegaso rimangono visibili le zampe posteriori, la coda grigia e l'estremità dell'ala destra; la Chimera, in secondo piano rispetto al cavallo alato, è accasciata al suolo, con la coda serpentiforme arrotolata intorno alla lancia dell'eroe. Attorno a Bellerofonte si dispongono entro medaglioni i busti delle personificazioni delle stagioni (se ne conservano frammenti leggibili soltanto di due attribuiti alla Primavera o Estate e all'Autunno). Secondo una interpretazione Bellerofonte rappresenterebbe l'allegoria di Teodorico vittorioso, che domina un ordine cosmico ben interpretato dalle Stagioni, dispensatore di beni e prosperità come gli antichi Cesari.
 
Frammenti del busto della Primavera/Estate





lunedì 12 dicembre 2011

Mausoleo di Teodorico

Mausoleo di Teodorico



Fatto edificare da Teodorico per esservi sepolto nel 520 circa, appare costituito da due ambienti decagonali sovrapposti l'uno all'altro. E' formato da grossi blocchi di pietra calcarea d'Istria squadrati e posti in opera a secco.


La calotta che chiude l'ambiente superiore è un monolito dal peso stimabile in circa 300 tonnellate; le dodici anse, recanti incisi i nomi di otto apostoli e dei quattro evangelisti, che lo decorano, servirono probabilmente a farvi scorrere dei canepi durante le manovre d'istallazione.
Secondo un'interpretazione del Sangallo, gli incassi visibili nelle pareti dell'ambiente superiore servivano a sostenere degli archi poggiati su colonne, oggi scomparse, che formavano una loggetta rotonda attorno al piano superiore.
Internamente, l'ambiente inferiore si presenta completamente spoglio con una pianta a croce greca. Si ignora dove fosse originariamente l'accesso al piano superiore, la scaletta attuale è stata realizzata nel 1927.
Nel vano superiore si trova una vasca di porfido che si presume contenesse le spoglie di Teodorico successivamente rimosse in epoca bizantina. E' decorata con due finti anelli sul fianco e una protome leonina in basso.

Secondo una suggestiva interpretazione (Ferri), l'eterogenea copertura circolare di un edificio decagonale corrisponderebbe alla volontà di Teodorico di ricordare nel suo mausoleo la tenda dei suoi avi:
a. Il fregio a tenaglia ricorderebbe i ganci, ruotati di 90 gradi per la legge di maggiore visibilità, su cui scorrevano le tende;
b. Le anse della calotta gli uncini delle aste che, dipartendosi a raggiera dal centro, sostengono la tenda;
c. La grande croce visibile all'interno della calotta riprodurrebbe l'apertura attraverso cui usciva il fumo e che veniva chiusa durante le pioggie da un disco di cuoio riprodotto all'esterno in un disco di pietra di circa 4 m. di diametro e aggettante sul resto di circa 10 cm.


domenica 11 dicembre 2011

Basilica di S.Vitale

Basilica di S.Vitale



Iniziata dal vescovo Ecclesio nel 525, ancora vivente Teodorico, fu completata e consacrata dal vescovo Massimiano nel 547. Come Sant'Apollinare in Classe fu realizzata grazie ai finanziamenti del banchiere greco Giuliano L'Argentario, la cui committenza è riconoscibile dall'impiego di mattoni lunghi e sottili (48 cm. x 4 di spessore) connessi da uno strato di malta di identico spessore.
La basilica è a pianta centrale ottagonale e presenta i pastoforia (protesi e diaconico) ai lati dell'abside. L'orientamento dell'ardica - originariamente sopravanzata da un quadriportico oggi ricoperto da un chiostro cinquecentesco - forse per la necessità d'inglobare precedenti sacelli, è obliquo rispetto all'asse principale della basilica.


Il campanile, che risulta dalla sopraelevazione di una delle due torri scalarie che introducevano al matroneo, risale probabilmente al X sec., come anche i vistosi contrafforti innalzati per contenere la spinta delle volte.

L'interno dell'edificio mostra la fusione dei caratteri costruttivi latini, riconoscibili nella robustezza degli otto pilastri che sostengono la cupola, con la dilatazione e smaterializzazione dello spazio dei bizantini, prodotta dai nicchioni a doppio ordine di colonne che si aprono tra questi e dalle trasparenze delle decorazioni musive. Intorno al giro interno dei pilastri corre l'ambulacro ottagonale.
L'impostazione della cupola è tipicamente bizantina: anzichè poggiare su un anello cilindrico, come quella latina, poggia sulle trombe coniche che insistono sui lati dell'ottagono. Un ulteriore alleggerimento è ottenuto mediante l'impiego nella costruzione di tubi cavi di cotto che s'inseriscono l'uno nell'altro.
Il ritmo architettonico, per l'ampio respiro dei nicchioni e l'ampiezza delle volte, colpisce il visitatore non meno della tessitura musiva e delle particolari venature dei marmi dei pilastri. I capitelli del loggiato inferiore , a forma di paniere e scolpiti a foglie d'acanto, hanno sui pulvini monogrammi variamente interpretati.

Mosaici absidali: il mosaico del catino absidale mostra Cristo assiso sul globo terrestre con in mano il rotolo dei sette sigilli, tra gli arcangeli; S.Vitale a cui porge la corona del martirio e il vescovo Ecclesio che gli porge il modellino della chiesa. In basso il giardino celeste con una rappresentazione stilizzata dei suoi quattro fiumi (Pison, Ghicon, Tigri e Eufrate). Nell’estradosso ai lati le città di Betlemme e Gerusalemme, al centro due angeli sostengono il cerchio solare con al centro l’Alfa.

catino absidale


I mosaici delle pareti laterali mostrano la raffigurazione di un evento realmente mai verificatosi: Giustiniano e Teodora, che non si recarono mai a Ravenna, assistono alla consacrazione della chiesa nell'atto della oblatio Augusti et Augustae (la donazione del piatto e del calice).
Ciò è evidente anche dai caratteri dei ritratti degli imperatori, che il maestro mosaicista probabilmente non vide mai dal vivo, assai meno dettagliati di quelli degli altri dignitari presenti.


Nel pannello di sinistra  si vede l'imperatore con in mano una patèra d'oro (il piatto su cui l'officiante depone le ostie prima di distribuirle ai fedeli), preceduto dall'arcivescovo  Massimiano con in mano una gran croce e affiancato dal diacono che porta i vangeli e il suddiacono con l'incensiere. Alcuni hanno identificato il personaggio alla destra dell'imperatore con il generale Belisario (mentre quello in secondo piano dietro di lui potrebbe essere suo nipote Anastasio) e quello alla sua sinistra Giuliano L'Argentario. Un'altra ipotesi vuole che quest'ultimo personaggio abbia in realtà le sembianze di Giovanni, il generale rivale di Belisario in quel momento in ascesa.
Abbigliamento: Giustiniano calza i campagi, sandali purpurei ornati di pietre preziose; indossa una tunica bianca (divitision), ornata lateralmente di una fascia d'oro che si prolunga sino al ginocchio e stretta in vita dal cingulum, una cintura che distingueva tutti i funzionari pubblici e sopra il manto di porpora, chiuso a destra da una fibbia preziosa e ornato da un motivo dorato di forma rettangolare (tablion).
I soldati della guardia imperiale portano il maniakion, un collare aureo che porta al centro un ovale orizzontale.
Il corteo procede in realtà verso destra ed è quindi aperto dal vescovo preceduto dai due diaconi come nel rituale dell'ingresso vescovile.


Nel pannello di destra  è raffigurata l'imperatrice Teodora con il suo seguito, a destra due cortigiani, uno dei quali solleva una tenda per mostrare all'imperatrice l'acqua della fontana, e a sinistra sette matrone, le prime due delle quali dovrebbero essere Antonina e Giovanna(*), rispettivamente moglie e figlia di Belisario. Alle spalle dell'imperatrice, una nicchia a forma di conchiglia, simbolo cristiano dell'immortalità. La veste appare riccamente decorata, nell'intarsio spiccano i tre Re magi che recano doni.
(*) Giovanna andò in sposa ad Anastasio, nipote di Teodora.


Lunetta di destra del presbiterio: Il sacrificio di Abele che offre un agnello al Signore e quello di Melchisedec, il re sacerdote di Salem (Gerusalemme) davanti al cui tempio è raffigurato, che gli offre pane e vino (Genesi 14) vengono considerati delle anticipazioni bibliche dell'eucaristia.

Lunetta di sinistra: due episodi della vita di Abramo: A) Abramo offre il pranzo sotto la quercia di Mamre ai tre angeli del Signore venuti ad annunciargli la nascita di Isacco mentre la moglie Sara sorride incredula sulla porta della capanna (Gen. 18); B) Sacrificio di Isacco.


Estradosso absidale: e' interessante confrontare questi due mosaici topografici - raffiguranti Gerusalemme e Betlemme - con quelli di S.Apollinare Nuovo. I secondi hanno infatti come referenti delle architetture reali mentre questi hanno come referenti delle architetture del tutto immaginarie; la Gerusalemme qui raffigurata non corrisponde infatti alla città realmente esistente quanto alla descrizione della Gerusalemme celeste data da S.Giovanni nell'Apocalisse: "La città è cinta da un grande ed alto muro... Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro. Le fondamenta delle mura sono adorne di ogni specie di pietre preziose." (Apocalisse, XXI)


Sarcofago di Isacio (Esarca di Ravenna, 620-637), la vedova Susanna vi fece incidere una elegante inscrizione greca (la traduzione in latino è successiva) che ne ricordava la carriera al servizio dell'impero e la morte gloriosa. 
Il sarcofago, in marmo greco e databile alla prima metà del V sec., è raccordato ad un coperchio semicilindrico non pertinente sia per le dimensioni che per la qualità del marmo. Si tratta, con molta probabilità, di una semicolonna riadattata alla cassa. Nella parte anteriore del coperchio una grande croce latina a rilievo identica a quella scolpita nel suo lato destro, divide la superficie curva e campeggia al centro dell’iscrizione greca ancora perfettamente leggibile.
Sul lato anteriore della cassa è scolpito l'Arrivo dei Magi mentre su quello posteriore è scolpito al centro il Chrismon ai lati del quale si dispongono due pavoni. Sui lati corti della cassa sono raffigurati rispettivamente la Resurrezione di Lazzaro e Daniele nella fossa dei leoni.




















sabato 10 dicembre 2011

Sant'Apollinare in Classe

Sant'Apollinare in Classe


E' la più grande basilica paleocristiana esistente. Fu fatta edificare dal vescovo Ursicino con la sovvenzione di Giuliano l'argentario e consacrata dal vescovo Massimiano nel 549.
La facciata presenta una grande trifora e due lesene laterali. Come evidenziato da scavi, la basilica era preceduta da un quadriportico. L'ardica e una delle due torri laterali sono state ripristinate da un restauro dei primi del '900. Il campanile 'è del X sec. e presenta due ordini di monofore, uno di bifore e tre di trifore per una altezza di circa 37 m.

lato settentrionale

 
L'interno è a tre navate, spartite da due file di dodici colonne con i tipici capitelli bizantini a foglie d'acanto e che poggiano su vistosi zoccoli marmorei. La nudità delle pareti laterali è dovuta alla spoliazione dei marmi operata nel XV secolo da Sigismondo Malatesta per ornare il suo Tempio di Rimini.


I mosaici dell'abside appartengono all'ultimo ciclo dell'arte musiva ravennate e segnano l'apice del simbolismo bizantino.

Nell'arco trionfale si nota la figura di Cristo nel nimbo, attorniato dai simboli zoomorfi dei quattro evangelisti (IX sec.). Dodici agnelli (gli apostoli) escono dalle città di Betlemme e Gerusalemme per ascendere al Cristo. Più in basso due palme (simbolo cristiano del martirio), a destra l'arcangelo Gabriele e a sinistra l'arcangelo Michele.
Nel catino absidale (metà VI sec.) domina una grande croce gemmata con al centro la figura di Cristo che allude alla Trasfigurazione sul monte Tabor: Cristo appare assieme a Mosè e Elia (i due busti che affiancano la croce) nella luce della gloria, a Pietro, Giovanni e Giacomo (le tre pecorelle) per volontà del Padre (la mano che esce dalle nuvole, la dextera dei). La croce è immersa in un cielo stellato e mostra in corrispondenza dei bracci laterali le lettere greche alfa e omega (l'inizio e la fine della vita), ai piedi l'iscrizione latina "Salus mundi" e in cima l'acrostico greco "iktus" (lett. "pesce", ), utilizzato dai primi cristiani per alludere al Cristo. Più in basso, al centro del prato fiorito raffigurante il monte Tabor, si staglia in atteggiamento di orante, la figura di Sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna, che sovrasta un gregge di dodici pecore, rappresentante la comunità dei fedeli.


Tra le finestre dell'abside i mosaici sicuramente più antichi, in quanto coevi all'edificazione della basilica, raffiguranti quattro vescovi della Chiesa ravennate.

Nelle pareti laterali, due scene databili al VII sec. ma successivamente ampiamente rimaneggiate.
A destra i tre sacrifici biblici di Abele, Melchisedec e Abramo.

 
A sinistra, con evidente richiamo ai mosaici di S.Vitale, l'imperatore Costantino IV (668-685), con i fratelli Eraclio e Tiberio e il figlio Giustiniano II, che consegna al vicedomino Reparato e all'arcivescovo Mauro il rescritto (risposta dell'imperatore alle petizioni dei sudditi) dei privilegi della Chiesa ravennate.
Dal momento che nell'iscrizione sovrastante i fratelli sono ancora menzionati come co-imperatori, il mosaico dev'essere antecedente al 681, anno in cui l'imperatore li privò di questo titolo. Le teste delle figure appaiono tutte rimaneggiate e il mosaico appare largamente integrato a tempera, a testimonianza della decadenza dell'arte musiva ravennate.


Mauro fu arcivescovo di Ravenna dal 642 al 671 e nel 666 riuscì ad ottenere dall'imperatore Costante II l'autonomia della sua diocesi dalla Chiesa di Roma (autocefalia) (1). Nel 673 Reparato - che subentrò a Mauro sul seggio vescovile - ottenne dal nuovo imperatore Costantino IV la conferma dei privilegi concessi alla chiesa ravennate. 
Il pannello musivo sarebbe stato quindi realizzato durante l'arcivescovado di Reparato (671-677) - che fece ridecorare la chiesa come ricordato in una sottostante iscrizione in latino (aula[enovo habitus fecit) - per celebrare un evento fondamentale nella storia della chiesa ravennate.
Recentemente Salvatore Cosentino (2) ha proposto, per la prima figura a sinistra del pannello, solitamente identificata con Giustiniano, il figlio di Costantino IV, ritratto senza aureola perchè all'epoca non ancora imperatore, l'identificazione con Teodoro Calliopa che fu esarca di Ravenna dal 653 al 666. Il personaggio tiene infatti in mano quello che sembrerebbe essere il modellino di un ciborio che lo storico mette in relazione con la traslazione delle spoglie di Sant'Apollinare dal nartece al centro della chiesa (probabilmente sotto l'altare il cui ciborio sarebbe stato donato dall'esarca) voluta dall'arcivescovo Mauro. Il fatto che i due chierici sulla destra della composizione tengano in mano un incensiere ed un calice rafforzerebbe ulteriormente l'ipotesi che il pannello commemori questo evento.

Lungo le pareti delle navate laterali sono disposti i sarcofagi in cui furono conservate le spoglie degli arcivescovi di Ravenna.

Sarcofago paleocristiano databile al V secolo 
riadattato a sepolcro dell'arcivescovo Teodoro (677-691)

Note:

(1) L'autocefalia della chiesa ravennate terminò nel 680, quando papa Agatone convocò a Roma l'arcivescovo Teodoro e questi rinnegò l'indipendenza della chiesa ravennate (cfr. Agnello, Liber pontificalis ecclesiae ravennatis, IX sec.)

(2) S.Cosentino, Constans II, Ravenna's Autocephaly and the Panel of Privileges in S.Apollinare in Classe: a Reappraisal in Aureus.Volume dedicated to prof Chrysos, Atene 2014




Sant'Apollinare nuovo

Sant'Apollinare nuovo



Fatta edificare da Teodorico per il rito ariano agli inizi del VI sec., fu riconsacrata al rito cristiano dal vescovo Agnello nel 561 col nome di San Martino in Cielo d'oro. Verso la metà del IX sec., quando fu operata la traslazione delle spoglie di Sant'Apollinare dalla Basilica di Classe, la chiesa prese il nome che porta attualmente per distinguerla da una omonima gia' esistente.



Esterno. Il protiro e la bifora sovrastante sono di epoca rinascimentale, il campanile è dell'XI sec.


 
Interno. Si presenta a tre navate, scandito da dodici colonne per lato (dodici erano gli apostoli) con capitelli corinzi e pulvini a croce.


Parete di destra: nella fascia superiore, vicino al soffitto, intercalati da motivi decorativi riproducenti la croce, due colombe e una conchiglia, tredici quadretti con scene della Passione e Resurrezione di Cristo.


Il Tradimento di Giuda

 Sono di epoca teodoriciana con Cristo giovane e riccioluto con la tunica imperiale di porpora e il limbo crucigemmato. Sono la più antica rappresentazione sopravvissuta di un ampio ciclo di scene del Nuovo Testamento in un contesto monumentale.
Nella fascia mediana si osservano riquadri con figure dei profeti.
Nella fascia inferiore è rappresentata la teoria dei martiri (n.26) che parte dal palazzo di Teodorico  per giungere a Cristo in trono tra gli angeli.
In origine, prima delle modifiche di epoca giustinianea, il corteo raffigurava Teodorico ed il suo seguito che muovevano in processione dal palazzo verso il Cristo o la Vergine in trono.

Palazzo di Teodorico

Usualmente si vuole che il mosaico raffiguri la facciata principale del palazzo teodoriciano. Tuttavia potrebbe anche trattarsi di una rappresentazione prospettica schiacciata che porta in primo piano le due ali in realtà perpendicolari alla facciata tripartita.
Le tre parti che lo costituiscono e che noi vediamo ribaltate e accostate, corrispondono in realtà a tre ali distinte. Le tre ali della costruzione, rappresentate giacenti sullo stesso piano della facciata, nella realtà potrebbero corrispondere ad un peristilio simile a quello del palazzo di Diocleziano a Spalato.

Cassiodoro dice che il palazzo era cinto da portici e ornato da vittorie alate che effettivamente si vedono tra i peducci delle arcate.
Sul frontone, dove oggi si vede un uniforme triangolo dorato, come s'intuisce dall'allineamento e dalla diversità delle tessere, si trovava un mosaico raffigurante Teodorico tra le personificazioni simboliche di Roma e di Ravenna, cancellato durante i rimaneggiamenti operati a seguito della riconquista bizantina.
Sullo sfondo alcuni edifici dell'architettura religiosa gota di incerta identificazione.


Parete sinistra: tredici quadretti con scene di Miracoli e Parabole della vita di Cristo.
Nella fascia inferiore la teoria delle sante, riccamente vestite, che parte dal porto della città di Classe per giungere a Maria in trono tra gli angeli.
In testa al corteo si trovano i tre Re Magi, rifatti dal restauratore romano Kibel nell'800 nella parte superiore, sostituendo le originarie corone con i berretti frigi.


I due cortei sono di epoca giustinianea, tanto dalle mura della città di Classe quanto dal Palazzo reale, sono state eliminate, nel corso dei rimaneggiamenti operati da Agnello, figure di personaggi della corte teodoriciana, di cui sono ancora visibili alcune tracce.
Nel mosaico raffigurante la città di Classe, gli edifici alla destra del portico-acquedotto sono stati fantasiosamente aggiunti dal Kibel per colmare una lacuna.



Il porto di Classe


Sulla facciata interna della chiesa si conserva un lacerto musivo raffigurante un uomo con diadema e nimbo. L'iscrizione che lo indica come ritratto di Giustiniano è però opera del Kibel, le differenze che presenta con il ritratto dell'imperatore in S.Vitale hanno fatto pensare che possa trattarsi piuttosto di un superstite ritratto di Teodorico.
Restauri condotti nel 1951 hanno confermato un rimaneggiamento del mosaico in epoca molto antica, la parte originale limitandosi al volto del sovrano, mentre il diadema con pendilia, la clamide purpurea, il fondo oro e il nimbo apparterrebbero invece all’età del vescovo Agnello.
Nel ritratto originario mancavano quindi tutti i segni distintivi del potere imperiale, confermando quanto sappiamo da Procopio, che Teodorico usò gli attributi della regalità nei confronti del suo popolo, ma mantenne un atteggiamento di inferiorità nei confronti del Basileus dal quale sapeva discendere il proprio potere.
In ogni caso non si può parlare di un ritratto ma di un’immagine standardizzata , che, se può aver tenuto conto di elementi fisiognomici, esprimeva principalmente un valore simbolico, tanto che fu sufficiente cambiare gli attributi, e non il volto, per trasformarla in quella di Giustiniano.




Sebbene tra i due cicli musivi intercorrano non più di cinquant'anni, nondimeno si notano differenze stilistiche.
I mosaici teodoriciani, nelle due fasce più in alto, sono più legati alla tradizione romana, perché ricchi di spunti realistici: descrizione del paesaggio, plasticità delle figure, gesti e azioni molto naturali, ambienti e situazioni realistiche.
Le scene evangeliche sono descritte come episodi di vita quotidiana, come per attestarne la verità storica. In particolare, le scene con gli episodi della Passione e della Resurrezione, eccellono nella qualità cromatica e nella ricchezza espressiva.
 L'ultima cena è una scena in cui Gesù è triste e gli apostoli hanno espressioni variamente sconcertate di fronte alla sue parole.
Il bacio di Giuda è una scena vivace e di grande chiarezza comunitativa.
Appartiene alla serie teodoriciana anche la scena con il Giudizio Finale, che rispetto al naturalismo delle altre è più astratta e simbolica. Nella composizione simmetrica, si vede la figura centrale di Gesù fiancheggiata dai due angeli mentre divide le pecore dai capretti. In questo caso tutti gli elementi visivi tendono a esaltare la dimensione sacra, soprannaturale, facendo perdere alle figure la fisicità e concretezza ravvisabile nelle altre scene evangeliche. Lo spazio è ridotto, i volumi tendono ad appiattirsi per via delle stesure cromatiche più uniformi e l'assenza delle ombre, i personaggi sono visti come apparizioni immateriali e divine. Anche i visi sono simili tra loro, hanno grandi occhi con sguardi rivolti all'infinito. La dimensione ultraterrena e il senso di eternità sono trasmesse anche dai gesti bloccati nell'assenza di movimento.



Il Giudizio finale: Cristo divide le pecore dai capretti

“…quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti i santi angeli con lui, allora egli si siederà nel trono della sua gloria, … e saranno riunite davanti a lui tutte le nazioni della terra e dividerà le une dalle altre, come il pastore divide le pecore dai capretti … e porrà le pecore alla sua destra e i capretti alla sua sinistra … (Matteo XXIV, 31-33).

I mosaici giustinianei, con i due cortei, dei martiri e delle sante, sono di gusto più orientaleggiante e più astratto, cioè più bizantini. I paesaggi non esistono più, rimangono solo pochi elementi simbolici. Le figure non hanno più volume, sembrano sospese in aria, hanno contorni che le appiattiscono. Tutte le forme sono geometrizzate, i gesti sono convenzionali.
Non si cerca più la somiglianza con la natura, ma un'immagine fantastica, irreale, spirituale.
Si punta sull'effetto ritmico, sui colori vivaci e le decorazioni ricche.
Non si rappresenta la realtà ma un mondo superiore: quello del Paradiso, dove non esiste la materia, ma solo lo spirito. E tutto è permeato dalla presenza divina.