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mercoledì 26 agosto 2020

La chiesa di Santa Maria Egiziaca, Roma

La chiesa di Santa Maria Egiziaca, Roma


Il Tempio di Portuno come appare attualmente


Sotto il pontificato di papa Giovanni VIII, tra l'872 e l'873, Il Tempio di Portuno al Foro Boario (fino agli inizi del XX secolo noto come Tempio della Fortuna virile) (1) fu trasformato in chiesa inizialmente dedicata alla Vergine e nota come Santa Maria de Secundicerio.
Un'epigrafe (oggi perduta) ritrovata durante i restauri del 1579 e databile al IX secolo, pone la decorazione parietale della chiesa primitiva in relazione alla committenza di un certo Stefano detto Secundicerio (2). Dal momento che questo titolo indicava la seconda carica della corte pontificia, doveva trattarsi di un personaggio molto influente e allineato alle direttive della politica papale.
Nel 1492 appare per la prima volta nelle fonti con il nome di Santa Maria Egiziaca che manterrà ininterrottamente fino al 1916, quando verrà sconsacrata per ripristinare l'antico tempio romano.
Nel 1566 la chiesa fu data in concessione alla Congregazione armena da papa Pio V in sostituzione di quella dedicata a San Lorenzo che era stato necessario abbattere per costruire il muro perimetrale del ghetto ebraico.
Nel 1579 su istanza di papa Gregorio XIII, il cardinale Giulio Antonio Santori, nominato l'anno precedente protettore della Congregazione armena, fece restaurare ed abbellire la chiesa. Il cardinale fece anche costruire un nuovo edificio, utilizzato come “ospizio” dagli Armeni, addossato al lato est del tempio, quello che oggi si sviluppa lungo via Petroselli. Questo edificio, più alto rispetto al tempio, inglobò nelle sue stanze le colonne e i capitelli di questo lato che furono più volte danneggiati da incendi e manomissioni.

Il Tempio trasformato in chiesa come appariva in una fotografia del 1895. Sulla sinistra, addossato al suo lato orientale, si nota l'ospizio degli armeni

Nel 1916 l'edificio divenne proprietà dello Stato italiano e tra il 1921 ed il 1925, sotto la direzione di Antonio Munoz, furono intrapresi i lavori volti ad isolare il monumento (venne completamente demolito l'adiacente ospizio degli armeni) e riportare il tempio alla su conformazione originaria. Lo smantellamento dei pilastri cinquecenteschi – collocati a metà delle pareti lunghe e nei due angoli di quella di fondo – portò alla luce lacerti della decorazione parietale del IX secolo, altri frammenti furono ritrovati in corrispondenza della lunetta della parete di fondo.

Della decorazione parietale coeva alla trasformazione dell'edificio in chiesa, rimangono oggi in situ tre fasce verticali – divise in sette registri – disposte sui il lati lunghi dell'edificio e otto frammenti di affresco già distaccati da A. Muñoz e applicati su supporti mobili (attualmente i tre più grandi sono posti sulla parete di fondo e gli altri sulle pareti laterali).
Il registro superiore era dedicato all'Infanzia della Vergine , quello inferiore al ciclo cosiddetto della Dormizione.

Annunciazione ante mortem (3)

Nel terzo registro scorrevano le scene della vita di san Basilio, a questo registro appartengono anche due coppie di clipei con le sante romane Rufina e Prisca e gli  orientali Pantaleone e Tuthael (4).

La peccatrice penitente s'inginocchia ai piedi di san Basilio

Una peccatrice aveva scritto i suoi peccati su una pergamena sigillata che portò a San Basilio per chiedergli d'intercedere presso il Signore per ottenerne il perdono. Il Santo pregò tutta la notte ed il giorno seguente i peccati della donna erano cancellati. Tutti tranne uno. Per questo il santo la mandò da Sant'Efrem che non fu però in grado di aiutarla. Sulla via del ritorno incrociò il corteo funebre di San Basilio che nel frattempo era morto e, disperata, gettò la pergamena sul corpo del santo. Un sacerdote la raccolse e ruppe il sigillo trovando la pergamena completamente bianca. Il santo morendo aveva redento l'ultimo peccato della donna.

I Santi Pantaleone e Tuthael

Il quarto registro era dedicato alla vita di Maria Egiziaca ed il quinto era occupato da figure stanti di santi e martiri.

Il monaco Zosimo incontra Maria Egiziaca nel deserto (5)

Al di sotto di questo registro la decorazione continuava probabilmente con dei finti tendaggi – come d'uso nelle chiese romane dell'epoca - ma è completamente scomparsa.
Nei cinque registri superiori le singole scene appaiono inquadrate da cornici composte da cerchi circondati da file di perline, dentro i quali si alternano testoline, fiori stilizzati e palmette.
Infine, nella parte superiore della parete di fondo era rappresentata una visione di Cristo in gloria, della quale però rimangono solo alcuni lacerti.
Sulla parete di fondo della cella è stato ritrovato un frammento di affresco con il volto della Vergine (che doveva appartenere a una piccola abside poi demolita) più tardo rispetto al ciclo decorativo principale e reso visibile dall’ultimo restauro; intorno al volto è presente un’aureola a sbalzo sulla quale sono state rinvenute tracce di doratura a foglia d’oro. Sulla base di questi ed altri elementi si ipotizza una datazione intorno al 1200.

Maria Egiziaca, la santa eremita a cui era dedicata la chiesa, è venerata come protettrice delle prostitute pentite. Non era quindi inusuale, nel cuore della Roma cinquecentesca e papalina, vederne convenire una moltitudine per assistere alla funzione nel giorno (primo di aprile) in cui ricorreva la festività della santa.


Note:

(1) Si tratta di edificio pseudoperiptero in tufo e travertino di epoca repubblicana, con pronao tetrastilo e innalzato su un podio accessibile da una scalinata. I lati maggiori sono costituiti da due colonne e cinque semicolonne sui muri della cella (le colonne del pronao e quelle sui quattro angoli della cella, le basi e capitelli sono in travertino, mentre le semicolonne e la cella sono in tufo, tutto un tempo rivestito da prezioso stucco romano).

(2) Il titolo indicava uno dei sette giudici palatini, alti funzionari della curia con mansioni amministrative e giurisdizionali, assieme al primicerio e al protoscrinario faceva parte della cancelleria. Era quindi la seconda carica della corte pontificia.

(3) Tre sono i principali manoscritti apocrifi che raccontano gli ultimi giorni della Vergine: De Transitu Marie (in lingua etiope), Dormitio Marie (in greco) e Transitus Mariae (in latino), tutti databili in un arco compreso tra il II e il IV secolo. Tutti e tre collocano al morte della Vergine a Gerusalemme ed in tutti e tre ricorre la scena della cosiddetta Annunciazione ante mortem, un angelo avrebbe preannunciato alla Vergine la sua prossima morte e assunzione in cielo. Se questa fosse la scena qui rappresentata, si tratterebbe dell'unico esempio ritrovato in Italia.

(4) San Pantaleone è un santo medico - vedi qui - nativo di Nicomedia in Bitinia. Tuthael dovrebbe essere un santo stilita di origini siriache vissuto tra il V e il VI secolo di cui si dice che operò la resurrezione di un cadavere.

(5) cfr. scheda Maria Egiziaca

martedì 29 agosto 2017

La basilica di Santa Sabina

La basilica di Santa Sabina


La basilica paleocristiana di Santa Sabina fu fondata dal sacerdote Pietro d'Illiria nel 425 d.C. durante il pontificato di Celestino I ed ultimata nel 432 sotto Sisto III, sul luogo precedentemente occupato dal "titulus Sabinae" - una domus ecclesiae che sorgeva sulla proprietà di una matrona romana che portava questo nome (1) - utilizzando le 24 colonne bianche di marmo ancirano appartenenti al "Tempio di Giunone Regina" che sorgeva nelle vicinanze. Fu restaurata da papa Leone III (795-816) e poi da papa Eugenio II (824-827), a cui si devono la costruzione della schola cantorum, quella di un ciborio scomparso durante il sacco dei lanzichenecchi (1527) e la traslazione delle spoglie dei santi Alessandro, Teodulo ed Evenzio che furono riposte nella cripta.
Questi lavori furono soltanto l'inizio di una serie di rimaneggiamenti che finirono per stravolgere l'intera costruzione.
A causa della posizione privilegiata che le permetteva di dominare la zona sottostante ed una parte del corso del Tevere, nel X secolo la basilica venne trasformata in un fortilizio per ordine di Alberico II (2). In seguito divenne residenza fortificata di alcune nobili famiglie, i Crescenzi prima ed i Savelli dopo: proprio un membro di quest'ultima famiglia, Cencio, divenuto papa con il nome di Onorio III, nel 1219 concesse la chiesa e parte del palazzo a San Domenico Guzman, fondatore dell'Ordine dei Predicatori (meglio conosciuti come "Domenicani"), che qui visse e operò, tanto che la sua cella, trasformata in cappella, è tuttora visitabile. All'epoca dell'insediamento dei Domenicani risale la costruzione del chiostro e del campanile (poi mozzato nel XVII secolo).

La superfetazione barocca del campanile

Nel 1587 fu restaurata da Domenico Fontana per incarico di Sisto V: in questa occasione furono radicalmente trasformati gli aspetti medioevali della chiesa, con la demolizione della schola cantorum, la costruzione di un nuovo altare maggiore con un grande baldacchino, la tamponatura di quasi tutte le finestre, l'asportazione dei marmi dell' abside e del soffitto a lacunari.
Nel 1643 fu ulteriormente restaurata da Francesco Borromini e nel 1938 da Antonio Muñoz, su commissione dell'Ordine Domenicano, che riportò la chiesa all'antico aspetto medioevale, eliminando le sovrastrutture barocche. Nel 1874 il Comune di Roma utilizzò l'edificio conventuale come lazzaretto, in occasione di un'epidemia di colera che colpì la città.

 
L'atrio presenta due dei tre antichi ingressi alla chiesa, mentre il terzo venne chiuso nel XIII secolo per consentire la costruzione del campanile. E' scomparso invece pressochè completamente il nartece del V secolo, cancellata dagli interventi successivi ad eccezione dei portali lignei. Uno di questi, inquadrato da una magnifica cornice marmorea, permette di accedere all'interno della chiesa, ma quello degno di menzione è il portale laterale in legno di cipresso del V secolo, coevo quindi alla costruzione della chiesa, unico manufatto di tal genere rimasto a Roma: gli stipiti sono ricavati da cornici di età romana ed i 18 pannelli a rilievo superstiti dei 28 originali raffigurano scene dell'Antico e Nuovo Testamento.

 
Il primo pannello in alto a sinistra raffigura Cristo in croce tra i due ladroni e, visto che risale al V secolo, rappresenta la più antica raffigurazione plastica della Crocifissione. Nel 1836 i pannelli furono restaurati e fu proprio in questa occasione che nel pannello raffigurante il "Passaggio del Mar Rosso" il restauratore modificò il volto del Faraone in procinto di annegare raffigurandovi quello di Napoleone Bonaparte, evidentemente ancora odiatissimo nella città del papa nonostante fosse deceduto da 15 anni.

Napoleone Bonaparte nei panni del Faraone travolto dalle acque
 
Sulla parete tra i due portali lignei è stato recentemente riscoperto un affresco che raffigura al centro la Vergine con il Bambino affiancata dai santi Pietro e Paolo e, alle estremità, dalle sante Sabina e Serafia, che introducono, a sinistra, i due committenti (raffigurati con l'aureola quadrata, quindi ancora vivi al momento della realizzazione dell'affresco) e, a destra, il papa regnante, probabilmente Agatone (678-681).
 
 
Proprio le figure dei donatori, indicati dall'iscrizione come l'arcipresbitero Teodoro e il presbitero Giorgio e identificati con i due legati papali al Concilio di Costantinopoli del 680 (3), hanno permesso di datare l'opera tra la fine del VII e i primi anni dell'VIII secolo.
 
L'interno della chiesa presenta una pianta basilicale a tre navate divise da 24 colonne corinzie scanalate sui cui capitelli poggiano archi: su essi corre un fregio di marmi policromi che compongono un motivo di calici e patene.
 
Particolare del fregio in marmi policromi
 
Le pareti un tempo erano rivestite da tarsie di cui oggi restano scarse tracce, mentre sulle pareti laterali sta un ornato floreale ad affresco del V secolo.
Sulla controfacciata si snoda la grande iscrizione metrica dedicatoria con l'affermazione del primato del papa, vescovo di Roma, che ricorda sia papa Celestino I sia il fondatore Pietro d'Illiria: l'autore dei versi è ritenuto San Paolino da Nola. Ai lati sono situate due grandi figure femminili allegoriche, una rappresentante la Chiesa di Gerusalemme (ecclesia ex circumcisione) con l'Antico Testamento in mano e l'altra la Chiesa Romana (ecclesia ex gentibus) con il Nuovo Testamento. Il tutto realizzato in uno splendido mosaico policromo che veniva completato, in origine, lungo le pareti della navata, dalle figure degli apostoli Pietro e Paolo e dagli Evangelisti.
 
Sull'arco trionfale erano raffigurate Betlemme e la Gerusalemme celeste, più in basso il Cristo con i 12 Apostoli e gli Evangelisti (ricostruiti in epoca moderna con affreschi realizzati da Eugenio Cisterna nel 1919-1920).
Nel catino absidale si vede oggi un affresco realizzato da Taddeo Zuccari nel 1569 (pesantemente ripreso da Vincenzo Camuccini nel 1836 e ancora dal Cisterna nel 1919-1920) che raffigura il Cristo, circondato dagli apostoli e dai santi, assiso su un monte da cui sgorgano i quattro fiumi del Paradiso a cui si abbeverano gli agnelli. E' probabile che l'affresco riprenda il tema iconografico dell'originale mosaico del V secolo.
 
 
Entrando in chiesa, sull'angolo sinistro, c’è una piccola colonnina tortile che sostiene una pietra nera tondeggiante, con grosse incisioni, dei buchi, come di un enorme artiglio.


Secondo la leggenda, San Domenico stava pregando prostrato in terra nel punto dove è oggi posta la colonnina quando il diavolo tentò ripetutamente di indurlo in tentazione. Infuriatosi per la vacuità dei suoi tentativi, afferrò con i suoi artigli incandescenti un pesante blocco di basalto nero (probabilmente un peso di una antica bilancia romana) e glielo scagliò contro con una violenza inaudita quanto inutile. Il blocco cadde sfiorando il santo, il quale non si fece neppure un graffio, nè si distolse dalla sua preghiera.

Al centro della navata centrale è posta la pietra tombale decorata a mosaico di uno dei primi generali dei domenicani, lo spagnolo Muñoz de Zamora (1285-1291), forse opera di Jacopo Turriti.

Note:
 
(1) Vissuta all'epoca di Adriano (117-138), Sabina, moglie del senatore Valentino, una volta rimasta vedova, fu convertita alla fede cristiana dalla propria ancella Serapia di origine antiochena. Accusate di aderire al nuovo culto, le due donne furono uccise a pochi giorni di distanza intorno all'anno 120.

(2) Figlio del duca Alberico I di Spoleto e di Marozia della potente famiglia romana dei Teofilatti, governò de facto Roma dal 932 alla sua morte nel 954. E' noto anche come Alberico di Roma, anche perchè non ereditò dal padre il titolo di duca di Spoleto.
 
(3) Della delegazione inviata da papa Agatone al Concilio di Costantinopoli del 680 faceva parte anche un terzo prelato, il diacono Giovanni, futuro papa Giovanni V (685-686) che però non figura nell'affresco.




 




venerdì 18 agosto 2017

La Basilica di San Saba

La Basilica di San Saba

Facciata absidale

Il monasterodi San Saba sull'Aventino fu probabilmente fondato da un gruppo di monaci provenienti da una lavra della Giudea dedicata allo stesso San Saba. I monaci s'insediarono su un terreno appartenente a Santa Silvia, la madre del pontefice Gegorio Magno (590-604). Inizialmente il monastero fu infatti noto con il nome di Cella Nova in ricordo della Lavra Nova, il famoso monastero gerosolimitano.
Scavi dei primi del '900 hanno riportato alla luce un piccolo oratorio absidato (detto Oratorio di Santa Silvia) che risale a questo periodo e di cui è stato individuato anche l'ingresso preceduto da due colonne e da polifore.
Alla fine del VII secolo o agli inizi dell'VIII il pavimento di questo oratorio (normalmente non aperto al pubblico) venne rialzato di 65 centimetri e sorse la chiesa per le cui pareti furono realizzati gli affreschi – accompagnati da iscrizioni in greco - oggi raccolti nei locali a destra della chiesa attuale (1). Il piano preesistente venne quindi adibito ad area di sepoltura.

In rosso il perimetro dell' Oratorio di Santa Silvia sottostante alla chiesa attuale
 
La datazione della chiesa attuale è controversa. L'ipotesi più accreditata la fa risalire al pontificato di Lucio II (1144-1145) che diede il monastero in uso ai cluniacensi. Venne comunque edificata riutilizzando ampiamente materiali di spoglio provenienti dalla precedente e presenta una pianta basilicale a tre navate - spartite da 14 colonne di spoglio - ciascuna delle quali termina con una abside. Sul lato sinistro della chiesa esiste una sorta di quarta navata che si ritiene essere stata originariamente piuttosto un portico che prolungava la chiesa verso il chiostro. In questo periodo la chiesa venne anche dotata di campanile.
Nel XIII secolo venne infine aggiunto il portale d'ingresso e messi in opera il pavimento e la schola cantorum (parte della quale è oggi incassata nella parete della navata destra) decorata a motivi cosmateschi.

Frammento della schola cantorum

Attraverso un protiro sostenuto da colonne ioniche realizzato nel XIII secolo, si accede alla corte dove si trova la chiesa. Nella lunetta è affrescata un'immagine della Vergine fiancheggiata da San Saba e Sant'Andrea.

 
La primitiva facciata della chiesa è attualmente occultata fin quasi alla sommità da un corpo di fabbrica con portico, a sua volta sovrastato da un loggiato eretto nel 1463. Il portico attuale è scandito da rozzi pilastri in laterizio del sec. XVIII, che sostituiscono le originali quattro colonne di marmo di Numidia e le due colonne centrali di porfido rosso che poggiavano su leoni stilofori, risalenti alla ristrutturazione voluta dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini (il futuro papa Pio III) verso la metà del Quattrocento. Le cinque finestre che danno luce all'ambiente superiore sono posteriori e sostituiscono le due bifore e le due monofore originarie, oggi tamponate. Gli spioventi del timpano della facciata e la parte superiore delle absidi sono decorate da una cornice a denti di sega in cotto.
 
Sulla parete lunga del portico si apre l'ingresso alla chiesa, affiancato dalle arcate di due varchi tamponati. Tutti e tre segnalano il sito delle originarie entrate dell'oratorio del VII sec., benché la porta centrale sia stata rialzata e dotata di una cornice cosmatesca a tessere oro, rosso e blu, in cui corre un'iscrizione del tempo di Innocenzo III: + Ad honorem domini nostri IHV XPI, Anno VII pontificatvs domini Innocentii III pp., hoc opus domino Iohanne abbate iubente factvm est per manvs magistri Iacobi.

 

Le pitture in cattivo stato al di sopra del portale risalgono all'intervento promosso da papa Gregorio XIII in occasione del giubileo del 1575.
Nel portico sono raccolti numerosi reperti archeologici: fra gli arredi scultorei provenienti dall'oratorio altomedioevale si annoverano un Uomo con bastone (forse del sec. VII); un Cavaliere con falco (sec. VIII); un grosso frammento di architrave in marmo bianco ornato da una decorazione scadente forse pertinente alla porta principale dell'oratorio; un pilastro in marmo bianco che doveva probabilmente costituire il tramezzo di una bifora.

Cavaliere con falco, VII sec. c.ca
 
Affreschi:

All'interno della chiesa la parete della cosiddetta quarta navata presenta affreschi riconducibili alla fine del XIII secolo. Al centro della parete è raffigurato un ben noto episodio della vita di San Nicola di Mira. Venuto a sapere che il padre di tre fanciulle se la passava male e che, disperando di poter provvedere ad una dote per condurle al matrimonio, aveva cominciato ad insinuare in loro l'idea di prostituirsi pr raccogliere il denaro necessario, Nicola, di famiglia benestante, decise di compiere un atto di carità nei loro confronti. Desiderando però che il suo gesto rimanesse anonimo, si avvicinò nottetempo ad una finestra della loro casa e gettò dentro tre palle d'oro (tre sacchetti colmi di monete).
 

San Nicola e le tre fanciulle nubili
 
Un'altro affresco raffigura una Madonna con Bambino fiancheggiata da S.Saba, con in una mano il pastorale e nell'altra il libro della regola monastica, e da S.Andrea.

 
Un terzo affresco mostra S.Gregorio Magno in trono tra due santi (uno forse è S.Benedetto).
Si attribuiscono a un pittore vicino a Jacopo Torriti (ma non manca chi vi ha voluto riconoscere la mano del Torriti stesso), detto il Maestro di S. Saba.
L'abside - piuttosto alta e stretta - ebbe probabilmente in origine una decorazione a mosaico, della quale gli affreschi del 1575 ricalcano forse il soggetto. Subito sotto, sopra la cattedra epicopale, si trova un grande Crocifissione fra la Vergine e S. Giovanni dipinta nel sec. XIV (ma poi molto ritoccata nei secoli successivi).


Abside
 
Nei locali a destra della chiesa sono stati raccolti i frammenti di affresco recuperati dalla decorazione parietale dell'oratorio altomediovale.
Il frammento più grande raffigura la scena della Guarigione del paralitico che viene calato nella casa dinanzi a Gesù, dopo che ne è stato scoperchiato il tetto. Faceva probabilmente parte di un più esteso ciclo cristologico che occupava la parete destra dell'oratorio. Viene fatto risalire agli anni del pontificato di Gregorio III (731-741). L’iscrizione greca recita: “Qui il Signore guarì il paralitico”, “evtha o K(urio)s iasato ton [para]lut[ikon]”.


 
A destra di questo è collocato un frammento più piccolo che conserva i nomi degli apostoli Giovanni e Giacomo.
C'è poi un frammento molto bello che raggruppa sette teste di monaci. E' di un'epoca successiva – metà del IX secolo circa – ed apparteneva forse ad un ciclo che narrava la vita di San Saba. Nel tardo X secolo il monastero venne comunque officiato da monaci benedettini e vi furono affrescate scene inerenti alla vita di san Benedetto, alcuni dei frammenti recuperati, tra cui quello appena citato, potrebbero quindi appartenere ad un ambito già latino.

 
 
Nel 646, fuggendo dalla Tunisia travolta dall'invasione araba, si stabilì nel monastero di San Saba, in compagnia di alcuni discepoli, il teologo bizantino Massimo il confessore - fiero oppositore del monotelismo per cui propendeva invece la corte imperiale – e vi rimase fino al 653, quando fu arrestato e condotto a Costantinopoli insieme a papa Martino I.
Nel 768 vi fu imprigionato l'antipapa Costantino (768) prima di essere accecato.
 
 
Note:

(1) Le murature della chiesa precedente vennero riutilizzate ed innalzate nell’erezione della chiesa attuale e pertanto, in alcune zone, è stato poi possibile recuperare resti degli affreschi.



 

lunedì 20 marzo 2017

Il Triclinium leoninum

Il Triclinium leoninum


A partire dal IV secolo e fino al 1309 (quando papa Clemente V trasferì la sede ufficiale del Papato ad Avignone, dove rimase fino al 1376) i papi risiedettero nel Patriarchio, il palazzo patriarcale che era addossato al fianco meridionale della basilica lateranense.
Da un primo nucleo costituito da una domus patrizia, la residenza papale fu progressivamente estesa ed arricchita dagli interventi promossi da diversi pontefici.
Papa Leone III (795-816), in particolare, vi fece costruire due triclini celebrati nelle fonti per la loro ricchezza e magnificenza. Il primo era il cosiddetto Triclinio accubitario - che in epoca successiva prenderà il nome di Sala del Concilio – ed era costituito da una enorme sala rettangolare (m 68 x 15,37), con cinque nicchie su ognuno dei lati lunghi e un nicchione sul lato di fondo (1). Nelle nicchie erano collocati letti semicircolari (accubita, donde il nome originario del triclinio) perché all'epoca nei pranzi ufficiali si mangiava ancora sdraiati secondo l'uso romano.
Aveva una copertura lignea a capriate e un apparato decorativo sfarzoso: pavimento in marmi policromi, al centro una fontana con una conca di porfido, affreschi nelle dieci nicchie laterali e mosaici su quella di fondo.
L'altro, definito Triclinium maiorem, era di forma rettangolare, con un'esedra sul lato di fondo e altre due che si aprivano al centro dei lati lunghi. Era anch'esso decorato in maniera sfarzosa: pareti e pavimento rivestiti di marmo, colonne di porfido, le esedre laterali ornate da affreschi e quella centrale a mosaico.

Cesare Rasponi, Pianta del complesso lateranense, 1657
(1.Basilica di San Giovanni; 2.Triclinio accubitario; 3.Triclinium maiorem)

Nel 1585, quando l'architetto Domenico Fontana su incarico di papa Sisto V demolì l'antico palazzo papale per cotruire il nuovo Palazzo Apostolico attualmente visibile, l'esedra centrale del triclinio con il suo mosaico venne risparmiata. Era ancora in piedi agli inizi del XVII secolo, quando il cardinale Francesco Barberini la fece restaurare. Agli inizi del XVIII secolo, quando si tentò di spostarla per darle un'altra collocazione, andò in mille pezzi, così nel 1743 papa Benedetto XIV (1740-1758) - il cui stemma campeggia al centro del frontone - commissionò all'architetto Ferdinando Fuga la realizzazione della “copia” dell'esedra attualmente visibile che ospita nel catino e nell'arco trionfale solo pochi frammenti del mosaico originale (2), ampiamente integrati da interventi di restauro successivi (è quasi tutto frutto del rifacimento settecentesco) che comunque mantennero lo schema iconografico dell'originale.


Al centro del catino è posto il Cristo benedicente circondato dagli Apostoli, con in mano il Vangelo aperto su cui è scritto pax vobis.


Nell’estradosso dell’arcone, a sinistra, si trova Cristo in trono che dona le chiavi a papa Silvestro e il labaro, insegna del potere imperiale, a Costantino;


a destra, invece, San Pietro in trono porge il pallio a Leone III e il vessillo a Carlo Magno.
Molto probabilmente il mosaico originale venne realizzato in occasione dell'incoronazione ad imperatore di Carlo Magno ad opera di papa Leone III il 25 dicembre dell'800.

Note:

(1) Secondo alcuni storici, questo triclinio era stato realizzato per volere del papa su modello di quello detto dei diciannove letti che si trovava nel palazzo imperiale di Dafne a Costantinopoli.

(2) Parte del mosaico originale è attualmente conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana.








lunedì 31 ottobre 2016

La Biblioteca di Agapito al Celio, Roma

La Biblioteca di Agapito al Celio, Roma

Lato sud est
 
Lato nord est
 
Scendendo lungo il Clivus Scauri – l'antica strada romana che dal Celio digrada verso la chiesa di san Gregorio Magno - superati gli archi di sostegno che scavalcano la strada, sulla sinistra sono visibili i resti di una grande aula absidata (16x22m c.ca) in cui si è voluta riconoscere la biblioteca del centro di studi fondato da papa Agapito (535-536) con la collaborazione di Cassiodoro,

Interno

conosciuta attraverso uno scritto dello stesso Cassiodoro (1) e da un'incisione dedicatoria copiata dal cosiddetto Anonimo di Einsiedeln, un ignoto pellegrino dell’VIII secolo che ha lasciato un elenco dei monumenti romani ancora esistenti ai suoi tempi.

 
L'impianto dell'aula sembra però risalire ad un'epoca precedente (IV sec.) e la sua conformazione originaria si adatta meglio a quella di un ambiente di rappresentanza di una domus aristocratica tardoantica (forse appartenuta agli Anicii) che non a quello di una biblioteca, anche se nulla vieta che papa Agapito possa aver risistemato a questo fine un edificio preesistente.
 
Ipotesi ricostruttiva della domus aristocratica (da C. Pavolini, La metamorfosi di un'insula)
 
Nel corso del tempo l'aula ha subito numerosi rimaneggiamenti e variazioni d'uso (l'utilizzo come sepolcreto in epoca altomedioevale è attestato dal rinvenimento al suo interno di sei tombe).

Una delle sepolture rinvenute nella canaletta di scolo che scorre alla base dell'abside.
 
L'ingresso attuale lungo il Clivus Scauri è costituito da un portale seicentesco (1607-1608) commissionato all'architetto Flaminio Ponzio dal cardinale Scipione Borghese.
 
 
Nell'affresco che decora la sommità del portale – e che raffigura San Gregorio nell'atto di scrivere sotto dettatura dello Spirito Santo – c'è forse una reminiscenza dell'antica destinazione dei ruderi a cui introduce.
 
 
Note
 
(1) Cassiodoro, Institutiones divinarum et saecularium litterarum, I, 1.


mercoledì 23 marzo 2016

L'icona della Vergine Hodighitria in Santa Maria Nova a Roma

L'icona della Vergine Hodighitria in Santa Maria Nova a Roma

L'icona bizantina

Nell'850, tre anni dopo il seppellimento della chiesa di Santa Maria Antiqua sotto le macerie del palazzo di Domiziano crollato a seguito di un terremoto, papa Leone IV fece costruire per rimpiazzarla, tra le rovine del tempio di Venere e nel punto dove secondo la leggenda Simon Mago avrebbe sfidato San Pietro, la chiesa detta di Santa Maria Nova (oggi dedicata a Santa Francesca Romana) e vi fece traslare l'icona della Theotokos che precedentemente era custodita nella chiesa sepolta dalle macerie.
Alta 132 cm. e larga 97, l’icona è realizzata con due brani di pittura a encausto su tela incollata su tavola. Sulla superficie del supporto ligneo convivono infatti l’uno accanto all’altro brani pittorici diversi. Il busto della Vergine e il corpo del Bambino sono dipinti a tempera e la loro esecuzione è moderna, probabilmente degli inizi del Cinquecento. Diversamente il volto e il collo della Theotokos, come pure quel che resta del volto del Bambino, sono brani assai più antichi e sono dipinti a encausto (1). I busti cinquecenteschi furono dipinti per altri visi di epoca medioevale, sovrapposti a quelli visibili oggi. Nel 1950 Pico Cellini si accorse che sotto la prima si trovava un'immagine più antica e procedette al distacco delle due tele. I brani così recuperati risultano essere ritagliati da un’opera perduta e incollati al supporto attuale. Presentano, specie nel volto del Bambino, segni evidenti di bruciature, da addebitare forse agli effetti di un incendio. Definiscono il tipo della Theotokos Hodighitria (Maria tiene il Bambino con il braccio destro e lo indica con la sinistra) e si ritiene probabile che risalgano alla seconda metà del VI secolo, quando l'icona fu dipinta in concomitanza con la trasformazione in chiesa (S.Maria Antiqua) dell’edificio che ospitava il corpo di guardia ai piedi del Palazzo di Domiziano, avvenuta sotto Giustino II (565-578) - l'ellenismo della sua fattura, nonchè la monumentalità, fanno propendere in ogni caso per una datazione alta - si tratterebbe quindi della più antica immagine su tavola della Vergine rinvenuta a Roma.
Una volta disgiunte, le due opere hanno preso strade diverse. L’icona bizantina venne sistemata nella sagrestia della basilica, quella medievale fu ricollocata sull’altare.

L'icona medievale fino al 1950 sovrapposta a quella bizantina

In occasione della riapertura al pubblico della chiesa di Santa Maria Antiqua (marzo 2016), l'icona bizantina è stata riportata in processione solenne alla sua antica collocazione.

Note:

(1) La stessa tecnica impiegata nella maggior parte dei cosiddetti Ritratti di Fayyum, un corpo di circa 600 ritratti funebri realizzati nell'Egitto romanizzato tra il I sec. aC ed il III secolo. Nella pittura a encausto i pigmenti vengono mescolati a cera punica (che ha funzione di legante), mantenuti liquidi dentro un braciere e stesi sul supporto con un pennello o una spatola e poi fissati a caldo. In questo modo si rendono i colori molto più vividi, creando un forte effetto impressionistico.


domenica 20 marzo 2016

L'oratorio dei Quaranta martiri al Foro, Roma

L'oratorio dei Quaranta martiri al Foro, Roma


L'aula rappresentava l'ingresso dal Foro al palazzo imperiale fatto edificare da Domiziano (81-96) sul Palatino. Comunicava con la rampa coperta che conduceva al palazzo per mezzo di due varchi oggi murati. La copertura è stata recentemente ricostruita in base agli indizi forniti dalle murature superstiti ed allo studio della geometria dell'edificio che ha fornito anche le indicazioni per la ricostruzione del portale d'ingresso.
 
 
Nell'ambito del processo di cristianizzazione degli edifici del Foro avviato nel VI secolo dalla riconquista bizantina, l'edificio venne trasformato in ortorio e dedicato ai Quaranta Martiri di Sebaste (vedi scheda), aprendo l'abside nella parete orientale.


La decorazione parietale è riferibile all'VIII secolo.
Il grande affresco dell' abside rappresenta i quaranta martiri immersi nello stagno gelato: a destra si vede l' apostata Melezio nel tepidario, accanto, il guardiano armato.

Affresco absidale

Sulla parete sinistra e sulla parte attigua della parete di fondo erano rappresentatit i quaranta martiri nella gloria.
Parete nord

Queste figure sono assai danneggiate; ben conservata è invece la parte inferiore della parete contigua all' abside: vi sono due grandi croci latine con medaglioni nel centro (testa di Cristo e della Vergine), e con corone ed altri ornamenti pendenti dai bracci. Croci simili di metallo ornate di oro e di gioielli erano sospese in molte basiliche antiche sopra i sepolcri dei martiri, e spesso servivano da lampadari. Sotto le croci stanno due agnelli ed un pavone, composizione simile alle pitture che si vedono nelle catacombe.

 
Gli affreschi della parete destra (forse rappresentanti la storia di S. Antonio Eremita) sono quasi svaniti. Il pavimento dell' oratorio è composto in maniera molto rozza con frammenti di marmi bianchi e colorati, di porfido e di serpentino.