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lunedì 23 gennaio 2012

La Villa dei Gordiani

LA VILLA DEI GORDIANI

L'esistenza di una villa sulla via Prenestina appartenente a Gordiano III (225-244 d.C) che la restaurò ed arricchì è nota dalla Historia Augusta che la descrive dotata di un peristilio di 200 colonne di cui non si è mai trovato traccia.

Il Mausoleo dei Gordiani
Anche noto come la Tor dé Schiavi (il termine deriva dal nome dei proprietari del tardo XVI secolo, nel 1571 Vincenzo Rossi dello Schiavo acquistò infatti questi terreni).
 
Presenta una pianta circolare in opera laterizia con un portico a colonnato con gradinata oggi scomparso; il Mausoleo sepolcrale doveva assomigliare in piccolo al Pantheon.

È realizzato su due piani:
il piano seminterrato, utilizzato come camera mortuaria, presenta una sorta di largo corridoio circolare con volta a botte che corre lungo tutto il perimetro del monumento; al centro la volta poggia sopra un robusto pilastro centrale. Lungo la parete sono le nicchie dove venivano posti i sarcofagi; l’ambiente prende aria da feritoie verticali poste appena sopra il livello del terreno; sotto il portico e la gradinata oggi crollati si trovavano altri ambienti.
Gli enormi massi di calcestruzzo che si trovano dinanzi al monumento potrebbero essere i resti della base del portico o forse appartenevano ad altre strutture della villa successivamente spostati lì.


Il piano superiore è rialzato e coperto da una volta a cupola e presenta anch’esso delle nicchie lungo la parete circolare; si contano 7 nicchie con soffitto a cupola, di cui le ultime due, dislocate verso l’apertura del monumento, sono rimaste interessate dal crollo della facciata; in particolare sul lato destro del monumento si osserva la sezione della cupola di una di queste; le pareti erano tutte adornate di affreschi quasi completamente scomparsi; per l’illuminazione naturale esistevano quattro occhi circolari alla base della cupola; il luogo era utilizzato in occasione delle cerimonie.
il Mausoleo risale al periodo dioclezianeo (IV secolo d.C.) come documentato dai bolli imperiali impressi sui mattoni della costruzione; a questo periodo del resto risalgono tutti i complessi monumentali del genere a Roma: il mausoleo di Sant'Elena sulla Casilina, quello di Santa Costanza sulla Nomentana e quello di Romolo nella villa di Massenzio sull’Appia Antica.
L’intera area appartenne probabilmente all’imperatore Costantino, che possedeva gran parte dei terreni fuori Porta Maggiore; i nuovi edifici di culto cristiani (Basiliche e Mausolei) venivano edificati in luoghi privati aperti al pubblico, quali i terreni dell’Imperatore, per non suscitare le ire degli adepti della ancora predominante fede pagana.
A ridosso del lato est del Mausoleo si notano i resti del colonnato di una basilica paleocristiana costantiniana risalente allo stesso periodo del Mausoleo.

La basilica venne scavata e definita nella sua forma nel 1959- 960: presenta una pianta circense a tre navate con la navata centrale molto più ampia, lunga oltre 60 metri e orientata grosso modo verso est ed utilizzata anch’essa per le sepolture; scavi eseguiti nel 1984 hanno portato alla luce resti di sepolture all’interno ed all’esterno del colonnato risalenti ad epoca medioevale.
Nel sottosuolo nel 1953 è stata trovata una piccola catacomba su due livelli, non è chiaro se di natura cristiana o pagana, il cui accesso rimane visibile da via Rovigno d’Istria; la via infatti costeggia il parco e taglia la collina rimanendo più in basso del parco di almeno 6 metri.
In corrispondenza della basilica nel costone di cappellaccio che fiancheggia la strada si scorgono a mezza altezza due grotte che sono parte di questa catacomba; le sbarre del muro di confine della villa ed altre inferriate lateralmente proteggono il sito dai curiosi ed una porta di ferro che si apre nel muro consente l’accesso al sito.
Normalmente accadeva che là dove veniva sepolto un martire cristiano, si sviluppavano in seguito una necropoli ed una Basilica. Il potente devoto del martire si faceva quindi costruire il suo Mausoleo funebre accanto alla Basilica, così come accadde per il vicino Mausoleo di Sant’Elena.
Non è però chiaro quale sia stato il martire qui seppellito, chi sia stato sepolto nel Mausoleo né tanto meno il carattere cristiano della catacomba.
Sono state avanzate varie ipotesi: che il Mausoleo fosse stato edificato per Costantino stesso, che però morì a Costantinopoli, oppure che fosse destinato a qualche membro della famiglia imperiale costantiniana o anche che sia stata soltanto una bizzarria di qualche nobile romano che volle ricostruire la stessa situazione del vicino mausoleo di Sant’Elena.

L'Aula ottagonale
Un altro rudere di notevole impatto visivo è la cosiddetta "Aula Ottagonale", della quale restano 3 lati e poco più.
 
All’interno della sala esistevano dei nicchioni ricavati nelle mura dell’edificio, alternativamente a pianta quadrata e tonda, alcuni aperti per mettere in comunicazione la sala con gli altri ambienti, altri chiusi e in cui erano disposte delle statue. Da ottagonale, superiormente il perimetro delle mura diveniva circolare per consentire l’innesto di una cupola a tutto sesto: l’ambiente prendeva luce ed aria da otto occhi circolari posti sopra le nicchie.
Non è chiaro quale fosse l’utilizzo della struttura originaria; forse una sala termale o forse un ninfeo, ma sono solo ipotesi.

In epoca medioevale la costruzione venne riutilizzata come base per una torre di avvistamento; si nota il diverso materiale usato nella parte superiore del rudere e le nicchie scavate nel muro usate come base per sorreggere il primo piano della torre; a quell’epoca risale anche il largo pilastro ancora in parte visibile posto al centro della sala utilizzato evidentemente come rinforzo per la torre stessa.
L’Aula Ottagonale era circondata da alcuni ambienti con pavimenti a mosaico, di uno dei quali resta un’abside con la volta a conchiglia (Ninfeo)

resti di decorazione a stucco in uno dei nicchioni

Ninfeo
Si apriva verso est con un porticato ricurvo a 2 colonne. Sul lato ovest presentava invece una nicchia centrale rettangolare fiancheggiata da 2 nicchie semicircolari. Il paramento è esternamente in opus mixtum e in laterizio all'interno. Si conserva parte della cupola a conchiglia con resti di stucco sagomato e costolature triangolari.

Cisterna
All'estremità ovest della villa si trova una cisterna a due piani e a doppia navata. A questa si affiancava un'altra cisterna a navata unica.
Presenta una grandiosa sostruzione in opus mixtum sostenuta da contrafforti realizzata per compensare il dislivello del terreno.

Internamente un grosso muro di spina, con due aperture, separava le due navate voltate a botte.
Il piano superiore rappresentava la cisterna vera e propria, di forma quadrata con volte a doppia crociera e pavimento e muri rivestiti di cocciopesto. Le nicchie semicircolari che adornano le pareti sono in opus mixtum con laterizi tagliati a curva.
Questa prima cisterna può essere fatta risalire al II sec. mentre quella che le fu addossata lungo la parete nord, di forma rettangolare, risale al III secolo. 




domenica 8 gennaio 2012

Santa Teodora di Arta

Santa Teodora di Arta

Teodora Petraliphaina (1210-1281) discendeva da Pietro di Alife, uno dei partecipanti alla prima crociata, da cui ebbe origine la famiglia Petralife; suo padre era Giovanni Petralife, governatore di Tessaglia e Macedonia, mentre la madre, Elena, proveniva da una famiglia aristocratica di Costantinopoli.
Nata nel 1210 a Servia nel Kozani (Macedonia), subito dopo la morte del padre fu presa sotto la protezione del despota di Epiro Teodoro I, rimanendo sotto la sua custodia dal 1224 fino al 1230.
Nel 1230, subito dopo la sua sconfitta da parte dei Bulgari, Teodoro lasciò il trono al nipote Michele II, figlio di Michele I, il fondatore del despotato d'Epiro, che divenne suo sposo.
Teodora tuttavia era molto religiosa, mentre Michele era attratto dai piaceri carnali. Secondo la sua biografia, scritta da un monaco nel XVII secolo, il marito prese come amante Gaggrini, una donna appartenente alla buona società di Arta e la condusse a palazzo, facendola sedere sul trono. Ebbero due figli e Teodora si ritirò sulle montagne di Tzoumerka insieme al figlioletto Niceforo – futuro despota d'Epiro - dove per quasi cinque anni sopravvisse cibandosi solo di cavoli, senza mai perdere la fede in Dio. Infine, un sacerdote di Prenista la prese con sé e le offrì un rifugio.
La popolazione di Arta, indignata per la vita viziosa del despota Michele, chiese il suo ritorno a palazzo come legittima regina e il despota fu costretto a riprendere la moglie a palazzo, mentre Gaggrini fu costretta a lasciare la corte.
Teodora continuò la sua attività di benefattrice ed ebbe altri quattro figli, Giovanni, Demetrio, Elena ed Anna.
Michele, in segno di pentimento fondò il monastero di Panagia Kato, di proprietà di Teodora ed ampliò il monastero di Panagia Vlahernon e il monastero di Aghios Georgios.
Dopo la morte di Michele nel 1270 si ritirò nel monastero di Aghios Georgios, dove trascorse gli ultimi dieci anni della sua vita fino alla sua morte nel 1280 o 1281.
E' sepolta nel katholikon del monastero che venne successivamente a lei dedicato quando fu proclamata santa per la sua devozione a Dio e la sua attività filantropica.

 

Lastra marmorea del sarcofago di santa Teodora, nella chiesa omonima ad Arta. Al centro la santa insieme al figlio Niceforo.
 




venerdì 6 gennaio 2012

Piazza del Popolo

Piazza del popolo


Palazzo comunale

Acquista la sua conformazione attuale solo nel XV secolo, quando la città è sotto il dominio della Serenissima. Nel 1483 furone erette le due colonne davanti al palazzo del Comune, al culmine delle quali sono poste le statue di Sant'Apollinare e di San Vitale, i patroni di Ravenna. Quella di S.Vitale vi è stata posta solo nel 1644 in sostituzione del leone marciano. Entrambe poggiano su basamenti circolari ornati di motivi floreali e segni zodiacali.

 
 
Palazzo comunale: risale al XV sec. ma è stato ripetutamente restaurato. L'ornato delle finestre e la merlatura risalgono all'ultimo restauro (1857) mentre il voltone che collega il palazzo alla restrostante piazza XX Settembre risale al XV secolo.

Palazzetto veneziano

Palazzetto veneziano: collegato al palazzo comunale da un cavalcavia, deve il suo aspetto attuale ad un restauro novecentesco. Ultimato dai veneziani nel 1444, conserva del suo aspetto originario la loggia sostenuta da otto colonne di granito con capitelli del VI secolo (4 dei quali presentano il monogramma di Teodorico) ed un balconcino al secondo piano.

Palazzo della Prefettura

Palazzo della Prefettura: contiguo al palazzetto veneziano. Fu edificato nel XVIII secolo, quando Ravenna passò sotto il controllo dello Stato pontificio. Fu sede del vescovo e successivamente del cardinale legato, nell'ambito di un complesso che includeva anche l'edificio retrostante (attuale sede delle Poste) con le carceri e gli alloggi per i funzionari e le guardie svizzere.


Statua di papa Clemente XII (1730-1740): opera di Pietro Bracci, originariamente posta al centro della piazza, è attualmente dislocata al centro del chiostro che precede la basilica di S.Vitale

domenica 1 gennaio 2012

Domus dei tappeti di pietra (palazzetto teodoriciano-bizantino)

Palazzetto teodoriciano-bizantino

Nel 1993, nel corso dei lavori per la realizzazione di un garage al n.47 di via d'Azeglio è stato scoperto un sito che presentava numerose sovrapposizioni stratigrafiche conseguenti al progressivo abbassamento del suolo ravennate.
Il restauro ha privilegiato lo strato di epoca teodoriciana-bizantina (V-VI sec.) in cui sul sito si ergeva un palazzetto in cui sono stati individuati 14 ambienti coperti e due cortili e tre differenti fasi edificatorie:
  1. Fine V - inizio VI sec.
  2. metà VI sec.
  3. Fine VI-sec.
Durante la prima fase, l'atrio dell'edificio (2) ha interrotto la strada romana che originariamente separava due isolati distinti. L'atrio congiungeva due settori del palazzo, quello settentrionale, probabilmente adibito a funzioni pubbliche e quello meridionale, adibito ad uso privato.

Nel contesto degli scavi sono stati ritrovati due emblemata, l'uno al centro del pavimento della stanza 10 e l'altro in corrispondenza della stanza 12 ma ad un livello inferiore, coevo ad un edificio di grandi dimensioni e databile alla fine del IV sec.

 
Danza dei geni delle Stagioni: appartiene alla seconda fase costruttiva, in un'area in precedenza aperta trasformata in un nuovo ambiente di rappresentanza di vaste dimensioni.
In primo piano e di spalle è raffigurato l'Autunno, con una tunica corta ed una corona sul capo, a sinistra la Primavera, con una corona di rose e foglie verdi, a destra l'Estate (molto daneggiata), in posizione frontale l'Inverno, l'unico coperto da un mantello ed il capo cinto da una composizione di canne. Sullo sfondo un musico suona una syringa, molto probabilmente è una personificazione del Tempo al cui ritmo danzano le Stagioni.
Il girotondo – anziché la disposizione in fila che si ritrova in soggetti precedenti e coevi – sembra derivare da una precisa indicazione del committente riflettendo una concezione circolare (senza inizio né fine) del Tempo piuttosto che quella lineare del Cristianesimo. Del pari le figure si esibiscono in una danza animata e tridimensionale e non mostrano i caratteri di astrazione e staticità dei coevi mosaici bizantini ravennati.


Il Buon Pastore: l'identificazione di questo soggetto con il tema religioso del Buon Pastore è tutt'altro che certa. Mancano infatti l'aureola e la pecora sulle spalle. Si è ipotizzato che i due uccelli azzurri ai lati della testa – realizzati in pasta vitrea e non in marmo – fungano essi da aureola o comunque da cornice onorifica difficilmente attribuibile ad un normale pastore (potrebbe trattarsi di Orfeo, per la presenza della syringa appesa ad un albero)