Cappella di S.Maria Formosa
E' l'unica cappella superstite della basilica benedettina di S. Maria Formosa (maestosamente bella in virtù dei ricchi marmi, stucchi e mosaici che l'adornavano) o del Canneto, detta del Canè dai Veneziani e del Canedolo dai Polesi.
Eretta nel 547 per volere di Massimiano, istriano di Vestre, allora arcivescovo di Ravenna, divenne il più significativo simbolo di un grande possedimento terriero polese della Chiesa ravennate, rimasto iscritto nel territorio diocesano della città come feudo di S. Apollinare fino al XII secolo.
Era a triplice navata e sorgeva probabilmente sul sito di un più antico tempio dedicato a Minerva.
Era a triplice navata e sorgeva probabilmente sul sito di un più antico tempio dedicato a Minerva.
Esternamente, a fianco dell'abside centrale ed addossate ai pastoforia si trovavano, indipendenti, due cappelle ( o martyria) a pianta cruciforme e sormontate da cupola centrale: una dedicata a S. Andrea ed una alla Madonna del Carmelo.
la chiesa era dotata di absidi poligonali all'esterno e di portali con aperture a «fungo». Il ritmo delle colonne e degli archi dell'interno veniva ripreso sulle mura perimetrali esterne in una cadenza di finestre e lesene terminanti in archi ciechi, il cui gioco di ombre conferiva vivacità alle facciate e misticismo all'ambiente interno grazie ai contrasti di luce.
Secondo la tradizione la basilica fu danneggiata nel 1242 dalle ciurme venete del Tiepolo e del Querini.
La tradizione vuole anche che, dopo il sacco della città, il doge Giacomo Tiepolo abbia portato a Venezia, quale preda di guerra, le quattro colonne diafane di alabastro orientale che sostengono attualmente il ciborio dell'altare maggiore della basilica di S. Marco.
Altre colonne furono usate nella chiesa della Madonna della Salute e nel Palazzo Ducale di Venezia.
Alla fine del XVI secolo la basilica era in gran parte demolita e nel 1550 Venezia inviò a Pola Jacopo Sansovino per restaurare la chiesa già spogliata delle sue bellezze ed ormai caduta in rovina. Lo stato rovinoso in cui si trovava la basilica sconsigliò il restauro e pertanto venne del tutto abbandonata, tranne la cappella che si vede ancora oggi.
Il frammento di
forma irregolare presenta uno sfondo aureo, costellato di nuvolette
di colore azzurro e rosa, sul quale si stagliano le teste di Gesù
Cristo e di San Pietro. Cristo, sulla destra, è raffigurato imberbe e con nimbo
crucigeno; si conserva anche una piccola parte del busto. Pietro,
sulla sinistra, è raffigurato secondo l'iconografia tradizionale con
barba e capelli bianchi; oltre alla testa si conserva anche buona
parte del busto, avvolto in un pallio chiaro. Si tratta di una
rappresentazione della Traditio Legis, in cui Cristo è colto
nell'atto di consegnare i codici della Legge all'apostolo Pietro. Databile al
546-557 c.ca (BOVINI,
G. Le
antichità cristiane della fascia costiera istriana da Parenzo a
Pola,
1974)
Il Gnirs, nei primi anni di questo secolo, esplorò i resti del pavimento musivo che consiste in strisce colme di nastri, tamari e trecce. Le strisce si intrecciano in un ordito di cerchi; gli spazi vuoti sono riempiti con pesci, rosette e rami con viticci. I mosaici sono prevalentemente di colore nero e verde.
Le due nicchie superstiti della protesis
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