Lato interno
Il nome originario della porta
era Appia perché da lì passava la via Appia, la regina
viarum che cominciava poco più indietro, dalla Porta Capena
delle mura serviane, e lo conservò a lungo.
Nel medioevo sembra
fosse chiamata anche “Accia” (o “Dazza” o “Datia”), la
cui etimologia, alquanto incerta, sembra però legata al fatto che lì
vicino scorresse il fiume Almone, chiamato anche “acqua accia”.
Un documento del
1434 la menziona come Porta Domine quo vadis.
Solo dopo la metà
del XV secolo è finalmente attestato il nome con cui è conosciuta
ancora oggi, legato alla vicinanza alla basilica e alle catacombe di
San Sebastiano.
La struttura
originaria d’epoca aureliana, edificata quindi verso il 275,
prevedeva un’apertura con due fornici sormontati da finestre ad
arco, compreso tra due torri semicilindriche. La copertura della
facciata era in travertino.
In seguito ad un
successivo restauro le due torri furono ampliate, rialzate e
collegate, secondo l'ipotesi avanzata da Richmond, con due muri paralleli (di cui non è rimasto nulla), al
preesistente arco di Druso, distante pochi metri verso l’interno,
in modo da formare un cortile interno in cui l’arco aveva la
funzione di controporta.
Saggi di scavo
intrapresi nel 1931 hanno però riportato alla luce un muro ad arco
di cerchio pertinente ad uno dei bracci della controporta che
sembrano far escludere che l'arco sia mai stato inglobato nel
dispositivo difensivo.
In occasione del
rifacimento operato nel 403 dall’imperatore Onorio la porta fu
ridisegnata con un solo fornice, con un attico rialzato nel quale si
aprono due file di cinque finestre ad arco e venne fornita di un
camminamento di ronda scoperto e merlato. La base delle due torri fu
inglobata in due basamenti a pianta quadrata, rivestiti di marmo.
La mancanza della solita lapide commemorativa dei lavori fa dubitare qualche studioso che l’intervento possa essere opera di Onorio, che invece ha lasciato epigrafi laudative su ogni altro intervento effettuato sulle mura o sulle porte.
La mancanza della solita lapide commemorativa dei lavori fa dubitare qualche studioso che l’intervento possa essere opera di Onorio, che invece ha lasciato epigrafi laudative su ogni altro intervento effettuato sulle mura o sulle porte.
Un
successivo rifacimento -
forse nel corso
delle opere di consolidamento delle mura intraprese da Belisario nel
536 - le conferì l’aspetto attuale, in cui tutta
la struttura, torri comprese, venne rialzata di un piano.
Arco di Druso:
sarebbe in realtà soltanto un fornice con cui l'Acquedotto Antoniniano (1) scavalca la via Appia proprio di fronte alla Porta San Sebastiano.
In
quanto parte dell'acquedotto, l'arco cosiddetto di Druso non sarebbe pertanto un
arco di trionfo, sebbene per secoli sia stato creduto tale, ed
erroneamente identificato con un arco che secondo alcune fonti (Svetonio e Dione)
sarebbe stato eretto sull'Appia antica in onore del generale Druso Maggiore (o Germanico), padre dell'imperatore Claudio (41-54) e morto in battaglia nel
9 a.C.
Per la sua
collocazione all'ingresso della regina viarum l'arco sarebbe poi
stato successivamente abbellito e decorato. Quel che ne rimane oggi sono due
colonne poste su un alto plinto che inquadrano la facciata rivolta
verso l'esterno della città, e parte del timpano triangolare che
orna l'attico entro cui passava lo speco dell'acquedotto.
L'Arco di Druso
Secondo un'ipotesi recentemente avanzata dall'archeologa Valeria Di Cola - che riconsidera la possibilità che possa invece trattarsi proprio dell'arco originariamente eretto in onore di Druso Maggiore e citato da Svetonio e Dione - l'arco, così come oggi lo vediamo, sarebbe la sintesi di tre edifici costruiti in epoche diverse.
Un arco marmoreo di epoca giulio-claudia eretto in onore del generale Druso Maggiore, successivamente riutilizzato come fornice dell'Acquedotto Antoniniano (212-213) e infine ri-monumentalizzato come fronte interno della controporta (XVI sec). A riprova di ciò, oltre a considerazioni inerenti le tecniche edilizie rilevate, il fatto che il canale dell'acquedotto taglierebbe inequivocabilmente l'attico dell'arco dimostrando la sua preesistenza rispetto alla costruzione dell'acquedotto stesso.
fotografia di Thomas Ashby, 1892
In questa fotografia del versante dell'arco prospiciente la città, scattata da T.Ashby nel 1892, si nota addossata all'arco una casupola che probabilmente ospitava il corpo di guardia della dogana che ebbe sede presso questa porta dal 1870 al 1902.
La porta Appia
era dotata di una doppia chiusura, una realizzata da due battenti in
legno e l'altra da una saracinesca che scendeva, entro scanalature
tuttora visibili, dalla sovrastante camera di manovra, in cui ancora
esistono le mensole in travertino che la sostenevano. Alcune tacche
sugli stipiti possono indurre a ritenere che si usassero anche dei
travi a rinforzo delle chiusure.
Data l’importanza
della via Appia che da qui usciva dalla città, soprattutto in epoca
romana tutta l’area era interessata da grossi movimenti di traffico
cittadino. Nelle vicinanze della porta sembra esistesse un‘area
destinata al parcheggio dei mezzi di trasporto privati di coloro
(ovviamente personaggi di un certo rango che potevano permetterselo)
che da qui entravano in Roma. Si trattava di quello che oggi si
definirebbe un “parcheggio di scambio”, visto che il traffico in
città non era consentito, in genere, ai mezzi privati. A questa
regola sembra non dovessero sfuggire neanche i membri della casa
imperiale, i cui mezzi privati venivano parcheggiati in un’area
riservata (chiamata mutatorium Caesaris) poco distante, verso
l’inizio della via Appia.
Anche qui sul
rivestimento in travertino alla della base della porta sono visibili
le protuberanze apotropaiche fatte scolpire da Onorio (cfr. Porta Pinciana).
Al centro dell’arco della porta, sul lato interno, è
scolpita una croce greca inscritta in una circonferenza, con
un’iscrizione, in greco, dedicata a San Conone e San Giorgio,
testimonianza dell'opera di restauro intrapresa dai bizantini tra il VI ed il VII secolo.
Ancora, sullo
stipite destro della porta è incisa la figura dell’Arcangelo
Michele mentre uccide un drago, a fianco della quale si trova
un’iscrizione, in un latino medievale in caratteri gotici, in cui
viene ricordata la battaglia combattuta il 29 settembre 1327 (giorno
di San Michele, appunto) dalle milizie romane ghibelline dei Colonna
guidate da Giacomo de’ Pontani (o Ponziano) contro l’esercito
guelfo del re di Napoli Roberto d'Angiò, guidato da Giovanni e
Gaetano Orsini:
ANNO DNI MC…
XVII INDICTIONE
XI MENSE SEPTEM
BRIS DIE PENULTIM
A IN FESTO SCI MICHA
ELIS INTRAVIT GENS
FORASTERA MURI
A ET FUIT DEBELLA
TA A POPULO ROMA
NO QUI STANTE IA
COBO DE PONTIA
NIS CAPITE REG
IONIS
S.Michele arcangelo
Il 5 aprile 1536,
in occasione dell’ingresso trionfale in Roma dell’imperatore Carlo V che nel giugno dell'anno precedente aveva strappato Tunisi agli ottomani,
Baldassare Peruzzi, sotto la supervisione di Antonio da Sangallo, trasformò la porta in un vero e proprio arco di
trionfo, ornandola di statue, colonne e fregi, e predisponendo, anche
con l’abbattimento di edifici preesistenti, una via trionfale fino
al Foro Romano (2).
Sempre da qui passò anche, il 4 dicembre 1571, il corteo trionfale in onore di Marcantonio Colonna, il vincitore della battaglia di Lepanto.
Sempre da qui passò anche, il 4 dicembre 1571, il corteo trionfale in onore di Marcantonio Colonna, il vincitore della battaglia di Lepanto.
La posterla murata
A fianco della
torre occidentale ci sono tracce di una posterla murata, posta ad una
certa altezza sul piano stradale, la cui peculiarità è quella di
non presentare, sugli stipiti, segni di usura, come se fosse stata
chiusa poco dopo averla aperta.
Lo studio di Ettore Muti (1940-1943)
Gli ambienti all'interno della porta –
che attualmente ospitano le sale del Museo delle Mura aureliane –
furono ristrutturati nel 1939-40 dall'architetto Luigi Moretti per
essere adibiti ad abitazione privata e studio di Ettore Muti,
Segretario del PNF dall'ottobre del 1939 fino al 28 ottobre 1940, che
li occupò fino alla caduta del regime fascista (25 luglio 1943).
I due mosaici ancora visibili al primo
piano furono realizzati nell’ambito di questa ristrutturazione.
Il mosaico che raffigura due cervi ed una tigre in agguato si trova nella Sala I, nella torre occidentale.
Il mosaico che raffigura due cervi ed una tigre in agguato si trova nella Sala I, nella torre occidentale.
Il mosaico che raffigura al centro un condottiero a cavallo (probabilmente Mussolini) - oggi ricollocato nella sua originaria disposizione orizzontale - si trova nella Sala II, al primo piano del corpo che collega le due torri.
Dall'interno di Porta San
Sebastiano è possibile accedere ad un tratto del camminamento di
ronda delle mura per una lughezza di circa 300 m. in direzione di
Porta Ardeatina.
La seconda torre presenta
alcune peculiarità costruttive come la mancanza di una rampa
d'accesso alla camera superiore (oggi peraltro crollata) ed una
copertura voltata a vela che rimanda ad una tradizione bizantina.
La parete centrale, rifatta in tufo e malta in epoca medioevale, mostra infine la presenza di una feritoia centrale che sostituì l'originale finestra ad arco di cui si notano tracce sul muro esterno.
La parete centrale, rifatta in tufo e malta in epoca medioevale, mostra infine la presenza di una feritoia centrale che sostituì l'originale finestra ad arco di cui si notano tracce sul muro esterno.
Esterno della Torre II, cerchiata in rosso la tamponatura della finestra ad arco
La terza torre molto
probabilmente in epoca mediovale venne utilizzata come romitorio da
un eremita.
Planimetria del tratto di mura interessato
Lo si deduce dalla presenza di un affresco raffigurante
una Madonna con Bambino nella lunetta che sovrasta la porta d'uscita
lungo i cui stipiti sono ancora impiantati i cardini di una porta che
aveva la funzione di isolare l'ambiente.
Il tratto di galleria
compreso tra la terza e la quarta torre conserva una parte del piano
di calpestio originale. Qui è possibile osservare la fessura
longitudinale che separa la struttura di Aureliano dall'addizione
realizzata sotto Onorio per allargare la piattaforma e consentire la
costruzione degli archi e dei pilastri che sostengono la volta del
camminamento coperto.
Note:
(1) L'acquedotto
Antoniniano fu costruito intorno al 212-213 dall'imperatore Marco Aurelio
Antonino (211-217) - detto Caracalla
dal nome della veste gallica che indossava abitualmente - per
alimentare le terme appena costruite. Il ramo antoniniano si staccava
dall'acquedotto Marcio all'altezza dell'odierna Porta Furba, passava
sulla via Latina all'altezza del III miglio (nei pressi di via dei
Cessati Spiriti), raggiungeva e costeggiava le Mura Aureliane,
scavalcava l'Appia con l'arco di Druso e raggiungeva finalmente le
terme di Caracalla. Ne sono visibili oggi solo pochissimi resti in
piazza Galeria e via Guido Baccelli.
Per non depauperare le altre utenze servite dall'Aqua Marcia, l'imperatore aggiunse l'apporto di una nuova sorgente (molto probabilmente localizzata anch'essa nell'alta valle dell'Aniene come le altre che lo alimentavano) come ricordato da una epigrafe a Porta Tiburtina (vedi scheda).
Arcate dell'Acquedotto Antoniniano in via Guido Baccelli
(2) La porta per l'occasione era
stata tutta indorata e inghirlandata e ai lati su due basamenti erano
state erette altrettante statue l’una del Cristo, l’altra di S.
Pietro. La facciata della porta era
stata decorata con pitture in che raffiguravano l'incoronazione di
Romolo che teneva nella destra un bastone pastorale e nella sinistra
lo scettro imperiale, ai suoi lati comparivano Numa Pompilio e Tullo
Ostilio (secondo e terzo re di Roma), la scena era infine sormontata
dall'epigrafe Quirinus Pater. L'intera composizione culminava
con un'altra epigrafe inneggiante all'imperatore: Carolo V. Ro.
Imp. Semper Aug. III Africano. I torrioni laterali della porta
erano stati decorati infatti con le gesta dei due Scipione Africano
– Publio Cornelio detto il maggiore e Publio Cornelio Emiliano
detto il minore - vittoriosi sui cartaginesi e assunti ad antecedenti
dell'impresa di Carlo V.
Sulle pareti della camera superiore della torre est (sala VII) sono ancora visibili dei rimasugli di disegni a carboncino, probabilmente dei bozzetti per la decorazione della Porta di San Sebastiano realizzata in occasione del passaggio dell'imperatore.
Sulle pareti della camera superiore della torre est (sala VII) sono ancora visibili dei rimasugli di disegni a carboncino, probabilmente dei bozzetti per la decorazione della Porta di San Sebastiano realizzata in occasione del passaggio dell'imperatore.
L'incoronazione di Romolo (?)
Nella Biblioteca Comunale di
Siena è conservato invece questo schizzo della decorazione della porta
eseguito da Baldassare Peruzzi. Nel disegno la porta è indicata con il nome di Porta Capena che si apriva un tempo nelle mura serviane ed era già stata demolita all'epoca di Carlo V. Da Porta Capena aveva però inizio la via Appia e si trovava quindi in asse con la Porta di San Sebastiano.
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