Fatta edificare da Teodorico per il rito ariano agli inizi del VI sec., fu riconsacrata al rito cristiano dal vescovo Agnello nel 561 col nome di San Martino in Cielo d'oro. Verso la metà del IX sec., quando fu operata la traslazione delle spoglie di Sant'Apollinare dalla Basilica di Classe, la chiesa prese il nome che porta attualmente per distinguerla da una omonima gia' esistente.
Esterno. Il protiro e la bifora sovrastante sono di epoca rinascimentale, il campanile è dell'XI sec.
Interno. Si presenta a tre navate, scandito da dodici colonne per lato (dodici erano gli apostoli) con capitelli corinzi e pulvini a croce.
Parete di destra: nella fascia superiore, vicino al soffitto, intercalati da motivi decorativi riproducenti la croce, due colombe e una conchiglia, tredici quadretti con scene della Passione e Resurrezione di Cristo.
Sono di epoca teodoriciana con Cristo giovane e riccioluto con la tunica imperiale di porpora e il limbo crucigemmato. Sono la più antica rappresentazione sopravvissuta di un ampio ciclo di scene del Nuovo Testamento in un contesto monumentale.
Il Tradimento di Giuda
Sono di epoca teodoriciana con Cristo giovane e riccioluto con la tunica imperiale di porpora e il limbo crucigemmato. Sono la più antica rappresentazione sopravvissuta di un ampio ciclo di scene del Nuovo Testamento in un contesto monumentale.
Nella fascia mediana si osservano riquadri con figure dei profeti.
Nella fascia inferiore è rappresentata la teoria dei martiri (n.26) che parte dal palazzo di Teodorico per giungere a Cristo in trono tra gli angeli.
In origine, prima delle modifiche di epoca giustinianea, il corteo raffigurava Teodorico ed il suo seguito che muovevano in processione dal palazzo verso il Cristo o la Vergine in trono.
Palazzo di Teodorico
Usualmente si vuole che il mosaico raffiguri la facciata principale del palazzo teodoriciano. Tuttavia potrebbe anche trattarsi di una rappresentazione prospettica schiacciata che porta in primo piano le due ali in realtà perpendicolari alla facciata tripartita.
Le tre parti che lo costituiscono e che noi vediamo ribaltate e accostate, corrispondono in realtà a tre ali distinte. Le tre ali della costruzione, rappresentate giacenti sullo stesso piano della facciata, nella realtà potrebbero corrispondere ad un peristilio simile a quello del palazzo di Diocleziano a Spalato.
Cassiodoro dice che il palazzo era cinto da portici e ornato da vittorie alate che effettivamente si vedono tra i peducci delle arcate.
Sul frontone, dove oggi si vede un uniforme triangolo dorato, come s'intuisce dall'allineamento e dalla diversità delle tessere, si trovava un mosaico raffigurante Teodorico tra le personificazioni simboliche di Roma e di Ravenna, cancellato durante i rimaneggiamenti operati a seguito della riconquista bizantina.
Sullo sfondo alcuni edifici dell'architettura religiosa gota di incerta identificazione.
Parete sinistra: tredici quadretti con scene di Miracoli e Parabole della vita di Cristo.
Nella fascia inferiore la teoria delle sante, riccamente vestite, che parte dal porto della città di Classe per giungere a Maria in trono tra gli angeli.
In testa al corteo si trovano i tre Re Magi, rifatti dal restauratore romano Kibel nell'800 nella parte superiore, sostituendo le originarie corone con i berretti frigi.
I due cortei sono di epoca giustinianea, tanto dalle mura della città di Classe quanto dal Palazzo reale, sono state eliminate, nel corso dei rimaneggiamenti operati da Agnello, figure di personaggi della corte teodoriciana, di cui sono ancora visibili alcune tracce.
Nel mosaico raffigurante la città di Classe, gli edifici alla destra del portico-acquedotto sono stati fantasiosamente aggiunti dal Kibel per colmare una lacuna.
Il porto di Classe
Sulla facciata interna della chiesa si conserva un lacerto musivo raffigurante un uomo con diadema e nimbo. L'iscrizione che lo indica come ritratto di Giustiniano è però opera del Kibel, le differenze che presenta con il ritratto dell'imperatore in S.Vitale hanno fatto pensare che possa trattarsi piuttosto di un superstite ritratto di Teodorico.
Restauri condotti nel 1951 hanno confermato un rimaneggiamento del mosaico in epoca molto antica, la parte originale limitandosi al volto del sovrano, mentre il diadema con pendilia, la clamide purpurea, il fondo oro e il nimbo apparterrebbero invece all’età del vescovo Agnello.
Nel ritratto originario mancavano quindi tutti i segni distintivi del potere imperiale, confermando quanto sappiamo da Procopio, che Teodorico usò gli attributi della regalità nei confronti del suo popolo, ma mantenne un atteggiamento di inferiorità nei confronti del Basileus dal quale sapeva discendere il proprio potere.
In ogni caso non si può parlare di un ritratto ma di un’immagine standardizzata , che, se può aver tenuto conto di elementi fisiognomici, esprimeva principalmente un valore simbolico, tanto che fu sufficiente cambiare gli attributi, e non il volto, per trasformarla in quella di Giustiniano.
Nel ritratto originario mancavano quindi tutti i segni distintivi del potere imperiale, confermando quanto sappiamo da Procopio, che Teodorico usò gli attributi della regalità nei confronti del suo popolo, ma mantenne un atteggiamento di inferiorità nei confronti del Basileus dal quale sapeva discendere il proprio potere.
In ogni caso non si può parlare di un ritratto ma di un’immagine standardizzata , che, se può aver tenuto conto di elementi fisiognomici, esprimeva principalmente un valore simbolico, tanto che fu sufficiente cambiare gli attributi, e non il volto, per trasformarla in quella di Giustiniano.
Sebbene tra i due cicli musivi intercorrano non più di cinquant'anni, nondimeno si notano differenze stilistiche.
I mosaici teodoriciani, nelle due fasce più in alto, sono più legati alla tradizione romana, perché ricchi di spunti realistici: descrizione del paesaggio, plasticità delle figure, gesti e azioni molto naturali, ambienti e situazioni realistiche. Le scene evangeliche sono descritte come episodi di vita quotidiana, come per attestarne la verità storica. In particolare, le scene con gli episodi della Passione e della Resurrezione, eccellono nella qualità cromatica e nella ricchezza espressiva.
L'ultima cena è una scena in cui Gesù è triste e gli apostoli hanno espressioni variamente sconcertate di fronte alla sue parole.
Il bacio di Giuda è una scena vivace e di grande chiarezza comunitativa.
Appartiene alla serie teodoriciana anche la scena con il Giudizio Finale, che rispetto al naturalismo delle altre è più astratta e simbolica. Nella composizione simmetrica, si vede la figura centrale di Gesù fiancheggiata dai due angeli mentre divide le pecore dai capretti. In questo caso tutti gli elementi visivi tendono a esaltare la dimensione sacra, soprannaturale, facendo perdere alle figure la fisicità e concretezza ravvisabile nelle altre scene evangeliche. Lo spazio è ridotto, i volumi tendono ad appiattirsi per via delle stesure cromatiche più uniformi e l'assenza delle ombre, i personaggi sono visti come apparizioni immateriali e divine. Anche i visi sono simili tra loro, hanno grandi occhi con sguardi rivolti all'infinito. La dimensione ultraterrena e il senso di eternità sono trasmesse anche dai gesti bloccati nell'assenza di movimento.
Il Giudizio finale: Cristo divide le pecore dai capretti
“…quando il figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti i santi angeli con lui, allora egli si siederà nel trono della sua gloria, … e saranno riunite davanti a lui tutte le nazioni della terra e dividerà le une dalle altre, come il pastore divide le pecore dai capretti … e porrà le pecore alla sua destra e i capretti alla sua sinistra … (Matteo XXIV, 31-33).
Non si cerca più la somiglianza con la natura, ma un'immagine fantastica, irreale, spirituale.
Si punta sull'effetto ritmico, sui colori vivaci e le decorazioni ricche.
Non si rappresenta la realtà ma un mondo superiore: quello del Paradiso, dove non esiste la materia, ma solo lo spirito. E tutto è permeato dalla presenza divina.
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