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martedì 7 agosto 2018

San Lazzaro Zographos

San Lazzaro Zographos

San Lazzaro zographos (il pittore) – ma è noto anche come l'iconografo – nacque in Armenia nell'810. Monacatosi in giovane età, apprese l'arte della pittura molto probabilmente nel monastero costantinopolitano di Studion, divenendo rapidamente famoso per la qualità delle sue realizzazioni. Durante il regno di Teofilo (829-842) – un convinto iconoclasta – Lazzaro continuò imperterrito la sua attività pittorica, mettendosi anche a restaurare le icone sfigurate per ordine dell'imperatore. Dopo aver disatteso numerose volte alle ripetute ingiunzioni di interrompere la sua attività, Lazzaro venne infine condotto al cospetto dell'imperatore, alla cui richiesta di distruggere le immagini che aveva dipinto oppose un netto rifiuto. Fu quindi gettato in prigione e sottoposto ad atroci torture. Rilasciato, ricominciò subito a dipingere icone. L'imperatore lo fece nuovamente imprigionare e, considerata la sua notorietà, volle punirlo in maniera esemplare perchè fosse di monito a tutti gli iconoduli: le palme delle mani gli furono bruciate fino all'osso apponendovi due ferri di cavallo arroventati.
 
Domenico Morelli, Gli Iconoclasti, 1855,
 Museo di Capodimonte, Napoli 
Nel dipinto è rappresentato l'arresto di San Lazzaro

 
Quando giaceva ormai in fin di vita nella sua cella, l'imperatrice Teodora, segretamente iconodula, convinse il marito a liberarlo. Lo fece quindi trasferire nell'appartato monastero di San Giovanni Prodromo a Phoberon, sulla riva asiatica del Bosforo, dove fu curato recuperando anche in parte l'uso delle mani. Dopo la morte di Teofilo (842), il culto delle immagini fu ripristinato dal sinodo convocato dal nuovo patriarca Metodio I nell'843 in cui l'iconoclastia venne condannata come eresia e Lazzaro potè tornare alla sua attività di pittore alla luce del sole.
Tra le opere che gli sono attribuite c'è un grande affresco di San Giovanni Prodromo realizzato nel monastero omonimo di Phoberon, il restauro dell'immagine del Cristo Chalkites nella lunetta della Chalke rimossa sotto Leone V (813-820) – su cui non c'è concordia tra gli studiosi - e quello dell'abside di Santa Sofia, dove, secondo quanto riportato dal pellegrino russo Antonio di Novgorod – che però visitò Costantinopoli soltanto nel 1200 - realizzò una Vergine con il Bambino (ancora visibile) fiancheggiata da due angeli.

 
Accanto alla figura del Cristo di questa Deesis che si trova nell'endonartece della chiesa del Salvatore in chora e che risale al 1316, era un tempo leggibile la didascalia Cristo Chalkites (oggi rimangono tracce soltanto dell'epiteto Chalkites). Dovrebbe quindi trattarsi di una riproduzione dell'mmagine realizzata a mosaico da San Lazzaro Zographos nella lunetta sovrastante l'ingresso monumentale al Palazzo imperiale (Chalke) nell'843.

Mosaico nell'abside della chiesa di Santa Sofia
Costantinopoli 

Nell'856 fu inviato da Michele III, figlio di Teodora e Teofilo, come ambasciatore presso papa Benedetto III, per ricomporre la divergenza con la chiesa di Roma apertasi con la questione iconoclasta.
Morì nell'867, forse al rientro di un secondo viaggio a Roma, e fu sepolto a Galata nel monastero di Evandro.


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