Pianta della baia di Navarino.
Cerchiati in rosso il Palaiocastro (a sn.) ed il Neocastro (a ds.).
Conquistata dai crociati dopo la caduta di
Costantinopoli (1204), nel 1281 entrò a far parte dei possedimenti
di Nicola II di Saint Omer, signore di Tebe, che dal 1287 al 1289
ricoprì la carica di bailo del Principato d'Acaia per conto del
regno angioino di Napoli. A questo periodo risale probabilmente la
costruzione del castello noto come Palaiocastro che domina l'accesso
settentrionale alla baia di Navarino. Attualmente è raggiungibile
soltanto percorrendo un ripido sentiero che parte dall'ingresso alle
cosiddette Cave di Nestore, sopra la spiaggia di Voidokilia, e
conduce ad una breccia della cinta muraria.
Palaiocastro
Dopo la conquista
latina, la città comincia a comparire nelle fonti con il nome greco
di Ἀβαρῖνος che diviene Navarino in italiano. L'etimologia
del nome deriva probabilmente da una parola slava che significa
"aceri" di cui è piena la zona.
Dal 1423 Navarino entrò a
far parte ufficialmente dei possedimenti veneziani in Morea. Qui
s'imbarcò nel 1437 Giovanni VIII Paleologo per raggiungere il
Concilio di Ferrara-Firenze.
Il 20 maggio 1501 fu
espugnata dagli ottomani con un attacco congiunto di forze terrestri
e navali.
Riconquistata dal Morosini
dopo 12 giorni di assedio agli inizi della guerra di Morea (1686),
tornò in mani ottomane nel 1715.
Gli insorti greci
conquistano la città dopo mesi di assedio gli inizi della Guerra
d'Indipendenza (1821-1828) e la tengono fino al 1825.
Il 20 marzo 1825, 14.000
uomini al comando di Ibrahim Pasha – il figlio adottivo del vicerè
d'Egitto Mehemet Alì che guidava le truppe egiziane inviate in Morea
su richiesta del sultano Mahmud II (1808-1839) per reprimere la
rivolta greca - cinsero d'assedio la città. Navarino era difesa da
una guarnigione di 2.000 greci al comando dell'arcivescovo di Modone
e di Giorgio Mavromichalis, il figlio del Bey del Mani Petro
Mavromichalis, mentre la difesa del forte (Neocastro, vedi oltre) e
le artiglierie (40 bocche da fuoco quasi tutte concentrate nel
Neocastro) erano affidate ad un ingegnere piemontese, il maggiore
Giacinto Provana di Collegno.
Acquedotto
Tagliato l'acquedotto che riforniva la
città, gli egiziani cominciarono a cannoneggiarla e, nella notte tra
il 19 ed il 20 aprile, sbaragliarono lungo la strada tra Modone e
Navarino il contingente di circa 8.000 uomini inviato dal governo
provvisorio greco in soccorso della città.
L'8 maggio le truppe di
Ibrahim Pasha occupano l'isola di Sphacteria che fronteggia la città
massacrando i suoi 350 difensori guidati da Alessandro Mavrokordatos,
che si salvò gettandosi in acqua, tra i quali si trovava anche il
patriota italiano conte Santorre di Santa Rosa che cadde combattendo.
Due giorni dopo si arrende la guarnigione del Palaiocastro: la città
è adesso completamente accerchiata da terra e da mare e capitola il
23 dello stesso mese.
Il 20 ottobre 1827 nella
baia di Navarino fu combattuta l'ultima grande battaglia della
marineria a vela. La flotta franco-russo-britannica guidata
dall'ammiraglio inglese Codrington – inviata con compiti
d'interposizione tra gli insorti greci e le forze ottomane –
ingaggiò battaglia penetrando nella baia e annientò la flotta
turco-egiziana agli ordini diretti di Ibrahim Pascià.
La flotta alleata era
formata da 10 navi da guerra, 10 fregate e 2 corvette contro le 3
navi da guerra, 17 fregate, 58 corvette e 5-6 brulotti
turco-egiziani, per un totale di 1258 bocche da fuoco per gli alleati
e 2180 per i turco-egiziani.
L'inferiorità numerica
europea era però ampiamente compensata dal calibro maggiore e dalla
velocità di fuoco delle artiglierie, dalla maggiore solidità delle
navi e dall'addestramento degli equipaggi. Dopo quattro ore di
combattimento soltanto una nave da guerra ottomana, completamente
disalberata, due fregate e cinque corvette erano ancora in grado di
rispondere al fuoco. Oltre all'intera flotta gli ottomani persero
circa tremila uomini contro le 181 vittime che si contarono tra i
marinai della flotta alleata.
Neocastro: fu fatto costruire dall'ammiraglio ottomano Uluç Ali Reis nel 1573 per controllare l'accesso meridionale alla baia.
Il forte consiste in due larghe batterie, la cui costruzione precede probabilmente quella della cittadella (3) a pianta esagonale eretta sulla sommità di una collinetta e rafforzata agli angoli da bastioni a punta di freccia.
1. Ingresso settentrionale
2. Ingresso principale
3. Cittadella
4. Ingresso alla cittadella
5. Bastione Verga
6. Forte Santa Barbara
7. Forte Santa Maria
a,b,c. Bastioni circolari
(in giallo le opere di fortificazione progettate dai veneziani e mai realizzate)
Ingresso alla cittadella (4)
Interno della cittadella
Tra le batterie fu quindi costruita una cinta muraria che racchiudeva uno spazio al cui centro venne edificata una moschea. Al forte si accedeva per mezzo di due porte, quella principale (attualmente chiusa) (2) si apriva sul lato settentrionale delle mura nei pressi dell'angolo NE dove sorge un bastione circolare (c); l'altra (da cui si accede attualmente) (1) si apriva nelle mura settentrionali.
Porta orientale (2)
La Porta orientale e, in primo piano, il bastione NE (c)
Porta settentrionale (1)
Durante l'assedio veneziano del 1686 fu colpita la polveriera che esplose distruggendo il bastione più settentrionale della cittadella.
Un altro bastione di forma circolare - costruito dagli ottomani lungo il fianco meridionale delle mura e noto come Bastione Verga (5) - adibito dall'esercito italiano a deposito i munizioni durante il secondo conflitto mondiale, bombardato dagli inglesi, esplose nel 1943.
Tra il 1686 ed il 1715, i veneziani progettarono una serie di opere che dovevano rafforzare le difese ma realizzarono solo due curiosi rivellini addossati all'esterno delle mura e noti come Forte di Santa Barbara (6) e Forte di Santa Maria (7).
Ingresso al Forte di Santa Barbara
Interno del Forte di Santa Barbara
Il Forte di Santa Barbara, che poteva ospitare una batteria di 15 pezzi d'artiglieria disposti su due livelli, fu gravemente danneggiato dagli ottomani durante l'assedio del 1825 e venne ricostruito dal corpo di spedizione francese del generale Maison che tenne il forte tra il 1828 ed il 1833.
Nello stesso periodo furono costruite le caserme tuttora visibili nei pressi dell'ingresso settentrionale (1).
Uno dei bastionia punta di freccia che rafforzano gli angoli della cittadella.
Chiesa della
Trasfigurazione: fu costruita dagli ottomani come moschea tra il 1573
ed il 1595. Quando nel 1686 i veneziani occuparono la fortezza, la
moschea fu convertita in chiesa cattolica e ridedicata a San Vito, la
cui festa ricorreva il giorno in cui fu conquistata la città.
Riconvertita in moschea con
il ritorno degli ottomani (1715), fu adibita a deposito di munizioni
durante l'occupazione francese e riottenne il suo status di edificio
di culto, consacrato al rito ortodosso, nel 1842.
La chiesa si trova
attualmente all'interno di una cinta muraria – la cui altezza varia
da m. 1,70 a 2,80 in rapporto all'andamento del terreno – nel cui
versante orientale è inglobato il suo muro perimetrale.
L'edificio originario aveva
una pianta quadrangolare ed era sopravanzato da un portico sul lato
occidentale. In una seconda fase costruttiva vennero aggiunti sul
lato meridionale due ambienti allungati e voltati a botte
probabilmente utilizzati come magazzini.
Il portico poggia su un
podio ed è formato da sei pilastri su cui s'impostano gli archi che
li connettono nonchè quelli trasversali che terminano su
semipilastri addossati alla facciata. I cinque vani del portico sono
coperti da altrettante cupolette, la più meridionale delle quali non
si è conservata.
Lato occidentale
In corrispondenza del vano centrale del portico si apre l'attuale ingresso principale della chiesa, nei vani a destra e a sinistra del quale si trovano due mihrab esterni e due archi ciechi.
L'aspetto interno è dovuto
ad una ristrutturazione del tardo XVIII sec., dopo i gravi danni
subiti dall'edificio durante la rivolta di Orlov (1770). A quest'epoca
risalgono i quattro pilastri che sostengono la cupola (che infatti si
trovano su una quota diversa rispetto alle pareti perimetrali), gli
ingressi centrali aperti nei lati nord e sud e probabilmente anche il
minareto in pietra porosa addossato al lato meridionale e di cui oggi
rimane solo il basamento.
Il lato meridionale con i resti del minareto
Nessun commento:
Posta un commento