Vittore Carpaccio, Sant'Agostino nello studio (Visione di Sant'Agostino), 1502
Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Venezia
Carpaccio, al culmine della propria
carriera, venne chiamato dalla Scuola Minore degli
Schiavoni, cioè dei Dalmati residenti o di passaggio a Venezia, per
dipingere un ciclo di sette teleri sulle storie dei santi protettori
della confraternita (Giorgio, Girolamo e Trifone) a cui si aggiunsero
altre due tele fuori della serie con Storie evangeliche. Il lavoro
per gli Schiavoni iniziò nel 1502 e terminò nel 1507.
Sant'Agostino è ritratto
nel proprio studio, mentre viene distratto dalla scrittura dalla voce
di Girolamo, che gli appare in forma luminosa dalla finestra accanto
allo scrittoio.
L'episodio viene
riportato dal frate predicatore domenicano Petrus Calo de
Clugia (ossia da Chioggia) nel 1348 (Acta Sanctorum,
settembre, VII, 423) che si riferisce ad una epistola apocrifa di
Agostino al vescovo di Gerusalemme Cirillo, in cui il santo racconta
di aver avuto la visione del Battista e di Girolamo che gli
comunicava la sua morte mentre egli era intento proprio a scrivergli
una lettera.
Il miracoloso annuncio viene
ambientato nello stanza di un colto e raffinato umanista del tempo,
rappresentata con la cura meticolosa dei dettagli che caratterizza le
opere di Carpaccio.
In una stanza più o meno
rettangolare, con soffitto dipinto, Agostino sta seduto su una panca
poggiata su una pedana rialzata, coperta di tessuto verde e profilata
da borchie, dove si trova il tavolo da studio, retto da una
candelabra.
Numerosi libri dimostrano i
suoi interessi eruditi o musicali, dato che alcuni sono aperti e
mostrano righe di pentagramma; da molti di essi pendono le corde
segnalibro. Uno stipo si trova incassato nel muro sotto la finestra,
con cassetti estraibili e mensole dove si intravedono un fascicolo e
una clessidra. La scrivania e la stessa panca sono ingombre di libri
dalle preziose rilegature, cofanetti, strumenti per la scrittura e
oggetti curiosi, come una campanella e una conchiglia. Davanti alla
finestra pende una sfera armillare (1), mentre anche le modanature
decorative della parete sono usate come mensole e vi si trovano vasi,
bottiglie e altro.
Al centro della parete
di fondo si apre una nicchia con altare, in cui, come mostra la tenda
scostata, sono riposti gli oggetti liturgici (due ampolle, una
navicella portaincenso, un paramento ripiegato, due libri da messa)
mentre sul piano è appoggiata la mitria vescovile e sullo spigolo
destro dell’abside il bastone pastorale.
Sull'altare campeggia una
statua di san Giovanni Battista e il catino della semicupoletta è
decorato da mosaici dorati in stile veneziano-bizantino.
Ai lati dell'altare si
trovano due portali gemelli, finemente decorati in stile
rinascimentale.
Quello di sinistra è aperto
e mostra una stanzetta con una propria finestrella, secondo il gusto
per le molteplici fonti di illuminazione derivate dall'arte fiamminga
e ben popolari a Venezia dopo l'esempio dato da Antonello da Messina
(in particolare nel San Girolamo nello studio, che probabilmente
Carpaccio vide e studiò). Qui, su un tavolo retto da tre coppie di
gambe incrociate e coperto da una tovaglia rossa, si trovano numerosi
altri strumenti dello studioso: ancora numerosi libri, alcuni
appoggiati su un leggio monastico, e, sulla mensola che corre lungo
il perimetro della stanzetta, vari strumenti astronomici e
scientifici, tra cui un quadrante e il famoso astrolabio di
Regiomontano.
Lungo la parete sinistra
della stanza principale si trovano altre due lunghe mensole: una
inclinata, dove sono appoggiati in sequenza un numero straordinario
di libri, dalle copertine in sgargianti colori; una piana dove si
trova una collezione di anticaglie, con vasi, bronzetti, e altri
oggetti. In alto si trova un reggicandela a forma di zampa leonina
(un secondo è in posizione simmetrica dall'altro lato), mentre in
basso, oltre ad alcuni volumi di notevole mole, si vede su una pedana
un sedile e un inginocchiatoio per la meditazione.
Al centro della stanza si trova un
cagnolino maltese e, poco più in là, il cartiglio con la firma
dell'artista e la data.
Nella fila degli astrolabi appesi alla mensola che corre lungo tutto il perimetro della stanzetta, quello Regiomontano è il primo da destra
L’ipotesi che il
pittore e i suoi committenti abbiano voluto ritrarre Bessarione nei
panni di sant’Agostino, commemorandolo a trent’anni di distanza
dalla scomparsa nella Scuola cui aveva concesso nel 1464
un’importante indulgenza e nella città dove aveva soggiornato a
lungo in compagnia di Niccolò Perotti ma anche di Giovanni
Regiomontano, è stata probabilmente dimostrata in via definitiva da
Patricia Fortini Brown, nel momento in cui per prima ha identificato,
tra i molti oggetti disposti nel dipinto a connotare l’identità
del personaggio, o meglio ancora la sua dimensione di studioso di
astronomia, un oggetto unico, specificamente e indubitabilmente di
proprietà di Bessarione: l’astrolabio Regiomontano.
L'astronomo Johannes Muller nativo di
Koenisberg, più noto come Giovanni Regiomontano, aveva conosciuto
Bessarione a Vienna ed era stato ospite del cardinale in Italia,
soprattutto a Roma, nei successivi cinque anni giacché Bessarione lo
aveva incaricato di scrivere l'Epitome dell'Almagesto di
Tolomeo.
L'astrolabio da lui
realizzato – oggi conservato in una collezione privata londinese –
fu presentato a Roma nel 1462 con incisa una dedica al cardinale.
L'astrolabio Regiomontano di Bessarione
collezione privata, Londra
Altri elementi che
suggeriscono l'identificazione di sant'Agostino con Bessarione sono
gli attributi vescovili (mitria e bastone pastorale) presenti nella
stanza, la porpora cardinalizia che spunta dalla sopravveste e la
cappa nera che dalle spalle scende sino al petto dei monaci
basiliani: tutte e tre identità ecclesiastiche che appartenevano a
Bessarione.
La conchiglia posata sullo
scrittoio (usata all'epoca per lisciare le pergamene) sarebbe un
attributo esplicito dello scrittore e del bibliofilo (De Marchis) (2)
mentre nella pergamena sigillata ai piedi del santo si dovrebbe
riconoscere l'indulgenza concessa da Bessarione alla scuola nel 1464,
per l'impegno profuso dalla confraternita nell'organizzazione della
crociata promossa da papa Pio II Piccolomini (Perrocco) e nel grande
sigillo rosso in primo piano quello del cardinale stesso (Branca).
L'inconsueta presenza
del cagnolino quasi al centro dello studio – che guarda immobile verso
l'apparizione di S.Gerolamo oltre la finestra – è spiegata dalla
Fortini Brown come una citazione dalla miniatura del frontespizio
del codice Marc. gr. 388 della Geografia di
Tolomeo, eseguita per il cardinale
probabilmente intorno al 1453, in cui Bessarione è ritratto nei
panni di Tolomeo ed è appunto in compagnia di un piccolo animale (un
piccolo cane secondo l'autrice o una donnola).
Frontespizio del codice Marc. gr. 388 della Geografia di Tolomeo, 1453
Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia
Note:
(1) Il suo nome
deriva dal latino armilla (cerchio, braccialetto), poiché ha
uno scheletro composto da cerchi metallici graduati che collegano i
poli e rappresentano l'equatore, l'eclittica, i meridiani e i
paralleli. Al suo centro è posta una palla che rappresenta la Terra
(in seguito il Sole) e viene usata per mostrare il movimento delle
stelle attorno alla Terra.
Le sfere armillari vennero sviluppate
dai greci e furono usate come strumento didattico già nel III secolo
a.C. Con forme più grandi e precise erano usate anche come strumenti
di osservazione.
Divennero nuovamente diffuse nel tardo
medioevo; l'astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601) ne costruì
diverse .
Scienziati rinascimentali e altre
figure pubbliche spesso si facevano ritrarre con in mano una sfera
armillare, che rappresentava le vette della saggezza e della
conoscenza.
(2) La conchiglia contiene comunque anche un rimando piuttosto esplicito ad un tema iconografico più strettamente agostiniano largamente diffusosi nella pittura rinascimentale.
Mentre passeggia lungo la spiaggia,
immerso nella riflessione sui misteri trinitari, il santo incontra un
bambino che aveva scavato una buca nella sabbia e corre continuamente
dal mare alla buca trasportandovi un po' d'acqua con una conchiglia.
“A cosa stai giocando?”, gli domanda il santo e il bambino gli
risponde che non si tratta di un gioco ma che vuole trasferire tutto
il mare nella buca. Agostino gli spiega sorridendo che è
impossibile, perchè il mare è troppo grande per essere contenuto
nella buca. Mentre si sta allontanando, il bambino (che è in realtà
un angelo inviato dal Signore) gli dice:
"Forse hai ragione Agostino, ma sappi che è più facile per me
travasare qui le acque dell'intero Oceano che alla tua mente
comprendere i misteri di Dio e della SS.Trinità".
Dell'episodio non c'è traccia negli
scritti di Sant'Agostino; secondo Padre
Antonio Iturbe Saìz questo episodio apparve in uno degli exempla
che si scrivevano per i predicatori nel XIII secolo applicato a un
professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale:
criticare la alterigia e la superbia dei teologi. Cominciò ad essere
attribuito al santo africano (la prima fonte scritta in cui questo
avviene è del 1263) perchè necessitava un protagonista alla storia
stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un
sommo teologo e perchè in un dialogo tra Agostino e san Girolamo,
contenuto nella già citata lettera apocrifa al vescovo di
Gerusalemme, Agostino ricorda una rivelazione divina con queste
parole: Augustine,
Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare
totum?.
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