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domenica 3 novembre 2013

Sant'Agostino nello studio di Vittore Carpaccio

Sant'Agostino nello studio di Vittore Carpaccio

Vittore Carpaccio, Sant'Agostino nello studio (Visione di Sant'Agostino), 1502
Scuola di San Giorgio degli Schiavoni, Venezia
 
Carpaccio, al culmine della propria carriera, venne chiamato dalla Scuola Minore degli Schiavoni, cioè dei Dalmati residenti o di passaggio a Venezia, per dipingere un ciclo di sette teleri sulle storie dei santi protettori della confraternita (Giorgio, Girolamo e Trifone) a cui si aggiunsero altre due tele fuori della serie con Storie evangeliche. Il lavoro per gli Schiavoni iniziò nel 1502 e terminò nel 1507.
Sant'Agostino è ritratto nel proprio studio, mentre viene distratto dalla scrittura dalla voce di Girolamo, che gli appare in forma luminosa dalla finestra accanto allo scrittoio.
L'episodio viene riportato dal frate predicatore domenicano Petrus Calo de Clugia (ossia da Chioggia) nel 1348 (Acta Sanctorum, settembre, VII, 423) che si riferisce ad una epistola apocrifa di Agostino al vescovo di Gerusalemme Cirillo, in cui il santo racconta di aver avuto la visione del Battista e di Girolamo che gli comunicava la sua morte mentre egli era intento proprio a scrivergli una lettera.
Il miracoloso annuncio viene ambientato nello stanza di un colto e raffinato umanista del tempo, rappresentata con la cura meticolosa dei dettagli che caratterizza le opere di Carpaccio.
In una stanza più o meno rettangolare, con soffitto dipinto, Agostino sta seduto su una panca poggiata su una pedana rialzata, coperta di tessuto verde e profilata da borchie, dove si trova il tavolo da studio, retto da una candelabra.
Numerosi libri dimostrano i suoi interessi eruditi o musicali, dato che alcuni sono aperti e mostrano righe di pentagramma; da molti di essi pendono le corde segnalibro. Uno stipo si trova incassato nel muro sotto la finestra, con cassetti estraibili e mensole dove si intravedono un fascicolo e una clessidra. La scrivania e la stessa panca sono ingombre di libri dalle preziose rilegature, cofanetti, strumenti per la scrittura e oggetti curiosi, come una campanella e una conchiglia. Davanti alla finestra pende una sfera armillare (1), mentre anche le modanature decorative della parete sono usate come mensole e vi si trovano vasi, bottiglie e altro.
Al centro della parete di fondo si apre una nicchia con altare, in cui, come mostra la tenda scostata, sono riposti gli oggetti liturgici (due ampolle, una navicella portaincenso, un paramento ripiegato, due libri da messa) mentre sul piano è appoggiata la mitria vescovile e sullo spigolo destro dell’abside il bastone pastorale.
Sull'altare campeggia una statua di san Giovanni Battista e il catino della semicupoletta è decorato da mosaici dorati in stile veneziano-bizantino.
Ai lati dell'altare si trovano due portali gemelli, finemente decorati in stile rinascimentale.
Quello di sinistra è aperto e mostra una stanzetta con una propria finestrella, secondo il gusto per le molteplici fonti di illuminazione derivate dall'arte fiamminga e ben popolari a Venezia dopo l'esempio dato da Antonello da Messina (in particolare nel San Girolamo nello studio, che probabilmente Carpaccio vide e studiò). Qui, su un tavolo retto da tre coppie di gambe incrociate e coperto da una tovaglia rossa, si trovano numerosi altri strumenti dello studioso: ancora numerosi libri, alcuni appoggiati su un leggio monastico, e, sulla mensola che corre lungo il perimetro della stanzetta, vari strumenti astronomici e scientifici, tra cui un quadrante e il famoso astrolabio di Regiomontano.
Lungo la parete sinistra della stanza principale si trovano altre due lunghe mensole: una inclinata, dove sono appoggiati in sequenza un numero straordinario di libri, dalle copertine in sgargianti colori; una piana dove si trova una collezione di anticaglie, con vasi, bronzetti, e altri oggetti. In alto si trova un reggicandela a forma di zampa leonina (un secondo è in posizione simmetrica dall'altro lato), mentre in basso, oltre ad alcuni volumi di notevole mole, si vede su una pedana un sedile e un inginocchiatoio per la meditazione.
Al centro della stanza si trova un cagnolino maltese e, poco più in là, il cartiglio con la firma dell'artista e la data.
 
Nella fila degli astrolabi appesi alla mensola che corre lungo tutto il perimetro della stanzetta, quello Regiomontano è il primo da destra
 
L’ipotesi che il pittore e i suoi committenti abbiano voluto ritrarre Bessarione nei panni di sant’Agostino, commemorandolo a trent’anni di distanza dalla scomparsa nella Scuola cui aveva concesso nel 1464 un’importante indulgenza e nella città dove aveva soggiornato a lungo in compagnia di Niccolò Perotti ma anche di Giovanni Regiomontano, è stata probabilmente dimostrata in via definitiva da Patricia Fortini Brown, nel momento in cui per prima ha identificato, tra i molti oggetti disposti nel dipinto a connotare l’identità del personaggio, o meglio ancora la sua dimensione di studioso di astronomia, un oggetto unico, specificamente e indubitabilmente di proprietà di Bessarione: l’astrolabio Regiomontano.
L'astronomo Johannes Muller nativo di Koenisberg, più noto come Giovanni Regiomontano, aveva conosciuto Bessarione a Vienna ed era stato ospite del cardinale in Italia, soprattutto a Roma, nei successivi cinque anni giacché Bessarione lo aveva incaricato di scrivere l'Epitome dell'Almagesto di Tolomeo.
L'astrolabio da lui realizzato – oggi conservato in una collezione privata londinese – fu presentato a Roma nel 1462 con incisa una dedica al cardinale.
 
L'astrolabio Regiomontano di Bessarione
collezione privata, Londra
 
Altri elementi che suggeriscono l'identificazione di sant'Agostino con Bessarione sono gli attributi vescovili (mitria e bastone pastorale) presenti nella stanza, la porpora cardinalizia che spunta dalla sopravveste e la cappa nera che dalle spalle scende sino al petto dei monaci basiliani: tutte e tre identità ecclesiastiche che appartenevano a Bessarione.
La conchiglia posata sullo scrittoio (usata all'epoca per lisciare le pergamene) sarebbe un attributo esplicito dello scrittore e del bibliofilo (De Marchis) (2) mentre nella pergamena sigillata ai piedi del santo si dovrebbe riconoscere l'indulgenza concessa da Bessarione alla scuola nel 1464, per l'impegno profuso dalla confraternita nell'organizzazione della crociata promossa da papa Pio II Piccolomini (Perrocco) e nel grande sigillo rosso in primo piano quello del cardinale stesso (Branca).
L'inconsueta presenza del cagnolino quasi al centro dello studio – che guarda immobile verso l'apparizione di S.Gerolamo oltre la finestra – è spiegata dalla Fortini Brown come una citazione dalla miniatura del frontespizio del codice Marc. gr. 388 della Geografia di Tolomeo, eseguita per il cardinale probabilmente intorno al 1453, in cui Bessarione è ritratto nei panni di Tolomeo ed è appunto in compagnia di un piccolo animale (un piccolo cane secondo l'autrice o una donnola).
 
Frontespizio del codice Marc. gr. 388 della Geografia di Tolomeo, 1453
Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia
Note:
 
(1) Il suo nome deriva dal latino armilla (cerchio, braccialetto), poiché ha uno scheletro composto da cerchi metallici graduati che collegano i poli e rappresentano l'equatore, l'eclittica, i meridiani e i paralleli. Al suo centro è posta una palla che rappresenta la Terra (in seguito il Sole) e viene usata per mostrare il movimento delle stelle attorno alla Terra.
Le sfere armillari vennero sviluppate dai greci e furono usate come strumento didattico già nel III secolo a.C. Con forme più grandi e precise erano usate anche come strumenti di osservazione.
Divennero nuovamente diffuse nel tardo medioevo; l'astronomo danese Tycho Brahe (1546-1601) ne costruì diverse .
Scienziati rinascimentali e altre figure pubbliche spesso si facevano ritrarre con in mano una sfera armillare, che rappresentava le vette della saggezza e della conoscenza.

(2) La conchiglia contiene comunque anche un rimando piuttosto esplicito ad un tema iconografico più strettamente agostiniano largamente diffusosi nella pittura rinascimentale.
Mentre passeggia lungo la spiaggia, immerso nella riflessione sui misteri trinitari, il santo incontra un bambino che aveva scavato una buca nella sabbia e corre continuamente dal mare alla buca trasportandovi un po' d'acqua con una conchiglia. “A cosa stai giocando?”, gli domanda il santo e il bambino gli risponde che non si tratta di un gioco ma che vuole trasferire tutto il mare nella buca. Agostino gli spiega sorridendo che è impossibile, perchè il mare è troppo grande per essere contenuto nella buca. Mentre si sta allontanando, il bambino (che è in realtà un angelo inviato dal Signore) gli dice: "Forse hai ragione Agostino, ma sappi che è più facile per me travasare qui le acque dell'intero Oceano che alla tua mente comprendere i misteri di Dio e della SS.Trinità".
Dell'episodio non c'è traccia negli scritti di Sant'Agostino; secondo Padre Antonio Iturbe Saìz questo episodio apparve in uno degli exempla che si scrivevano per i predicatori nel XIII secolo applicato a un professore di scolastica di Parigi con un fine chiaramente morale: criticare la alterigia e la superbia dei teologi. Cominciò ad essere attribuito al santo africano (la prima fonte scritta in cui questo avviene è del 1263) perchè necessitava un protagonista alla storia stessa e Agostino era l'uomo adatto in quanto era considerato un sommo teologo e perchè in un dialogo tra Agostino e san Girolamo, contenuto nella già citata lettera apocrifa al vescovo di Gerusalemme, Agostino ricorda una rivelazione divina con queste parole: Augustine, Augustine, quid quaeris ? Putasne brevi immittere vasculo mare totum?.




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