Alla
morte del re di Cipro Giacomo II Lusignano (7 luglio 1473), il re di
Napoli Ferrante (Ferdinando I) d'Aragona pretese il possesso
dell'isola di cui era rimasta reggente – sotto tutela della
Serenissima - la vedova di Giacomo II, la veneziana Caterina Cornaro.
Sull'isola accampavano diritti per varie ragioni anche gli Sforza, i
Gonzaga ed i Savoia. Ferrante, col progetto di far sposare suo
figlio Alfonso con Ciarla, figlia illegittima del defunto re, tentò
di impadronirsi dell'isola con un colpo di mano – più o meno
apertamente appoggiato da papa Sisto IV - ad opera della fazione
filoaragonese locale (14 novembre 1473) represso dal pronto
intervento della flotta veneziana (1).
Questa
manovra di Ferrante determinò la rottura definitiva dell’amicizia
tra Napoli e Venezia, che si era rivelata proficua e vantaggiosa per
entrambe.Così nel 1480 la Serenissima, preoccupata dalle mire espansionistiche di Ferrante in Egeo,inviò a Costantinopoli un'ambasceria offrendo alla Sublime Porta una sorta di patto di nulla osta nel caso di una iniziativa turca sulle coste del Regno di Napoli nel Basso Adriatico.
Maometto II non si fece scappare l’occasione di attraversare indisturbato l’Adriatico (la flotta napoletana era schierata soprattutto nel Tirreno a causa di una lunga guerra contro Genova) ed ai primi di giugno raccolse a Valona un corpo di spedizione forte di diciottomila uomini, 140 vele, 60 galeotte e 40 maoni sotto il comando di Ahmed Pascià.
Impegnato nella conquista della Toscana, e all’oscuro degli accordi tra turchi e veneziani, Ferrante si limitò a munire di presidio le città della costa adriatica, specialmente Otranto. Qui furono poste cento lance e due guarnigioni comandate dai capitani Francesco Zurlo e Giovanni Antonio De Falconi.
Il 29 luglio la flotta ottomana fece la sua comparsa nelle acque di Otranto.
In mancanza di sufficienti mezzi per difendersi (la città era completamente sprovvista di artiglierie) le autorità militari, dopo aver fatto entrare il maggior numero di vettovaglie e animali da macello dal circondario, ordinarono l'abbandono del borgo e la ritirata nella cittadella fortificata, di cui vennero sprangate le porte, e distribuirono le armi alla popolazione civile che affiancò la guarnigione nella difesa delle mura.
I Turchi sbarcarono sul litorale senza incontrare resistenza poco a nord di Otranto – in una località che ancora oggi porta il nome di Baia dei turchi. Ahmed Pascià inviò dei messi che comunicarono alle autorità civili e militari la volontà di Maometto II di diventare padrone di Otranto, insieme all’offerta di avere la possibilità di lasciare sani e salvi la città se si fossero arresi senza combattere. L’assemblea dei cittadini di Otranto respinse l’offerta e il maggiorente Ladislao De Marco gettò in mare le chiavi delle porte della cittadella per ribadire la determinazione degli idruntini a combattere. La guarnigione spagnola inviata in rinforzo invece disertò, calandosi nottetempo giù dalle mura con delle funi.
Per tutti i primi dieci giorni di agosto la città fu battuta giorno e notte dall’artiglieria turca. Già all’alba del secondo giorno i turchi aprirono una breccia nelle mura a est, ma il loro assalto fu respinto dai cittadini in armi (duecento idruntini morirono negli scontri). Dalla stessa breccia i turchi provarono a passare il giorno dopo, ma furono, a costo di altri cento morti tra i difensori, nuovamente respinti.
Al quindicesimo giorno di assedio, Ahmed Pascià, dopo un ultimo massiccio bombardamento, ordinò l'attacco generale.
Il capitano Zurlo accorse alla breccia con il figlio al fianco e al comando di una squadra di uomini per tentare una estrema resistenza. Ma il numero dei soldati turchi era soverchiante e tutti furono massacrati. A dare manforte accorse poco dopo il capitano De Falconi con una squadra di cittadini, che resistettero difendendo palmo a palmo il terreno e, raccontano le cronache, facendo strage di nemici. Ma anche loro furono sopraffatti. Il giorno dopo i turchi dilagarono in città, saccheggiando le case e uccidendo chiunque si trovasse per strada. I superstiti ripiegarono verso la cattedrale, dove si erano rifugiate donne e bambini, con i preti e l’ottantenne arcivescovo della città Stefano Pendinelli. L'ultima linea di difesa, schierata a protezione dell'ingresso principale, fu travolta ed i turchi, entrati in chiesa con i cavalli, trovarono l'arcivescovo seduto sulla sua cattedra, che li invitò a convertirsi. Come risposta, un colpo di scimitarra gli troncò la testa.
Fatte schiave le donne e i bambini superstiti, il resto degli idruntini presenti nella Cattedrale e rastrellati per le strade furono tenuti prigionieri una notte nei sotterranei del castello, dove Ahmed Pascià aveva stabilito il suo quartier generale. Giovanni Momplesi, un prete calabrese passato al servizio degli ottomani, comunicò ai prigionieri che se avessero accettato di diventare sudditi di Maometto II e di abbracciare la fede musulmana sarebbero stati rimessi in libertà insieme alle proprie famiglie. Solo poche decine accettarono di apostatare la fede cristiana.
Il giorno seguente, 14 di agosto, Ahmed Pascià volle sentire il rifiuto con le proprie orecchie e, recatosi nei sotterranei, intimò a Momplesi di ripetere l'ultimatum: O la vita col Corano, o la morte col Vangelo. Un conciatore di panni e ciabattino, Antonio Pezzulla detto il Primaldo, si fece avanti e con un breve discorso invitò i suoi concittadini a “piuttosto mille volte morire con qual si voglia morte che di rinnegar Cristo”.
Gli 800 prigionieri (tutti uomini dai quindici anni in sù) furono portati in catene sul colle della Minerva, a poche centinaia di metri. Lì, su una grande pietra, conservata ancora oggi sotto l’altare della Cattedrale di Otranto, furono decapitati uno dopo l’altro. Il racconto che ci è pervenuto vuole che il corpo di Primaldo, che Ahmed Pascià ordinò di decapitare per primo, dopo che la testa venne spiccata dal busto, diventasse rigido come la pietra e restasse in piedi, nonostante i tentativi dei turchi di gettarlo in terra. Fino alla ottocentesima decapitazione. Poi anche il corpo del conciatore si accasciò.
In ottobre, probabilmente
per la difficoltà di approvvigionare via mare un esercito così
numeroso, Ahmed Pascià ripiegò su Valona con il grosso delle
truppe, lasciando a difendere la città un presidio di 800 fanti e
500 cavalieri.
L'8 settembre 1481 la città
fu riconquistata dalle armi cristiane al comando del duca di Calabria
Alfonso d'Aragona appoggiate dalla flotta pontificia. Il duca trovò
una città ridotta ad un cumulo di macerie la cui popolazione era
ridotta a soli 300 abitanti. I corpi dei Martiri di Otranto, rimasti senza sepoltura
sul colle della Minerva per un anno e ritrovati in
gran parte incorrotti, furono recuperati e riposti in una chiesa
oggi non più esistente da cui furono successivamente traslati nella
Cattedrale, dove - in una cappella a loro dedicata ricavata nell'abside di destra - sono attualmente custoditi (2).
Cappella dei Martiri (3)
Dichiarati beati da papa
Clemente XIV nel 1771, il 26 maggio 2013 i Martiri di Otranto sono
stati canonizzati da papa Francesco.
Note:
(2) Alfonso d'Aragona –
figlio primogenito del re Ferrante e della sua prima moglie Isabella
di Chiaromonte che sarà re di Napoli per un anno circa tra il 1494
ed il 1495 – fece traslare a Napoli circa duecento corpi dei
martiri che attualmente sono custoditi in una cappella della chiesa
di Santa Caterina a Formiello. Sul luogo del martirio il duca
fece costruire la chiesa di Santa Maria dei Martiri (ancora
esistente ma completamente ricostruita nel XVII secolo). A metà
strada tra la città ed il colle della Minerva venne invece edificata
nel XVI secolo la chiesa di Santa Maria del passo per
ricordare il passaggio dei martiri.
(3) Secondo la leggenda, la statua lignea della Madonna con Bambino oggi posta sull'altare della cappella dei Martiri nella cattedrale idruntina che si vede nella fotografia, creduta d'oro massiccio, venne trafugata dai turchi durante il sacco della città e trasportata a Valona. Accortisi che era soltanto ricoperta a foglia d'oro, sarebbe stata gettata nella spazzatura dove la raccolse una schiava idruntina che ottenne dalla sua padrona il permesso di rimandarla ad Otranto quando questa partorì felicemente grazie alle sue preghiere. Caricata su una piccola imbarcazione senza vele e senza equipaggio, la statua arrivò miracolosamente ad Otranto dove fu accolta nella cattedrale.
Filmografia:
Adriano Barbano, Otranto 1480, 1980
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