Una leggenda vuole la chiesa legata al passaggio da Otranto dell'apostolo Pietro in viaggio verso Roma. Secondo alcune fonti sarebbe inoltre stata la prima sede della cattedra vescovile idruntina.
Ha una pianta a croce greca inscritta quasi quadrata ed è presumibilmente databile tra la fine del IX e la metà del X secolo, comunque molto prima della conquista normanna della città (1068).
In origine presentava anche un ingresso laterale ubicato sulla destra al quale era addossata una struttura absidata (costruito non molto tempo dopo l'edificio originario) in funzione di parekklesion.
Il santuario è tripartito con absidi semicircolari aggettanti all'esterno. La cupola centrale – priva di tamburo - è impostata su quattro colonne ed è traforata da quattro aperture (modificate in età barocca). Il pulvino è ricavato semplicemente scolpendo le estremità delle arcate sovrastanti, dando comunque slancio alle colonne.
La decorazione parietale originaria sopravvive soltanto nella volta della prothesis nelle scene dell'Ultima cena e della Lavanda dei piedi e, forse, nelle due figure superstiti degli evangelisti raffigurati nei pennacchi della cupola.
Ultima cena: da notare la prospettiva gerarchica, le proporzioni delle figure diminuiscono di grandezza a partire dal Cristo fino a Giuda che è quella più piccola ed il parapetasma – la tenda attorcigliata al bastone - che fa da sfondo alla scena.
L'Ultima cena
Lavanda dei piedi: l'iscrizione in caratteri greci riporta – pur con molti errori – il passo di Giovanni (XII, 8-9): Pietro gli disse: «Non mi laverai mai i piedi!» Gesù gli rispose: «Se non ti lavo, non hai parte alcuna con me». E Simon Pietro: «Signore, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo!».
Da notare l'apostolo rannicchiato a terra come se si stesse slacciando i calzari.
La Lavanda dei piedi
Secondo alcuni studiosi questi affreschi mostrerebbero delle forti affinità stilistiche con quelli realizzati dal pittore Teofilatto nella cripta di Santa Cristina a Carpignano (959).
La
vergogna dopo il peccato: nell'imbotte del braccio settentrionale
della croce è raffigurato in forma abbreviata il ciclo della Genesi.
L'albero con il serpente attorcigliato allude all'antefatto della
scena della Vergogna dopo il peccato, con i Progenitori nudi
davanti a Dio padre, che è invece rappresentata per esteso.
Battesimo:
è rappresentato nell'imbotte del braccio meridionale. Cristo è
dritto quasi fosse in croce (prefigurazione della morte e
resurrezione) mentre la figura del Battista, oggi scomparsa, doveva
probabilmente trovarsi a sinistra del Cristo. Gli angeli hanno le
mani velate del velo omerale (la stola liturgica che copre
spalle e braccia e che il sacerdote usa quando benedice il popolo con
il Santissimo a significare l'impossibilità di toccare con mani
impure ciò che è santo).
Secondo
la Falla Castelfranchi questi affreschi sarebbero riconducibili allo
stile comneno del tardo XII secolo (1).Nel catino absidale è dipinta la Vergine in posizione di orante che tiene il Bambino benedicente tra le ginocchia ed è affiancata da due angeli inginocchiati. L'affresco è da attribuire al 1540, come recita la data dipinta sotto di esso, ma ripete probabilmente uno schema iconografico già presente in precedenza. Dunque non una Theotokos, cioè una Vergine con Bambino, bensì un’orante: questa precisa scelta va forse posta in relazione alla presenza di un’icona della Vergine attestata dalla fine dell’XI sec. nelle Vite di S.Nicola Pellegrino che, a giudicare da un sigillo dell’arcivescovo di Otranto, Gionata, lo stesso menzionato nel celebre pavimento musivo della cattedrale, presentava probabilmente l’immagine di una Vergine orante, iconografia mariana d’origine paleocristiana che ebbe grande fortuna anche in epoca mediobizantina.
Lungo l'arco absidale scorre un'iscrizione in caratteri pseudo cufici bianchi su fondo azzurro lapislazzuli (2). Ai lati dell'abside, ricoperti da strati di pittura più recente, si notano i resti dell'Annunciazione che apriva il ciclo cristologico.
Parete ed emivolta sinistra del bema
Sulla parete sinistra del
bema è raffigurata l'Anastasis e sui due versanti della volta gli
Apostoli a gruppi di sei per lato (raffigurazione della Pentecoste?).
Sulla parete destra del bema, molto deteriorata, è raffigurata la scena della Natività.
Questi affreschi mostrerebbero l’adesione ai canoni della pittura bizantina d’epoca paleologa, in particolare, secondo la Falla Castelfranchi (La Chiesa di san Pietro ad Otranto, in Puglia preromanica: dal V secolo agli inizi dell'XI, pagg. 181-192, Milano 2004) la supposta Pentecoste, con le sue figure monumentali avviluppate in panneggi volumetrici antichizzanti, presenterebbe significative assonanze con il celebre ciclo di affreschi del monastero della SS. Trinità di Sopočani in Serbia (1265).
Questi affreschi mostrerebbero l’adesione ai canoni della pittura bizantina d’epoca paleologa, in particolare, secondo la Falla Castelfranchi (La Chiesa di san Pietro ad Otranto, in Puglia preromanica: dal V secolo agli inizi dell'XI, pagg. 181-192, Milano 2004) la supposta Pentecoste, con le sue figure monumentali avviluppate in panneggi volumetrici antichizzanti, presenterebbe significative assonanze con il celebre ciclo di affreschi del monastero della SS. Trinità di Sopočani in Serbia (1265).
A sn. gli Apostoli dipinti nella chiesa di San Pietro, a ds., particolare della Dormizione della Vergine dipinta nella chiesa di Sopočani
Note:
(1) Questa fase tardocomnena della decorazione parietale
potrebbe essere attribuita ad un pittore idruntino, Paolo, di cui
riporta significative notizie un carme di Nicola-Nettario, il
celebre igumeno (1220-35 ca.) del monastero bizantino di S.Nicola di
Casole, ubicato a breve distanza dalla città, che aveva dipinto la
phiale (fontana liturgica posta nell’atrio) di uno dei più
importanti monasteri di Costantinopoli, quello della Theotokos Evergetis, intorno al 1200.
(2) L'iscrizione, rimasta leggibile solo in parte, non sembra comunque avere un senso compiuto ma soltanto un mero valore decorativo (cfr. Franco dell'Aquila, Il cufico in Puglia).
(2) L'iscrizione, rimasta leggibile solo in parte, non sembra comunque avere un senso compiuto ma soltanto un mero valore decorativo (cfr. Franco dell'Aquila, Il cufico in Puglia).
Molto interessante, non la conoscevo e mi ha fatto veramente piacere leggere questa interessante esposizione!
RispondiEliminaStupendo monumento
RispondiEliminaVisitato ieri. Ho trovato una certa assonanza con gli affreschi della chiesa rupestre di san Giovanni in Monterrone a Matera.
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