Nellla Costantinopoli del 1096-1097, mentre l'esercito crociato diretto in Terrasanta è minacciosamente accampato alle sue porte, il “risolutore di misteri” Demetrios Askiates è incaricato dal parakoimomenos, l'eunuco Krysafios, d'investigare su un fallito attentato alla vita dell'imperatore Alessio I Comneno.
I quartieri e gli edifici costantinopolitani coinvolti nello svilupparsi della trama sono descritti con accuratezza e precisione documentaria così come i fatti realmente accaduti all'epoca in cui è ambientata ed i personaggi realmente esistiti che compaiono nel romanzo.
Personaggi storici che compaiono nel romanzo
Isacco Comneno: valente generale
nonché fratello maggiore dell'imperatore Alessio I (1081-1118), ricopriva
la carica di sebastocratore, istituita appositamente per lui
dall'imperatore subito dopo il suo insediamento (1081). In realtà si
trattava più propriamente di un titolo nobiliare (che divenne il
primo della gerarchia bizantina precedendo quello di cesare)
che non implicava però alcuna diretta responsabilità di governo.
Sposato con Irene di Georgia, rimase sempre fedele al fratello non
insidiandone mai la posizione. Morì, dopo aver preso gli abiti
monacali con il nome di Giovanni, tra il 1102 ed il 1104. Nel romanzo
la sua residenza in città è il cosiddetto Palazzo di Botaniate (cfr. scheda Il quartiere veneziano di Costantinopoli).
Alessio I Comneno
da un manoscritto miniato
della Panoplia dogmatica di Eutimio Zigabeno commissionato dallo
stesso imperatore.
Biblioteca Apostolica
Vaticana, cod. Vat. gr. 666, f. 2v.
Ugo La Maisnè (Il
Minore) conte di Vermandois: fratello minore del re
di Francia Filippo I (1060-1108) riuscì ad ottenere un feudo
sposando un'ereditiera (Adelaide, contessa di Vermandois). Fu il primo dei baroni crociati a raggiungere
Costantinopoli nel novembre del 1096. Imbarcatosi a Bari per
raggiungere Durazzo s'imbattè in una terribile tempesta che colò a
picco diverse navi. Prima di imbarcarsi aveva inviato all'imperatore
un messaggio molto insolente “Sappi, imperatore,
che io sono il re dei re e il più grande di tutti coloro che stanno
sotto il cielo, ed è opportuno venirmi subito incontro al mio arrivo
e ricevermi in maniera magnifica e degna della mia nobiltà”.
Da Durazzo, scortato dai bizantini,
raggiunse Costantinopoli seguendo la via Egnatia. Qui giunto fu ben
accolto da Alessio che lo ricoprì di doni ottenendone in cambio il
giuramento di vassallaggio secondo il rituale del feudalesimo
occidentale.
Ugo di Vermandois
dall'edizione miniata della
Chronica regia coloniensis, 1240 c.ca
Biblioteca reale di
Bruxelles.
Il conte di Vermandois fu quindi
inviato da Alessio al campo crociato per richiedere ai baroni il
giuramento di vassallaggio, conditio sine qua non per
concedere loro le navi per traghettare l'esercito in Asia Minore.
Dopo un iniziale sdegnato rifiuto (Goffredo di Buglione era tra
l'altro già legato all'imperatore Enrico IV dal patto di
vassallaggio) Goffredo e gli altri baroni accettarono di giurare,
impegnandosi a consegnare all'imperatore i territori un tempo
bizantini che avrebbero strappato ai turchi.
Baldovino di Boulogne: fratello
minore di Goffredo di Buglione, duca della Bassa Lorena, partecipò
alla crociata al seguito del fratello con lo scopo di crearsi un
proprio dominio. Nel romanzo viene infatti apostrofato dal conte di
Vermandois come Baldovino di nessun luogo proprio perchè non
possedeva un feudo. Alla morte del fratello sarà incoronato primo re
di Gerusalemme (1100).
Poco più che citati nella narrazione sono anche il cesare Niceforo Briennio, marito della primogenita dell'imperatore Anna Comnena e Tatikios, il generale eunuco che guiderà il contingente bizantino che affiancherà i crociati fino all'assedio di Antiochia.
Episodi storici citati nel romanzo
La rivolta di Urselio: Urselio (o
Roussel de Bailleul) era un avventuriero normanno, che, giunto in
Italia al seguito di Roberto il Guiscardo, aveva combattuto contro i
musulmani in Sicilia, e poi verso il 1069 o il 1070 si era arruolato
come mercenario al servizio dell’impero bizantino nella lotta
contro i Peceneghi. Nel 1071 aveva combattuto in Asia Minore al
servizio di Romano IV Diogene contro le incursioni turche. Dopo
l'ascesa al trono di Michele VII Ducas (1071) si era ribellato dando
luogo ad un tentativo di usurpazione e conquistando diverse città
(1073). Michele VII inviò contro il ribelle vari generali (tra cui
lo stesso cesare Giovanni Ducas e suo figlio Andronico, che furono,
peraltro, battuti) e infine ricorse all’aiuto dell'emiro turco
Artuk che, invitato l'usurpatore ad un banchetto lo fece imprigionare
a tradimento e, dietro un forte compenso, lo consegnò al generale
Alessio Comneno - il futuro imperatore Alessio I - che era stato
inviato da Michele VII per reprimere la ribellione. Condotto a
Costantinopoli e incarcerato (1075), Urselio venne in seguito
liberato per poter combattere al fianco di Alessio Comneno contro
altri usurpatori, quali Niceforo Briennio senior.
La crociata dei pezzenti: Dopo
l'appello alla crociata per la liberazione della Terrasanta (Deus
vult!) lanciato il 27 novembre 1095 al Concilio di Clemont da
papa Urbano II, un monaco di Amiens, sino allora vissuto in
eremitaggio e noto come Pietro l'eremita, iniziò a predicare la
crociata nelle regioni francesi del Berry,
spostandosi successivamente verso est in Lorena, Orleans, Champagne e
Renania. Raccolto un esercito di circa 15.000 pellegrini, in gran
parte formato da contadini analfabeti a cui si unì un discreto
numero cavalieri tra cui Gualtieri Senza Averi, raggiunse la città
di Colonia nell'aprile del 1096 dove l'armata fu ingrossata dai
pellegrini raccolti da altri predicatori.
Pietro l'eremita mostra ai crociati la via per Gerusalemme
da una miniatura del Roman du chevalier au cigne, 1270
manoscritto 3139
BNF
L'esercito crociato si divise in due colonne, la prima, guidata da Gualtieri Senza Averi, partì da Colonia il 19 aprile e, dopo aver attraversato l'Ungheria e la Bulgaria, raggiunse Costantinopoli dopo due mesi di marcia. Il primo di agosto fu raggiunta dalla colonna guidata da Pietro l'eremita e forte di 30.000 uomini. Accampati alle porte della città, i pellegrini si accinsero ad attendere gli eserciti dei nobili ma l'imperatore, preoccupato dal saccheggio delle campagne ad opera dei crociati in cerca di cibo, preferì liberarsi di questa ingombrante presenza traghettandoli dall'altra parte del Bosforo (6-8 agosto) ed assegnando loro il campo di Kibotos (Civetot per i latini) a meno di un giorno di marcia da Nicea. Qui Pietro perse il controllo della situazione non riuscendo a trattenere i crociati che iniziarono a compiere incursioni in territorio selgiuchide e fece ritorno a Costantinopoli per chiedere aiuto e consiglio all'imperatore.
Il campo di Civitot
Nel frattempo un contingente
di circa 6.000 crociati tedeschi e italiani, eletto al comando un
certo Rainaldo, occupò una fortezza abbandonata – il castello di
Xerigordon – a solo tre miglia da Nicea, pensando di utilizzarla
come base per attaccare la città.
Il 29 settembre l'esercito
selgiuchide strinse d'assedio la fortezza che rimase priva di
rifornimenti d'acqua. Dopo otto giorni Rainaldo si arrese avendo
salva la vita in cambio dell'abiura del cristianesimo.
Giunta la notizia che
l'esercito turco si stava avvicinando a Civitot, contro il parere
degli altri comandanti, Goffredo Burel persuase i crociati ad andare
incontro al nemico.
Il 21 ottobre l'esercito
crociato, forte di oltre 20.000 uomini, a sole tre miglia dal campo
di Civitot, cadde in un'imboscata tesagli dal sultano selgiuchide.
Mentre marciavano senza precauzioni in una stretta valle boscosa i
crociati furono bersagliati dagli arcieri turchi protetti dalla
boscaglia mentre la cavalleria incalzata dai turchi fu rigettata
sulla fanteria che la seguiva determinando una disordinata ritirata
verso il campo di Civitot dove erano rimasti soltanto donne, vecchi e
bambini. Qui si consumò l'eccidio, soltanto tremila uomini, guidati
da Goffredo Burel riuscirono a trincerarsi in una fortezza
abbandonata lungo la costa e a resistere fino all'indomani quando
furono tratti in salvo a Costantinopoli dalla squadra navale inviata
in soccorso dall'imperatore.
La Guardia
Variaga: con il termine “variago” -
che in lingua norrena significa all'incirca “legato da giuramento
di fedeltà” - i bizantini chiamavano i vichinghi e più in
generale le popolazioni provenienti da Thule, espressione vaga che
indicava le terre del Nord.
Il corpo della
Guardia Variaga (Τάγμα των
Βαραγγίων)
fu istituito come guardia personale dell'imperatore da Basilio II nel
988. Il primo nucleo di questo corpo d'elite fu costituito da 6000
guerrieri inviati all'imperatore da Vladimir I di Kiev in osservanza
di una clausola del trattato di pace russo-bizantino stipulato da suo
padre nel 971.
Nel
989, al comando dello stesso imperatore, la Guardia Variaga debellò
la rivolta di Barda Foca e successivamente si distinse per fedeltà e
valore nelle campagne di Georgia e Armenia.
Il comandante della
Guardia aveva il grado di Aκόλουθος (letteralmente “Colui
che segue”) e aveva il compito di vigilare sulla persona
dell’Imperatore stando al suo fianco nelle occasioni ufficiali in
qualità di guardia del corpo.
Per più di cento anni il
reclutamento nelle file della Guardia Variaga fu appannaggio di
uomini provenienti dalla Nazione Vichinga. All’originale nucleo di
soldati Rus, molto presto cominciarono ad unirsi uomini provenienti
da tutto il Nord ed Est Europa: i primi furono Scandinavi di Norvegia
e Svezia, seguiti da quelli d’Islanda.
Servire fra i Variaghi era
considerato un onore che veniva tramandato di padre in figlio, e non
era raro che fra loro vi militassero Principi e figli di importanti
condottieri.
Arma caratteristica della
Guardia Variaga era l'ascia da battaglia vichinga con un manico molto
lungo (120-150 cm.) che veniva impugnata a due mani. Anna Comnena
nell'Alessiade li definisce infatti pelekyphoroi barbaroi
(barbari portatori di ascia).
A partire dall'XI secolo
la composizione etnica della Guardia Variaga cambiò radicalmente.
Nel 1066 il normanno Guglielmo il Conquistatore sconfisse il re
anglosassone Aroldo II nella battaglia di Hastings insediandosi sul
trono d'Inghilterra (1). In conseguenza di questa sconfitta molti
profughi anglosassoni si rifugiarono nell'impero bizantino
arruolandosi nella Guardia Variaga per poter combattere i Normanni.
Graffito in lettere runiche ritrovato a Costantinopoli su una balconata della chiesa di Santa Sofia ed attribuito ad un soldato variago del IX sec.(2)
Nel 1018 la Guardia
Variaga, inviata nel thema di Longobardia agli ordini del catepano
Basilio Boiannes, fu decisiva nel determinare la fine della rivolta
di Melo, il cui esercito, formato da truppe longobarde e mercenari
normanni, fu duramente sconfitto nella battaglia di Canne (1 ottobre
1018).
Raggiunse l'apice della
sua fama sotto il comando di Harald Sigurdsson (1034-1041) (3) detto
Hardrada (lo Spietato) che successivamente diverrà re di
Norvegia con il nome di Harald III.
Aggregata al corpo di
spedizione comandato dallo strategos autokrator Giorgio Maniace nella
campagna del 1038-1040 che riconquistò provvisoriamente ai bizantini
parte della Sicilia orientale, si distinse per il valore mostrato sui
campi di battaglia (in particolare le saghe nordiche attribuiscono ad
Hardrada e alla Guardia gran parte dei successi ottenuti da Maniace
contro gli arabi di Sicilia) che meritò al suo comandante il
conferimento del titolo di manglavite (4).
Nel 1204, quando i
crociati conquistarono Costantinopoli, la Guardia Variaga, la cui
fedeltà all'imperatore era divenuta leggendaria, fu l'unico reparto
dell'esercito bizantino a battersi fino all'ultimo uomo. Dopo questa data,
nelle fonti scritte, si trovano solo vaghi accenni ad una ipotetica
rifondazione del corpo nell'Impero niceno, di certo non c'è traccia
di questa unità nelle cronache dell'assedio di Costantinopoli del
1453.
Gli Immortali:
ispirandosi al celebre corpo d'elite dell'esercito persiano
dell'antichità, l'imperatore Giovanni I Zimisce (969-976), nel corso
della campagna contro i Rus' del principe Svjatoslav I
di Kiev (971), istituì con questo nome un corpo speciale di
cavalleria. Durante il regno di Michele VII Ducas (1078-1090), su
iniziativa del logoteta, l'eunuco Niceforitza, l'unità fu
ricostituita.
Tzangra: è il nome con cui i
bizantini indicavano la balestra. Quest'arma rimase praticamente a
loro sconosciuta fino all'arrivo dell'esercito crociato nel 1096.
Nelle fonti scritte questo termine compare per la prima volta
nell'Alessiade di Anna Comnena che la descrive come un arco
barbaro assolutamente sconosciuto ai Greci, impiegato dai
Normanni di Riccardo di Salerno in uno scontro navale con la marina
bizantina, che li aveva scambiati per pirati ed attaccati, mentre
traversavano l'Adriatico per unirsi sull'altra sponda all'esercito
crociato.
L’origine etimologica e fonetica del
termine risale probabilmente al francese cancre/chancre (granchio,
gambero), nome comunemente usato dai soldati per la balestra che, per
la sua forma, richiama appunto le chele di un gambero o di un
granchio.
Note:
(1) Nel romanzo i
variaghi di origine anglosassone si riferiscono a lui chiamandolo il
bastardo perchè
era figlio illegittimo di Roberto I di Normandia.
(2) Un'altra incisione in lettere runiche, anch'essa attribuita a soldati della Guardia Variaga si trova sul Leone del Pireo oggi all'ingresso dell'Arsenale di Venezia.
(2) Un'altra incisione in lettere runiche, anch'essa attribuita a soldati della Guardia Variaga si trova sul Leone del Pireo oggi all'ingresso dell'Arsenale di Venezia.
(3)
Non casualmente nel romanzo, il comandante della Guardia Variaga che
affianca il protagonista nelle sue indagini ha il nome di Sigurd.
(4) In origine i manglavites erano
un'unità speciale della guardia imperiale, i cui membri avevano il
compito di aprire davanti all'imperatore alcune porte del sacro
palazzo e di precederlo nelle processioni facendogli largo tra la
folla maneggiando una sorta di clava (il manglavion, la cui
etimologia deriva probabilmente dalla fusione delle parole latine
manus e clava). Successivamente divenne un titolo onorifico che - come molti altri titoli di corte - veniva conferito a
persone che non avevano nulla a che fare con questo ufficio.
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