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venerdì 31 agosto 2018

La chiesa della Vergine del Faro, Costantinopoli

La chiesa della Vergine del Faro, Costantinopoli

Compare nelle fonti scritte per la prima volta nel 768, in relazione al fidanzamento di Leone IV con Irene l'Ateniese che vi fu celebrato, e fu fatta costruire probabilmente da Costantino V (741-775). Michele III (842-867), dopo la fine dell'Iconoclastia, la fece restaurare e ridecorare in maniera sontuosa. Fu quindi nuovamente consacrata nell'864.
In questa chiesa, la notte di Natale dell'820, mentre cantava gli inni isieme ai monaci, fu assassinato l'imperatore Leone V. Ed è molto probabilmente questa la chiesa molto ricca che si trovava all'interno del Palazzo (Goffredo di Villehardouin, De la Conquête de Constantinople) in cui il 9 maggio del 1204 avvenne l'elezione del primo imperatore latino, Baldovino di Fiandre (1204-1205).
La chiesa fu saccheggiata e devastata durante l'occupazione latina e molto presumibilmente mai più rimessa in funzione giacchè, dopo questa data, scompare completamente dalle fonti. Non sono state trovate le sue rovine e la sua posizione può essere presunta soltanto in base ad indicazioni reperibili nelle fonti scritte.
La chiesa si trovava probabilmente in quella parte del Gran Palazzo a cui i latini fanno riferimento con il nome di Palazzo Bucoleone, su un alto terrazzamento in prossimità del faro. Era fiancheggiata da due cappelle, una dedicata ai santi Elia e Clemente, fatta edificare da Basilio I (867-886), e l'altra a San Demetrio, fatta edificare da Leone VI (886-912) con cui comunicava per mezzo di una porta.

La chiesa della Vergine del Faro è contrassegnata nella pianta dal n.38, al n.37 corrisponde la cappella di San Demetrio ed al n.39 quella dei santi Elia e Clemente. Il faro è contrassegnato dal n.42   

La decima omelia del patriarca Fozio (858-867 e 877-886), tenuta nell'864 in occasione della sua riconsacrazione, contiene una dettagliata descrizione della chiesa.
Aveva una pianta a croce greca inscritta e presentava tre navate sopravanzate da nartece e terminate ad est da tre absidi, con una cupola impostata su quattro colonne. Doveva essere di dimensioni piuttosto ridotte (Antonio di Novgorod, Libro del pellegrino) ed era preceduta da un atrio.
La sua caratteristica principale era la magnificenza delle sue decorazioni.
Era così ricca e nobile che non c'era cardine o modanatura o qualsiasi altro particolare che non fosse di argento massiccio, e non c'era colonna che che non fosse di diaspro o di porfido o di qualche altra smagliante pietra preziosa (Rober de Clari, La Conquête de Constantinople).

Il programma iconografico: si trattava del primo programma iconografico realizzato dopo la fine del periodo iconoclasta. Nella cupola era raffigurato a mosaico il Cristo Pantokrator al di sotto del quale Fozio descrive delle schiere di angeli mentre nel catino absidale si trovava la Vergine in posizione di orante.

Dall'864 fino al 1204 fu il luogo di raccolta delle più importanti reliquie della Cristianità. Al disprezzo per le reliquie che caratterizzò il periodo iconoclasta, fece infatti seguito una intensa opera di recupero delle stesse soprattutto nei territori occupati dai miscredenti. Opera di raccolta che fu sostenuta in particolare dalla dinastia macedone (867-1056) che intraprese numerose e spesso vittoriose guerre ai confini orientali dell'impero.
Nella chiesa della Vergine del Faro furono depositate soprattutto le reliquie legate alla Passione di Cristo. Nel 1200 c.ca Nicola Mesarites (1), all'epoca skeuophylakion (custode degli arredi) della chiesa, poteva compilare un decalogo delle più importanti dieci reliquie della Passione ivi conservate che risultava così composto:
1. La corona di spine
2. Un chiodo della crocefissione
3. Il sudario di Cristo
4. I sandali di Cristo
5. Un frammento della pietra tombale
6. La tovaglia di lino usata dal Cristo per asciugare i piedi degli apostoli dopo la Lavanda
7. La sacra lancia di Longino
8. Il manto di porpora che i soldati romani fecero indossare a Gesù.
9. La canna che posero nella sua mano destra a mò di scettro
10. I ceppi con cui fu incatenato.


Note:

(1) Nato probabilmente nel 1163-1164 da una famiglia dell'aristrocrazia costantinopolitana, Nicola Mesarites compare per la prima volta nel 1200, durante il fallito golpe di Giovanni Auxuch Comneno detto il Grosso ai danni di Alessio III Angelo, di cui ci ha lasciato una testimonianza diretta giacchè il suo ruolo di skeuophylakion della chiesa palatina della Vergine del Faro gli conferiva un punto d'osservazione privilegiato degli eventi. Oltre all'elenco delle reliquie della Passione ivi contenute e alla narrazione del tentato golpe, nel periodo in cui ricoprì questa carica compose anche un'ecfrasi della chiesa dei Santi Apostoli – scritta probabilmente tra il 1198 ed il 1203 su esortazione del patriarca Giovanni X Camatero - che costituisce a tutt'oggi una delle fonti principali per ricostruirne l'aspetto.
Dopo la presa di Costantinopoli ad opera dei crociati(1204), Mesarite rimase inizialmente in città divenendo uno dei portavoce della popolazione greco-ortodossa. In questa veste nel 1206, assieme al fratello Giovanni, partecipò a un incontro tra il clero ortodosso e le nuove autorità latine, rappresentate dal Patriarca Latino di Costantinopoli, il veneziano Tommaso Morosini e dal legato papale, il cardinale di Santa Susanna Benedetto.
Dopo la morte del fratello (1207) lasciò Costantinopoli per raggiungere l'Impero niceno dove intorno al 1213 fu nominato metropolita di Efeso ed esarca della chiesa d'Asia. In virtù della sua carica nel 1214-1215 fu a capo di una delegazione inviata a Costantinopoli per trovare un accordo con il nuovo legato papale, il cardinale Pelagio Galvani.
Nel 1216 officiò le nozze tra la figlia maggiore dell'imperatore niceno Teodoro I Laskaris, Irene, e Andronico Paleologo. Non è nota la sua data di morte.


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