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domenica 4 marzo 2018

Le terme di Cellomaio e la chiesa di San Pietro apostolo, Albano

Le terme di Caracalla

Vennero fatte costruire sul lato occidentale dei castra albana da Caracalla (211-217), forse per ingraziarsi i legionari della II Parthica in subbuglio dopo l'assassinio del fratello e coimperatore Geta (dicembre 211). Sono note anche con il nome di terme di Cellomaio, probabile corruzione della locuzione Cella maior con cui venivano indicate per distinguerle da quelle più piccole, costruite all'interno dei castra.

 
L’impianto termale appare realizzato in opera cementizia a scaglie di peperino, ricoperta da una cortina laterizia di colore rossastro, e presenta una pianta quadrangolare, ai cui spigoli si ergono torri-contrafforti. L'alzato era articolato su tre piani, il primo con funzione di sostegno alla struttura era utilizzato come ambiente di servizio; mentre gli altri due, costituiti da stanze ampie ed ariose e da finestroni sormontati da arcate, erano decorati da mosaici ed adibiti alle attività delle terme, quali il frigidarium, il calidarium, la palestra ed altri servizi.

Inserti murari in opera saracinesca realizzati in epoca medioevale
 
L'unico ambiente rimasto integro è un'aula di 37 metri per 12 occupata fin dall'alto Medioevo dalla chiesa di San Pietro fondata durante il pontificato di Ormisda (514-523). Le rovine dell'imponente complesso termale costituirono quindi la base di un perimetro difensivo al cui interno si sviluppò il nuovo centro abitato, il castellum albanense di epoca medioevale.
 
Chiesa di San Pietro apostolo

La chiesa fu fondata molto probabilmente da papa Ormisda (514-523), o comunque sotto il suo pontificato, sfruttando – come già detto - un'aula del preesistente complesso termale. Sul lato verso Cellomaio sono ancora visibili i resti di due volte a botte che univano l'aula al complesso termale.
Nel X secolo prese il sopravvento, nel governo della Chiesa, la famiglia dei Conti di Tuscolo che succedono ai Crescenzi, ed iniziano una lunga dittatura della città di Roma e della Sede Pontificia, attraverso il cosiddetto “papato di famiglia”. Questa famiglia, originaria dei Colli Albani, estese il suo potere anche ad Albano e prese possesso anche della chiesa di San Pietro Apostolo, che passò direttamente alla sua dipendenza. L’ufficiatura venne affidata ai monaci benedettini.
 
Lato verso la via Appia
 
Nel sec. XII la chiesa subì un radicale restauro: lungo i muri perimetrali furono aperte due strette finestre con arco tondo ad oriente e cinque ad occidente. Lavori che furono rinvenuti in occasione dei restauri del 1931. In quello stesso anno i restauri scoprirono le fondazioni dell’abside, sotto i gradini dell’attuale ingresso principale, e sul muro ora di facciata si rinvennero internamente l’arcone a laterizi della stessa abside, ben riconoscibile anche all’esterno, insieme ad alcuni resti di pitture decorative risalenti al XII secolo.
Lato verso Cellomaio, su cui si nota l'impronta della volta a botte che collegava l'aula al complesso termale, e ingresso attuale della chiesa.
 
Il fronte della Chiesa “medioevale”, che si trova nell’opposta parete corta, ove è ora appoggiato l’altare maggiore, presentava esternamente, anche prima del restauro, un parametro di bolognini intercalati con filari di laterizi. Appariva coronata da un timpano con cornice a mensole di marmo e denti di sega in cotto, anch'esse scoperte nel 1931.
 
L'ingresso della chiesa mediovale
 
Nel 1440 i principi Antonio e Francesco Savelli, signori di Albano (1), acquistarono dai monaci benedettini la chiesa – di cui mantennero il patronato fino al 1697 - con l'intento di farne la chiesa palatina del vicino palazzo baronale (2). Alla fine si riservarono però soltanto la cappella dei Santi Rocco e Sebastiano dove vennero tumulati Antonello Savelli (1517) e la figlia Ersilia (1544) (3).
 
Tombe di Antonello ed Ersilia Savelli
 
Campanile:
eretto nel XII secolo e di stile romanico, presenta una pianta quadrata ed è articolato in quattro piani. Nei primi due piani si aprono finestre binate monofore ad arco tutto sesto, mentre quelle che si trovano negli altri piani sono bifore, divise invece che da colonnine, da un piedritto quadrangolare di marmo.
 
 
Le facciate del campanile appaiono inoltre riccamente decorate da inserti ceramoplastici e di marmi policromi. In corrispondenza del secondo piano del lato prospiciente la via Appia si nota inoltre la presenza di un'edicola formata da due colonnine che sostengono arco a tutto sesto, che un tempo racchiudeva i resti pittorici (oggi completamente scomparsi) di una Vergine dalle forme bizantine.
Interno:
sotto il muro in cornu evangelii si trova un affresco detto Il Santaro, risalente al XIV secolo, diviso in due zone da una fascia ondulata a fondo rosso cupo. Nella parte superiore è dipinto Sant' Onofrio anacoreta, coperto da lunghi capelli stilizzati a cordelle e una santa indicata dalla didascalia ancora leggibile come Margherita, con il fuso nella mano destra e la rocca stretta al petto dalla sinistra; la figura è parzialmente inserita in un fondo con una sgargiante cornice a disegni geometrici. In basso a destra notiamo tre cagnolini bianchi sovrapposti, che corrono verso la santa (4). La ieraticità delle figure, l’assenza di naturalismo e gli squillanti accordi cromatici dell’insieme, permettono di confrontare questa parte superiore con gli affreschi più antichi dell'Abbazia di San Nilo a Grottaferrata (1272 c.ca).
 
Santa Margherita
 
Ben diverso l’artista che dipinse la fascia inferiore ove, a fianco del Cristo Flagellato e grondante di sangue per le ferite prodotte dai flagelli dei due fustigatori laterali e rappresentati in proporzioni ridotte, compaiono la Vergine dal dolcissimo volto, con le mani protese verso il Figlio quasi voglia presentarlo ai fedeli, e Maria Maddalena in profondo dolore. La gamma cromatica, la pennellata pastosa e volumetrica rimandano in questo caso ad un artista di ambito tutto italiano a cui non è estranea la lezione del Cavallini (1240-1330).
 
La Flagellazione
 
Da notare inoltre, sulla parete destra dell'attuale controfacciata, una piccola nicchia decorata da un affresco, dove è riprodotta l’immagine della Vergine orante con in petto il medaglione recante l’effigie del Bambino. L’impianto stilistico e iconografico è tipicamente bizantineggiante. Si tratta del tipo iconografico della Vergine blacherinitissa, la Vergine del Segno: Colei che, secondo la profezia di Isaia, presenta al mondo l’avvento dell’era della salvezza nell’Incarnazione del Verbo (Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, Isaia, VII,14). Portatrice privilegiata, anzi protagonista di questo “segno”, la Vergine orante è al tempo stesso colei che intercede per gli uomini e trasmette la grazia divina.
L’immagine, nonostante sia abbastanza rovinata, lascia intravedere una figura viva della Madonna che è assisa in trono e presenta, appunto, il medaglione con l’immagine di Gesù giovinetto benedicente.
 
 
Note:
 
(1) I Savelli furono infeudati ad Albano sotto il pontificato di Onorio III (1216-1227), al secolo Cencio Savelli.

(2) Il palazzo comunicava con la chiesa per mezzo di un arco che scavalcava la via Appia e che originariamente sosteneva il condotto che conduceva l'acqua al complesso termale dalle cisterne poste sotto palazzo Savelli. Questo arco fu demolito soltanto nel 1828.

(3) Nel 1946 per isolare il campanile fu deciso l’abbattimento della cappella e le tombe principesche, con i relativi epitaffi, vennero trasportati nel vano della Chiesa: oggi sono visibili accanto all'entrata laterale della chiesa.

(4) La leggenda vuole che Santa Margherita da Cortona, vissuta nel XIII secolo, venisse guidata da un cane alla scoperta del cadavere del compagno che era stato assassinato durante una partita di caccia. Morta nel 1297 ed onorata sin da subito come beata, santa Margherita da Cortona fu tuttavia canonizzata soltanto nel 1728. La santa raffigurata nell'affresco dovrebbe quindi essere molto più probabilmente Santa Margherita di Antiochia a cui l'anonimo frescante ha sovrapposto la leggenda legata invece alla omonima santa cortonese, non ancora venerata come tale all'epoca di esecuzione dell'affresco.
 


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