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domenica 29 marzo 2015

De Andronico Costantinopolitano Imperatore di Giovanni Boccaccio

De Andronico Costantinopolitano Imperatore di Giovanni Boccaccio

Il De casibus virorum illustrium fu scritto da Giovanni Boccaccio tra il 1356 ed il 1359 e narra dei casi di 58 personaggi illustri che dall’altezza della loro condizione, per un improvviso rovescio della Fortuna, andarono in rovina. Un capitolo è dedicato all'imperatore bizantino Andronico I Comneno (1183-1185), qui riproposto nella traduzione in volgare di Giuseppe Betulsi, pubblicata a Firenze nel 1597.
Il De casibus non è in sé un'opera storica, in quanto il suo intento è quello di insegnare le virtù e biasimare i vizi ed in particolare vincere la superbia che inorgoglisce l’animo dell’uomo e infondere l’umiltà, ma tale fu considerata dai letterati contemporanei del Boccaccio. Nelle note sono state sottolineate le aderenze e le difformità della narrazione rispetto alla realtà dei fatti.

Andronico trasse la sua origine del nobil ceppo degli antichi Imperadori. Vogliono alcuni, che costui, essendo Imperadore Emanuele suo fratel cugino, per l'incesto avuto con la sorella, se ne fuggisse insieme con lei in Turchia, a fine di schivar l'ira, e la tema di Emanuele, ed ivi mentre quelli visse, se ne stesse. Altri poi dicono, che essendo giovane sediziosissimo, e che continuamente tentava cose strane, per comandamento d'Emanuele, fu prima imprigionato: indi con l'andar del tempo, dando di sé migliori speranze, fu tratto di prigione, e fatto governatore del Ponto (1). Finalmente, morto Emanuele, già vecchio, non essendo presente Andronico, e restando successor dell'Imperio un suo piccolo figliuolo chiamato Alessio, venne al governo di quello, come tutore, un altro Alessio pur suo parente (2). Il quale non solamente togliendosi la cura del fanciullo, ma usurpandosi la tirannia dell'Imperio, incominciò crudelmente adoperarsi contro i sudditi. La onde da quelli fu chiamato Andronico, il quale venendo con un esercito di Turchi, ovvero con l'armata del Ponto, facilmente occupò la città. Tagliato a pezzi il tiranno, e venutogli disìo di signoreggiare, dopo l'aver segretamente ammazzato il fanciullino Alessio, e legato in un sacco, fattolo gittare in mare, comandò che Maria sua sorella, insieme con Ranieri di Monserrato di lei marito, fossero morti (3). Indi, non essendo restato nessuno di real sangue, a cui potesse pervenire l'Imperio, eccetto un certo Isacco, a mezzo delle ferite delle sorelle, e per tanti morti, e sangue sparso, tutto sanguigno e colmo di crudeltà, ascese a Imperadore. E acciocchè l'età più matura non fosse differente dalla più acerba subito incominciò a farsi familiari tutte le sorti d'huomini scelerati, come sarebbe a dire, traditori, sacrileghi, simulatori, falsari, assassini, banditi, ed altri tali. Oltre di ciò con carezze, doni, minacce, e a forza voleva violare tutte le donne caste, e buone. Appresso i sacri chiostri delle monache faceva rompere, macchiava i letti d'adulteri, infamava la pudicizia delle vedove, e con le sue sceleratezze, bruttava tutti i luoghi. Ma quello, ch'era più infame di ogni altra cosa, poscia che aveva sfogato i suoi sfrenati appetiti, dava le pudiche donne nelle mani dei servi ad essere oltraggiate, e a viva forza corrotte. Così, con le sue iniquità, avendo macchiata la coscienza, e l'onor di tutti, rivolse il fiero animo alle ruberie. Onde, o con giusti giudizi, o con false invenzioni, e se altrimenti non poteva, con forza, e con violenza palese, non lasciava ad alcuno dei suoi cittadini i suoi beni. Per le quali tristizie parve, che la Fortuna si movesse a sdegno. Perciocché avendo il fiero huomo ultimamente rivolto il crudele animo contro Isacco, al quale già aveva perdonato, e avendolo mandato a chiamar, che venisse a lui; avvenne che Isacco s'immaginò la scelerità d'Andronico. Onde, ammazzato il messaggiero (4), si fermò in mezzo al popolo, dimandando l'aiuto de' cittadini, e ricordando loro gli oltraggi, e le villanie ricevute da Andronico. Per le quali parole facilmente mossi, presero l'armi, e innalzarono all'imperio Isacco. Indi occupata quella parte della città dove stavano rinchiusi i tesori reali, subito, assediarono Andronico tutto pieno di paura, e d'affanno. Né molto dappoi, non si potendo difendere, lo pigliarono e lo diedero nelle mani di Isacco. Il quale veggendo che aveva offeso tutto il popolo, commesse infinite scelerità, pensò come lo potesse punire, con grave e fiero tormento, di maniera che tutti restassero soddisfatti. La onde si fece menare in pubblico Andronico dinanzi, e spogliatolo delle vesti reali, gli fece cavare un occhio, e mettere una mitera di carta in capo, con la coda di un asino in mano in vece di scettro. Comandando, che fosse posto sopra un asino con la faccia verso la coda, e che ogn'uno potesse dirgli, e fargli tutto quello gli piacesse, pur che non l'ammazzassero: così fece condurre per tutta la città il sublime Imperadore. Finalmente acciocché giungesse all'alto seggio della meritata dignità, comandò che fosse condotto fuori della città, e con un laccio innalzato sopra un sublime palco. Così adunque adornato il buono Andronico, e accompagnato da una schiera di manigoldi, mentre era condotto per li borghi, veniva da ogni parte con ignominiose parole, e rei effetti circondato e afflitto dalla plebe, la quale, con gridi, non cessava d'ingiuriarlo. E come che fosse tutto carico di lezzo, di fango, di sputo, e di sterco, tuttavia dalle finestre, l'infelice era bagnato dalle donne d'orina, d'ogni altra sporcizia, che imaginar si possa, fino a tanto che giunse al destinato luogo, dove aveva a finir la misera vita col laccio. Ivi alla fine pervenuto appena vivo, fu tolto dalle mani del popolo tutto pesto da sassi, e afflitto, e ultimamente sopra le forche sospeso; così quel poco di vita che gl'era restata, fu finita da una sottil fune. Né perciò, con questa morte si terminò l'odio, che le donne in vita gli portavano, atteso che con uncini da molte fu sbranato, e tanto in quelle poteron le forze dell'odio, che mangiarono parte di quelle ree membra, ch'erano state tormentate.


Illustrazione della storia di Andronico tratta da un'edizione miniata del De casibus virorum illustrium del XV secolo conservata presso la Biblioteca Nazionale Francese (Parigi). Andronico vi compare due volte, a sinistra mentre ordina l'assassinio di Maria Comnena e Ranieri di Monferrato e di gettare a mare il corpo di Alessio II, a destra sospeso alla forca.


Note:

(1) Andronico Comneno ebbe due mogli e numerose relazioni amorose che suscitarono scandalo presso la corte comnena. Quella a cui sembra alludere il testo - incestu cum sorore habitu, nel testo latino, dove il termine soror intende probabilmente quello di soror patruelis (cugina) - che suscitò l'ira di Manuele I, e che contribuì ad attirare sul suo capo anche l'anatema del patriarca di Costantinopoli, dovrebbe essere la sua relazione con Teodora Comnena, sua cugina, figlia del fratello di Manuele, Isacco, rimasta vedova del re di Gerusalemme Baldovino III (1143-1161). Invaghitosi di lei mentre era al servizio di Amalrico I di Gerusalemme che lo aveva infeudato a Beirut in compenso dei suoi servigi, fu costretto a fuggire insieme all'amante perchè il re di Gerusalemme, alleato di Manuele, non poteva più garantirgli protezione. Insieme peregrinarono per le corti d'Oriente, soprattutto quelle turche, fino ad essere accolti dal governatore turco della città di Erzorum (l'antica Teodosiopoli) che prese a benvolere Andronico e gli affidò una cittadella fortificata nei pressi di Colonia (l'attuale Sebinkarahisar) praticamente a ridosso della frontiera bizantina (1167). Qui Andronico trascorse diversi anni insieme a Teodora, ai due figli che gli aveva dato, Alessio e Irene, ed al figlio Giovanni avuto dalla prima moglie, compiendo scorribande nei territori dell'impero. Nel 1180 Niceforo Paleologo, il governatore di Trebisonda, riuscì a catturare Teodora ed i suoi due figli e a condurli a Costantinopoli. Qui si precipitò Andronico che si gettò ai piedi di Manuele implorandone il perdono e accettando di giurare fedeltà a lui e a suo figlio Alessio. L'imperatore fu nuovamente indulgente nei confronti del cugino ribelle ma preferì allontanarlo dalla capitale affidandogli il governatorato delle città di Sinope e Oinaion (l'attuale Unye) nella regione del Ponto dove, il 24 settembre dello stesso anno, lo raggiunse la notizia della morte di Manuele.

(2) Il nuovo basileus, l’undicenne Alessio II, venne affidato ad un consiglio di reggenza che aveva il fulcro nella madre, la latina Maria d’Antiochia, monacatasi con il nome di Xene dopo la morte di Manuele I (lo status monacale era necessario per poter assumere la reggenza), ma le redini dello stato finirono interamente nelle mani del suo favorito il protosebastos Alessio Comneno, un nipote del defunto Imperatore.

(3) In realtà la sequenza degli avvenimenti è diversa. Il protosebastos Alessio Comneno fu arrestato e consegnato ad Andronico – che lo fece accecare e successivamente uccidere – mentre questi non era ancora entrato in città. La kaisarissa Maria Comnena, figlia del primo matrimonio di Manuele I con Berta di Sulzbach (Irene) e quindi sorellastra di Alessio II, e suo marito, il cesare Ranieri di Monferrato, furono eliminati (probabilmente avvelenati) prima dell'incoronazione di Andronico (settembre 1183) come anche Maria di Antiochia, accusata e condannata a morte per alto tradimento (il giovane imperatore Alessio II fu costretto a controfirmare la condanna a morte della madre) e giustiziata nel settembre 1182. Alessio II fu invece eliminato per ultimo, strangolato con una corda d'arco ed il suo cadavere gettato a mare in un sacco, un mese dopo l'incoronazione di Andronico a coimperatore.

(4) Isacco Angelo aveva già partecipato ad altri tentativi di rovesciare Andronico ma questi, giudicandolo non troppo pericoloso, si era limitato a recluderlo nel suo palazzo (al quale già aveva perdonato). Con l'avvicinarsi dell'esercito normanno, Andronico diede l'ordine di arrestare tutti gli oppositori. Il fidato Stefano Agiocristoforita, già coinvolto nell'assassinio del giovane Alessio II ed elevato da Andronico alla carica di logoteta, ricevette l'incarico di arrestare Isacco Angelo che non si fece trovare impreparato e lo uccise (ammazzato il messaggiero).


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