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domenica 18 novembre 2018

Il sepolcro di Priscilla

Il sepolcro di Priscilla


Di fronte alla chiesa del Domine quo vadis?, presso il bivio tra la via Appia antica e la via Ardeatina, parzialmente nascosto da due edifici che insistono sulle sue strutture, sorge un antico sepolcro romano, del tipo a tumulo su basamento quadrangolare, comunemente identificato, sulla base di rinvenimenti epigrafici, con quello che Tito Flavio Abascanto (1), l'influente liberto di Domiziano (81-96) che nelle vicinanze del fiume Almone possedeva dei terreni ed un edificio termale, fece erigere per la moglie Priscilla prematuramente scomparsa (2).
Il nucleo in opera cementizia del basamento quadrangolare del monumento (20 m. di lato), che era originariamente rivestito in opera quadrata di travertino, è ancora in buona parte conservato, al di sopra di questo si elevano due tamburi cilindrici in opera reticolata di tufo: in quello superiore si aprivano 13 nicchie, nelle quali erano collocate statue bronzee e marmoree di Priscilla ritratta nelle sembianze di dee ed eroine della mitologia greco-romana.

 
Il poeta Stazio (Silvae, V,1) (3) – la cui moglie Claudia era amica di Priscilla – fornisce sia un dettagliato resoconto delle esequie della giovane Priscilla che non fu cremata secondo l'uso romano ma, imbalsamata ed avvolta in vesti di porpora, fu deposta in un sarcofago di marmo, sia una descrizione del monumento e della sua collocazione (sulla via Appia, appena passato il fiume Almone) grazie alle quali è stato possibile identificarlo con certezza.
Ad ulteriore conferma dell'identificazione nel 1773 venne rinvenuta nei pressi del mausoleo una lapide dedicata alla sepoltura del proprio schiavo Afrodisio, da un certo Tito Flavio Epafrodito, aedituus (custode) del sepolcro dei propri patroni Abascanto e Priscilla.


Da questa lapide si apprende anche che lo stesso Abascanto si fece tumulare nel mausoleo dedicato alla moglie.

 
Al centro del cilindro superiore sorge, su di un irregolare basamento quadrato, una torre medievale, comunemente nota come Torre Petro: alta circa sei metri e costruita rozzamente con vario materiale di spoglio, costituisce una testimonianza della trasformazione del sepolcro in fortificazione, già a partire dall’XI secolo ad opera dei conti di Tuscolo. Successivamente fu acquisita dai Caetani ed entrò a far parte del sistema difensivo del Castrum Caetani.

 
Il mausoleo risulta oggi poco visibile a causa di due edifici che vi furono addossati nel corso del tempo. Quello prospiciente la via Appia, di probabili origini medioevali, si sviluppa su due livelli, ed appare ampliato sul lato meridionale nel XIX secolo. L'altro sul lato opposto, nasconde l'accesso al monumento ed è di epoca più recente. Dai sotterranei di questo edificio si accede ad un corridoio voltato a botte che introduce alla camera funeraria anch'essa voltata a botte ed un tempo rivestita di travertino. Sulle tre pareti della cella si aprono altrettante nicchie destinate ad accogliere i sarcofagi.

da G.B. Piranesi, Antichità romane, 1756
 
In epoca moderna, fino agli anni ’60, la camera funeraria fu usata come “caciara” per la stagionatura dei formaggi e le strutture lignee, funzionali a tale uso, si addossano ancora oggi alle strutture murarie.

Note:
(1) Emancipato da Domiziano di cui porta lo stesso prenome e nome di Tito Flavio, Abascanto ricoprì nella cancelleria imperiale l'importante carica di segretario ab epistulis (addetto alla corrispondenza).
(2) In realtà la tipologia costruttiva e la tecnica edilizia sembrano corrispondere piuttosto ad un edificio del I sec. a.C., non è da escludere pertanto che Abascanto abbia riadattato un sepolcro già esistente.
(3) Publio Papinio Stazio, nato nella colonia greca di Elea (Velia in epoca romana) intorno al 45, si trasferì a Roma in cerca di fortuna e divenne in breve uno dei poeti più rinomati della corte di Domiziano. Le Silvae, a cui appartiene il componimento citato, sono una raccolta di 32 liriche d'occasione divise in cinque libri.


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