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lunedì 7 maggio 2012

La guerra di Morea (1684-1699)



La guerra di Morea (1684-1699)

Leone di San Marco, Leone di Venezia, l'arma
cristiana è al varco dell'Oriente... (F.Guccini, Asia)

Rappresenta l'ultima avventura espansionistica della Serenissima Repubblica di Venezia protesa alla riconquista dei vecchi possedimenti in Dalmazia e in Grecia. Il conflitto si inserisce nel contrattacco vittorioso della Lega Santa formatasi per liberare Vienna dall'assedio turco e per dare modo alle forze cristiane di cominciare una guerra offensiva e di conquista nei territori del declinante Impero Ottomano.
Le campagne del Peloponneso alimentarono vittoria dopo vittoria l'esaltazione e la curiosità dei veneziani per la guerra. Si creò un clima che la crescente circolazione di informazioni tratte dai documenti provenienti dal fronte fomentava fino a forme di vera e propria isteria collettiva, le cui più fortunate espressioni sono le grandi feste barocche e le apoteosi in vita e in morte del generale doge ed eroe massimo Francesco Morosini.
La fine del '600 coincise quindi con l'ultimo momento di gloria militare della Serenissima.

Il 25 aprile del 1684 la Repubblica, che ad un invito identico rivoltole pochi anni prima aveva risposto con un saggio rifiuto, non seppe questa volta resistere alle sollecitazioni del papa Innocenzo XI; si illuse di poter riconquistare Candia, Cipro e Negroponte, ricostituire il suo impero coloniale e le sue fortune e aderì alla Lega Santa.
Il 16 giugno il segretario di delegazione Giovanni Cappello che fungeva da bàilo consegnò alla Sublime Porta la dichiarazione di guerra. Così, dopo quattordici anni di pace, si riaccendeva la guerra con il Turco, alla direzione della quale furono messi Francesco Morosini come capitano generale, il conte Niccolò di Strassoldo quale comandante delle truppe da sbarco, e Antonio Zeno con la carica di provveditore della Dalmazia e dell'Albania.

Bartolomeo Nazzari, Ritratto del doge Francesco Morosini (1690 c.ca)
Museo Correr, Venezia
 
La fortuna, fin dal principio, arrise ai Veneziani. Mentre Zeno si spingeva vittorioso fino a Castelnuovo, il Morosini con la flotta pontificia, toscana e maltese investiva con grande vigore l'isola di Santa Maura, tra Corfù e Cefalonia, e dopo sedici giorni, nel luglio del 1684, la costringeva alla resa. Di là il conte di Strassoldo sbarcava sulla terraferma, occupava nei primi giorni dell'autunno Preveza (29 settembre) mentre cominciavano a ribellarsi al turco l' Epiro, l'Albania e la Morlacchia, stanchi dell'oppressione ottomana.
Allora il Morosini volse le armi contro le fortezze di Corone, Modone e Navarino che dovevano aprirgli la via alla conquista della Morea.
Prima ad esser conquistata fu Corone, che assediata da novemila cinquecento soldati, dopo quarantasette giorni di assedio capitolò (11 agosto 1685); si arresero poi Sarnata, Calamata, Kelefa, Passavas, il forte di Mistrà e proseguendo di vittoria in vittoria, nel 1685 e nel 1686, conquistò Navarino, Modone, Argo e Nauplia (29 agosto 1686), ne mise in stato di difesa le fortificazioni, rinnovò le milizie e si preparò a nuove imprese.
La campagna del 1687 registrò nuove vittorie e nuove conquiste. Il grande ammiraglio veneziano, che aveva impiegate tutte le sue ricchezze per allestire una flotta, espugnò Patrasso, Corinto e Lepanto; riconquistando così in tre anni di vigorosa guerra quasi tutta la Morea alla Serenissima, la quale ebbe notizia dell' importante conquista mentre il Consiglio Maggiore era adunato per l'elezione dei magistrati cittadini. La vittoria fu celebrata con un solenne ufficio divino in San Marco, e il Senato decretò che nella sala del Consiglio dei Dieci fosse conservato lo stendardo tolto al Serraschiere e venisse collocato un busto in bronzo del Morosini con l'epigrafe: Francisco Mauroceno Peloponnesiaco adhuc viventi Senatus.

Francesco Morosini intanto non riposava sugli allori. Conquistata la Morea, portava le armi nelle regioni vicine, occupava Sparta e Mistrà e con il conte Otto Wilhelm Von Konigsmark, che nel 1686 aveva sostituito il conte di Strassoldo al comando delle truppe da sbarco, si volgeva contro Atene.
Il 21 settembre le truppe della Serenissima sbarcano al Pireo - allora noto come Porto Leone - senza incontrare resistenza. I turchi si asserragliano sull'Acropoli e respingono la richiesta di arrendersi.
Il 23 le artiglierie veneziane cominciano a battere la rocca. I Turchi, fidando nella resistenza offerta dal tetto di pietra e nel fatto che i cristiani non avrebbero bombardato quella che era stata una chiesa (il tempio era infatti stato convertito già in epoca bizantina nella chiesa di Nostra Signora Atheniotissa), ripongono all'interno del Partenone tutte le munizioni e le loro famiglie. Un disertore ne mette al corrente i veneziani.
Il 26 entrano in azione i mortai veneziani e la sera stessa una bomba centra in pieno il tempio causando l'esplosione della polveriera e trecento morti.
Il 28 settembre, la guarnigione turca, dopo aver visto la cavalleria di Konigsmark sbaragliare la colonna di aiuti inviata da Tebe, innalza la bandiera bianca sulla torre dei Franchi ed il giorno successivo viene firmata la resa.
Il Morosini, che dopo la morte del doge Marcantonio Giustiniani, era stato nell'aprile del 1688, chiamato a succedergli nell'altissima carica, mosse contro Negroponte, ma per la prima volta dopo l'inizio di questa guerra, la fortuna volse le spalle alle armi veneziane: la resistenza ostinata dei Turchi, le malattie (il 15 settembre morì lo stesso Konigsmark, vittima della peste) e l'azione poco concorde delle milizie mercenarie frustrarono i tentativi del Morosini e malgrado qualche scontro favorevole ai veneziani, la spedizione fallì. I Turchi cercarono di trarre profitto da questo insuccesso del nemico ed avanzarono proposte di pace, ma le condizioni imposte dalla repubblica furono così onerose che le trattative vennero interrotte e la guerra continuò.
Nel 1689 Francesco Morosini espresse il desiderio di ritentare l' impresa di Negroponte, ma l'insufficienza delle forze di cui disponeva e l'opposizione degli altri capitani, lo costrinsero a rinunziarvi. Allora egli si volse contro Malvasia (Monemvasia) per condurre a termine la conquista della penisola greca e già le operazioni contro questa piazza ne facevano prevedere prossima la caduta, quando il Morosini si ammalò e dovette tornarsene a Venezia, cedendo il comando delle operazioni a:

Girolamo Cornaro: Questi si mostrò degno successore del grande doge: stretta maggiormente Malvasia, la costrinse sul finire dell'agosto del 1690 alla resa. Né questo fu il suo unico trionfo; avendo saputo che la flotta turca era uscita per difendere la piazza, le corse incontro e nelle acque di Mitilene la sbaragliò, quindi, piombato fulmineamente su Valona, se ne impadronì di sorpresa. Venezia non riuscì a godere a lungo dei suoi successi, i quali vennero rattristati dalla morte di Cornaro.
Al suo posto venne nominato al comando:

Domenico Mocenigo: che deliberò di tentare il riacquisto di Candia, cosa - scrive il Battistella - che stava sempre in cima ai desideri della Repubblica e a cui non aveva creduto di cimentarsi lo stesso Morosini, ben sapendo come i Turchi l'avessero messa in ottimo stato di difesa e vi facessero buona guardia.
L'armata veneta fece rotta pertanto verso la Canea nella speranza di poterla avere al primo impatto, ma il colpo non riuscì e si dovette disporre in un regolare assedio. Pareva che la fortuna assecondasse le armi veneziane, tanto che, in breve si erano avviate trattative con gli abitanti favorevoli alla resa della città, allorché il Mocenigo, impensierito per certe voci sparse nel campo che i Turchi si accingevano a sbarcare in Morea e ad assalirla durante l'assenza della flotta, nonostante il consiglio e le esortazioni di alcuni ufficiali diffidenti, senza curarsi di appurare la verità, volle improvvisamente levare l'assedio e partire per contrastare quell'assalto immaginario. Fu destituito e punito: ma il male commesso per la sua inettitudine e sconsideratezza era irrimediabile e l'occasione di riacquistare Candia andò perduta per sempre .

La Repubblica si rivolse ancora al Morosini e tornò a nominarlo capitano generale. Il glorioso vecchio accettò quel gravoso incarico lieto di poter giovare ancora alla patria e la moltitudine dei suoi concittadini andò sul lido a salutarlo commossa e ad augurargli nuove vittorie (24 maggio 1693).

Gregorio Lazzarini, Il doge Morosini offre la Morea riconquistata a Venezia, olio su tela, 1694
Palazzo ducale, sala dello Scrutinio, Venezia

Ma il grande condottiero era stanco e in là con gli anni e non poteva sostenere lle fatiche di una nuova campagna; tuttavia non lievi vantaggi ottenne sul mare contro il nemico e strappò ai Turchi alcune isole fra cui Salamina. Erano questi gli ultimi suoi trionfi: nuovamente ammalatosi a Nauplia, vi morì settantacinquenne nel gennaio del 1694.
La sua salma venne trasportata a Venezia e venne accolta con grandi manifestazioni e cordoglio da quel medesimo popolo che otto mesi prima gli aveva rivolto il saluto augurale. Il doge fu tumulato nella chiesa di santo Stefano dove riposa tutt'ora.
Al Morosini successe nel comando Antonio Zeno, che nel settembre del 1694 riprese agli ottomani l'isola di Chio: ma la sua titubanza gli impedì di conseguire una maggiore vittoria: infatti non osò affrontare una flotta turca che incrociava in quelle acque e quando questa prese il largo alla volta di Smirne egli la inseguì così da lontano da lasciarla fuggire senza recarle alcun danno.
I Turchi tornarono all'attacco nell' inverno del 1695 con una forte flotta comandata da Hussein pascià e dal corsaro Hassan Mezzomorto, i quali nelle vicinanze di Chio costrinsero Zeno alla battaglia. Questa si svolse con grande accanimento dall'una e dall'altra parte.
Singoli atti di valore non mancarono fra i Veneziani, ma mancò loro l'energia e la sapienza del comando e questa sola fu la causa della sconfitta. La vittoria dei Turchi mise Chio in grave pericolo, che però si sarebbe potuto scongiurare se Zeno fosse rimasto a difenderla o ne avesse affidata la difesa al provveditore Giustino Riva che si era offerto di difendere l'isola dal nemico. Ma Zeno volle abbandonarla e Chio poco dopo ricadde in potere dei Turchi. Richiamato a Venezia e messo in carcere per questa sua dannosa condotta, nel 1699 Antonio Zeno vi morì mentre si istruiva il processo contro di lui.

Nel 1697 il provveditore Antonio Molin respinse uno sbarco dei Turchi sulle coste della Morea e, scontratatosi con la flotta ottomana nelle acque di Chio, le infliggeva una dura sconfitta vendicando l'onta patita dallo Zeno.
L'anno dopo, il provveditore straordinario Girolamo Dolfin, mandato a vuoto un tentativo contro l' isola di Tine, inseguì la flotta nemica fin dentro i Dardanelli, dove il 30 settembre del 1699 si combattè una furiosa battaglia nella quale gli Ottomani riportarono danni considerevoli.
Questa battaglia fu seguita da altri scontri vittoriosi per le armi della Repubblica che, con il blocco dei Dardanelli effettuato da Dolfin, si assicurava il possesso delle isole dell'Arcipelago delle Cicladi e del Peloponneso e la padronanza quasi assoluta del Mediterraneo.
Il 26 gennaio del 1699 fu firmata la pace tra l'Austria, la Polonia, la Russia e la Turchia (Trattato di Karlowitz) e il 21 febbraio anche Venezia sottoscrisse il trattato. In virtù di esso la Repubblica conservava la Morea, Egina, Santa Maura e le conquiste fatte nella Dalmazia e nell'Albania; scambiava i prigionieri e non pagava più il tributo per l'isola di Zante; restituiva però Lepanto e le isole dell'Arcipelago e si impegnava ad abbattere le fortificazioni delle Rumelia e di Preveza. Inoltre il trattato stabiliva che si delimitassero i confini della Dalmazia e dell'Albania.

Nel 1714 i turchi, che avevano riportato una vittoria sulla Russia nel Mar Nero, intuiscono che l'Austria è snervata ed esausta e, confidando di cogliere Venezia priva di alleati, portano un decisivo attacco alla Morea e la riconquistano, incontrando una resistenza molto blanda da parte dei comandanti delle fortezze veneziane. I Turchi rivolgono quindi le loro mire su Corfù e flotte cristiane, in particolare contingenti portoghesi e pontifici, accorrono in aiuto della Serenissima.
La difesa della piazzaforte è affidata a Von Schulemberg e grazie anche alla vittoria del principe Eugenio di Savoia al comando delle truppe austriache nella battaglia di Petervaradino (5 agosto, 1716) Corfù è salva. I veneziani allora riprendono le operazioni per mare ma sono costretti dall'Austria ad una pace che riterranno poco onorevole e quasi offensiva delle virtù dimostrate nel corso del conflitto. Il trattato (pace di Passarowitz, 21 luglio1718) sancì infatti la definitiva perdita della Morea e di Candia.

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