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domenica 6 ottobre 2019

Il Palazzo di Arechi II, Salerno

Il Palazzo di Arechi II, Salerno

Facciata meridionale e campanile della Cappella Palatina

All’indomani della sconfitta di Desiderio, re dei Longobardi, a opera di Carlo Magno nel 774 alle Chiuse di Pavia, Arechi II, duca di Benevento – che aveva sposato Adelperga, una delle figlie del re - assunse il titolo di Princeps gentis langorbadorum, accogliendo nell’area salernitana i profughi della gens langobarda del nord. Nel quadro di un riassetto del ducato beneventano decise anche di spostare la capitale da Benevento a Salerno, che evidentemente giudicava più difendibile dalla minaccia franca.
Ne fece quindi rafforzare le difese e vi fece anche costruire un sontuoso palazzo residenziale che venne edificato in pieno centro cittadino, ribadendo le scelte già fatte dai Longobardi a Pavia e a Benevento.
L'area del Palazzo doveva estendersi dal rione dei Barbuti al Vicolo Pietra del Pesce ed era disposto in senso longitudinale secondo una direzione nord-sud; il lato nord era allineato con l'attuale parete settentrionale della chiesa di San Pietro a Corte; il lato sud doveva coincidere con il vicolo Pietra del Pesce; il lato est era probabilmente poco oltre l'attuale Largo Antica Corte; il lato ovest doveva coincidere con l'allineamento della facciata occidentale della cappella palatina con la via Pietra del Pesce. La parte meridionale era innestata, probabilmente con una torre, sulle mura che affacciavano sulla spiaggia – che all'epoca era molto più vicina al palazzo di quanto lo sia attualmente, dove una scalinata monumentale introduceva al palazzo.


Ciò che rimane del palazzo è ancora leggibile nell'edificio superstite che affianca la chiesa di S. Stefano e nelle arcate sorrette da colonne e capitelli che si affacciano su via della Dogana Vecchia.
Arcate del Palazzo di Arechi II inglobate in nuovi edifici in via della Dogana Vecchia
L'edificio superstite corrisponderebbe alla Cappella Palatina del palazzo di Arechi (1).
I pilastri di fondazione della Cappella Palatina (due centrali affiancati da una serie di semipilastri laterali) poggiano sul frigidarium di un complesso termale romano di età flavio-traianea. L’antico edificio aveva un’altezza di circa 13 metri ed era coperto da volte a botte e volte a crociera ed era illuminato da grandi finestroni. Abbandonato probabilmente a seguito di un alluvione, nei primi secoli dell’età cristiana venne riutilizzato come aula religiosa e area di sepoltura, come testimoniano alcune epigrafi rinvenutevi e databili dal V all’VIII secolo.
Quando Arechi decise di fare erigere il palazzo, rafforzò le strutture romane preesistenti che dovevano sostenere ora il peso di piani superiori e divise in due l'ambiente sottostante erigendo un setto murario. Sulle volte ormai crollate posizionò un solaio che divenne il pavimento della soprastante chiesa, che dedicò ai SS. Pietro e Paolo (oggi nota come San Pietro a corte), decorandolo con splendidi mosaici in tessere marmoree di spoglio, di cui si conservano numerosi frammenti.

Frammento della pavimentazione della cappella palatina

La cappella, a navata unica, terminava originariamente con un abside rettangolare sostituito da uno semicircolare nel corso del rifacimento del 1576 quando venne realizzata anche l'attuale scala d'accesso. Un imponente Titulus dedicatorio – opera di Paolo Diacono - correva lungo i muri interni della chiesa magnificando l'opera del duca. L'iscrizione, di cui sono stati ritrovati alcuni frammenti, era incisa sul marmo su cui si applicavano le lettere di bronzo dorato.
Grazie alla tradizione manoscritta, del testo originario si conoscono i sette versi iniziali:

[Chri]ST[E SALUS UTRIUSQUE DECUS SPES UNICA MUNDI]
[DUC A] GE DUC C[LE]M[ENS ARICHIS PIA SUSCIPE VOTA
PERPETUUMQUE TIBI HAEC CONDAS HABITACULA TEMPLI.
REGNATORI TIBI SUMME DECUS TRINOMINIS ILLE
HEBREAE GENTIS SOLYMIS CONSTRUXIT ASYLUM
PONDERE QUOD FACTUM SIC CIRCUMSEPSIT OBRIZO
DUXIT OPUS NIMIUM VARIIS SCULPTUMQUE FIGURIS
BRAC(TEATIS)…]
(O Cristo, salvezza, Gloria ed unica speranza di entrambi i mondi orsù!,
Guida, indirizza benigno, e accogli i pii voti di Arechi
 e a tua gloria edificherai in eterno questo tempio. 
Per Te, sommo Sovrano, egli ha costruito 
una dimora degna della Gerusalemme ebrea dai tre nomi e,
 una volta portata a termine, l’ha ornata di purissimo oro
 accrescendole enormemente il valore con varie figure bratteate…)
Vi si accedeva originariamente soltanto dal Palazzo per mezzo di una galleria coperta che terminava con un ingresso (oggi murato) che si apriva lungo il lato meridionale della cappella.
La cappella era preceduta da un atrio di cui rimane soltanto il loggiato di cui sono visibili delle bifore con archi in mattoni che poggiano al centro su una colonna con capitello altomedievale e pulvino a stampella.

Il campanile romanico che sorge sul lato nord della chiesa sarebbe stato fatto erigere dal principe Guaimaro II intorno al 920, come testimonia il Chronicon Salernitanum, sebbene recenti scavi abbiano fatto ipotizzare che l’attuale campanile sia di epoca successiva al X secolo. L’altissimo prospetto della facciata occidentale contrasta con il campanile apparentemente sproporzionato, che deve la sua mole ridotta ad un cedimento delle fondazioni verificatosi in fase di costruzione.

La cripta, orientata come la chiesa superiore, in epoca normanna o sveva venne divisa in due ambienti distinti su livelli diversi chiudendo il vano di comunicazione esistente e rafforzando il setto murario arechiano; nell'ambiente più basso si trovano vasche per la preparazione di materiale edilizio, quello più elevato, che venne adibito ad oratorio, si conclude, all’estremità orientale, in un’abside rettangolare con presbiterio delimitato da muretti e fornito di un piccolo altare.
Tre pareti sono decorate da affreschi non riconducibili alla cultura longobarda.


Sul pilastro centrale – fatto erigere da Arechi per sostenere il solaio della cappella soprastante - è presente un affresco raffigurante a destra una Madonna in trono con Bambino e a sinistra Santa Caterina d’Alessandria. L’affresco è databile alla metà del XII secolo. Una semplice fascia bicroma bianca e rossa incornicia la rappresentazione. La Vergine è seduta su un trono composto da schienale, cuscino e suppedaneo decorato con perline bianche ed elementi geometrici. Maria regge nella mano destra una lunga croce astile mentre la sinistra è appoggiata sulla spalla del Figlio. Il Bambino ha nella mano sinistra un rotolo chiuso mentre la destra, mutila, doveva essere benedicente. A sinistra abbiamo Santa Caterina d’Alessandria identificabile dall’iscrizione E KATHER leggibili tra l’aureola e la spalla destra e dall’ampolla con il sangue del martirio. Nella vita di santa Caterina si narra come dopo il martirio per decapitazione della giovane egiziana sgorgasse dalle ossa senza sosta un olio in grado di sanare le malattie. Questa sua caratteristica taumaturgica legherebbe la sua raffigurazione in questa sede alla trasformazione in epoca medioevale di quest'ambiente in aula della Scuola medica salernitana.
Sul muro sud del vano orientale è presente una teoria di Santi databile all’inizio del XIII secolo. L’analisi degli affreschi mostra delle sensibili variazioni rispetto all’affresco sul pilastro; partendo da destra abbiamo la Vergine seduta su un trono con decorazioni che suggeriscono elementi di ricchezza e regalità; la Madonna ha in grembo Gesù che abbraccia la Madre accostando il suo volto a quello di Maria. Questo genere iconografico - caratterizzato dall'abbraccio tra la Vergine ed il Bambino - è definito Madonna Eleusa (misericordiosa). Immediatamente accanto è dipinto San Giacomo, identificabile dall’iscrizione "JAC" alla destra del suo capo. A seguire abbiamo San Pietro, Santa Caterina d’Alessandria e un santo vescovo non identificato.


Sul muro a destra, che separa i due ambienti, sono raffigurati San Giorgio e San Nicola di Myra datati al XIII-XIV secolo. I due Santi sono separati tra di loro da una riga appena leggibile. San Nicola, vestito in abiti vescovili, stringe il pastorale nella mano sinistra mentre la destra è benedicente. San Giorgio, in pessime condizioni di conservazione, è a cavallo con la mano destra sollevata nell’impugnare la lancia verso il basso contro il drago che è andato perso in seguito all’apertura dell’accesso di collegamento dei due ambienti.

Nel 1576 la chiesa superiore subì un considerevole restauro che ne modificò sostanzialmente l'aspetto interno, mentre nel Settecento fu realizzata l'imponente scala d'ingresso che conduce ad un protiro caratterizzato da con un timpano triangolare sostenuto da colonne.
Caduta successivamente in disuso, durante la prima guerra mondiale fu utilizzata come deposito militare finché, nel 1939 fu affidata in concessione alla confraternita di Santo Stefano dall'arcivescovado.


Secondo lo storico dell'arte Antonio Braca queste strutture lignee – oggi conservate nel Victoria and Albert Museum di Londra – che in origine probabilmente sostenevano un pulpito, potrebbero provenire dalla chiesa di San Pietro a Corte. Lo storico dell'arte sostiene, infatti, che le colonne furono acquistate nel 1886 a Napoli presso un certo Pepe. Nel 1914, il Tavenor-Perry, in un suo articolo storico, precisa, nel ritrarle, che le stesse provenivano dalla Cappella Palatina di Salerno.
Altri storici sostengono, tuttavia, la non appartenenza alla Cappella Palatina di Salerno, riconoscendovi, invece, origini siciliane (Negri Arnoldi, Williamson) (2).


Note:
(1) Secondo più recenti ipotesi interpretative, non confermate però da una storiografia certa, indicano l'ambiente di San Pietro a Corte non come Cappella Palatina ma come aula di rappresentanza della Reggia di Arechi II.

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