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martedì 5 gennaio 2016

Il Tempietto di San Miserino

Il Tempietto di San Miserino
Lo si raggiunge uscendo dal paese di San Donaci in direzione di Mesagne; dopo circa 5 km, poco prima del segnale del km 9, a un incrocio si prende a sinistra la strada provinciale 51 in direzione di Oria; dopo aver percorso 2,2 km, in corrispondenza del segnale del km 17, si parcheggia l’auto all’inizio di una sterrata sulla sinistra, individuata da un filare di alberi. A piedi si segue la sterrata fino al primo incrocio; qui si piega a destra in direzione di un edificio rurale. Il tempietto di San Miserino è esattamente alle sue spalle.
Angolo NE

Il Tempietto di San Miserino, è situato sul tracciato di un’antica strada che, discostandosi dalle due vie ufficiali - la Traiana calabra e l’Appia – nel tratto tra Lecce ed Oria, permetteva di raggiungere più rapidamente la via Appia in direzione di Roma partendo da Otranto.


In blu il tragitto della via Appia, in rosso quello della via Traiana calabra mentre la linea tratteggiata indica l'ipotetico tracciato del Limitone dei Greci.

Questa variante viaria – ricordata in documenti notarili del 1100 con il nome di via ad Lippium (Lecce) - ebbe un ruolo importante anche durante le guerre greco-gotiche e venne utilizzata come asse di scorrimento preferenziale per lo spostamento degli eserciti. Essa doveva avere lo stesso andamento del cosiddetto Limitone dei Greci - ossia di quella strada che secondo alcuni studiosi venne fortificata dai Bizantini quando, cessate le lotte con i Longobardi del Ducato di Benevento, restò assegnata a quest’ultimi la parte settentrionale del Salento - lungo un tracciato che da Torre Santo Stefano, presso Otranto, passando a nord di Lecce e attraverso i territori di San Pietro Vernotico, Mesagne ed Oria si ricongiungeva alla via Appia. Restavano dunque ai Longobardi Taranto, Oria e Brindisi; ai Bizantini Otranto, Lecce e Manduria.

L'edificio si articola in un ambiente a pianta ottagonale inscritto in un quadrato, coperto da una cupola a sesto ribassato impostata su una ghiera di conci di tufo, a cui si accede da un ingresso sul lato meridionale, dove s'innesta anche un avancorpo costituito da due ambienti voltati a botte.


Lato meridionale

L'ambiente centrale è caratterizzato da quattro nicchie semicircolari che si aprono lungo gli assi obliqui, fra le quali, lungo le pareti N e E, sono poste due nicchie a scarsella mentre ad O si trova un'apertura laterale.
Le nicchie absidali sono coperte da semicupole ed inquadrate da semipilastri. Un gradino girava intorno alle absidi e alle nicchie disegnando un ottagono.
Sul pavimento si notano i resti di una decorazione musiva a tessere bianche e nere (quelle bianche formavano una cornice che seguiva l'ottagono disegnato dalle absidi), databile al II secolo, quando l'edificio svolgeva probabilmente la funzione di ninfeo.

Resti del pavimento a mosaico

I capitelli dei semipilastri – di forma troncopiramidale, molto bassi e schiacciati - mostrano invece una decorazione a stucco, a foglie d'acanto spinoso alternate a boccioli.

Capitello

Si osservano inoltre lacerti di decorazione a fresco, soprattutto in corrispondenza delle absidi. La decorazione a bande rosse che ripartisce in più registri lo spazio pittorico appare successiva a quella a stucco dei capitelli giacchè si sovrappone ad essa.
Il lato occidentale dell'edificio si presenta più danneggiato: sono infatti crollati sia i pilastri che l'archeggiatura sovrastante.

Lato occidentale

L'arco meridionale – da cui si accedeva al vano centrale – è quello più ampio e la presenza di solchi lungo i pilastri d'imposta fa supporre la presenza di una porta.

Il solco lungo il pilastro d'imposta dell'ingresso sul lato meridionale

I due ambienti addossati sul lato meridionale sono voltati a botte e non comunicano tra loro, sembra inoltre improbabile che ne esistesse un terzo, come da più parti ipotizzato per attribuire all'edificio una pianta a tre navate, perchè la muratura non presenta alcuna connessione, anzi appare conclusa e realizzata con una cortina regolare di blocchetti.
Sul lato occidentale dell'edificio partono due setti murari perpendicolari pertinenti ad un ambiente coperto da una volta a crociera (nartece?) e caratterizzato dalla presenza di un arcosolio sul muro nord.
L'imposta residua dell'arcosolio

L'ipotesi più probabile è che l'edificio rappresenti un'entità architettonica compatta, progettata e costruita insieme in tutte le sue parti e rimaneggiata e rifunzionalizzata varie volte nel corso del tempo. La struttura originaria era connessa ad una grande villa romana di età imperiale e la sua prima destinazione dev'essere stata quella di ninfeo o di impianto termale. Sul lato est del prospetto, si nota infatti - oltre allo sfondamento della nicchia a scarsella operato in epoca più tarda - laddove si innesta l’ambiente a botte un'incavo, probabile alloggiamento per una fistula (tubo usato nell’antichità per la conduttura delle acque).


Lato est

La decorazione a stucco dei capitelli, databile all'VIII-IX secolo, va riferita invece alla fase in cui l'edificio era già stato trasformato in chiesa – con una probabile titolazione a San Martino successivamente corrotta in un inesistente San Miserino - la cui esistenza in loco è documentata dal 1233.
Nel 1671 la chiesa è diruta e abbandonata. Si sfonda l'abside SE ostruendo poi l'apertura con un grosso blocco di calcare, si chiude l'ingresso meridionale e si abbatte la nicchia a scarsella sul lato orientale.

Lo sfondamento dell'abside SE







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