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domenica 16 settembre 2018

Alessio Strategopulo

Alessio Strategopulo

La sua data di nascita, tra la fine del XII e gli inizi del XIII, non è nota. La sua famiglia doveva in qualche modo essere imparentata con i Comneni come appare in un sigillo che reca l'iscrizione “Alessio Strategopulo della famiglia dei Comneni”.
 
Verso del sigillo di Alessio Strategopulo
da G. Zacos, A. Veglery, Byzantine Lead Seals, Vol. 1, Basilea, 1972.
 

Compare per la prima volta nelle fonti (Giorgio Acropolita, Annales) nel 1250, dove figura, insieme a Michele Paleologo, Giovanni Macrenum e Gudelus Tyrannus, come membro della delegazione nicena incaricata dall'imperatore Giovanni III Vatatze di condurre i negoziati di pace con il despota epirota Michele II Ducas.
Nel 1252-1253, alla ripresa delle ostilità tra i due stati bizantini, lo troviamo a capo di un distaccamento che ha il compito di saccheggiare i territori del Despotato intorno al lago Ostrovo (l'attuale lago Vegoritida, in Grecia, 18 km ad ovest di Edessa).
Nel 1254 è ancora stanziato in Macedonia, a Serres, dove ha il suo quartier generale.
Alla morte di Giovanni III Vatatze (3 novembre 1254) i bulgari s'impadronirono di alcune fortezze che erano state occupate dai niceni del 1246. Nel 1255, il nuovo imperatore niceno Teodoro II Ducas Lascaris, lanciò una controffensiva per riprenderle e Strategopoulo ricevette l'ordine di marciare sulla fortezza di Tsepina sul versante occidentale del massiccio dei Rodopi (attualmente in territorio bulgaro) assieme al pinkernes Costantino Tornikes. La spedizione si risolse in un insuccesso costando ai niceni forti perdite in cavalli ed equipaggiamento, secondo Giorgio Acropolita soprattutto per la maldestra condotta dei due generali. L'imperatore, furioso per questa debacle, li rimosse entrambi dalle rispettive cariche e divenne ancora più diffidente nei confronti dell'aristocrazia militare a cui imputava i suoi occasionali insuccessi. Nel 1258, Teodoro II fece imprigionare Michele Paleologo, il leader indiscusso della nobiltà, e Alessio Strategopoulo, a questi molto legato, subì la stessa sorte (non è escluso che i due abbiano condiviso la stessa cella). L'unico figlio di Alessio, Costantino (1), accusato di cospirazione e tradimento, venne invece accecato.

Michele VIII Paleologo
da un'edizione miniata della Historia rerum a Michaele Palaeologo ante imperium et in imperio gestarum di Giorgio Pachimere, XIV sec.
cod. Monac. gr. 442
Bayerische Staatsbibliothek, Monaco di Baviera

Alla morte di Teodoro (16 agosto 1258), i due generali vennero immediatamente scarcerati e, pochi giorni dopo (25 agosto), Michele Paleologo, con l'assassinio di Giorgio Muzalon, il reggente che Teodoro aveva nominato in limine vitae per il figlio giovane Giovanni IV, mise a segno il colpo di stato che lo portò sul trono.
Giunto al potere, il Paleologo non si dimenticò del vecchio compagno di prigionia e gli conferì la carica di megas domestikos.
In settembre Strategopoulo partecipò agli ordini del fratello di Michele Paleologo, il sebastokrator Giovanni, alla battaglia di Pelagonia (vedi scheda Morea, Introduzione), in cui fu sbaragliata l'alleanza antinicena formata dagli epiroti del Despotato, dai franchi del Principato d'Acaia, e dai normanni del Regno di Sicilia.
Dopo la clamorosa vittoria, Giovanni Paleologo divise le proprie forze affidando a Strategopulo il compito d'invadere il Despotato epirota mentre lui stesso marciava sulla Tessaglia. Strategopoulo penetrò facilmente nelle terre del despotato, espugnandone la capitale Arta e costringendo il despota Michele II Ducas a riparare a Cefalonia alla corte degli Orsini. Per questi successi, l'imperatore lo insignì del titolo di cesare. Nondimeno, dopo pochi mesi, il despota ed il figlio Niceforo sbarcarono in Epiro alla testa dei soldati inviati in loro aiuto dal genero Manfredi di Sicilia e riconquistarono rapidamente tutto il territorio perduto. Le forze di Alessio furono definitivamente sconfitte nella battaglia di Trikorfon nei pressi di Naupaktos (Lepanto) in cui il generale venne anche catturato dagli epiroti.
Rilasciato a seguito del trattato di pace firmato tra il Despotato e l'Impero niceno, Alessio rientrò a Nicea al più tardi agli inizi del 1261.

La riconquista di Costantinopoli
Nel luglio del 1261 Michele VIII lo inviò in Tracia al comando di un distaccamento di circa 800 uomini, quasi tutti mercenari cumani, con il compito di condurre piccole azioni di disturbo contro i latini e saggiare le difese di Costantinopoli. Il generale doveva anche recarsi sulla frontiera bulgara per dare una dimostrazione di forza nei confronti dello zar bulgaro Costantino Tich Asen (1257-1277) che era impegnato nel tentativo di impedire ai niceni la riconquista di Costantinopoli. Quando Alessio arrivò a Selimbria, venne a sapere dai contadini del luogo (thelematarioi), che l'intera guarnigione latina insieme alla flotta veneziana era partita per attaccare l'isola di Dafnusio che dominava l'accesso al Bosforo dal Mar Nero ed era sotto controllo niceno. I suoi informatori gli indicarono anche una posterla, attraverso la quale un manipolo di soldati poteva entrare facilmente in città senza essere notato. Inizialmente riluttante – temeva infatti che un rapido rientro in città della guarnigione avrebbe spazzato via il suo modesto contingente e che in caso d'insuccesso, avendo intrapreso un'azione non autorizzata, ne avrebbe pagato le conseguenze a caro prezzo – Strategopoulo decise alla fine di tentare il colpo che l'avrebbe consegnato alla Storia.


Porta di Pege

Nella notte del 25 luglio appostò il grosso del suo esercito nei pressi del monastero della Zoodochos di Pege a circa mezzo miglio dalla Porta di Pege (2). Quindi inviò un piccolo distaccamento a cui i thelematarioi di Selimbria mostrarono il passaggio segreto (secondo alcuni autori si trattava di un cunicolo sotterraneo) attraverso il quale oltrepassare le mura senza essere notati. Una volta entrati, i soldati di Alessio ebbero facilmente ragione delle guardie e aprirono la porta di Pege da cui il resto dell'esercito penetrò in città acclamando l'imperatore Michele VIII e travolgendo i pochi soldati latini presenti in città. La popolazione greca si unì alle acclamazioni mentre l'imperatore latino Baldovino II si asserragliò nel palazzo della Blachernae e inviò un messaggero alla guarnigione e alla flotta che stavano assediando Dafnusio ordinandogli di rientrare immediatamente. Verso la fine della giornata la flotta veneziana apparve all'imboccatura del Bosforo e Alessio Strategopulo diede l'ordine di incendiare il quartiere veneziano affinchè i veneziani più che a combattere si preoccupassero di porre in salvo la propria gente ed i propri beni, cosa che puntualmente avvenne. Lo stesso Baldovino II raggiunse il Gran palazzo e riuscì ad imbarcarsi sulle navi veneziane dirette verso l'isola di Eubea insieme ad altri 3.000 profughi.
Ormai padrone della città, Strategopulo inviò a Michele VIII le insegne abbandonate da Baldovino durante la fuga. Costantinopoli era nuovamente bizantina.

Michele VIII fece il suo ingresso in città il 15 agosto e decretò il trionfo per il generale che aveva riconquistato la città. Questa impresa rese famoso Strategopoulo in tutto l'impero e gli fruttò onori e gloria nonchè la fiducia incondizionata dell'imperatore.

Nel 1262 fu ancora inviato a combattere in Epiro dove fu nuovamente sconfitto da Niceforo Ducas e preso prigioniero. Consegnato dagli epiroti al loro alleato re Manfredi di Sicilia e trasferito a Palermo, tra il 1263 ed il 1265 fu scambiato con la sorella di Manfredi, Costanza (Anna) Hohenstaufen che, rimasta vedova di Giovanni III Vatatze (1254), era stata trattenuta dai bizantini come ostaggio.
Compare per l'ultima volta nelle fonti in un documento del 1270 relativo ad una sua donazione a favore del monastero della Makrinitissa nei pressi di Volos.
Morì probabilmente a Costantinopoli tra il 1271 e il 1275, sicuramente in età avanzata.

Note:
(1) Non è noto invece il nome della moglie di Alessio Strategopoulo.
(2) Vedi anche scheda L'Impero latino di Costantinopoli.


domenica 9 settembre 2018

La corona di Santo Stefano

La corona di Santo Stefano

Corona di Santo Stefano, parte anteriore

La cosiddetta corona di Santo Stefano – oggi conservata nel Palazzo del Parlamento di Budapest - risulta dall'assemblaggio di due parti distinte, che differiscono tra loro per epoca e stile.
La parte inferiore, composta da una fascia d'oro, piegata a cerchio e coronata da elementi triangolari e a semicerchio è un manufatto di oreficeria bizantina dell'epoca (o poco prima) dell'Imperatore Michele Dukas VII (1071-1078). A parte la sostituzione di alcune gemme e di cinque pendenti, appare nel suo stato originale.
La fascia d'oro contiene incastonate a griffe otto placchette di smalti cloisonnè di forma quasi quadrata.
Al centro anteriore della corona si eleva il semicerchio principale che contiene un Cristo Pantocrator a figura intera seduto su un trono ingioiellato, con ai lati due cipressi stilizzati e due campi circolari con le iniziali del nome. Nelle placchette sottostanti, ai lati del Pantocrator, gli arcangeli Michele e Gabriele a mezzo busto; seguono i Santi guerrieri Giorgio e Demetrio, e i Santi medici Cosma e Damiano.

Corona di Santo Stefano, parte posteriore

Sul retro della corona sono invece ritratti i tre personaggi storici legati probabilmente al suo arrivo in Ungheria. Sono tutti riconoscibili dalle epigrafi.

Michele VIII

In alto l'Imperatore Michele VII Dukas (1071-1078), al vertice della gerarchia terrena, come Cristo lo è di quella celeste. La placchetta è infatti posta specularmente a quella del Cristo. Quali simboli di regnante reca il labaro e la spada.

Costantino o Costanzo Porfirogenito

Sulla fascia si trovano invece i ritratti del co-imperatore Costantino Porfirogenito e di Géza I re d'Ungheria (1074-1077), definito dalla didascalia "re dei Turchi" come allora i bizantini chiamavano gli ungheresi (1). Il suo rango, leggermente inferiore rispetto agli imperatori, è sottolineato dal fatto che mentre i caratteri delle loro epigrafi sono colorate in rosso porpora, l'epigrafe di Géza è in smalto blu e la sua testa, a differenza degli altri due, non è avvolta dall'aureola. Inoltre il suo sguardo non è perfettamente frontale, come quelli di Michele VII e di Costantino, bensì è chiaramente rivolto a destra, verso l'imperatore.

Geza I d'Ungheria

Questa parte inferiore della corona inoltre, di fattura bizantina, somiglia molto a quelle usate dalle imperatrici bizantine. Geza I d'Ungheria sposò una nobildonna bizantina, la figlia di Teodulo Synadeno, cognato del futuro imperatore Niceforo III Botaniate, anche se non si conoscono né il nome - è nota soltanto come Synadene - né la data precisa del matrimonio (Scilitze Continuato). La cosiddetta parte greca della corona potrebbe quindi essere un dono inviatole dalla corte costantinopolitana. Non si tratterebbe inoltre di un manufatto realizzato ex novo, ma del riadattamento – eliminando i soggetti ritenuti inappropriati ed aggiungendo i ritratti dei regnanti – di una corona proveniente dal Tesoro imperiale (2).

Corona di Santo Stefano, parte superiore 

La parte superiore della corona ha invece una forma a croce che interseca la corona bizantina con angoli di 90°. Le quattro bande auree che la compongono sono state fissate con delle griffe lungo i lati del rettangolo centrale su cui è raffigurato un Cristo Pantocrator visibilmente dipendente da quello della corona greca, ma che presenta i simboli del sole e della luna. Lungo i bracci della croce si trovano le immagini in smalto policromo di otto Apostoli a figura intera: Pietro, Paolo, Giovanni, Giacomo, Bartolomeo, Filippo, Tommaso e Andrea. I lati delle loro placchette, le cui cornici sono bordate da perle e almandine entro alti castoni a fascia, sono decorati con motivi zoomorfi. Le didascalie che accompagnano le figure sono inoltre tutte in latino. Nel complesso appare di fattura più tarda e meno raffinata, dovrebbe risalire al tardo XII secolo ed essere opera di artigiani locali.
La croce d'oro che sormonta la corona è infine un'aggiunta del XVI secolo ed è inclinata a causa di una caduta.

L'assemblaggio delle due corone è avvenuto in maniera alquanto rozza, senza modificare le parti a contatto, tramite l'uso di chiodi le cui teste sono ancora visibili sulla superficie liscia della fascia aurea. Questo assemblaggio avvenne probabilmente durante il regno di Béla III (1171-1196) per il quale fu forse anche realizzata la corona latina.

Nel suo insieme la corona è detta “di Santo Stefano” perchè si riteneva fosse quella inviata intorno al 1000 da papa Silvestro II per incoronare il giovane re Vajk (ribattezzato Stefano e dopo la sua morte canonizzato) primo re d'Ungheria. Tutte le considerazioni sopra esposte portano però ad escludere che possa trattarsi della stessa corona. Questa in oggetto entrò probabilmente in uso per incoronare i re d'Ungheria con Bela III e fu sempre usata fino all'incoronazione dell'ultimo re, Carlo IV, nel 1916 (secondo il diritto ungherese infatti detiene legalmente il potere soltanto chi fisicamente possiede questa corona).
Dal 2000 è conservata nel Palazzo del Parlamento ungherese.

Note:
(1) La didascalia recita precisamente: ГєωβιτzаˇсПιсτосΚρаλңсΤоυрхιас (Geza fedele re dei Turchi).

(2) Secondo Eva Kovacs (1980) anziché il figlio di Michele VII, Costantino, il personaggio denominato dall'epigrafe “Kon. Porphyrogennetos ” sarebbe invece suo fratello minore Costanzo. La corona risalirebbe quindi al periodo compreso tra la morte del padre Costantino X Dukas (22 maggio 1067) e l'ascesa al trono di Romano IV Diogene (1 gennaio 1068) quando i due fratelli regnarono insieme sotto la Reggenza della madre Eudocia Macrebolitissa. Niceforo Botaniate comandò le truppe bizantine lungo la frontiera con l'Ungheria tra il 1064 ed il 1067, il matrimonio tra Geza e sua nipote Synadene potrebbe essere quindi stato combinato proprio in questo periodo a cui risalirebbe anche l'invio della corona. Ipotesi suffragata anche dal fatto che nello smalto della corona Geza, per quanto impugni uno scettro, non è però cinto da corona (diventerà re d'Ungheria soltanto nel 1074).


sabato 1 settembre 2018

La Nea Ekklesia, Costantinopoli

La Nea Ekklesia, Costantinopoli


Fu fatta edificare tra l'877 e l'880 (1) da Basilio I che ne diresse e supervisionò personalmente i lavori. La sua collocazione più probabile era poco ad est del Crisotriclinio, quasi a ridosso del muro che circondava il palazzo sul versante orientale, nel luogo dove si trovava il vecchio Tzicanisterion (2).
 
da Jean Ebersolt, Le grand palais de Constantinople et le livre des cérémonies, Paris, 1910
Nella pianta la Nea Ekklesia è indicata con il n.44 mentre lo Tzicanisterion con il n.45. Tra di essi si nota il viale sistemato a giardino detto Mesokepion.
 
Molte fonti concordano nel sostenere che diverse chiese costantinopolitane furono spogliate per fornire le tessere musive ed i marmi necessari alla decorazione della Nea che, nelle intenzioni del suo committente, doveva rivaleggiare e superare la stessa Santa Sofia segnando l'inizio di una nuova era (ambizione che si riflette anche nello stesso epiteto di Nea Ekklesia con cui divenne nota).
In questa chiesa nel 963 l'imperatore Niceforo II Foca sposò la vedova del suo predecessore Romano II, Teofano, e nel 1042 vi fu celebrato il matrimonio di Costantino Monomaco con l'imperatrice Zoe. Fu spogliata di gran parte dei suoi arredi durante il regno di Isacco II Angelo (1185-1195).
Durante l'occupazione latina svolse le funzioni di cappella palatina con la nuova dedica datale dai crociati di San Michele del Bucoleone. Sopravvissuta alla conquista ottomana ed utilizzata come polveriera fu completamente demolita nel 1490 a seguito di un'esplosione che l'aveva sventrata.
Era originariamente dedicata al Cristo, alla Teotokos, al profeta Elia, all'arcangelo Gabriele e a San Nicola.
La Nea Ekklesia doveva presentare una pianta a croce greca inscritta ed era coperta da cinque cupole (3). L'ipotesi più probabile è che, accanto alla cupola centrale, le altre quattro cupole si trovassero negli angoli dell'edificio a formare altrettante cappelle riservate al culto delle altre figure, oltre al Cristo, che compaiono nella dedicazione della chiesa (4). Una sistemazione molto simile si ritrova anche nella chiesa settentrionale del monastero di Costantino Lips di poco successiva alla Nea Ekklesia (venne consacrata nel 907) e che può essere considerata l'esempio ad essa più vicino.
La chiesa era inoltre preceduta da un atrio porticato al cui interno si trovavano due fontane in porfido. Il portico settentrionale e quello meridionale fiancheggiavano la chiesa e si prolungavano oltre il suo lato orientale lungo un ampio viale sistemato a giardino (Mesokepion) che conduceva al nuovo Tzicanisterion. Molto probablmente sorgeva su una terrazza sostenuta da sostruzioni. Il tratto architettonico innovativo introdotto dalla copertura a cinque cupole costituì un modello successivamente ampiamente ripreso dalla architettura religiosa bizantina.

Note:
(1) Fu consacrata dal patriarca Fozio il 1° maggio dell'880.
(2) Lo Tzicanisterion era un ampio spazio erboso all'interno del Gran Palazzo dove gli imperatori bizantini ed i loro cortigiani praticavano un gioco di origini persiane molto simile al polo.
(3) La fonte principale per ipotizzare una ricostruzione della Nea è la descrizione di essa contenuta nella Vita Basilii (il secondo libro della raccolta di scritti storici che va sotto il nome di Teofane continuato), secondo alcuni studiosi opera del nipote Costantino VII Porfirogenito.
(4) Nella ricostruzione ipotetica che compare nella pianta di Ebersolt utilizzata sopra per indicare la posizione della Nea, le quattro cupole appaiono invece disposte a coprire i quattro bracci della croce. E' però questa considerata un'ipotesi meno probabile.