Per almeno tre secoli, a
causa di un antico documento dell'866, questa chiesa fu confusa con
un'altra omonima (oggi scomparsa) che risultava dislocata super
porta Radeprandi constructa.
Un altro documento scoperto
di recente ha rivelato che la "porta Radeprandi" (o
Rateprandi) si trovava nella zona alta della città, all'incirca dove
oggi si trova il Museo diocesano (probabilmente si trattava
dell'antica Porta Rotese, detta in origine di Radeprandi dal nome
proprio di qualche importante personaggio locale). A causa di tale
equivoco, la strada davanti all'ingresso della chiesa si chiama
ancora via Porta Radeprandi,
ed un massiccio arco poco lontano è, da molto tempo, scambiato per
la porta stessa.
La chiesa originaria dovrebbe risalire alla committenza del principe Guaimario III (989-1027). Con l’edificazione della basilica e la sua dedicazione all’apostolo Andrea – santo patrono di Amalfi - il principe intendeva probabilmente manifestare agli Amalfitani la sua protezione politica, già espressa in seguito al suo matrimonio con Porpora di Tabellaria. Ma questa chiesa potrebbe essere stata preceduta da un'altra edificata poco dopo la deportazione degli Amalfitani voluta dal duca di Benevento Sicardo dopo la conquista di Amalfi (838) (1).
La chiesa, inizialmente nota come Sant'Andrea della lama (2), sorse infatti nei pressi del quartiere amalfitano, delimitata a nord dalla zona del Plaium montis, a est dalla lama d’acqua, a sud dalla via Marina e ad ovest dal vico di santa Trofimena, dove l’omonima chiesa è attestata fin dal 940.
La chiesa sorge attualmente
su un alto basamento prospiciente via della Lama alla quale è
raccordato da una gradinata racchiusa da un cancello e si presenta
attualmente nella veste conferitagli dalla ristrutturazione
settecentesca.
Al suo interno l’edificio,
orientato est-ovest, si presenta con le vesti del rifacimento
settecentesco con una pianta longitudinale tripartita in modo
disomogeneo, terminante con abside centrale semicircolare.
Il muro di fondo dell’abside
reca tracce della tamponatura di precedenti finestre che una per
lato davano luce all’ambiente; queste risultano ancora aperte
secondo una descrizione della chiesa che risale al 1692. La loro
chiusura e l’assenza di ulteriori prese di luce deve aver
determinato, sul finire del settecento, la inusuale sistemazione
dell’ampio finestrone in facciata.
Il muro perimetrale
settentrionale presenta due archi ciechi di altezza diversa, in
origine separati da una colonnina di cui si è conservata solamente
la base. Il primo mostra un subsellium in muratura, il secondo
mantiene sulla parete di fondo un affresco settecentesco, dipinto
come un finto tabernacolo con scene tratte dalla vita di San Nicola,
al di sotto di questo strato il santo appare nuovamente in una
ulteriore raffigurazione più antica: l’aureola raggiata a
rilievo, mostrata anche dalla santa non riconoscibile che lo affianca
sulla sinistra, rimanda a espressioni pittoriche di XIV secolo.
L'asimmetria della pianta
(la navata sinistra, attualmente adibita a sacrestia, è molto più
stretta di quella destra) fa ipotizzare che la chiesa originaria non
avesse l'attuale orientamento est-ovest bensì un inconsueto
orientamento nord-sud, con l'abside posta dove ora si trova
l'affresco di San Nicola e l'ingresso nella sacrestia, dove
attualmente si trova inglobato nella muratura un architrave di epoca
imperiale; l'ambiente oggi adibito a sacrestia avrebbe svolto la
funzione di nartece.
1.Architrave di recupero; 2.Abside attuale; 3.Parete con l'affresco di san Nicola; 4.Colonna della chiesa originaria successivamente inglobata in un pilastrino.
La decorazione settecentesca della conca absidale
Al di sotto del pavimento della navata
centrale nel lato sud, ad una profondità di cinque metri e ottanta
è stata rinvenuta un’aula rettangolare absidata di circa quattro
metri per sei. Un gradino e una transenna, le cui tracce sono ben
evidenti al di sotto del muro perimetrale sud, mentre appaiono
residue su quello nord, delimitavano lo spazio liturgico. Il battuto
pavimentale della piccola aula appare in pendenza verso ovest nella
cui direzione è possibile vi sia stato l’ingresso, non più
visibile, poiché l’area è stata completamente devastata dalle
successive costruzioni.
Planimetria della chiesa sottostante
L’aula rettangolare mostra due fasi
costruttive immediatamente susseguenti. All’abside primitiva ne fu
addossata dall’interno una seconda che determinò la riduzione
della sua ampiezza, mentre sul fronte e ai lati della nuova abside
furono ricavate due piccole nicchie semicircolari.
Resti di affresco nell'abside della chiesa sottostante
Dell’affresco dell’abside
che vede come colori impiegati l’ocra, il rosso, il blu e il nero,
rimangono i due terzi inferiori, poiché la calotta, già distrutta
prima del cantiere di XI secolo, fu ulteriormente ridotta per
sistemare le nuove strutture di fondazione. Le parti residue delle
figure sono attribuibili a quattro angeli alati (gli Arcangeli?),
posti due per lato; al centro della composizione si può immaginare
una figura stante con i piedi su di un cuscino. Tutte le figure
sono sorrette da onde di linee ocra che potrebbero rappresentare le
nubi del cielo o le onde del mare, mentre una tratto scuro delimita
l’orizzonte terreno dal quale germogliano racemi e fiori. E' stata
avanzata l'ipotesi che possa trattarsi di una scena del Paradiso, in
quanto secondo l’iconografia medievale le ondine rappresenterebbero
il prato e i papaveri che si trovano nell’Eden.
Negli spazi tra l’abside e
le nicchie laterali una decorazione a scacchiera fu eseguita con i
medesimi colori.
In base ai rapporti stratigrafici delle strutture murarie altomedievali e all’analisi tipologica degli affreschi è possibile datare le due fasi costruttive entrambe al IX secolo, in pieno consolidamento del Principato longobardo di Salerno. Nello specifico i racemi in nero che sollevano rosse corolle rimandano agli analoghi motivi decorativi di area beneventano-volturnense, attestati anche nel materano tra l'VIII e il IX secolo. Il motivo geometrico della decorazione a scacchiera, inoltre, trova stringente confronto con il particolare pittorico della scena dei Santi Cecilia, Urbano e Valeriano nella chiesa ipogea di Santa Maria Assunta di Pago del Vallo di Lauro, in provincia di Avellino, e con l’analogo pilastrino presente nell’episodio dei Santi Zosimo e Maria Egiziaca nella chiesa di S. Maria de Gradellis a Roma, entrambi assegnati al IX secolo.
Intorno al X secolo, forse in seguito a un'alluvione, questo primo edificio fu in parte demolito e adibito a sepolcreto, e su di esso fu costruita una chiesa più ampia, di cui rimangono ancora due delle tre navate, oltre a qualche moncone di affresco raffigurante due santi ed un'iscrizione in greco, che testimonia una possibile diversa frequentazione dell'ambiente.
La planimetria di questo nuovo edificio potrebbe infatti anche essere stata quella di un edificio a due navate (una per il rito latino e l'altra per quello greco-orodosso molto diffuso tra gli amalfitani), una maggiore terminante nella zona absidale e una minore posta a settentrione e alla quale si aveva accesso mediante i varchi precisati dai pilastri e dalle due colonne. L’accesso sul fronte occidentale doveva essere preceduto dall’atrio dove venivano rogati degli atti notarili.
Note:
(1) Sicardo – che fu
l'ultimo a regnare prima della divisione del Principato longobardo
nei principati di Benevento e di Salerno - deportò gli amalfitani a
Salerno con l'intento di sfruttarne la perizia nella costruzione di
navi al fine di dotare il ducato longobardo di una marineria mai
avuta in precedenza. Gli amalfitani furono insediati in un nuovo
quartiere che divenne noto come “Le Fornelle”. Il
quartiere aveva una forma planimetrica pressoché quadrangolare ed
era delimitato a nord dalla attuale via Torquato Tasso, a sud da via
Porta Catena, a est da via Porta Rateprandi e ad ovest dal vicolo S.
Trofimena. Inizialmente extra moenia venne successivamente
incluso dall'estensione della cinta muraria.
(2) Il toponimo de
lavina, con cui la chiesa
compare per la prima volta in un documento del 1312, allude alla
presenza di un canale di scolo (lavinario)
che sfruttava la lama d'acqua che scorreva dinanzi all'edificio.