Abbazia di Sant'Elia, Castel Sant'Elia
La basilica di Sant'Elia sorge nella
valle Suppentonia, subito al di sotto del borgo di Castel Sant'Elia.
La prima testimonianza dell'esistenza
di un insediamento monastico in questo sito ricorre in un documento
relativo ad una contesa di proprietà datato 5 giugno 557. Nel
documento compaiono i nomi dell'abate Anastasio, di Papa Vigilio, che
ricompone la controversia, e del generale Belisario.
Il monastero è nominato inoltre nei
Dialoghi di Papa
Gregorio Magno (590-604). Il fatto che nei Dialoghi non venga
menzionato in riferimento al monastero l'ordine benedettino, fa
avanzare l'ipotesi che si trattasse di un insediamento legato
piuttosto al monachesimo orientale.
I Dialoghi indicano
sant'Anastasio come primo abate del monastero. Alla sua morte – tra
il 550 e il 577 – gli successe molto probabilmente il suo amico
Nonnoso. I corpi dei due santi furono tumulati nella cripta della
basilica dove rimasero fino al 602, quando Papa Gregorio Magno li
fece nascondere per evitare fossero profanati dai Longobardi.
L'abside vista dall'esterno
La basilica, fondata tra VIII ed il IX
secolo, fu poi ricostruita all’inizio dell’XI secolo. Compare per
la prima volta nelle fonti scritte nel 1076 in una citazione di
Gregorio VII.
I Benedettini rimasero al monastero di
Sant’Elia fino al 1256, quando Alessandro IV lo concesse ai
Canonici dell’Ospedale di Santo Spirito in Saxia di Roma, possesso
confermato dallo stesso pontefice con una bolla del 14 Luglio
1258.
Nel 1260, i canonici di Santo Spirito eressero un nuovo
campanile, come attestato da un’epigrafe, già murata sul lato
frontale dello stesso, ora giacente nel camposanto sotto le sue
rovine.
Nel 1541 la Camera Apostolica vende il
“Castrum S. Eliae” a Pierluigi Farnese; in tale data,
probabilmente, il monastero non esisteva più, in quanto, di esso,
non se ne fa menzione.
Nel 1607 la caduta di un masso dalla
rupe danneggiò la parete laterale sinistra: la riparazione fu curata
dai Farnese che possedettero la basilica fra il 1540 e il 1649,
quando la Basilica di Sant’Elia e i suoi possedimenti, già inclusi
nel ducato di Castro, vennero incamerati dal Governo pontificio in
pagamento dei debiti contratti da Ranuccio II Farnese.
Nel 1855 precipitò la torre
campanaria, devastando una porzione della navata centrale e di quella
laterale sinistra, e la cappella dedicata alla Vergine posta a
ridosso dell’entrata laterale destra.
Costruita completamente in tufo, la
chiesa ha una facciata a doppio spiovente di semplice struttura e che
risale all' XI sec. La parte superiore è caratterizzata da tre
sezioni rientranti delimitate in alto da archetti pensili. Una lapide
ivi apposta ricorda il restauro di Pio IX.
Presenta nella parte superiore la
decorazione delle arcatelle pensili ed ospita tre portali: nel
portale sinistro sono reimpiegati frammenti marmorei provenienti
dall’antico ciborio, anche quello centrale, che ingloba il
precedente del X secolo, è stato realizzato con frammenti di marmo;
in alto emergono due teste di arieti: quella di sinistra assiste alla
negatività delle scene sottostanti, mentre quella di destra è
appagata dalla visione benefica.
Il portale destro presenta un
affresco raffigurante la Madonna col Bambino sulla lunetta.
L'interno, in stile romanico, presenta
una pianta a tre navate con transetto, il tutto contenuto in un
rettangolo sghembo.
Il transetto e parte della navata centrale
presentano un pavimento cosmatesco verosimilmente ascrivibile alla
fine del XII e più probabilmente ai primi decenni del XIII secolo.
Nella navata sinistra, si trovano
lesene, plutei, transenne, alcuni sarcofagi di età imperiale romana,
frammenti di epigrafi.
La navata centrale presenta sette archi per
lato, sorretti da sei colonne con differenti capitelli corinzi e da
due semi colonne terminali.
Le colonne di cipollino e di bigio che
delimitano la navata centrale, provengono quasi certamente dallo
spoglio di ville e monumenti romani sono corredate da capitelli, pure
di spoglio, corinzi a doppio o triplo giro di foglie, dai quali si
differenziano i quattro impiegati sui semipilastri in muratura
addossati alla controfacciata e all’arco trionfale.
Affreschi
Nella parete di sinistra, al registro sottotetto, intercalata alle
due monofore, inizia la teoria dei Profeti nimbati, che prosegue poi
sulla parete di fondo e sul transetto destro, decorazione pittorica
omogenea e della stessa mano di quella dell’abside, di cui si dirà
in seguito.
Profeti nimbati
Al registro inferiore una scena con ampie lacune e non
decifrabile, poi due raffigurazioni tratte dal libro dell’Apocalisse:
la Donna vestita di Sole e il Drago rosso affrontato da San Michele
Arcangelo (1).
Nella parete di fondo, al registro
superiore continua la serie dei Profeti nimbati, parzialmente
perduta, ai due registri inferiori inizia quella dei Ventiquattro
Vegliardi dell’Apocalisse diretti verso l’Agnello che sollevano
in alto coppe d’oro velate: avanzano in processione verso
l’abside, sollevando in alto le velate coppe d’oro ripiene di
profumi.
Al registro inferiore tre riquadri
votivi, raffiguranti Santo Stefano, una Santa non riconosciuta e
Santa Lucia.
Il catino absidale è dominato nella
parte alta dalla figura del Cristo Redentore con al fianco Pietro e
Paolo – che mostrano dei cartigli con passi tratti dalle Sacre
Scritture - e ai lati Sant’Elia e Sant’Anastasio
(l’interpretazione di quest’ultima figura è controversa, secondo
alcuni raffigura Mosè, secondo altri San Nonnoso).
Ai piedi del
redentore si legge la scritta:
IOH(annes)
ET/
STEFANUS/ FR(a)T(re)S
PICTORES/ ROMANI/ ET NICO/LAUS NEPU(s)
IOHANNIS
Ed è piuttosto raro trovare firmato un affresco di quest'epoca.
I cinque personaggi si muovono su un
verde prato disseminato di fiorellini bianchi, al centro del quale,
ai lati del Cristo, sgorgano i quattro fiumi dell'Eden (Pison,
Ghicon, Tigri e Eufrate, Genesi, II, 11-14) corredati dalle relative
iscrizioni.
Chiude il catino una fascia decorativa
con fioroni policromi, che corre anche nell’intradosso dell’arco
absidale, profilata da strisce rosse: sul bordo superiore è dipinta
in bianco un’iscrizione esortativa, con cui si invitano coloro che
entrano nella chiesa a guardare per prima la figura del Cristo (Vos
qui intratis me primu(m) respiciatis).
Più in basso, sul tamburo, Dodici
agnelli in movimento verso l’Agnello di Dio.
Questi, provenienti
dalle città paradisiache (Gerusalemme, identificata dall’iscrizione
IERUSA/LEM, e Betlemme, perduta insieme agli ultimi tre agnelli sulla
destra) si muovono su un fondo giallo scanditi da esili palmizi a
gruppi di tre, per la presenza delle monofore, e convergono verso
l’Agnello divino.
La finestra di sinistra, è stata
tamponata e dipinta con un San Giovanni Battista nel XVI secolo.
Nella parte inferiore è rappresentato
un Corteo di sante - due sole riconoscibili dalle iscrizioni:
Caterina e Lucia - che portano corone da offrire ad una figura assisa
in trono (probabilmente la Vergine), tra i due arcangeli, Michele e
Raffaele, di cui rimangono parte della veste in rosso mattone, del
braccio e della mano che impugna la croce astile gemmata.
Alla
sinistra del trono è raffigurato, come d’uso di ridotte
dimensioni, il committente, un monaco benedettino, in prossimità
della figura si legge la scritta: [—]EAT [—] [m]O[n]ACHUS PA[—].
L'Arcangelo Michele e, in scala molto ridotta, il monaco fondatore della chiesa
Il transetto destro è anch’esso
ricoperto di affreschi, realizzati dagli stessi artisti dell’abside,
articolati su quattro registri.
Al registro superiore, sia nella
parete frontale che in quella destra, prosegue la lunga teoria di
Profeti nimbati, nei due registri inferiori la processione dei
Ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse diretti verso
l’Agnello.
Segue, al registro più in basso, Morte e funerali
dell’abate Anastasio e il dolore dei monaci con l’arcangelo
Michele che chiama, dopo gli altri monaci, lo stesso Anastasio.
Il transetto destro è anch’esso
ricoperto di affreschi, realizzati dagli stessi artisti dell’abside,
articolati su quattro registri.
Al registro superiore, sia nella
parete frontale che in quella destra, prosegue la lunga teoria di
Profeti nimbati, nei due registri inferiori la processione dei
Ventiquattro Vegliardi dell’Apocalisse diretti verso
l’Agnello.
Il corteo dei 24 Vegliardi
Segue, al registro più in basso, Morte e funerali
dell’abate Anastasio e il dolore dei monaci con l’arcangelo
Michele che chiama, dopo gli altri monaci, lo stesso Anastasio.
Nella parete di destra del transetto
sono raffigurate scene tratte dall'Apocalisse.
Il primo riquadro a sinistra contiene
momenti diversi della narrazione e cioè l'apparizione del Figliuolo
dell'Uomo a Giovanni fra i sette candelabri (I, 12) , poi nuovamente
l'evangelista a colloquio con un angelo, evidente allusione agli
scritti inviati alle sette chiese, ed infine la visione dell'Anonimo
fra i simboli degli evangelisti e con i ventiquattro vegliardi che
pregano dopo aver gettato le corone e lasciato i loro troni (IV, 12 e
ss.).
Nel secondo riquadro è l'apertura dei
primi quattro sigilli (VI, 1-3) ; ma a causa dello stato frammentario
vi si scorge solo l'evangelista a colloquio con l'aquila e i primi
due cavalieri.
Il sesto sigillo
Nel registro successivo la narrazione
continua con l'apertura del sesto sigillo (VI, 12 e ss.) : Giovanni è
sempre ripetuto in basso a sinistra, eretto ed impassibile; al
centro, ai quattro angoli della terra, rappresentata come un solido
informe, quattro angeli trattengono i venti, figurette ignude di
gusto classicheggiante, pronte a soffiare nelle lunghe trombe;
l'angelo in alto a mezzo busto ordina di attendere che vengano
segnati gli eletti del popolo d'Israele.
Nel secondo riquadro di questo
registro, Giovanni questa volta prende parte attiva alla
cerimonia alzando la destra nel gesto dell'acclamazione, l'angelo con
il turibolo sta presso l'altare d'oro mentre un altro suona la tromba
(Poi venne un altro angelo e si fermò presso l’altare, reggendo
un incensiere d’oro. Gli furono dati molti profumi, perché li
offrisse, insieme alle preghiere di tutti i santi, sull’altare
d’oro, posto davanti al trono. E dalla mano dell’angelo il fumo
degli aromi salì davanti a Dio, insieme alle preghiere dei santi.
Poi l’angelo prese l’incensiere, lo riempì del fuoco preso
dall’altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono tuoni, voci,
fulmini e scosse di terremoto. I sette angeli, che avevano le sette
trombe, si accinsero a suonarle, VIII,
3-6).
La sesta tromba
Nel
primo riquadro del registro più basso sembra di poter riconoscere il
flagello della sesta tromba (
Diceva al sesto angelo, che
aveva la tromba: «Libera i quattro angeli incatenati sul grande
fiume Eufrate». Furono liberati i quattro angeli, pronti per l’ora,
il giorno, il mese e l’anno, al fine di sterminare un terzo
dell’umanità. Il numero delle truppe di cavalleria era duecento
milioni; ne intesi il numero. Così vidi nella visione i cavalli e i
loro cavalieri: questi avevano corazze di fuoco, di giacinto, di
zolfo; le teste dei cavalli erano come teste di leoni e dalla loro
bocca uscivano fuoco, fumo e zolfo, IX, 14-17). Nel riquadro si
vede Giovanni assistere al galoppo dei tre cavalieri che
travolgono gli uomini, uccidendoli in
uno squallido paesaggio chiuso al fondo da fantastici picchi.
Nell'ultimo riquadro è narrata invece
la settima calamità, l'apparire della bestia e della Donna vestita
di sole (XII, I e ss, per il testo cfr. nota 1). La narrazione
proseguiva sulla parete opposta, dove un primo riquadro è perduto,
ma in un secondo dopo la battaglia il mostro perseguita la donna, cui
però sono state date le ali (vedi sopra). Quattro ulteriori riquadri legati a
questo ciclo sono del tutto mancanti.
I dipinti votivi disseminati lungo le
navate e nella parte bassa del transetto sinistro sono invece di
epoche più tarde.
La cripta
Si accede alla cripta tramite una
ripida scala, aperta nel fondo della navatella destra, che introduce
in un ambiente voltato a botte, di forma rettangolare e di piccole
dimensioni con un’absidiola ricavata nello spessore di muro della
parete di fondo, in cui si apre una finestra centinata un tempo
schermata da una transenna in stucco, oggi trafugata.
L'ambiente è precedente all’intero
complesso chiesastico, probabilmente è parte del primitivo cenobio,
sotto l’intonaco di rivestimento sono emersi i resti di una
decorazione ad affresco.
Si accede quindi alla Cripta vera e
propria, che si può datare al tardo XI secolo e costituiva parte di
una struttura di culto anteriore all’attuale.
La pianta ha la
forma di un rettangolo absidato, è suddivisa in sei campate coperte
a volta a crociera, oggi intonacate, con pesanti sottarchi che si
dipartono dai due sostegni centrali per poi ricadere sui pilastri
semicilindrici in muratura sormontati da capitelli, addossati al
perimetro dell’ambiente, formando così delle specchiature arcuate
sulle pareti.
L’intero ambiente è circondato da un
basso sedile in muratura, conservato per tutta la sua estensione,
tranne che in un tratto nell’abside.
La muratura è di grandi
blocchi di tufo, regolarmente squadrati, con poca malta, dotata di
due sole aperture, corrispondenti alla fila inferiore di finestre
nell’abside: la meridionale mantiene il suo profilo originale di
stretta monofora a feritoia strombata verso l’interno, mentre
quella centrale è stata chiaramente ampliata. Nella cripta si trova oggi un altare a cassa indicato come tomba di sant'Anastasio.
Note:
(1) Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle. Era incinta e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per milleduecentosessanta giorni.
Scoppiò quindi una guerra nel cielo: Michele e i suoi angeli combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme ai suoi angeli, ma non prevalse e non vi fu più posto per loro in cielo. E il grande drago, il serpente antico, colui che è chiamato diavolo e il Satana e che seduce tutta la terra abitata, fu precipitato sulla terra e con lui anche i suoi angeli. (Apocalisse XII,1-9).