La tenuta che ha come edificio
principale il cosiddetto Casale di Santa Maria Nova si estende al V
miglio della Via Appia Antica, dove la strada compie una lieve curva
in prossimità dei monumenti noti come Tumuli degli Orazi e dei Curiazi, nel luogo riconosciuto dalle fonti antiche (Livio e
Strabone) come Fossae Cluiliae, dove correva l'antico confine
che separava l'ager romanus dal territorio di Alba Longa.
Il Casale di Santa Maria Nova, è così
denominato per essere appartenuto dal XIV secolo fino al 1875 ai
Monaci Olivetani di Santa Maria Nova – attualmente nota come chiesa
di santa Francesca Romana al Palatino - che lo acquistarono nel 1393
dalla nobile famiglia romana dei Sanguigni e ne mantennero
ininterrottamente la proprietà fino al 1873, quando la Giunta
liquidatrice dell'Asse ecclesiastico ne decise la vendita all'incanto
che due anni dopo si aggiudicò Isidoro Marfori. Ceduto al conte
Niccolò Marcello nel 1909, rimase in mano a privati fino al 2006
quando venne acquistato dalla Soprintendenza archeologica che ne
ripristinò la continuità con la Villa dei Quintili.
Il fabbricato principale fu edificato
riutilizzando le murature di un imponente edificio di epoca romana,
forse una conserva d'acqua o un castellum aquae a due piani,
parte integrante del sistema di distribuzione idrica della zona e
della Villa dei Quintili come attestano le numerose strutture antiche
presenti in tutto il sito.
La grande cisterna a pianta rotonda (Cisterna Piranesi)
Un’altra grande cisterna, a pianta
rotonda, divisa all’interno da setti murari, è posta lungo il
muro di epoca rinascimentale che separa la tenuta di Santa Maria Nova
dalla Villa dei Quintili, dove è indicata la presenza di « grandi
bagni », descritti da Luigi Canina nella metà dell’800. E' l’unica cisterna a pianta
circolare della villa e fu realizzata intorno alla prima metà del II
secolo con un calcestruzzo in scaglioni di basalto. Nel XVII secolo
fu inglobata nel muro di recinzione che separava la Tenuta di Santa Maria Nova da quella dei Quintili. Il suo diametro misura circa 29
metri, pari a 100 piedi romani.
In prossimità dell'ingresso alla
tenuta si trova un casaletto, costruito nel 1876 come stalla, che si
alza su strutture romane in opera reticolata, con relative
fondazioni, oggi adibito a punto di accoglienza e biglietteria.
Internamente è suddivisa in sei camere
parallele e comunicanti coperte con volte a botte, e le sue pareti
sono completamente rivestite da “ cocciopesto” per renderle
impermeabili: la sua funzione principale era il rifornimento d’acqua
agli impianti residenziali e termali dei Quintili.
Tra il 1500 ed il 1600 le tre camere
centrali, quelle più lunghe e più capienti, furono dotate di nuove
coperture a doppio spiovente, realizzate con una massicciata in
scaglie di basalto; i tre piccoli frontoni che si vennero a formare
agli estremi delle coperture, in prossimità del paramento curvilineo
dell’edificio, furono sistemati con una cortina di mattoni di
riutilizzo; sotto di essi venne scalpellata la muratura portante del
tamburo costruttivo per realizzare i tre accessi alle “gallerie”,
che da questo momento in poi cambiarono destinazione d’uso,
divenendo ambienti adatti al ricovero degli animali e alla
conservazione del loro foraggio.
E' nota anche come Cisterna Piranesi per via di un'opera del celebre incisore che la raffigura sul finire del XVIII secolo già con il nuovo sistema di coperture.
Il nucleo originario del casale principale è invece formato dal monumento di epoca romana, verosimilmente una conserva d’acqua o un castellum aquae a due piani, riconducibile alla prima metà del II secolo.
In età tardo-romana avviene la
sopraelevazione della torre in opera laterizia, con funzione
difensiva e di avvistamento realizzata nel VI secolo, verosimilmente, nel
corso delle guerre greco-gotiche. Tracce di muratura del IX secolo,
poste in prossimità della torre, ne attestano l'utilizzo anche in
età altomedievale, indizio della trasformazione del monumento in
fabbricato annesso al fondo agricolo.
Tra il XIII e il XIV secolo, con
un'ulteriore sopraelevazione della torre in scaglie di marmo bianche,
e quella dell’intero edificio in blocchetti di tufo grigio nonché
con la costruzione del redimen, ossia la cinta muraria, si
registra una ulteriore modificazione che configura l’aspetto tipico
del casale della Campagna Romana.
Alcune caratteristiche, oggi perdute ma ancora visibili nei disegni del XIX secolo, come la facciata gradonata sul lato est e il coronamento merlato dei prospetti longitudinali, dovevano ricordare il Palazzo Caetani a Capo di Bove.
All'ultimo piano della torre è visibile una decorazione a scacchi bianchi e rossi che richiama lo stemma dei Sanguigni.
Stemma dei Sanguigni
Nel XVI secolo, ulteriori
trasformazioni del monumento sono evidenti in una ulteriore
sopraelevazione in blocchi irregolari di tufo grigio, nella
realizzazione della piccola cappella semicircolare e nella
costruzione dei due recinti adiacenti al redimen, edificati
con materiali di spoglio. L’ampliamento è legato alle rinnovate
esigenze funzionali del fondo agricolo; intorno al corpo di fabbrica
principale si consolida il sistema dei tre cortili riservati a orto,
corte del casale e pascolo per gli animali domestici.
L’edificio è utilizzato al piano terra a magazzini per lo
stipare le derrate, gli attrezzi e quant’altro necessario allo
svolgimento dell’attività agricola; al piano superiore per
l’abitazione dei conduttori del fondo.
La piccola cappella,
fruibile dal primo piano del casale, che coincide con il vano
superiore del monumento, si erige sui resti del pianerottolo della
scala romana. Il luogo di preghiera, elegante nelle forme, è
plausibile sia stato realizzato dai monaci Olivetani che in una
fase, hanno condotto in prima persona l’azienda agricola.
Lo stemma
dell’Ordine, scolpito su vecchi cippi di confine del tenimentum,
è visibile su due gradini della scala moderna costruita a ridosso
del lato principale del casale.
Lo stemma degli Olivetani su un gradino della scala esterna
L'impianto termale
L'aula absidata (frigidarium)
Prima degli scavi recenti era a vista
solo la parte più alta di alcune strutture, tra cui quella della
parete curva della sala absidata. Lo scavo ne ha chiarito la funzione
come frigidarium, con vasche per l’abluzione in acqua
fredda, una semicircolare, l’altra rettangolare. La muratura in
mattoni era interamente rivestita di pregevoli lastre di marmo
cipollino e breccia corallina. A sinistra di questa sala sono
visibili i due ambienti della parte più calda delle terme (calidarium e tepidarium), con il
sistema di riscaldamento che metteva in circolo, attraverso i tubuli
di terracotta sulle pareti e l’intercapedine (ipocausto) sotto ai
pavimenti, l’aria calda prodotta dai forni (praefurnia) collocati
negli ambienti di servizio circostanti.
Il calidarium ed il tepidarium di cui sono evidenziati gli ipocausti
Queste sale sono decorate da
mosaici con scene di spettacoli gladiatori e di circo.
schema ricostruttivo
Il pavimento del calidarium (a sinistra nella ricostruzione),
è decorato da un mosaico con raffigurazione di scena di circo con
quattro cavalli accoppiati: due si fronteggiano incedenti al passo,
contrapposti ad un elemento centrale, forse una palma, su un terreno
accidentato; gli altri due sono divergenti e sembrano nell’atto di
ripartire impetuosamente, con la zampa anteriore sinistra sollevata
dal suolo, il dorso contratto, nello sforzo dello scatto.
Del cavallo
meglio conservato, si apprezzano ancora i finimenti come frontale e
testiera, il collare con fila di falere e al centro del petto una
borchia (bulla). In basso, a sinistra dell’animale, restano tre
lettere di dubbia interpretazione: TOT; nulla rimane del suo
antagonista, di cui si può supporre la raffigurazione speculare; di
quello nell’angolo nord resta la testa, buona parte del corpo e se
ne legge il nome in alto alla sua destra, INVICT[V]S; ha gli stessi
finimenti di quello precedente e la corta coda è decorata con
nastri (teniae); dell’altro nell’angolo opposto rimane
solo parte del treno posteriore.
Il mosaico che decora il tepidarium
rappresenta un gladiatore con rete e tridente (raetiarius) che
indica una figura mancante sulla sua destra di cui si conservano
l’impugnatura di una spada e una porzione di scudo.
Il giovane, con
capigliatura corta e ciuffo sulla fronte, indossa l’abbigliamento
tipico, una sorta di pantaloncino trattenuto da una fascia
(subligaculum e
balteus), e gli accessori difensivi (galerus paracolpi
sopra la spalla sinistra e manica lungo il braccio). Il tridente è
tenuto in posizione di riposo. Tra la testa e il braccio destro è
indicato il nome del combattente, MONTANUS, elemento raro e
importante.
Un secondo personaggio in tunica tiene
in mano una lunga bacchetta (virga, rudis) che punta
verso la figura mancante; indossa calzari chiusi e la veste decorata
da bande verticali, è trattenuta in vita da una cintura. Anche per
lui è indicato il nome, ANTONIUS e si tratta quasi certamente di un
arbitro al massimo livello d’esperienza.
La presenza di un marchio di fabbrica
dell’età di Commodo, impresso su un mattone nell’intercapedine
del sistema di riscaldamento, ha permesso di datare il mosaico dei
gladiatori alla fine del II secolo, quindi a un intervento edilizio
successivo alla fondazione dell’impianto originario, per motivi di
restauro o adeguamento della struttura.
Le scene rappresentate, con i
combattimenti gladiatori tanto cari all’imperatore Commodo - che
amava cimentarsi personalmente nell’arena - i cavalli delle quattro
fazioni del circo, evocazione dello sport popolare per eccellenza,
assieme alle dimensioni limitate degli edifici, collegati quasi
certamente all’edificio residenziale situato nelle vicinanze, fanno
supporre che l'impianto termale fosse utilizzato dal presidio militare
dell’imperatore, preposto alla difesa della Villa dei Quintili.