La Cappella funeraria di Bessarione
(chiesa dei SS.Apostoli, Roma).
Il 18 dicembre 1439, appena terminato
il Concilio di Firenze e mentre ancora si trova a Costantinopoli,
papa Eugenio IV (1431-1447) nomina Bessarione cardinale titolare
della chiesa dei SS.Apostoli a Roma, carica che ricoprirà fino al
1449; nei primi anni Cinquanta, sotto il pontificato di Niccolò V
(1447-1455), ne diverrà amministratore perpetuo e commendatario.
La cappella funeraria di Bessarione –
dedicata a S.Giovanni Battista, S.Eugenia e S.Michele Arcangelo –
fu affrescata tra il 1464 ed il 1468 da Antoniozzo Romano con la
collaborazione di Melozzo da Forlì.
Coperti da una mano di calce già nel
1545, per i gravi danni causati dalle continue inondazioni del Tevere
e dal sacco lanzichenecco (1527), gli affreschi furono in parte
obliterati (1650) dal monumentale altare di S. Antonio, che Carlo
Rainaldi addossò all’abside della cappella stessa e
definitivamente perduti con la costruzione della attuale cappella
Odescalchi (1719-23) di Ludovico Rusconi Sassi. La loro esistenza,
rimasta nota attraverso alcune descrizioni seicentesche, fu scoperta
solo nel 1959 dall’architetto Clemente Busiri Vici nel corso di
alcuni lavori di manutenzione del lato di Palazzo Colonna attiguo
alla basilica.
Nel primo testamento del cardinale,
redatto nel mese di febbraio del 1464 a Venezia - dove Bessarione si
era recato quale legato pontificio a latere per organizzare
l’intervento crociato della Serenissima - sono riportati i lavori
strutturali da eseguire nella cappella e la minuziosa descrizione di
una recinzione presbiteriale, una sorta di iconostasi, atta ad
isolare la zona più sacra della cappella dallo spazio dei fedeli. Il
testo in questione - dove vengono esposti in dettaglio i lasciti del
cardinale alla propria cappella funeraria e le volontà inerenti la
realizzazione del suo sepolcro - presenta altresì la raffigurazione
dedicatoria che doveva campeggiare in controfacciata alla parete di
ingresso: Cristo in trono affiancato da Maria, S. Giovanni Battista,
l’Arcangelo Michele, S. Eugenia e il cardinale Bessarione;
nell’affresco votivo il prelato doveva comparire inginocchiato
accanto ai santi eponimi e, sotto di lui, le sue armi. Lo schema
iconografico sembra far riferimento a quello tradizionale bizantino
della Deesis nel quale Maria e Giovanni Battista, ai lati di
Cristo, intercedono per le anime dei fedeli, tema che ribadisce la
destinazione funeraria della cappella. È importante rilevare che nel
documento si rinvia ad un accordo precedentemente preso con il
magister a noi non pervenuto, nel quale era forse descritto a
grandi linee l’intero schema della decorazione e, più
precisamente, le pitture da realizzare nella parte absidale.
Dalle descrizioni antiche sappiamo che
il ciclo pittorico doveva comprendere dal basso verso l’alto le
storie di Giovanni Battista (oggi perdute e già in antico sostituite
da scialbe raffigurazioni sacre); le due storie dell’arcangelo
Michele (conservate in gran parte) e culminare in alto con la
presentazione dell’uomo al Cristo trionfatore, circondato dalle
nove schiere angeliche (solo parzialmente conservato).
Particolarmente
importante per la sua valenza simbolica, storica e teologica è il
grande affresco centrale dedicato a due celebri episodi legati alle
apparizioni dell’Arcangelo Michele (1).
A
sinistra, è l’apparizione dell’Arcangelo nelle sembianze di un
toro presso la città di Siponto nel Gargano - APPARITIO EIUSDEM IN
MONTE GARGANO, come recita il titulus sottostante - (2); a
destra, il sogno di san Oberto a Mont Saint Michel nel golfo di Saint
Malo in Bretagna, sede di un altro importante santuario dedicato al
Santo (3).
Apparitio Eiusdem in monte Gargano
Nel
riquadro sinistro è ben riconoscibile la città di Siponto (4),
cinta da mura, ed il paesaggio montuoso con la grotta di Monte
Sant’Angelo sul Gargano dove nel 490 sarebbe avvenuta l’apparizione
dell’Arcangelo nelle sembianze di un toro, che miracolosamente
respingeva le frecce scagliate dagli arcieri. Si attribuisce la scena
alla mano di Antoniazzo con l’intervento di Melozzo per la figura
del toro e dell’arciere in abito viola sulla destra della
composizione.
Apparitio Eiusdem in monte Tumba
A
destra è raffigurata una scena storica di più complessa lettura. Il
titulus sottostante, APPARITIO EIUSDEM IN MONTE TUMBA,
permette di riferire la pittura alla leggenda francese di S. Michele
e alla sua apparizione in sogno a san Oberto, vescovo di Avranches,
rappresentato benedicente in sontuosi paramenti sacri al centro di
una processione di dignitari. Attendono la processione, raffigurati
in primo piano ed attribuiti alla mano di Melozzo da Forlì, due
prelati a capo scoperto e di spalle, vestiti con piviali d’oro
arabescati e sullo destra, due gruppi salmodianti di sei frati
francescani e cinque monaci basiliani orientali in abito nero. Sullo
sfondo, l’insenatura marina con tre imbarcazioni; sulla destra una
collinetta, dall’alto della quale assiste alla scena un toro legato
ad un albero, che simboleggia lo stesso Arcangelo Michele, che esorta
il vescovo a fondare il monastero.
Le conchiglie visibili sulla
spiaggia ci permettono di collocare la scena sulla spiaggia di Mont
Saint Michel, raggiungibile dalla costa a piedi solo durante la bassa
marea.
La scena sembra alludere con esplicito
riferimento al tentativo politico perseguito in quegli anni da
Bessarione di coinvolgere Luigi XI, re di Francia, all’epoca
monarca della nazione cristiana più ricca e militarmente potente, in
un’ultima crociata, che di fatto però non fu realizzata, per
liberare Costantinopoli caduta in mano ottomana nel 1453 e per
riunire la chiesa latina e greca (rappresentate nell' affresco dalla
presenza dei monaci basiliani e dei frati francescani).
Particolare del volto di San Oberto
Nella speranza di ottenerne l’appoggio,
secondo certa critica nelle sembianze del santo vescovo Oberto
sarebbe raffigurato Luigi XI (5). Di fatto, solo quest’ultimo per
il dotto cardinale sarebbe stato in grado di difendere la cristianità
e liberare il toro, ossia S. Michele, rappresentato legato ad un albero sulla collina in alto sulla destra, a causa
dell’immobilismo della Francia.
Tra il corteo dei partecipanti alla
processione è possibile riconoscere due importanti personaggi
dell’epoca di Bessarione: Francesco Maria Della Rovere, il futuro
papa Sisto IV (1471-1484), identificato nella figura alle spalle del santo
vescovo, vestita di rosso porpora e suo nipote, Giuliano Della
Rovere, il futuro papa Giulio II (1503-1513), in abiti viola.
Nella figura con le mani giunte ed il
copricapo rosso (l'unica che guarda in direzione opposta agli altri
partecipanti alla processione) si celerebbe invece lo stesso
Antoniozzo Romano ed il quella in abito verde con un cero in mano
Melozzo da Forlì.
I cori angelici
Nel
registro superiore della cappella è riapparsa dopo il recente
restauro una parte delle nove schiere angeliche, disposte in cerchi
concentrici, che circondavano la figura del Cristo trionfante, di cui
non resta, purtroppo, nulla. Anche il coro degli angeli, ispirato non
solo teologicamente alla tradizione medievale, viene attribuito ad
Antoniazzo Romano e bottega in collaborazione con Melozzo da Forlì.
In alto si conserva un frammento superstite del manto di Cristo
eseguito dallo stesso Antoniazzo.
Tra
la fine del ‘500 e inizi del ‘600 il rialzamento della
pavimentazione della cappella comportò la distruzione del registro
inferiore degli originari affreschi di Antoniazzo sostituiti dalle
attuali e mediocri raffigurazioni delle sante Eugenia e Claudia.
Al
centro si trova un'edicola marmorea che risale all'epoca della
cappella e che doveva ospitare la tavola della Madonna con Bambino –
la cosiddetta Madonna di Bessarione – opera di Antoniazzo oggi
collocata sull'altare della prima cappella della navata destra della
chiesa e qui sostituita da una copia. Di fronte all'edicola,
attraverso un'apertura del muro, si può vedere una vasca di porfido
rosso destinata ad accogliere i resti delle sante Eugenia e Claudia
qui traslati nell'XI secolo.
Antoniozzo Romano, Madonna detta di Bessarione, XV secolo
Note:
(1) S. Michele
arcangelo rappresenta nell’iconografia cristiana l’angelo
guerriero che comanda gli eserciti celesti, specificatamente invocato
nella lotta contro i Turchi.
(2) Secondo quanto
riportato dal Liber de apparitione santi Michaelis in Monte
Gargano, la cui stesura risale all'VIII secolo, l'8 maggio del
490 un certo Elvio Emanuele, un ricco signore del Gargano, che aveva
smarrito il più bel toro della sua mandria, lo ritrovò casualmente
dentro una caverna inaccessibile. Nell'impossibilità di accedere
nell'antro per recuperarlo, in un impeto d'ira decise di ucciderlo
scagliandogli una freccia con il suo arco; ma la freccia
inspiegabilmente invertì la traiettoria e colpì il signorotto
ferendolo ad un piede. Meravigliato dall'accaduto si recò da Lorenzo
Maiorano, il santo vescovo di Siponto, per riferirgli l'episodio.
Dopo averlo ascoltato, il vescovo indisse tre giorni di preghiera e
di penitenza al termine dei quali san Michele Arcangelo gli apparve
in sogno dicendo: "Io sono l'Arcangelo Michele e sto sempre alla
presenza di Dio. La caverna è a me sacra, è una mia scelta, io
stesso ne sono vigile custode. Là dove si spalanca la roccia,
possono essere perdonati i peccati degli uomini [...] Quel che sarà
chiesto nella preghiera, sarà esaudito. Quindi dedica la Grotta al
culto cristiano".
(3) Secondo la
Revelatio ecclesiae sancti Michaelis in monte Tumba, composta
nell'820 c.ca, San Michele nel 708-709 apparve in sogno ad Oberto,
vescovo di Avranches, esortandolo a costruire sul monte Tumba una
chiesa in suo onore affinchè la sua memoria vi fosse celebrata non
meno che sul Gargano. Così il vescovo fece costruire la chiesa a
pianta circolare a mo' di grotta nell'intento di riprodurre
fedelmente il santuario del Gargano.
(4)
L'antica colonia greca di Siponto, sede vescovile fin dalla metà del
V secolo, fu pressochè completamente distrutta da un maremoto nel
1255. L'anno successivo Manfredi di Sicilia ne ordinò la
ricostruzione a poco più di due chilometri a nord della città
distrutta e diede il suo nome alla nuova città – Manfredonia - con
cui essa è ancora conosciuta. Nel 1272, Carlo I d'Angiò, in
occasione della visita di papa Gregorio X, ribattezzò la città con
il nome di Nova Sipontum che però nel tempo non ebbe fortuna. Tra il
1447 ed il 1449 lo stesso Bessarione ricoprì la carica di vescovo di
Siponto.
(5) Secondo
altra interpretazione nel santo vescovo sarebbe raffigurato invece
l'umanista Niccolò Perotti, che fu amico personale di Bessarione
nonché suo segretario per un periodo (1446-1450) ed arcivescovo di
Siponto dal 1458 al 1480.