Questa legione, il cui
simbolo era il centauro, deve il nome al fatto di essere stata
costituita nel 197 da Settimio Severo – insieme ad altre due
legioni la I e la III – nel corso della vittoriosa campagna contro
i Parti (195-198).
Sotto il profilo etnico, il
nerbo della legione era formato da un forte nucleo di soldati traci a
cui si affiancavano italici, daci e pannoni e una più ridotta
presenza di africani, egiziani e siriaci.Al termine della campagna la legione venne trasferita in Italia e stanziata ad Albano, a pochi chilometri da Roma, dove nel 202 venne edificato il suo accampamento stabile - unico esempio di questo genere esistente in Italia - noto come castra albana. A differenza di tutte le altre legioni – che presidiavano le provincie dell'impero – la II Parthica assunse il ruolo di riserva da impiegare là dove ce ne fosse bisogno e, soprattutto, quello di garantire la sicurezza personale dell'imperatore.
Settimio Severo
busto in marmo realizzato per celebrare i Decennalia del 202
Museo Nazionale Romano, Palazzo Altemps, Roma
Tra il 208 ed il 211 la
legione partecipò all'ultima campagna condotta da Settimio Severo in
difesa dei confini della Britannia romana minacciata dalle tribù
caledoni.
Nel 213 fu molto
probabilmente schierata da Caracalla nella campagna contro gli
Alemanni.Venne sicuramente schierata contro i Parti tra il 214 ed il 218 perchè, quando l'imperatore venne assassinato (aprile 217) da una congiura che portò al potere il prefetto del pretorio Macrino, si ha notizia che la legione fosse stanziata ad Apamea in Siria.
Nell'inverno 217-218,
Sesto Vario Avito Bassiano (meglio noto come Eliogabalo), nipote
appena quattordicenne della potente Giulia Mesa, cognata di Settimio
Severo, esiliato da Macrino assieme ai suoi familiari ad Emesa, città
d'origine dei Bassiani, pretendendo di essere figlio illegittimo di
Caracalla, si guadagnò il sostegno dei legionari della III Gallica
di stanza a Raphana (l'attuale Abila o Quwaylibah in
Giordania) e si fece proclamare imperatore (16
maggio 218). Macrino, che si trovava ad Antiochia di Siria, mandò
contro i rivoltosi un contingente della II Legio Parthica al comando
del prefetto del pretorio Ulpio Giuliano. Probabilmente blanditi
dalle elargizioni e dalle promesse di Giulia Mesa, i legionari della
Parthica, che Giuliano aveva disposto ad assediare Emesa, passarono
con i rivoltosi trucidando Giuliano ed i suoi ufficiali. La legione
prese quindi parte allo scontro decisivo tra le truppe di Macrino e
quelle di Eliogabalo – guidate dall'eunuco Gannys - che ebbe luogo
nei pressi di Antiochia e che sancì la sconfitta di Macrino (8
giugno 218). Dopo questi eventi la legione fu ricompensata con
l'epiteto di Pia Fidelis Felix Aeterna.
Nel 218-219 la legione
rientrò in Italia al seguito dell'imperatore.
Nel 231-232 fu nuovamente
spostata sul fronte orientale per la campagna condotta da Alessandro
Severo contro i sasanidi.
Nel 234 seguì l'imperatore in Illirico dove gli Alemanni, attraversato il limes germanico, stavano saccheggiando città e campagne ed era acquartierata a Mogontiacum (l'attuale Magonza in Germania)quando vi furono assassinati l'imperatore e la madre Giulia Mamea (18-19 marzo 235) nel corso della rivolta militare che portò al potere Massimino il Trace.
La II Parthica combattè quindi negli anni successivi sotto il nuovo imperatore a difesa del limes germanico.
Nel 238 scoppiò la
rivolta nella provincia d'Africa che proclamò imperatore il
governatore Gordiano I che accettò il titolo di Augusto
insieme al figlio, Gordiano II. I due nuovi imperatori
vennero riconosciuti dal Senato che dichiarò Massimino nemico
pubblico. Il senatore Capeliano, governatore della Numidia rimasto
fedele a Massimino, sconfisse e uccise Gordiano II nella battaglia di
Cartagine mentre Gordiano I si suicidò non appena ricevuta la
notizia della morte del figlio. Nel frattempo Massimino penetrò in
Italia con tutto il suo esercito mettendo sotto assedio Aquileia.
Qui, i legionari della II Parthica, nel timore che i loro familiari
che risiedevano nei castra albana a pochi chilometri da Roma
potessero subire ritorsioni da parte del Senato, si ribellarono e lo
assassinarono.
La legione non rimase a
lungo in Italia; nella necropoli di Albano non ci sono infatti tombe
relative al regno di Gordiano III (238-244), mentre nell'epigrafe
incisa sulla tomba di un aquilifero ad Apamea l'unità viene indicata
come Legio II Parthica Gordiana a significare che venne schierata
dall'imperatore contro i sasanidi nella campagna del 242-244.
Tomba di Felsonius Verus, aquilifero della Legio II Parthica, 244 c.ca
Museo di Apamea, Siria
Rientrata in Italia nel 249,
la legione combattè per l'imperatore Filippo l'Arabo nella battaglia
di Verona dove questi venne sconfitto e ucciso dall'usurpatore Decio.
Nella seconda metà del III
secolo la legione fu dislocata in varie regioni dell'impero, di certo
rimase fedele a Gallieno (253-260) nel corso delle numerose rivolte e
tentativi di usurpazione che questi dovette fronteggiare durante il
suo regno, come testimoniato dalle monete che questi fece coniare in
onore della legione e dei titoli di Pia Fidelis che le conferì
a più riprese (V, VI e VII).
Antoniniano di biglione fatto coniare da Gallieno in onore della legione
Rientrata in Italia sul
finire del III secolo, per quanto non se ne abbia notizia dalle
fonti, la legione, schieratasi con Massenzio, fu molto probabilmente
sciolta da Costantino il grande – così come la guardia pretoriana
– dopo la battaglia di Ponte Milvio (ottobre 312).
La Legione II Parthica che
nel 360 risulta impegnata nella difesa di Bezabde (l'attuale Cizre in
Turchia) derivò probabilmente da una sottounità dell'antica legione
divenuta indipendente. Nella Notitia dignitatum infine questa unità
compare nel 420 stanziata lungo il corso del Tigri a Cepha (l'attuale
Hasankeyf in Turchia) agli ordini del Dux Mesopotamiae.