Catacombe di S. Valentino
Ingresso alle catacombe
Le catacombe di San Valentino si sviluppano al primo miglio della via Flaminia, nel declivio nord-ovest dei monti Parioli, dove è ancora visibile anche una necropoli di superficie, costituita da una fila di mausolei.
Il complesso, formato da diversi nuclei, è situato su viale Pilzudski, ai piedi dei monti Parioli. Valentino muore durante la persecuzione di Claudio il Gotico (268-270) e le sue spoglie, secondo le fonti, furono deposte nel podere della matrona Sabina, al primo miglio della via Flaminia.
Inizialmente l’area era occupata da un cimitero pagano, con tombe e mausolei datati tra il II ed il III secolo d.C. mentre, successivamente, ospiterà deposizioni cristiane strettamente legate alla venerazione del martire Valentino.
Intorno al III secolo fu scavata, nel fianco della collina, una piccola catacomba articolata su due piani con gallerie che si intersecavano regolarmente secondo lo schema a graticola.
Nel IV secolo, ampliando la galleria principale, fu creato un vano d'accesso nel quale si notano le decorazioni a fresco databili tra il VII e l’VIII secolo: sono qui rappresentate rare scene legate alla Natività, la Crocefissione e vari personaggi appartenenti alla storia della Chiesa.
Non è chiaro se il corpo del martire fu inizialmente sepolto in questa catacomba per poi essere traslato nella basilica o se fu deposto all’esterno in un sarcofago, intorno al quale si formò un’area venerata, quadrangolare, recintata, con una piccola abside scavata nella roccia, poi inglobata nella basilica fatta costruire da Papa Giulio I (337-352).
Nel nuovo edificio (a destra nella piantina), a tre navate, fu realizzata un’abside semicircolare, addossata alla collina, molto più ampia della precedente e sopraelevata. Tutta la zona del presbiterio risultò quindi rialzata e servita da una o due scale di pochi gradini. L’area della memoria fu allargata e delimitata da due nuovi muri, longitudinali e paralleli ai primi. La basilica fu modificata con i lavori di Papa Onorio I (625-638), portati a termine da Teodoro I (642-649). Fu ulteriormente rialzato il presbiterio e creata una cripta: una sorta di corridoio rettilineo che, in corrispondenza dell'altare superiore, aveva una piccola esedra dalla quale i fedeli, attraverso una "fenestella confessionis", potevano veder le reliquie del martire. Ulteriori interventi di restauro furono eseguiti fino al XIII secolo, dopo di che, a seguito della traslazione delle reliquie del martire nella chiesa di Santa Prassede (1), la basilica cadde in progressivo abbandono.
La cripta 'rettilinea' e, sulla sinistra, l'abside preesistente incorporato nella basilica di papa Giulio I
Ai lavori eseguiti durante il pontificato di Teodoro I, tra i più consistenti del VII secolo, va probabilmente riferita anche la decorazione pittorica dell’ambiente di accesso alla catacomba.
Gli affreschi purtroppo appaiono oggi molto danneggiati ma possiamo ricostruire il programma iconografico grazie all'accurata descrizione, corredata da disegni, lasciataci dall'archeologo maltese Antonio Bosio che scoprì la catacomba sul finire del XVI secolo (Antonio Bosio, Roma sotterranea, 1632).
Nella parete di ingresso e in quella destra e sinistra si sviluppava una teoria di santi orientali e occidentali, tra i quali l'archeologo riconobbe san Lorenzo.
Nella parete di fondo, sul lato sinistro, i soggetti rappresentati sono legati al tema iconografico della Natività: al centro, inquadrato da una nicchia, il busto nimbato della Vergine con in braccio il Bambino. Lateralmente corre la didascalia s (an)c (t)a Dei Genetrix.
Intorno alla nicchia erano dipinte tre scene, ricostruibili grazie ai disegni di Bosio.
A sinistra la Visitazione di Maria ad Elisabetta con l'abbraccio tra le due donne. Sulla destra due donne – una delle quali identificabile dalla didascalia di cui ancora oggi rimane qualche lettera come la levatrice Salomé – nell'atto di lavare il Bambino e sopra la nicchia ancora Salomé mentre accosta il braccio “inaridito” alla culla del Bambino (Protovangelo di Giacomo, XX,1) ed è la più antica rappresentazione conosciuta di questa scena.
da Antonio Bosio, Roma sotterranea, 1632
Sul lato destro della parete di fondo era rappresentata la Crocefissione di cui oggi è visibile solo un braccio della croce ed una figura maschile ai suoi piedi (2).
S.Giovanni
Nella descrizione di Bosio il Cristo indossava un lungo colobium ed alla sinistra della croce era raffigurata Maria con un braccio alzato in direzione del figlio mentre dalla parte opposta incedeva S.Giovanni con in mano il codice. Sullo sfondo era raffigurata Gerusalemme ed in alto il sole e la luna.
Il tratto della parete destra, contiguo alla scena della Crocifissione, ospita l’immagine di un santo vestito di un semplice pallio con sandali ai piedi. Nel XVI secolo doveva essere meglio conservato, dato che Bosio lo riproduce con volume e croce astile e ne trascrive pure l’iscrizione, oggi completamente perduta, con il nome S(AN)C(TV)S LAVRE[N]T[IVS].
La porzione destra della stessa parete conserva resti di un altro santo, oggi leggibile a fatica. Bosio lo descriveva come un santo martire, recante in mano una corona, della quale non resta traccia. In base alle campiture superstiti si può ipotizzare che il santo indossasse una dalmatica.
(1) Secondo una versione i resti di S.Valentino e S.Zenone – che sarebbero stati fratelli – furono fatti traslare da papa Pasquale I (817-824) nel sacello da lui fatto costruire nella chiesa di Santa Prassede per accogliere le spoglie della propria madre Teodora e dedicato a S.Zenone (cfr. cappella di S.Zenone). I due santi sarebbero raffigurati in un mosaico della cappella accanto al Cristo benedicente.
(2) Nel XVIII secolo il passaggio nella parete di fondo che dava accesso al livello inferiore fu ampliato, al fine di adibire la catacomba a cantina, determinando la perdita quasi completa della scena della Crocefissione.
Il tratto della parete destra, contiguo alla scena della Crocifissione, ospita l’immagine di un santo vestito di un semplice pallio con sandali ai piedi. Nel XVI secolo doveva essere meglio conservato, dato che Bosio lo riproduce con volume e croce astile e ne trascrive pure l’iscrizione, oggi completamente perduta, con il nome S(AN)C(TV)S LAVRE[N]T[IVS].
La porzione destra della stessa parete conserva resti di un altro santo, oggi leggibile a fatica. Bosio lo descriveva come un santo martire, recante in mano una corona, della quale non resta traccia. In base alle campiture superstiti si può ipotizzare che il santo indossasse una dalmatica.
Note:
(1) Secondo una versione i resti di S.Valentino e S.Zenone – che sarebbero stati fratelli – furono fatti traslare da papa Pasquale I (817-824) nel sacello da lui fatto costruire nella chiesa di Santa Prassede per accogliere le spoglie della propria madre Teodora e dedicato a S.Zenone (cfr. cappella di S.Zenone). I due santi sarebbero raffigurati in un mosaico della cappella accanto al Cristo benedicente.
(2) Nel XVIII secolo il passaggio nella parete di fondo che dava accesso al livello inferiore fu ampliato, al fine di adibire la catacomba a cantina, determinando la perdita quasi completa della scena della Crocefissione.