Lettera del capitano Matteo da Capua
a Marcantonio Barbaro, bailo di Venezia a Costantinopoli.
Inviata dalla prigione di
Costantinopoli in data 28 ottobre 1571.
(Biblioteca Marciana, Mss. italiani,
Cl.7, n.391).
Dio sa con quanto nostro dolore et
passione di core si siam posti a scriver questa per andar rinnovando
tanti travagli, fatiche et vigilie, et poi remunerati d'ingiurie et
villanie usatene da inimici, pure sforzatone al più che habbiam
possuto, si è rissolto a scriverli, prima per far riverenza a V. S.
come nostro patrone et protettore, apresso poi per darle raguaglio al
meglio che habbiam possuto della sventurata resa di Famagosta, a tal
che sapendo lei noi esser stati i primi gionti in questo loco, ne
incolpasse di negligenti et poco amorevoli al nostro Ser Principe et
Signoria. Et prima l'ha da sapere che prima che ne cominciassero a
battere la città, l' essercito turchesco n' intorniò con 9 bastioni
dalla parte di Limissò fino al scoglio; nelli quali vi erano fra
tutti 74 pezzi, cioè basilischi, canoni et colubrine. Et il batter
loro è stato con tanta vehementia et furore, che non è stato nissun
di che fra notte et giorno non habbiano tirrato al continuo 2000
tirri. Alla parte di Limissò era battuto con 52 pezzi da quattro
bastioni; la mezzaluna che viene apresso della qual ne havea cura la
buona memoria del nostro signore Ettore Baglione (1), era battuta da
uno bastione con 8 pezzi. Battevano anco con altri tanti pezzi in un
altro bastione la mezzaluna che veniva apresso, che ne havea cura la
felice memoria del d. di Famagosta. Battevano anco 1' altra mezzaluna
che viene apresso, che ne havea cura il capitano di bona memoria di
Baffo (2). Da un altro bastione battevano anco la cortina clie viene
apresso alla sopradetta
mezzaluna con alcuni pezzi ch'erano posti a piano tra gabbioni. Ne
battevano con tanto furore che quasi sino al fondo ne batterno più
della metà della cortina, del qual loco ne havea cura il cavalier
dalle Aste, il capitano Antonio del revellino, et io Matteo da Capua.
Battevano anco la mezzaluna dell' arsenale dal scoglio et da un altro
bastione con 12 pezzi, del qual loco havea cura la buona memoria del
maestro di campo, che era il capitan David dalla Noce da Crema. Et la
batteria incominciò dalli 19 di maggio al fare dell' alba con tanto
fracasso, ruina et mortalità di noi altri, che non si ricorda da
coloro che son più vecchi di noi, d' haver vista tal cosa in altre
città assediate. Con tutto ciò noi cominciannno a farli
contrabatteria da tutti i luoghi. Né anco loro potevano apena
comparir né bombardero, né altra persona, che subito non fusse
tolto di mira da nostri pezzi. Et credo certo che del tirrare
pareggiavimo a loro, et quando Dio ne avesse concesso che quel loco
fusse stato munitionato di polvere sicome ognun credeva et che anco
il loco richiedeva, i nemici haveriano perso di tal modo la scrima
che non harian saputo che farsi. Però essendosi noi accorti che
havendo tirrati 1500 tirri fra notte et di in 8 giorni havevimo
consumati 4000 barilli di polvere, s'incominciò andar un poco più
posato, essendosi fatto il calcolo della polvere et quel che poteva
bastare. Della qual cosa avistosi i nemici incominciorno avvicinarsi,
et con più furor a batterne, che in termine di un mese et dieci
giorni spianarono li sopra nominati lochi quanto potevano scoprirne,
et la ruina di dette muraglie ad essi haver fatto si facile salita et
dar l'assalto, che li carri et per dir meglio li cavalli con le some
potevano montar su, ma le nostre retirrate fatte in tutti li
sopradetti lochi davano a loro tanto terrore, che mai li bastò l'animo de montarvi; et certo molte volte ne sforzavimo uscire fuori
per tuor via la ruina, che ne veniva fatta, ma con nostro grandissimo
danno ne bisognava ritirrare per essersi tanto avvicinati alla fossa,
che in brevi giorni vennero al muro di detta fossa, et sbusorno in
più loco il muro di detta fossa fino al fondo, buttando sempre il
terreno che de li cavavano dentro la fossa. Di tal sorte che il
ruinazzo della muraglia et il terreno che buttavano, haveano fatto
una altura in detta fossa, che non poteva nessuno comparir di dentro,
che subito di frezza o d' archibusata non fusse ferito. Niente de
meno mai in quatro assalti che in questo termine diedero fu visto
virtù d'animo nelli nemici, ma come galline destese in giù venivano
quelli loro stendardi, con tutto che da noi fussero chiamati che
venissero inanti. Però come si avidero non poterne far altro pervia
del batter, si posero a far mine nelli medesimi sopradetti lochi, et
la prima la fecero alla mezzaluna dell'arsenale et havendovi dato
fuoco, buttorno tutta la torre
a
terra, né per questo fu visto nissuno accostarsi; la seconda fu
quella del capitano
generale
di
Famagosta, la qual per esser contraminata da noi, fé poco effetto.
Minorno anco la mezzaluna del capitano di Baffo, che essendo
ritrovata da noi, li fu tolta la polvere che haveano posta, et
mortovi dieci Turchi; la terza mina che derno fuoco fu quella del
revellino, cosa che atterrì molto l'animo de Greci per esser
spianato sino al fondo. Pur noi havevimo una mina nel medesimo loco,
la qual era in posto per darli fuoco il medesimo giorno quando che la
ruina non havesse impedita la scentella per darli fuoco; pur con gran
nostra fatica fu trovata, et datovi fuoco fé poco effetto. La causa
fu per esservi stata poca polvere. Ma con tutto ciò diede gran
terrore alli nemici, dubitando che non fossero delle altre; pur
essendo fuggiti di dentro alcuni Greci, li assicurorno che non vi era
altro, talché si risolse di provare di poterlo acquistare, et al far
della diana ne diedero un assalto generale da tutte le bande, ma più
dal revellino, il quale essendovi pochi Italiani per esserne assai
morti et pur assai Greci incominciorno a retirrarsi dando animo alli
nemici. Né essi havendo perso tempo montorno sopra con loro
bandiere, et ributtati i nostri s' impadronirno con gran nostra
mortalità. Della qual cosa vistosi il ser Alvise Martinengo che di
quel loco havea cargo diede fuoco alla mina che era fra la porta et
revellino, non curando ch'erano di nostri da 150 rimasti fuori, i
quali restorno tutti parte morti et altri feriti; et dubitando che
non intrassero dentro per la porta la fece serrare. De la qual
perdita tutti li Greci et anco Italiani si turbarono assai essendosi
perso quel loco per poca cura de chi lo governava. Stando noi in
questo modo serrati cercavimo defendersi al meglio che si poteva; li
nemici accostatisi alla porta ferno tre mine in detta porta, una per
fianco et l'altra ad una batteria del cavailiere di detta porta, et
lavoravano fortemente. Non contenti di questo, ferno un' altra mina
alla medesima mina che haveano fatto all'arsenale, et un' altra alla
cortina dell' arsenale dove era la batteria et tutte queste cinque
mine noi sapevimo che vi erano; però posero anche dui pezzi sul
revellino che havevano guadagnato et tirravano alia nostra porta: la
qual noi havevimo murata et piena di terra et gottone; et oltra al
terrar de due pezzi posero fuoco con legne et altre misture a detta
porta, durando tre giorni di continuo un fuoco tanto grande che
abrusciava tutta la fabrica. Per la qual cosa li Greci si lassaro
intender in publico et in secretto, et in alcuni ridotti che loro
facevano, che era bene arendersi et che loro non volevano veder le
loro mogli, figli e fratelli et sorelle in man de Turchi malmenate,
ma che se si fussimo arresi se saria stato osservato quanto ne veniva
promesso dal Bassa (3). Et se ciò non volevimo fare non erano per
combatter più, perchè dicevano che noi havevimo ragione essendo
persone che li non havevimo nessuno de nostri, ma la nostra vita
sola; la qual cosa diede molto da pensare alli animi nostri et più
alli signori che havevano a governare. Et come volse la nostra
disgratia in questo mezzo scampò dalla città un soldato fiorentino,
il qual diede raguaglio minutamente alli inimici della solevatione de
Greci et della polvere che ne era mancata, si che cominciorno un'
altra volta a dimandar parlamento, essendo che prima da noi non li fu
dato orecchio, anzi con 1' artigliarla et archibusate scacciati senza
alcun
rasonamento. Et così si stete tre giorni, et alli 23 di luglio fu a
tutte le cinque mine di sopra dette dato fuoco, et gettata tutta la
porta giù con grandissime ruine. Con tutto questo facessimo delle
altre reterrate al meglio che potevimo contra il volere delli
terrazzani, non già del popolo, ma della nobiltà, la qual gettata
ogni vergogna, a viso aperto andorno dal capitano
generale e
dallo ill.sig. Ettor, et dissero che non erano per più resistere,
vedendo che non era più ordine a casi loro, prima per esser tutti i
luoghi aperti da batterie, poi per esserne morti tanti Italiani et
Greci: l'altro per non vi esser più polvere per difìendersi, et poi
quello che più importava, dicevano, che essendo tanto fìdelissimi
si vedevano abbandonati dalla Ill.sma Signoria che in tanto tempo non
havea [mandato] altro che un poco di soccorso, senza mai avisar
cosaniuna ne haver nova alcuna; sì che per le sopradette cose
dicevano voler concorrere una medesima fortuna con Rodiotti, et che
pensassero bene sopra tal cosa. Per le qual parole fra il capitano
di Famagosta
[Marcantonio Bragadin], il capitano di Baffo et lo ill.mo sig. Ettor
fu concluso che se non si fussimo arresi haveriano havuti dui nemici,
1' uno alle spalle et l'altro dinanzi, contro la volontà certo di
tutti gli Italiani che se ben non vi era altro che sei barilli di
polvere et a terra ogni cosa, si era atti con le armi da fuoco, et
sassi che terravano le donne, deffendendosi sino a settembre, che de
li poi Dio haveria provisto; ma l'animo de terrazzani buttò a terra
ogni disegno, sicché fu concluso fra essi signori che se fussero
venuti per far più parlamento, che si fusse cercato attaccarsi a
qualche partito honorato, et che de dui mali si fusse eletto il
minore. Tal che non passorno dui giorni che venne un cameriero d'un
Bassa di Nicosia per parlamento et pian piano si accostò, dubitando
che non si fusse fatto come per il passato. Fu alzata la bandiera da
noi et interrogato che domandava, disse che noi già vedevimo
apertamente in che modo se ritrovava la città, però die pensassimo
bene a casi nostri, perchè se si fusse entrato per forza non si
haveria havuto rispetto a niuna sorta di persona; et che se noi si
havessimo voluto arrender al Gran Signore ne li averia concesso tutto
quello che havessimo saputo addimandare. Nè li avessimo havuto
risguardo che noi eranio de diversa fede perchè era chiaro per tutto
el mondo che di quanto è stato promesso dalli Gran Signori è stato
osservato con inviolabil fede, tanto più che loro si offerivano che
si fussero dati ostaggi da una parte et dall'altra; et che quando noi
altramente havessimo fatto, li haveria dispiaciuto come cristiano che
è, benché per forza si sia fatto turco. Così li fu risposto che
quando si fusse stati certi che la fede fusse per mantenersi, che si
sariamo arresi al Gran Signore sopra la parola del quale si sono
arrese tante città et regni, ma sopratutto volevimo ostaggi. La qual
cosa subito referita a Mustaffa Bassa dal sopradetto, subito ne mandò
un foglio di carta bianca, attaccatovi sotto il bollo del Gran
Signore dove vi era scolpita la sua testa d' oro fino, et che noi
havessimo scritto su quello tutto il nostro volere, et che a con
firmatione de capitoli lui haveria mandati dentro per ostaggi l'aga
de giannizzeri et il suo chiecagià (4), et che noi havessimo mandato
dui di nostri. Et cosi la mattina mandamo fuori il conte Hercole
Martinengo et un altro cittadino famagostano Mattio di Colti (5), et
di loro vennero dentro li sopradetti aga et chiecagià accompagnati
da una bellissima cavalleria et molti pedoni, pur andorno a dismontar
in casa dell' ill.ssimo sig. Ettor Baglione, dove continuamente
fattali bonissima cena et donatoli di molti doni, incominciorno de
passar li capitoli: Che essi ne davano il passaggio salvo et sicuro
sino a Settia con caramussali a bastanza, salve le nostre arme,
tamburi, insegne et cinque pezzi d'artigliarla; salve tutte le
famiglie et le nostre facultà. Et di più havendo concesso al
capitano di Baffo i sachi di gottone che erano suoi che li potesse
levar via. Tra questo s'incominciò ad imbarcar la detta artigliaria
con il gottone, stando però le banderuole di tregua intorno la
muraglia.
Noi
tutti Italiani e Albanesi, et alcuni pochi Greci s' imbarcammo nelli
caramussali che ne haveano mandato dentro il porto. Vi erano venute
ancorade 7 galee non dismontando però ninno di loro; il capitano di
Famagosta et quello di Baffo con lo ill.mo signor Ettor et lo ill.mo
sig. conte Alvise Martinengo con 200 archibusieri restarono dentro
per consignar le chiave della fortezza et munitione al Bassa et farli
riverentia. Et così la sera alle 21 hora si partirono fuori della
città per la porta del Diamante, et andarono al campo; laonde li
venne incontro una buona flotta di giannizzeri et spai. Giorni al
padiglione del Bassa, dismontarno et intrato dentro prima il Capitano
generale fé riverenza al detto Bassa; et ragionando con esso lui non
più di dieci parole, senza altro dire alzò la mano, et gli diede un
schiaffo: et havendoli fatto dar di mano comandò ad un suo buffone
die gli tagliasse tutte due le orecchie; et gridò che fusse tagliata
a pezzi tutta la compagnia ch' era venuta con lui, et subito venero
correndo verso la città, et quanti Italiani trovavano che per sorte
non erano imbarcati, tutti tagliorno a pezzi, et alli Greci diedero
un sacco leggiero, usando con loro mogli et loro figliole in loro
presentia; et la mattina venero nelli castelli dove noi erimo, et
prima ne tolsero le mogli a chi le haveva, figli et fratelli, et li
mandarno tutti entro uno serraglio, et poi caporno chi pareva meglio
per remo. Et come si hebbero piene tutte le galere, ne mandorno nelle
maone et nelle navi, havendone prima spogliati nudi come ne partorì
nostre madri. Et stando noi cosi 11 giorni, alli 15 d'agosto un
venerdì da mattina a bon hora la galera del capitano di Rodi piena
di tutte le nostre insegne alla riserva partì dalli giardini et andò
al porto, et fatto legare il Capitano generale sopra una cariega di
veludo cremisino, fatto prima cicogno dell'antenna, lo fé tirrar su
di là onde lo fé stare più di un hora, poi venuto il Bassa con una
barchetta, facendolo calar et fattolo desmontar dal molo lo fece
ligar con le mani da dietro, et condotto dentro la città, essendo
battuto da diversi Turchi, lo menarono intorno le mura, et per ogni
batteria lo fecero portar cinque coffe di terra ; poi lo menorno in
piazza et ligatolo alla colonna della berlina, dui incominciorno con
dui coltelli a scorticarlo dalla schiena, et stete vivo fino che
gionsero al bellicolo, né mai da quel benedetto corpo si fu sentito
mai lamentarsi pur una parola, ma come martire di Cristo sopportò il
tutto. Questo fu l'infelice successo di noi altri poveri Italiani, li
quali (sì come ho detto) essendo noi stati posti in diversi vasselli
siamo gionti costì da 400 Italiani : vi sono 6 capitani soli, li
quali sono il capitano Lorenzo Fornarino da Bologna, il capitano
Angelo da Orbietto, il capitano Gian Battista Squarzone che hebbe la
compagnia del capitano Francesco Bogone: vi è il capitano Hercole da
Perosa che hebbe la compagnia del capitano David Nose, il capitano
Tomaso Flessa, et cinque son io capitano Mattio da Capua ; il resto
de capitani et altri soldati erano nelle altre maone et galee, che
per un poco di burasca in Rodo si persero di vista da noi. Quello che
vogliam ora pregare V. S. Ill.ma si è che ne habbia per
raccomandati, né si voglia scordar di noi altri servitori, come
nostro patrone che ci è, suplicandola che se possibil fusse far
intender al Gran Signore il torto che ne è stato usato, che
essendosi noi arresi alla testa del Gran Signore, non già di
Mustaffà, che a lui non li hariamo mai creduto, ne dovesse usar tal
torto. Et che si doverla reccordar ciò che usò sultan Soliman a
Rodi, Strigonia et Napoli di Romania, né voglia per i 500 uomini che
fussimo macchiar il nome di un tanto Gran Signore. Quando altramente
gli paresse la voglia con suo lettere avisar lo ill.mo Senato che ne
vogli haver per raccomandati, et procurar la nostra libertà per via
di cambio o di riscatto, sicome è il solito, et come ha fatto quella
Ecc.ma Republica, a tal che il mondo possa conoscere che non si
scorda de chi la serve. Et perchè V. S. Ill.ma sappia, siamo in mano
di Mehemet Bassa cinque capitani con 200 soldati italiani, il resto
al bagno del Gran Signore et altri lochi. Et acciò che V. S. Ill.ma
sappia la nostra necessità, siamo serrati nel bagno senza praticar
con niuno, et con doi pani al giorno, sicome ogni altro povero
schiavo. Et non habbiamo dove ricorrere se non a lei, perchè oltra
che ogn' uno di noi habbia rimesso nella camera di Famagosta ogni
sostantia che si è possuto per la incommoda moneta di rame che in
quel regno correva, come appar per parte delle polizze di detta
camera, che sono apresso di noi. Et perchè quello con che si
potevamo soccorrer siamo stati svaliggiati et spogliati nudi, a tal
che non havemo di che potersi riparare, la supplichiamo che ne vogli
soccorrer per poter passare la misera vita sino che piacerà a Dio.
Et oltra che faremo buono tutto quello che serà servito soccorrerne
senza niuno interesse, in perpetuo saremo tenuti pregar el
Santissimo Dio per la salute et felice prosperità di V. S. Ill.ma et
vittoria di quella benigna Republica. Dal bagno di Mehemet Bassa alli
28 d'ottobre 1571. Di V. S. Ill.ma affettionatissimi servitori,
suplicandola fare la risposta. Io capitano Mattio da Capua. Io
capitano Camillo Squarzone vesentino. Io capitano Hercole Andriani da
Perugia. Io Simon Bagnese da Firenze. Io capitano Tomaso Flessa
capitano de Stradiotti.
Note:
(1) Astorre Baglioni,
comandante militare della piazzaforte di Famagosta.
(2) Lorenzo Tiepolo, che aveva il grado
di capitano di Paphos (Baffo).
(3) Pascià.
(4)
L'aga
dei giannizzeri ((yeničeri
aghasï)
è il loro comandante ed il chiecagià
(kiāhyā)
il suo luogotenente.
(5)
Mathias Solphios, capo del Consiglio cittadino di Famagosta.