1. La morte di Adamo (1460)
All'estrema
sinistra sono rappresentati due giovani, che assistono con
costernazione alla prima morte nella storia dell'uomo.
Sulla
destra, seduto a terra e circondato dai suoi figli, il vecchio Adamo
manda Seth presso l'arcangelo Michele. Nello sfondo si vede
l'incontro tra Seth e Michele, mentre a sinistra, all'ombra di un
grande albero, il corpo di Adamo viene sepolto alla presenza dei
familiari. Ponendo tutte e tre le scene della rappresentazione nello
stesso paesaggio, Piero si mantiene negli schemi narrativi
tradizionali già usati da Masaccio nella Cappella Brancacci.
L'affresco occupa l'intera lunetta
della parete destra e racconta di come Adamo, ormai anziano, è
morente (gruppo di destra), assistito dall'anziana Eva e da altri
discendenti. Il giovane ignudo di spalle è una citazione classica
del Pothos di Scòpa (visto probabilmente in un disegno
proveniente da Roma).
Photos
copia di età adrianea dell'originale di Scòpa (330 a.C. c.ca)
Museo Montemartini, Sala delle caldaie, Roma
Sullo sfondo del dipinto Seth è a
colloquio con l'Arcangelo Michele, per chiedergli l'Olio della
Misericordia.
Ne riceve invece il germoglio
dell'Albero della Conoscenza, che sarebbe cresciuto fino "ai
tempi di Salomone".
Nella parte centrale avviene la morte
di Adamo, con una donna che apre le braccia urlando di disperazione
(e richiamando l'attenzione dello spettatore sul centro del dipinto),
mentre Seth (quasi completamente cancellato dal cattivo stato di
conservazione) sta piantando nella bocca di Adamo il germoglio
dell'Albero.
All'estrema
sinistra si trovano due giovani, dei quali uno è insolitamente
estraneo all'evento e guarda fuori dallo spazio del dipinto, verso il
Profeta
sulla parete adiacente. Si tratta forse di una connessione tra
l'evento narrato e la profezia della venuta del Salvatore che vincerà
la morte.
2. Salomone e la regina di Saba (1452)
Due
episodi sono mostrati nello stesso affresco, separati l'uno
dall'altro dalla colonna del palazzo reale. L'elemento
architettonico, la colonna, è il centro della composizione e il
punto di vista dell'intero affresco. L'episodio sulla sinistra è
tratto dalla leggenda, mentre quello sulla destra è un elemento
iconografico aggiunto da Piero.
La
Regina di Saba,
nel suo viaggio per incontrare Salomone e in procinto di attraversare
quel ponte, ha la visione che il Salvatore verrà crocifisso con quel
legno. Invece di attraversarlo si inginocchia ad adorare quel legno.
Quando Salomone scopre la natura del messaggio divino ricevuto dalla
Regina di Saba ordina che il ponte venga rimosso e il legno sepolto. Ma il legno viene
ritrovato e, dopo un secondo messaggio premonitore, diventa lo
strumento della Passione.
3. Innalzamento (o sepoltura) del Legno
Sul
muro frontale della cappella, nel lato destro della finestra e sotto
un Profeta, è stato posto l'Innalzamento (o sepoltura) del Legno.
Questa storia fu dipinta dal principale assistente di Piero, Giovanni
da Piemonte.
Qui la pesante modellazione di Giovanni da Piemonte
disegna le rigide pieghe dei vestiti dei portatori e i loro capelli
raccolti. Sulla Croce la venatura del legno, come un elegante motivo
decorativo, forma un alone attorno alla testa del primo portatore,
che appare così come una prefigurazione di Cristo sul Calvario. Il
cielo occupa metà della superficie dell'affresco e le bianche
nuvole irregolari appaiono come intarsi nell'azzurro.
4. Il sogno di Costantino (1455)
Al di sotto del riquadro precedente, è raffigurata la scena in cui un angelo appare in sogno all'imperatore la notte che precede la battaglia di Ponte Milvio e gli intima di combattere nel segno della croce.
La scena è ambientata in piena notte. Costantino dorme dentro la sua
grande tenda. Seduto su un piano bagnato dalla luce, un servitore
fissa l'osservatore in una silenziosa conversazione. Con una audace
innovazione, che sembra anticipare il moderno concetto di luce di
Caravaggio, le due sentinelle rimangono nell'ombra contornate solo
dalla luce proveniente dall'angelo sopra di loro.
5. Battaglia di Ponte Milvio (1458?)
Nella
Battaglia di Costantino contro Massenzio,
Ginzburg ravvede nell'insistenza sulla figura di Costantino (figura
assente nel ciclo di Agnolo Gaddi in Santa Croce a Firenze, che
invece dà spazio unicamente alla figura di Eraclio) un dichiarato
manifesto politico antiturco.
Il
vessillo che portano i soldati 'romani' di Costantino reca infatti
l'aquila monocipite, l'insegna imperiale romana che proprio Giovanni
VIII prima e Costantino XI poi adottarono al posto della precedente
aquila bicipite. Le insegne dell'esercito nemico di Massenzio, una
testa di moro e un drago, sono un chiaro riferimento all'esercito
turco: il drago è la bestia musulmana che assalta la cristianità,
la testa di moro non ha bisogno di decrittazione.
Secondo
altra interpretazione l'affresco, oltre a raffigurare genericamente
la lotta contro il Turco, alluderebbe più specificamente alla
vittoria del voivoda di Transilvania Giovanni Hunyadi contro l'esercito di Maometto II sotto
le mura di Belgrado nel luglio 1456.
Secondo
Ginzburg, inoltre, l'inserimento nel dipinto del ritratto di Giovanni
VIII Paleologo nelle vesti di Costantino il Grande sarebbe una chiara
prova della volontà della committenza di celebrare la figura del
penultimo imperatore di Bisanzio: Giovanni Bacci, subentrato dopo la
morte del padre Francesco nel 1459 alla 'guida' della committenza
aretina, avrebbe intessuto rapporti molto stretti con Bessarione, e
quindi richiesto esplicitamente a Piero di inserire nell'affresco il
profilo dell'imperatore, forse anche passandogli, per conto dello
stesso Bessarione, la medaglia pisanelliana come modello.
Raffronto del profilo di Costantino con quello di Giovanni VIII ritratto da Pisanello nella medaglia di bronzo realizzata in occasione del Concilio di Ferrara-Firenze (1438-1439)
L'intervento del cardinale sarebbe stato mirato a glorificare
l'ultima dinastia imperiale bizantina nella figura di Giovanni VIII al seguito del quale era venuto in Italia per il Concilio
di Ferrara-Firenze del 1438-1439 e grazie al quale era entrato in
possesso del prezioso reliquiario che conteneva un frammento del
legno della Vera Croce.
Al di là dell'allegoria, la battaglia tra Costantino e Massenzio è
dipinta come una splendida parata dalla quale il fragore delle armi è
stato definitivamente eliminato. L'assenza di movimento immortala i
cavalli nell'atto di saltare, i guerrieri che gridano con le bocche
aperte, tutti fissati dall'inflessibile struttura compositiva imposta
dalla prospettiva lineare.
6. La tortura dell'ebreo
Sul
muro frontale della cappella, nel lato sinistro della finestra e
sotto un Profeta, è stata posta la scena della Tortura dell'Ebreo,
dipinta da Giovanni da Piemonte.
7. Ritrovamento e verifica delle tre croci (1460)
Questa
è una delle più complesse e monumentali composizioni di Piero.
L'artista dipinge sulla sinistra la scoperta delle tre croci in un
campo arato, fuori delle mura di Gerusalemme, mentre sulla destra, in
una via della città, avviene il riconoscimento della Vera Croce. Il
suo grande genio, che gli permetteva di trarre ispirazione dal
semplice mondo della campagna, come dall'atmosfera sofisticata delle
corti, così come dalla struttura urbana di città come Firenze e
Arezzo, raggiunge in questo affresco le vette della varietà
visiva.
La scena sulla sinistra descrive una scena di lavoro nei
campi e la sua interpretazione del lavoro umano come atto di epico
eroismo è ulteriormente sottolineata dai gesti solenni delle figure,
immobilizzate nella loro fatica rituale. Oltre le colline sullo
sfondo, bagnata da una luce pomeridiana, Piero ha dipinto la città
di Gerusalemme. E', di fatto, una delle più indimenticabili viste di
Arezzo, racchiusa tra le sue mura e abbellita dalla varietà dei suoi
edifici colorati, dalle pietre grigie ai rossi mattoni. Questo senso
del colore, che permette a Piero di rendere la diversa natura dei
materiali e con l'uso di tonalità differenti permette di far
distinguere le stagioni e l'ora del giorno, raggiunge le massime
vette in questo affresco, confermando il distacco dai pittori
fiorentini contemporanei. Sulla destra, davanti al tempio di Minerva,
la cui facciata in marmi di diverso colore è molto simile agli
edifici progettati da Leon Battista Alberti, l'imperatrice Elena e il suo seguito
sono attorno alla barella su cui giace il giovane morto;
improvvisamente, toccato dal Sacro Legno, questi risorge. La Croce
inclinata, lo scorcio del busto del giovane col suo profilo appena
accennato, il semicerchio creato dalle dame di compagnia di Elena, e
anche le ombre proiettate sul terreno, ciascun elemento è
attentamente studiato per ottenere una profondità spaziale che mai
prima, nella storia della pittura, era stata resa in maniera così
fortemente tridimensionale.
Nel volto del camerlengo che, nella scena del ritrovamento, sta in piedi tra la croce e l'imperatrice, l'artista ha ritratto se stesso.
All'estrema
destra del dipinto, l'ultimo personaggio di un gruppetto di astanti
che indossano copricapo di foggia bizantina, e che ricorre anche nel
successivo pannello dell'Esaltazione
della Croce,
appare vestito allo stesso modo del cardinale Bessarione nel celebre
dipinto della Flagellazione (Ronchey), con una sorta di sovramantella che cala lateralmente alle maniche e con un colletto floscio.
8. La
battaglia di Eraclio contro Cosroe (1460)
L'imperatore
Eraclio (610-641) dichiara guerra al re persiano Cosroe e, dopo averlo
sconfitto, ritorna a Gerusalemme con il Legno Sacro. Ma la Volontà
Divina impedisce all'Imperatore di fare il suo ingresso trionfale in
città. Così Eraclio, abbandonate tutte le insegne del potere e
della magnificenza, entra a Gerusalemme portando la Croce in un gesto
di umiltà, seguendo l'esempio di Cristo.
Pienamente
godibile è la concertazione dei dettagli, che sono di per sé dei
capolavori fruibili anche indipendentemente. Celebri dettagli sono
quelli del trombettiere con il cappello alla bizantina (che spicca
chiaro per contrasto sulle figure scure attorno), le armature
rinascimentali perfettamente ritratte nei lustri metallici, la cura
meticolosa nella rappresentazioni delle più disparate armi.
Difficile
è però coordinare con precisione l'insieme, per la mancanza di
riferimenti spaziali precisi. Tutto appare infatti condensato e tutti
gli spazi intermedi sono occupati da altre figure o parti di figure.
Numerosi sono gli scambi di colori "a scacchiera" tra
figure vicine, che rendono impossibile la distinzione tra amici e
nemici. Per esempio la scena della pugnalata al collo vede due figure
con corazza verde o bruna o le maniche o il cappello del colore
opposto; il soldato con lo scudo sotto Eraclio porta nelle brache gli
stessi colori che ha nello scudo (rosso, verde e bianco).
In alto si dispiega una selva di lance
e spade intrecciate, con bandiere simboliche sventolanti. L'aquila
simboleggia il potere imperiale ed è aggressivamente rivolta verso i
nemici, col becco aperto. Vi è poi la bandiera dell'oca, simbolo di
vigilanza, e il leone, emblema della forza e del coraggio; tra le
bandiere dei nemici, ormai già lacerate, si riconoscono lo
scorpione, simbolo del giudaismo, la testa di moro e la mezzaluna calante.
Al centro della composizione campeggia intatto lo scudo crociato:
esso simboleggia l'annuncio della vittoria, non ancora conseguita ma
ormai inevitabile.
Un
quarto circa della scena è occupato nell'estremità destra dal
baldacchino sotto il quale si sta svolgendo l'esecuzione dello
sconfitto Cosroe. L'ambiente, nonostante mostri un episodio
successivo alla battaglia, è rappresentato in maniera continua, con
le gambe di un cavallo al galoppo che invadono la parte inferiore.
Il
baldacchino è quello che il re persiano usava per farsi adorare su
di un trono, a fianco della Croce (issata a destra del trono) e di un gallo
sulla colonna. In basso egli è raffigurato in ginocchio, circondato
da un semicerchio di funzionari, mentre due guardie si avvicinano
minacciose: quella di destra ha già la spada alzata nel braccio
destro, che sfora di una porzione oltre il confine della scena. Gli
uomini abbigliati alla moderna sono rappresentanti della famiglia
Bacci, i committenti dell'opera, la cui presenza li pone
simbolicamente tra i difensori del cristianesimo (quello di profilo a sinistra
di Cosroe dovrebbe essere Giovanni Bacci).
9. L'Esaltazione della croce (1466)
La
scena che chiude le Storie
mostra la finale esaltazione delle Croce, cioè il suo rientro a
Gerusalemme
dove può essere issata di nuovo per la devozione. L'imperatore
Eraclio
(la sua figura è quasi completamente perduta) dopo aver ripreso la
Croce a Cosroe si appresta a riportarla in città, ma un angelo lo
interrompe sulla via e ferma la sua parata trionfale: il vescovo
Zaccaria lo esorta allora a un atteggiamento d'umiltà, infatti solo
entrando scalzo, come Cristo sul Golgota, l'imperatore può riportare
la Croce a Gerusalemme.
L'affresco mostra quindi la parata del
rientro della Croce, mentre dalla città un gruppo di fedeli si fa
incontro e si inginocchia in adorazione. Questo episodio era
ricordato dalla cerimonia religiosa dell'Esaltazione.
Dietro l'imperatore si trovano una
serie di dignitari con vesti e mantelli all'antica e con vistosi
cappelli che erano in uso nella corte bizantina e che vennero visti
da Piero e da altri artisti durante il concilio di Ferrara-Firenze
(1438-1439). Il secondo dopo Eraclio, con la mitria di profilo, è il
vescovo Zaccaria, il terzo è nuovamente il personaggio (Bessarione?)
già visto nella scena del Ritrovamento della Vera Croce.
La parte destra, all'ombra delle
imponenti mura della città dove si levano due torri fortificate, ha
il carattere di un'istantanea, infatti non tutti i personaggi sono
arrivati: alcuni sono già inginocchiati, con la testa fasciata come
si usava portare sotto i copricapo, uno si sta per inginocchiare
togliendosi il vistoso cappello alla bizantina (un motivo
essenzialmente geometrico), mentre un altro sta accorrendo.
L'allineamento degli oranti o dei partecipanti alla processione
convoglia l'attenzione dello spettatore sui singoli volti, che sono
ritratti con varie inclinazioni in ossequio al principio della
Varietas.
Gli alberi sul fondale riempiono la
parte verticale della lunetta e si ricollegano all'altra lunetta con
la Morte di Adamo, ambientata anch'essa all'aperto in uno
scenario simile. Le nuvole sfumate a cuscinetto sono una
caratteristica tipica dell'arte di Piero della Francesca. Un
tramonto, tenuemente sfumato all'orizzonte, chiude il ciclo sullo
sfondo.
A e B. I due profeti (1452)
Ai
lati della finestra, in alto, l'artista ha posto due giovani profeti,
quasi due solidi guardiani.
La maggiore qualità del profeta sulla
destra indica che sicuramente fu dipinto da Piero, mentre
l'altro fu eseguito da un assistente su un cartone dello stesso
Piero.
Nel
programma iconologico dei cicli di affreschi dell'epoca è usuale
trovare anche la rappresentazione di un certo numero di profeti
dell'Antico Testamento, che però di solito si trovano in cornici o
zone marginali, di dimensioni spesso più piccole. Piero invece li
rappresentò a grandezza uguale a quella delle altri figure del
ciclo, posti su uno sfondo neutro monocolore e appoggiati su un
gradino marmoreo.
L'identificazione
dei profeti è incerta poiché mancano attribuiti specifici o
cartigli che ne stabiliscano inequivocabilmente l'identità o il
contenuto delle loro profezie.
L'identificazione di
Ezechiele
con il profeta a sinistra della finestra si basa sul
riscontro della sua posizione al di sopra dell'Annunciazione, per via
della sua visione della porta clausa (Ez 44,1) che nel
medioevo era identificato come uno dei più popolari simboli di
Maria: nella scena sottostante infatti una porta chiusa si trova
dietro l'Angelo.
La
veste del profeta è rossa, con mantello verde, mentre nell'altro
profeta il rosso sta sul mantello, secondo un'alternanza di colori
frequente nell'arte pierfrancescana.
L'identificazione di Geremia
con il profeta a destra si basa sul riscontro della sua
posizione accanto alla Morte di Adamo, verso la quale guarda
ed è riguardato da un personaggio all'estremità sinistra. Geremia
infatti aveva profetizzato un discendente di Davide che Jahvé farà
crescere come il germoglio piantato nella bocca di Adamo,
interpretato come allusione al Cristo che lega la scena della nascita
dell'Albero della Conoscenza al resto delle storie della Croce.
Il profeta è raffigurato in piedi, su
uno sfondo scuro, in mano tiene un cartiglio svolazzante, dove però
non c'è iscrizione o non si è conservata. L'elemento più
spettacolare è l'illuminazione sperimentale che proviene da dietro a
sinistra, dalla finestra cioè che illumina naturalmente la cappella.
In questo senso il profeta è come se fosse sbalzato in avanti sul
gradino, proiettandosi verso lo spettatore quel tanto che basta per
lasciarsi la finestra e la luce alle spalle.
In base alla somiglianza con il giovane
scalzo che figura nella
Flagellazione
di Piero, la Ronchey riconosce in questo personaggio le fattezze di
Tommaso Paleologo, fratello minore di Giovanni VIII ed ultimo despota
di Morea.