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sabato 28 ottobre 2023

La profezia incisa sul sarcofago di Costantino il grande

 La profezia incisa sul sarcofago di Costantino il grande


Non pochi manoscritti, a partire dal XV secolo, riportano un crittogramma che sarebbe stato inciso sul sarcofago di Costantino il grande e la sua interpretazione che sarebbe stata opera di Gennadio Scholario.

Il sarcofago attribuito a Costantino il grande oggi nell'atrio della chiesa di Sant'Irene

Nella prima indizione, il regno di Ismaele chiamato Mohammed sconfiggerà la stirpe dei Paleologi e conquisterà la città dei sette colli (Heptapholos= Costantinopoli) e regnerà su essa: impererà su molti popoli, devasterà le isole fino al Ponto Eusino, compirà distruzioni alle foci dell'Istro (il Danubio). Nell'ottava indizione sottometterà il Peloponneso. Nella nona indizione farà una campagna nelle regioni settentrionali. Nella decima indizione sconfiggerà i Dalmati e ritornerà di nuovo dopo qualche tempo per fare una grande guerra contro i dalmati e in parte li distruggerà.

E le moltitudini e le nazioni (lett. "Tribù") d'Occidente, [numerose come] foglie,insieme porteranno guerra per terra e per mare e sconfiggeranno Ismaele il cui discendente regnerà per un brevissimo periodo di tempo. E la razza bionda, insieme con i precedenti possessori, sconfiggerà l'intero Ismaele e conquisterà la città dei sette colli con i [suoi] privilegi. Poi provocheranno una selvaggia guerra civile fino alla quinta ora e una voce griderà tre volte:
“Fermatevi, fermatevi, e con timore affrettatevi verso l'area sulla destra [e] troverete un uomo coraggioso, mirabile e robusto. Costui avrete come vostro capo perché lui è il mio diletto; scegliendolo compirete la mia volontà”.

Gennadio avrebbe decrittato il testo 1101 anni dopo la morte di Costantino (erroneamente posta dal redattore del resoconto nel 329 mentre l'imperatore morì nel 337) quindi nel 1430 o nel 1438.
Non c'è però alcuna traccia di questa interpretazione negli scritti attribuiti a Gennadio o spuri. Oltre a ciò il testo contiene riferimenti cronologici alle imprese di Maometto II estremamente precisi: prima indizione (1453), caduta di Costantinopoli; ottava indizione (1460), conquista della Morea; nona indizione (1461), conquista delle coste del Mar Nero; decima indizione (1462), conquista della Bosnia.
Si tratta quindi molto probabilmente un falso creato nel 1463 per avallare la crociata per la riconquista di Costantinopoli che papa Pio II Piccolomini stava cercando di promuovere e al cui esito positivo allude chiaramente il testo: E le moltitudini e le nazioni d'Occidente, [numerose come] foglie,insieme porteranno guerra per terra e per mare e sconfiggeranno Ismaele il cui discendente regnerà per un brevissimo periodo di tempo.

La morte del papa (15 agosto 1464) determinò però il naufragio del progetto di riconquista della città da parte dell'Occidente.
Gennadio Scholario, all'epoca patriarca di Costantinopoli (1), di cui era peraltro nota la tendenza ad interpretare profeticamente gli avvenimenti del suo tempo, è presumibilmente chiamato in causa per avvalorare l'autenticità del documento.

immagine tratta dal Cod.Berolin., gr.297, (fol.62), XVI sec.


In molti dei manoscritti che riportano il crittogramma e la sua decodifica da parte di Gennadio, figura infatti anche un'illustrazione che che ritrae il patriarca seduto accanto al sepolcro di Costantino nell'atto di trascrivere l'interpretazione.

Note

(1) Gennadio Scholario ricoprì la carica di Patriarca di Costantinopoli con il nome di Gennadio II in tre diversi periodi (1453-1457, 1462, 1464-1465)


giovedì 12 ottobre 2023

Gli ultimi anni dell'impero d'Occidente (455-476)

 Gli ultimi anni dell'impero d'Occidente (455-476)


Ricimero (405-472): Di padre svevo e madre visigota, nacque intorno al 405 e trascorse la sua giovinezza alla corte dell'imperatore romano d'Occidente Valentiniano III, dove si distinse combattendo assieme a Maggioriano – di cui divenne amico fraterno – agli ordini del magister militum Ezio. Fu il vero uomo forte dell'impero d'Occidente nell'ultimo ventennio della sua esistenza.

Dopo gli assassinii di Ezio (454) e di Valentiniano III (455), Petronio Massimo, membro di una delle più illustri famiglie dell'aristocrazia romana – la gens Anicia – che non era estraneo a nessuno dei due omicidi, forte dell'appoggio del Senato ed elargendo denaro agli alti funzionari di palazzo, riuscì a farsi proclamare imperatore, nonostante la vedova di Valentiniano, l'augusta Licinia Eudossia, gli preferisse Maggioriano che era subentrato ad Ezio al comando dell'esercito.

Petronio Massimo (17 marzo 455-31 maggio 455): per consolidare la sua posizione costrinse l'augusta a non rispettare il lutto ed a sposarlo. Elevò il figlio avuto dalla prima moglie, Palladio, al rango di cesare e gli diede in moglie Eudocia, una delle figlie dell'augusta. Licinia Eudossia pensò bene di appellarsi Genserico, il re dei Vandali, al cui figlio Unerico, Eudocia era stata promessa in sposa da Valentiniano. Organizzata la spedizione, Genserico salpò da Cartagine e sbarcò a Porto dove pose il suo campo. I militari in stanza nella capitale capirono che la città era persa e si ammutinarono. L’imperatore tentò la fuga ma rimase ucciso, probabilmente in una sommossa che coinvolse anche la popolazione locale. Così i Vandali poterono entrare in città senza incontrare resistenza. L'unica personalità che tentò di opporsi alla devastazione fu papa Leone Magno, che trattò con Genserico. Il papa lasciò ai Vandali la possibilità di spogliare la città dei suoi averi, ma in cambio non avrebbero dovuto infierire sulla popolazione inerme. Ma i Vandali rispettarono l'accordo solo in parte. Molti membri dell’aristocrazia senatoria vennero fatti prigionieri, per poi chiedere un riscatto. Inoltre, molti artigiani vennero condotti, in schiavitù, a Cartagine. Genserico, rientrando a Cartagine, si portò appresso anche l'augusta e le sue due figlie, Placidia e Eudocia.


Karl Pavlovich Briullov, Il sacco di Roma, 1833-1835
Tretyakov gallery, Mosca
Al centro della composizione si nota, con la testa coronata, l'imperatrice Licinia Eudossia che abbraccia la figlia Eudocia. Sulla destra, in piedi sul sagrato di una chiesa, papa Leone Magno

Marco Mecilio Avito (455-456): nato intorno al 395 ad Augustonemetum (l'attuale Clermont-Ferrant) era un esponente di spicco dell'aristocrazia gallo-romana. Dopo aver raggiunto posizioni di rilievo nella carriera civile, si era dedicato a quella militare servendo sotto il magister militum Flavio Ezio nelle campagne contro gli Iutungi e i Norici (430/431) e contro i Burgundi (436). Tornato in Alvernia – probabilmente con il grado di magister militum per Gallias – era poi stato nominato prefetto del pretorio delle Gallie nel 439 e si era ritirato a vita privata l'anno seguente. Durante il suo breve regno, Petronio Massimo lo aveva richiamato in servizio affidandogli il comando dell'esercito e lo aveva inviato in missione diplomatica presso il sovrano visigoto Teodorico II – che Avito conosceva bene – per confermare il loro status di foederati e garantirsene l'appoggio. Quando giunse la notizia della morte di Petronio Massimo, Avito si trovava a Tolosa presso la corte di Teodorico II. Il re goto non perse l'occasione e lo acclamò imperatore (9 luglio 455). Il 5 agosto giunse la ratifica del Senato romano e solo allora Avito mosse verso l'Italia alla testa di truppe gallo-romane rafforzate da un contingente goto. Si fermò a Ravenna, dove lasciò un distaccamento di goti al comando di un certo Remisto che nel frattempo aveva fatto patrizio e nominato magister militum praesentalis, e entrò a Roma il 21 di settembre. Il 1° gennaio 456 assunse come da tradizione il titolo di console, ma non fu riconosciuto dall'imperatore d'Oriente Marciano che per quell'anno nominò altri due consoli.
Avito si trovò a dover fronteggiare l'intraprendenza della flotta vandala che spadroneggiava nelle acque del Mediterraneo compiendo incursioni nei possedimenti romani e rendendo difficile l'afflusso di derrate nella capitale. Recimero riuscì a sconfiggere la flotta vandala al largo della Corsica e battè il loro esercito nei pressi di Agrigento. Nel frattempo la scarsità di viveri, aggravata dalla necessità di sfamare le truppe che 'imperatore si era portato dietro, e l'ampia distribuzione di cariche pubbliche e prebende a cittadini gallo-romani, aveva reso Avito alquanto impopolare nella capitale. Oltracciò, rimasto a corto di liquidità, era stato costretto a congedare il contingente goto. Forti della popolarità derivatagli dalle vittorie contro i Goti, Ricimero e Maggioriano, che comandava la guardia imperiale, insorsero e costrinsero Avito a fuggire verso il nord. Ricimero lo fece destituire dal Senato e fece assassinare a Ravenna il magister militum Remisto (17 settembre 456).
Nel frattempo Avito aveva raggiunto la città di Arelate (Arles) nelle Gallie, dove aveva raccolto delle truppe a lui fedeli. Nominato Messiano nuovo magister militum rientrò in Italia dove fu però sconfitto da Ricimero nella battaglia di Piacenza. Fatto prigioniero e obbligato a deporre le insegne imperiali, ebbe salva la vita e fu consacrato vescovo di Piacenza da Eusebio, allora metropolita di Milano (1).

Maggioriano (457-461): Nato in una famiglia di militari (il nonno fu magister equitum sotto Teodosio I) cominciò la carriera combattendo in Gallia agli ordini di Ezio. Ebbe come compagni d'armi due brillanti ufficiali di origine barbara, Ricimero e Egidio, legandosi al primo con una duratura amicizia.
  
Maggioriano
particolare del frontespizio di una copia del Breviario di Alarico, 803-814
Biblioteca Nazionale Francese, Parigi

Nel 450 l'imperatore Valentiniano III progettò di dargli in moglie la figlia Placidia allo scopo di assicurarsi una linea di successione. Il progetto fu ostacolato da Ezio, il quale aspirava a sua volta a imparentarsi con la famiglia imperiale, che congedò Maggoriano e lo costrinse a ritirarsi nella sua campagna. Dopo l'assassinio di Ezio (454), Valentiniano lo richiamò in servizio e, alla morte di questi, il nuovo imperatore, Petronio Massimo, lo nominò comes domesticorum (comandante della guardia imperiale), carica che mantenne anche sotto Avito. Spodestato Avito, Maggioriano non avanzò la sua candidatura e Leone I, l'imperatore d'Oriente a cui spettava nominare il successore, tardò a farlo forse con l'intento di riunire sotto il suo scettro le due metà dell'impero. Nel febbraio del 457 nominò comunque Maggioriano magister militum per Occidentem ed elevò Ricimero al rango di patrizio. Il primo di aprile, l'esercito, acquartierato nei pressi di Ravenna, proclamò augusto Maggioriano, anche se molto probabilmente il riconoscimento ufficiale da parte di Leone I non avvenne prima di dicembre. Nel discorso d'insediamento che tenne in Senato il 28 dicembre è manifesta la sua volontà di governare assieme a Ricimero che aveva posto al comando dell'esercito.
Maggioriano provvide quindi a rafforzare l'esercito, reclutando molti mercenari barbari, e la flotta per contrastare il dominio sul mare dei Vandali stanziati in Africa.
Volse quindi la sua attenzione alle Gallie dove i sostenitori di Avito avevano dato luogo ad una rivolta capeggiata da un certo Marcello. Inviò quindi Egidio, insignito del titolo di magister militum per Galliam, che liberò Lione e la regione circostante ed entrò ad Arelate dove fu assediato dai Visigoti. L'imperatore stesso, affiancato dal generale Nepoziano, il magister militum praesentalis, guidò l'esercito che ruppe l'assedio e sbaragliò i Visigoti ristabilendo il controllo imperiale sulla Gallia meridionale. Per la prima volta dopo più di mezzo secolo un imperatore occidentale si era fatto carico di organizzare un esercito e di condurlo personalmente in battaglia.
Maggioriano riuscì anche a convincere il potente governatore dell'Illirico, Marcellino, che, potendo contare su un forte esercito, si era reso di fatto semindipendente dal governo centrale a partire dalla morte di Ezio, a riconoscere nuovamente l'autorità imperiale e a collaborare alla difesa dei suoi territori.
L'imperatore mise quindi mano ai preparativi per la riconquista della provincia d'Africa. Nel 459 mosse con il grosso dell'esercito dalla Liguria e penetrò nella Spagna occupata dai Visigoti mentre Nepoziano e Sunierico sconfiggevano i Suebi a Lucus Augusti e conquistavano Scallabis in Lusitania.
Nel mese di maggio del 461 Maggioriano raggiunse la provincia Cartaginense, dove aveva allestito la flotta con cui intendeva riconquistare l'Africa. Tuttavia i Vandali, avvertiti da traditori dei preparativi dell'imperatore e dell'ubicazione della flotta romana, con un attacco repentino, riuscirono a catturare le navi romane, mandando a monte i piani dell'imperatore che fu costretto ad annullare la spedizione e a negoziare una pace onerosa.
Rientrato ad Arelate, Maggioriano congedò l'esercito che non poteva più stipendiare e prese la via dell'Italia accompagnato solo dalla sua guardia personale.
Nel frattempo Ricimero, che l'imperatore non aveva mai voluto a fianco nelle sue campagne militari, rimasto a Ravenna aveva coagulato attorno a sé l'opposizione. Le riforme introdotte da Maggioriano avevano infatti ridotto i privilegi del clero e favorito l'aristocrazia provinciale rispetto a quella italica e senatoriale. Ricimero lo raggiunse a Tortona, nei pressi di Piacenza, lo fece arrestare e deporre e, dopo averlo torturato per cinque giorni, lo fece decapitare (7 agosto 461).


Libio Severo (461-465): eliminato Maggioriano, Ricimero fece eleggere dal Senato Libio Severo, un senatore lucano nato intorno al 420 che godeva del favore dell'aristocrazia italica e che riteneva di poter manovrare a suo piacimento. Libio Severo non fu però riconosciuto dall'imperatore d'Oriente Leone I, né da Egidio, governatore delle Gallie, né da Marcellino, governatore dell'Illirico (che entrò così nella sfera d'influenza dell'impero d'Oriente). Il dominio di Severo si riduceva quindi alla sola Italia.
Per accattivarsi l'appoggio del clero, abrogò le leggi di Maggioriano che ne avevano limitato i privilegi e varò altri provvedimenti a favore dell'aristocrazia italica.
Severo nominò Agrippino – un uomo di Ricimero – magister militum per Gallias e per ottenere l'appoggio dei Visigoti concesse loro la città di Narbona (462), dandogli così accesso al Mediterraneo e separando i territori controllati da Egidio da quelli del resto dell'impero. Durante tutto il suo regno, Severo dovette fronteggiare anche le scorrerie dei Vandali in Sicilia e nel meridione, che Genserico intensificò in risposta alla mancata elezione al soglio imperiale del suo candidato Anicio Olibrio (2).
Libio Severo morì molto probabilmente di morte naturale nell'autunno del 465.

Procopio Antemio (467-472): alla morte di Severo, Genserico avanzò nuovamente la candidatura di Anicio Olibrio, lanciando le scorrerie dei suoi pirati anche contro l'impero d'Oriente sulle coste dell'Illirico e della Grecia per premere su Leone I. Nella primavera del 467, Leone I ruppe gli indugi e nominò imperatore d'Occidente Antemio Procopio, esponente di una illustre famiglia costantinopolitana. Il padre – Procopio - era stato magister militum per Orientem e poteva vantare una discendenza dalla dinastia di Costantino il grande, mentre il nonno materno – Antemio - fu prefetto del pretorio d'Oriente per un decennio (404-415), console nel 405, nonché reggente di fatto durante la minore età di Teodosio II dopo la morte di Arcadio nel 408 (3).
Nel 453 Procopio Antemio aveva sposato Elia Marcia Eufemia, figlia dell'imperatore Marciano (450-457), ed era stato elevato al rango di patrizio. Nel 454 ricoprì la carica di magister militum per Orientem (4) e l'anno successivo ottenne il consolato. Antemio mantenne la carica di magister militum anche sotto il successore del suocero, Leone I, e nel 460 ottenne un'importante vittoria in Illirico contro gli Ostrogoti. Nel 466 sconfisse gli unni di Hormidac che avevano attraversato la frontiera danubiana e invaso la Dacia.
Antemio raggiunse l'Italia e Roma nella primavera del 467, accompagnato da un esercito comandato dal magister militum per Illyricum Marcellino e fu proclamato imperatore in una località tra il terzo e l'ottavo miglio da Roma, il 12 aprile, primo imperatore greco dopo Giuliano. Stabilitosi a Roma, l'imperatore strinse con con Ricimero un'alleanza matrimoniale, dandogli in sposa la figlia Alipia. Nel 471, il matrimonio del figlio Flavio Marciano (5) con la figlia di Leone I - Leonzia – rafforzò inoltre i suoi legami con la casa regnante d'Oriente.
In accordo con Leone I, Antemio si accinse quindi ad affrontare il problema dell'eliminazione del regno vandalico che aveva sottratto all'impero le ricche provincie africane da cui partivano le scorrerie di pirati che martoriavano la Sicilia ed il sud d'Italia (6).
Nel 468 una flotta di oltre mille navi che trasportava una forza di sbarco di circa 100.000 uomini salpò da Costantinopoli alla volta di Cartagine al comando di Basilisco, cognato dell'imperatore. Nel frattempo Marcellino aveva attaccato la Sardegna e un terzo contingente, al comando del generale Eraclio di Edessa, era sbarcato sulle coste libiche.
La flotta imperiale, dopo alcune vittoriose scaramucce con la flotta vandala, gettò l'ancora davanti a Capo Bon, a circa 60 chilometri da Cartagine. Genserico chiese quindi cinque giorni di tempo per presentare le condizioni di pace. Nella notte fece invece lanciare moltissimi brulotti contro le navi imperiali prive di sorveglianza e dietro questi seguì l'attacco della flotta vandala. Gli imperiali persero gran parte delle navi e ripiegarono confusamente rinunciando allo sbarco. Dopo questo disastro Marcellino lasciò la Sardegna e passò in Sicilia, dove trovò la morte per mano di uno dei suoi capitani, forse istigato da Ricimero, mentre Eraclio si ritirò nella Tripolitania dove rimase attestato per due anni.
Persa la speranza di riconquistare le provincie africane, Antemio rivolse la sua attenzione alle Gallie.
L'impero controllava ormai soltanto le province meridionali mentre i visigoti di Eurico si erano incuneati separando da queste l'Alvernia, che era governata dal figlio di Avito, Ecdicio, e il cosiddetto Dominio di Siagro più a nord. Quest'ultimo dal 465 era governato appunto da Siagro, figlio di Egidio, uno dei luogotenenti di Maggioriano che non aveva riconosciuto Avito come imperatore.
Nel 471 l'imperatore inviò un esercito al comando del figlio Antemiolo non ancora ventenne, coadiuvato dai generali Torisario, Everdingo ed Ermiano in disaccordo fra loro e di scarsa affidabilità. Muovendo da Arelate Antemiolo passò il Rodano e fu sbaragliato da Eurico, trovando anche la morte in battaglia. Nel frattempo si era consumata la rottura definitiva con Ricimero. Nel 470, colpito da una grave malattia, Antemio era stato sul punto di morire.Tornato in salute, decise di colpire un personaggio vicino al gruppo di Ricimero, l’ex magister officiorum e patricius Romano. Costui fu considerato responsabile di trame volte all’eliminazione dell’imperatore; fu arrestato, condannato e giustiziato. La reazione di Ricimero fu molto dura. Lasciò Roma con il seguito di seimila soldati e con i suoi bucellarii, e si ritirò a Milano. L’Italia, in questo modo, si trovò divisa: sotto il controllo dell’imperatore legittimo le regioni del centro-sud; sotto il governo del magister militum barbarico il nord. Ricevuto l'aiuto dei Burgundi, il magister militum calò su Roma e la strinse d'assedio. La città e il Senato dell'urbe, per quanto divisi tra partigiani delle opposte fazioni, sostennero l'assedio per lunghi mesi.
Leone I inviò in Occidente Anicio Olibrio con la duplice missione di mettere pace tra Ricimero e Antemio e, poi, di trattare col re dei Vandali Genserico (il cui figlio aveva sposato la cognata di Olibrio, vedi sopra)); in realtà l'ambasciata era un modo di sbarazzarsi di Olibrio, che credeva in combutta coi Vandali, e di Ricimero: inviò infatti ad Antemio un secondo messaggero con l'ordine di uccidere Ricimero e Olibrio, ma il messaggio indirizzato all'imperatore d'Occidente cadde nelle mani del capo goto, che lo mostrò a Olibrio. Olibrio raggiunse il campo di Ricimero nell'aprile del 472 e fu proclamato imperatore. Nel frattempo le milizie di Ricimero avevano isolato Antemio e i suoi sostenitori nei palazzi imperiali del Palatino. Privi di rifornimenti, l'11 luglio questi tentarono una sortita disperata. L'imperatore cercò di trovare asilo nella basilica di San Crisogono ma fu raggiunto sul sagrato della chiesa e trucidato da Gundobaudo, figlio della sorella di Ricimero.

Anicio Olibrio (472): esponente di una prestigiosa famiglia senatoriale romana, si era trasferito a Costantinopoli dopo il sacco di Roma del 455. Grazie al matrimonio con Placidia (454), la figlia minore di Valentiniano III, era anche imparentato con la dinastia teodosiana. La sorella della moglie, inoltre, aveva sposato Unerico, il figlio di Genserico ed erede al trono dei Vandali. Nonostante le sue ascendenze non ebbe l'appoggio dell'aristocrazia romana – che si era in gran parte schierata con Antemio - né del popolo a causa del saccheggio compiuto dalle milizie di Ricimero alla cui testa Olibrio era entrato in città. Il mese successivo alla sua proclamazione, inoltre, morì Ricimero, il suo principale alleato, sostituito nel ruolo di magister militum dal nipote Gundobaudo che Olibrio elevò al rango di patrizio che era stato dello zio. Poco o niente è noto degli atti del suo governo che durò appena pochi mesi. Olibrio Anicio si ammalò infatti quasi subito di idropisia e morì tra la fine di ottobre e gli inizi di novembre del 472. Dal matrimonio con Placidia ebbe una sola figlia femmina, Anicia Giuliana.


Glicerio (473-474): dopo la morte di Olibrio – che comunque non aveva riconosciuto – Leone I tardò a nominare il suo successore. Stanco di aspettare, Gundobaudo, il nuovo uomo forte d'Occidente, nel marzo del 473 proclamò a Ravenna imperatore Glicerio. Probabilmente dalmata di nascita, Glicerio non proveniva dalle fila dell'aristocrazia, comandava però la guardia palatina (comes domesticorum) durante il breve regno di Olibrio.
Durante il suo regno Glicerio respinse con le armi un tentativo d'invasione dell'Italia dei Visigoti di Eurico ma non riuscì ad impedire la caduta di Arelate e Marsiglia. Per via diplomatica riuscì invece a scongiurare la calata degli Ostrogoti del re Vidimero. Una sua legge contro la simonia, varata probabilmente per accattivarsi il favore del clero l'11 marzo 473, è anche l'ultima emanata da un imperatore d'Occidente di cui si abbia notizia.
La sua poco ortodossa proclamazione a imperatore e il sospetto che fosse poco più di una marionetta al servizio di Gundobaudo, convinsero Leone I a non riconoscerlo e a nominare imperatore d'Occidente il governatore della Dalmazia Giulio Nepote.
Giulio Nepote sbarcò ad Ostia nel giugno del 474 e assunse la porpora mentre Glicerio, abbandonato da Gundobaudo (7) al suo destino, si arrese senza combattere. Ebbe così salva la vita e fu nominato vescovo di Salona.


Giulio Nepote (474-475; de jure 478-480): figlio di Nepoziano, che fu magister militum praesentialis sotto Maggioriano, e della sorella del potente governatore (comes rei militaris) dell'Illirico Marcellino che, a partire dall'assassinio di Ezio (454), governò la regione – che formalmente rientrava nella sfera del trono d'Occidente - in maniera di fatto semindipendente, iniziò la carriera sostituendo lo zio materno, assassinato nel 468, nel governo dell'Illirico. S'imparentò con la famiglia di Leone I, sposando una nipote della moglie Verina.
Salito al trono, Nepote nominò magister militum ed elevò al patriziato, Ecdicio Avito, il figlio del defunto imperatore. Afranio Siagrio, il figlio di Egidio che governava una enclave romana nel nord della Gallia nota come “Dominio di Siagrio” ormai separata dal resto dell'impero, riconobbe l'autorità di Nepote e fu nominato magister militum per Gallias. L'imperatore negoziò quindi un accordo con i Visigoti di Eurico che cedettero la Provenza – occupata durante il regno di Glicerio - in cambio della città di Clermont-Ferrand e della regione dell'Alvernia. Minor fortuna ebbe con i Vandali con i quali – non potendo sostenere la guerra da solo giacchè l'impero d'Oriente aveva firmato una pace separata nel 468 – fu costretto a firmare un trattato di pace in cui riconosceva il loro dominio sulle provincie africane, la Sardegna e le Baleari. La cessione dell'Alvernia inoltre gli inimicò la locale aristocrazia gallo-romana a cui apparteneva anche Ecdicio. Probabilmente per questa ragione l'imperatore lo sostituì al comando dell'esercito con Flavio Oreste, un generale di origini barbare.
Il 28 agosto 475 Flavio Oreste si ribellò all'Imperatore e, alla testa di un esercito che doveva essere forse inviato contro i visigoti, prese il controllo di Ravenna e costrinse Nepote a fuggire a Salona in Dalmazia. Dopo un'attesa di un paio di mesi, Oreste proclamò imperatore il figlio Romolo appena quattordicenne.

Romolo Augustolo (475-476): Figlio di Flavio Oreste e Flavia Serena, una donna di stirpe romana figlia del comes del Norico Romolo, fu proclamato imperatore dal padre che, essendo di origini barbare, non poteva ascendere al trono in prima persona, il 31 ottobre del 475. Romolo Augustolo non fu però riconosciuto dal collega d'Oriente, Zenone (8). Il potere de facto, inoltre, fu esercitato dal padre.

Domenico Parodi, Romolo Augustolo, 1725
Palazzo reale, Genova

Nel 476 alcune truppe mercenarie composte da Eruli, Sciri e Turcilingi chiesero di ottenere delle terre in Italia, che Oreste però non concesse. Questi allora si rivoltarono sotto la guida del capo sciro Odoacre, eleggendolo re il 23 agosto. Oreste si rinchiuse Pavia, confidando nelle possenti fortificazioni della città, ma Odoacre prese la città e catturò Oreste che fece giustiziare a Piacenza. Dopo avere sconfitto e ucciso anche il fratello di Oreste, Paolo, entrò Ravenna e il 4 settembre 476 costrinse Romolo Augustolo ad abdicare (9).

L'Impero romano d'Occidente al momento 
della deposizione di Romolo Augustolo

Anzichè nominare un imperatore fantoccio, Odoacre inviò a Costantinopoli le insegne imperiali – a significare che non c'era più bisogno d'un imperatore d'Occidente – e chiese di poter governare l'Italia con il titolo di patrizio. Zenone riconobbe a Odoacre l'autorità legale per governare in Italia in qualità di magister militum negandogli però il titolo di patrizio (10) - che probabilmente gli fu invece concesso dal Senato romano - e suggerendogli di riaccogliere in Italia Giulio Nepote come imperatore d'Occidente, cosa che Odoacre non fece mai. Odoacre battè anche moneta con l'effigie di Nepote che rimase imperatore de jure – ma senza esercitare alcun potere effettivo – fino al suo assassinio nel 480 (11). Odoacre governò quindi la diocesi italiana come vicario di Zenone, secondo i dettami del diritto pubblico e privato romano, riconoscendo formalmente Giulio Nepote come augusto legittimo fino alla sua morte, sia nella monetazione che negli atti pubblici.

Note:

(1) dopo poco tempo, evidentemente temendo per la propria vita, Avito tentò di fuggire in direzione di Arelate, ma venne presto raggiunto da Maggioriano, che assediò il santuario in cui il sovrano deposto si era rifugiato e dove dopo alcuni giorni trovò la morte.

(2) Il figlio di Genserico, Unerico, aveva sposato la figlia maggiore di Valentiniano III, Eudocia, mentre Anicio Olibrio ne aveva sposato la sorella minore, Placidia. Il sovrano vandalo avrebbe quindi gradito sul trono d'occidente un imperatore a cui era comunque legato da vincoli di parentela.

(3) A Flavio Antemio si deve l'edificazione delle mura dette teodosiane che furono erette durante la sua prefettura. Come tale è ricordato in un'epigrafe incisa sull'architarve della Porta Pempton che recita: “con una forte architrave rafforzò le mura della porta Puseo, che non fu meno grande di Antemio”



(4) A quell'epoca nell'esercito d'Oriente esistevano due gruppi di armate centrali (praesentalis) e quindi due magister militum, l'altro era il potente generale di origine alana Ardaburio Aspar.

(5) Dal matrimonio con Elia Marcia Eufemia nacquero cinque figli: Antemiolo, Flavio Marciano, Procopio Antemio, Romolo e Alipia

(6) Per contribuire al finanziamento della spedizione che ammontò a 7.408.000 solidi aurei, Antemio impiegò per buona parte il suo patrimonio personale.

(7) Al momento dello sbarco di Nepote, Gundobaudo – che pure avrebbe avuto le forze necessarie per contrastarlo – si era allontanato da Roma e si trovava nelle Gallie. Probabilmente il magister militum giudicò inutile e controproducente difendere un imperatore che non godeva del sostegno del suo collega orientale né dell'aristocrazia senatoriale.

(8) Romolo Augustolo fu riconosciuto da Basilisco che usurpò il trono d'Oriente per un breve periodo (9 gennaio 475-agosto 476)

(9) Forse in considerazione della giovane età, Odoacre risparmiò la vita all'imperatore deposto, confinandolo nel castellum lucullianum, una splendida villa napoletana del II secolo, i cui resti si trovano in parte sotto Castel dell'Ovo, e concedendogli un cospicuo appannaggio.

(10) Zenone rispose alla richiesta di Odoacre sostenendo che la nomina a patrizio spettava all'imperatore d'Occidente ancora in carica.

(11) Giulio Nepote fu assassinato nel palazzo fatto costruire da Diocleziano a Spalato (vicino Salona) dove risiedeva da due suoi alti ufficiali, i comes Ovida e Viatore, forse istigati dall'ex imperatore Glicerio che all'epoca era vescovo di Salona.