Gli ultimi anni dell'impero d'Occidente (455-476)
Ricimero (405-472): Di padre svevo e
madre visigota, nacque intorno al 405 e trascorse la sua giovinezza
alla corte dell'imperatore romano d'Occidente Valentiniano III, dove
si distinse combattendo assieme a Maggioriano – di cui divenne
amico fraterno – agli ordini del magister militum Ezio. Fu il vero
uomo forte dell'impero d'Occidente nell'ultimo ventennio della sua
esistenza.
Dopo gli assassinii di Ezio (454) e di
Valentiniano III (455), Petronio Massimo, membro di una delle più
illustri famiglie dell'aristocrazia romana – la gens Anicia – che
non era estraneo a nessuno dei due omicidi, forte dell'appoggio del
Senato ed elargendo denaro agli alti funzionari di palazzo, riuscì a
farsi proclamare imperatore, nonostante la vedova di Valentiniano,
l'augusta Licinia Eudossia, gli preferisse Maggioriano che era
subentrato ad Ezio al comando dell'esercito.
Petronio Massimo (17 marzo 455-31
maggio 455): per consolidare la sua posizione costrinse l'augusta a
non rispettare il lutto ed a sposarlo. Elevò il figlio avuto dalla
prima moglie, Palladio, al rango di cesare e gli diede in moglie
Eudocia, una delle figlie dell'augusta. Licinia Eudossia pensò bene
di appellarsi Genserico, il re dei Vandali, al cui figlio Unerico,
Eudocia era stata promessa in sposa da Valentiniano. Organizzata la
spedizione, Genserico salpò da Cartagine e sbarcò a Porto dove pose
il suo campo. I militari in stanza nella capitale capirono che la
città era persa e si ammutinarono. L’imperatore tentò la fuga ma
rimase ucciso, probabilmente in una sommossa che coinvolse anche la
popolazione locale. Così i Vandali poterono entrare in città senza
incontrare resistenza. L'unica personalità che tentò di opporsi
alla devastazione fu papa Leone Magno, che trattò con Genserico. Il
papa lasciò ai Vandali la possibilità di spogliare la città dei
suoi averi, ma in cambio non avrebbero dovuto infierire sulla
popolazione inerme. Ma i Vandali rispettarono l'accordo solo in
parte. Molti membri dell’aristocrazia senatoria vennero fatti
prigionieri, per poi chiedere un riscatto. Inoltre, molti artigiani
vennero condotti, in schiavitù, a Cartagine. Genserico, rientrando a
Cartagine, si portò appresso anche l'augusta e le sue due figlie,
Placidia e Eudocia.
Karl Pavlovich Briullov, Il sacco di Roma, 1833-1835
Tretyakov gallery, Mosca
Al centro della composizione si nota, con la testa coronata, l'imperatrice Licinia Eudossia che abbraccia la figlia Eudocia. Sulla destra, in piedi sul sagrato di una chiesa, papa Leone Magno
Marco Mecilio Avito (455-456): nato
intorno al 395 ad Augustonemetum (l'attuale Clermont-Ferrant) era un
esponente di spicco dell'aristocrazia gallo-romana. Dopo aver
raggiunto posizioni di rilievo nella carriera civile, si era dedicato
a quella militare servendo sotto il magister militum Flavio Ezio
nelle campagne contro gli Iutungi e i Norici (430/431) e contro i
Burgundi (436). Tornato in Alvernia – probabilmente con il grado di
magister militum per Gallias – era poi stato nominato prefetto del
pretorio delle Gallie nel 439 e si era ritirato a vita privata l'anno
seguente. Durante il suo breve regno, Petronio Massimo lo aveva
richiamato in servizio affidandogli il comando dell'esercito e lo
aveva inviato in missione diplomatica presso il sovrano visigoto
Teodorico II – che Avito conosceva bene – per confermare il loro
status di foederati e garantirsene l'appoggio. Quando giunse la
notizia della morte di Petronio Massimo, Avito si trovava a Tolosa
presso la corte di Teodorico II. Il re goto non perse l'occasione e
lo acclamò imperatore (9 luglio 455). Il 5 agosto giunse la ratifica
del Senato romano e solo allora Avito mosse verso l'Italia alla testa
di truppe gallo-romane rafforzate da un contingente goto. Si fermò a
Ravenna, dove lasciò un distaccamento di goti al comando di un certo
Remisto che nel frattempo aveva fatto patrizio e nominato magister
militum praesentalis, e entrò a Roma il 21 di settembre. Il 1°
gennaio 456 assunse come da tradizione il titolo di console, ma non
fu riconosciuto dall'imperatore d'Oriente Marciano che per quell'anno
nominò altri due consoli.
Avito si trovò a dover fronteggiare
l'intraprendenza della flotta vandala che spadroneggiava nelle acque
del Mediterraneo compiendo incursioni nei possedimenti romani e
rendendo difficile l'afflusso di derrate nella capitale. Recimero
riuscì a sconfiggere la flotta vandala al largo della Corsica e
battè il loro esercito nei pressi di Agrigento. Nel frattempo la
scarsità di viveri, aggravata dalla necessità di sfamare le truppe
che 'imperatore si era portato dietro, e l'ampia distribuzione di
cariche pubbliche e prebende a cittadini gallo-romani, aveva reso
Avito alquanto impopolare nella capitale. Oltracciò, rimasto a corto
di liquidità, era stato costretto a congedare il contingente goto.
Forti della popolarità derivatagli dalle vittorie contro i Goti,
Ricimero e Maggioriano, che comandava la guardia imperiale, insorsero
e costrinsero Avito a fuggire verso il nord. Ricimero lo fece
destituire dal Senato e fece assassinare a Ravenna il magister
militum Remisto (17 settembre 456).
Nel frattempo Avito aveva raggiunto la
città di Arelate (Arles) nelle Gallie, dove aveva raccolto delle truppe a lui
fedeli. Nominato Messiano nuovo magister militum rientrò in Italia
dove fu però sconfitto da Ricimero nella battaglia di Piacenza.
Fatto prigioniero e obbligato a deporre le insegne imperiali, ebbe
salva la vita e fu consacrato vescovo di Piacenza da Eusebio, allora
metropolita di Milano (1).
Maggioriano (457-461): Nato in una
famiglia di militari (il nonno fu magister equitum sotto Teodosio I)
cominciò la carriera combattendo in Gallia agli ordini di Ezio. Ebbe
come compagni d'armi due brillanti ufficiali di origine barbara,
Ricimero e Egidio, legandosi al primo con una duratura amicizia.
Maggioriano
particolare del frontespizio di una copia del Breviario di Alarico, 803-814
Biblioteca Nazionale Francese, Parigi
Nel
450 l'imperatore Valentiniano III progettò di dargli in moglie la
figlia Placidia allo scopo di assicurarsi una linea di successione.
Il progetto fu ostacolato da Ezio, il quale aspirava a sua volta a
imparentarsi con la famiglia imperiale, che congedò Maggoriano e lo
costrinse a ritirarsi nella sua campagna. Dopo l'assassinio di Ezio
(454), Valentiniano lo richiamò in servizio e, alla morte di questi,
il nuovo imperatore, Petronio Massimo, lo nominò comes domesticorum
(comandante della guardia imperiale), carica che mantenne anche sotto
Avito. Spodestato Avito, Maggioriano non avanzò la sua candidatura e
Leone I, l'imperatore d'Oriente a cui spettava nominare il
successore, tardò a farlo forse con l'intento di riunire sotto il
suo scettro le due metà dell'impero. Nel febbraio del 457 nominò
comunque Maggioriano magister militum per Occidentem ed elevò
Ricimero al rango di patrizio. Il primo di aprile, l'esercito,
acquartierato nei pressi di Ravenna, proclamò augusto Maggioriano,
anche se molto probabilmente il riconoscimento ufficiale da parte di
Leone I non avvenne prima di dicembre. Nel discorso d'insediamento
che tenne in Senato il 28 dicembre è manifesta la sua volontà di
governare assieme a Ricimero che aveva posto al comando
dell'esercito.
Maggioriano provvide quindi a
rafforzare l'esercito, reclutando molti mercenari barbari, e la
flotta per contrastare il dominio sul mare dei Vandali stanziati in
Africa.
Volse quindi la sua attenzione alle
Gallie dove i sostenitori di Avito avevano dato luogo ad una rivolta
capeggiata da un certo Marcello. Inviò quindi Egidio, insignito del
titolo di magister militum per Galliam, che liberò Lione e la
regione circostante ed entrò ad Arelate dove fu assediato dai
Visigoti. L'imperatore stesso, affiancato dal generale Nepoziano, il
magister militum praesentalis, guidò l'esercito che ruppe l'assedio
e sbaragliò i Visigoti ristabilendo il controllo imperiale sulla
Gallia meridionale. Per la prima volta dopo più di mezzo secolo un
imperatore occidentale si era fatto carico di organizzare un esercito
e di condurlo personalmente in battaglia.
Maggioriano riuscì anche a convincere
il potente governatore dell'Illirico, Marcellino, che, potendo
contare su un forte esercito, si era reso di fatto semindipendente
dal governo centrale a partire dalla morte di Ezio, a riconoscere
nuovamente l'autorità imperiale e a collaborare alla difesa dei suoi
territori.
L'imperatore mise quindi mano ai
preparativi per la riconquista della provincia d'Africa. Nel 459
mosse con il grosso dell'esercito dalla Liguria e penetrò nella
Spagna occupata dai Visigoti mentre Nepoziano e Sunierico
sconfiggevano i Suebi a Lucus Augusti e conquistavano Scallabis in
Lusitania.
Nel mese di maggio del 461 Maggioriano
raggiunse la provincia Cartaginense, dove aveva allestito la flotta
con cui intendeva riconquistare l'Africa. Tuttavia i Vandali,
avvertiti da traditori dei preparativi dell'imperatore e
dell'ubicazione della flotta romana, con un attacco repentino,
riuscirono a catturare le navi romane, mandando a monte i piani
dell'imperatore che fu costretto ad annullare la spedizione e a
negoziare una pace onerosa.
Rientrato ad Arelate, Maggioriano
congedò l'esercito che non poteva più stipendiare e prese la via
dell'Italia accompagnato solo dalla sua guardia personale.
Nel frattempo Ricimero, che
l'imperatore non aveva mai voluto a fianco nelle sue campagne
militari, rimasto a Ravenna aveva coagulato attorno a sé
l'opposizione. Le riforme introdotte da Maggioriano avevano infatti
ridotto i privilegi del clero e favorito l'aristocrazia provinciale
rispetto a quella italica e senatoriale. Ricimero lo raggiunse a
Tortona, nei pressi di Piacenza, lo fece arrestare e deporre e, dopo
averlo torturato per cinque giorni, lo fece decapitare (7 agosto
461).
Libio Severo (461-465): eliminato
Maggioriano, Ricimero fece eleggere dal Senato Libio Severo, un
senatore lucano nato intorno al 420 che godeva del favore
dell'aristocrazia italica e che riteneva di poter manovrare a suo
piacimento. Libio Severo non fu però riconosciuto dall'imperatore
d'Oriente Leone I, né da Egidio, governatore delle Gallie, né da
Marcellino, governatore dell'Illirico (che entrò così nella sfera
d'influenza dell'impero d'Oriente). Il dominio di Severo si riduceva
quindi alla sola Italia.
Per accattivarsi l'appoggio del clero,
abrogò le leggi di Maggioriano che ne avevano limitato i privilegi e
varò altri provvedimenti a favore dell'aristocrazia italica.
Severo nominò Agrippino – un uomo di
Ricimero – magister militum per Gallias e per ottenere l'appoggio
dei Visigoti concesse loro la città di Narbona (462), dandogli così
accesso al Mediterraneo e separando i territori controllati da Egidio
da quelli del resto dell'impero. Durante tutto il suo regno, Severo
dovette fronteggiare anche le scorrerie dei Vandali in Sicilia e nel
meridione, che Genserico intensificò in risposta alla mancata
elezione al soglio imperiale del suo candidato Anicio Olibrio (2).
Libio Severo morì molto probabilmente
di morte naturale nell'autunno del 465.
Procopio Antemio (467-472): alla morte
di Severo, Genserico avanzò nuovamente la candidatura di Anicio
Olibrio, lanciando le scorrerie dei suoi pirati anche contro l'impero
d'Oriente sulle coste dell'Illirico e della Grecia per premere su
Leone I. Nella primavera del 467, Leone I ruppe gli indugi e nominò
imperatore d'Occidente Antemio Procopio, esponente di una illustre
famiglia costantinopolitana. Il padre – Procopio - era stato
magister militum per Orientem e poteva vantare una discendenza dalla
dinastia di Costantino il grande, mentre il nonno materno – Antemio
- fu prefetto del pretorio d'Oriente per un decennio (404-415),
console nel 405, nonché reggente di fatto durante la minore età di
Teodosio II dopo la morte di Arcadio nel 408 (3).
Nel 453 Procopio Antemio aveva sposato
Elia Marcia Eufemia, figlia dell'imperatore Marciano (450-457), ed
era stato elevato al rango di patrizio. Nel 454 ricoprì la carica di
magister militum per Orientem (4) e l'anno successivo ottenne il
consolato. Antemio mantenne la carica di magister militum anche sotto
il successore del suocero, Leone I, e nel 460 ottenne un'importante
vittoria in Illirico contro gli Ostrogoti. Nel 466 sconfisse gli unni
di Hormidac che avevano attraversato la frontiera danubiana e invaso
la Dacia.
Antemio raggiunse l'Italia e Roma nella
primavera del 467, accompagnato da un esercito comandato dal magister
militum per Illyricum Marcellino e fu proclamato imperatore in una
località tra il terzo e l'ottavo miglio da Roma, il 12 aprile, primo
imperatore greco dopo Giuliano. Stabilitosi a Roma, l'imperatore
strinse con con Ricimero un'alleanza matrimoniale, dandogli in sposa
la figlia Alipia. Nel 471, il matrimonio del figlio Flavio Marciano
(5) con la figlia di Leone I - Leonzia – rafforzò inoltre i suoi
legami con la casa regnante d'Oriente.
In accordo con Leone I, Antemio si
accinse quindi ad affrontare il problema dell'eliminazione del regno
vandalico che aveva sottratto all'impero le ricche provincie africane
da cui partivano le scorrerie di pirati che martoriavano la Sicilia
ed il sud d'Italia (6).
Nel 468 una flotta di oltre mille navi
che trasportava una forza di sbarco di circa 100.000 uomini salpò da
Costantinopoli alla volta di Cartagine al comando di Basilisco,
cognato dell'imperatore. Nel frattempo Marcellino aveva attaccato la
Sardegna e un terzo contingente, al comando del generale Eraclio di
Edessa, era sbarcato sulle coste libiche.
La flotta imperiale, dopo alcune
vittoriose scaramucce con la flotta vandala, gettò l'ancora davanti
a Capo Bon, a circa 60 chilometri da Cartagine. Genserico chiese
quindi cinque giorni di tempo per presentare le condizioni di pace.
Nella notte fece invece lanciare moltissimi brulotti contro le navi
imperiali prive di sorveglianza e dietro questi seguì l'attacco
della flotta vandala. Gli imperiali persero gran parte delle navi e
ripiegarono confusamente rinunciando allo sbarco. Dopo questo
disastro Marcellino lasciò la Sardegna e passò in Sicilia, dove
trovò la morte per mano di uno dei suoi capitani, forse istigato da
Ricimero, mentre Eraclio si ritirò nella Tripolitania dove rimase
attestato per due anni.
Persa la speranza di riconquistare le
provincie africane, Antemio rivolse la sua attenzione alle Gallie.
L'impero controllava ormai soltanto le
province meridionali mentre i visigoti di Eurico si erano incuneati
separando da queste l'Alvernia, che era governata dal figlio di
Avito, Ecdicio, e il cosiddetto Dominio di Siagro più a nord.
Quest'ultimo dal 465 era governato appunto da Siagro, figlio di
Egidio, uno dei luogotenenti di Maggioriano che non aveva
riconosciuto Avito come imperatore.
Nel 471 l'imperatore inviò un esercito
al comando del figlio Antemiolo non ancora ventenne, coadiuvato dai
generali Torisario, Everdingo ed Ermiano in disaccordo fra loro e di
scarsa affidabilità. Muovendo da Arelate Antemiolo passò il Rodano
e fu sbaragliato da Eurico, trovando anche la morte in battaglia. Nel
frattempo si era consumata la rottura definitiva con Ricimero. Nel
470, colpito da una grave malattia, Antemio era stato sul punto di
morire.Tornato in salute, decise di colpire un personaggio vicino al
gruppo di Ricimero, l’ex magister officiorum e patricius Romano.
Costui fu considerato responsabile di trame volte all’eliminazione
dell’imperatore; fu arrestato, condannato e giustiziato. La
reazione di Ricimero fu molto dura. Lasciò Roma con il seguito di
seimila soldati e con i suoi bucellarii, e si ritirò a Milano.
L’Italia, in questo modo, si trovò divisa: sotto il controllo
dell’imperatore legittimo le regioni del centro-sud; sotto il
governo del magister militum barbarico il nord. Ricevuto l'aiuto dei
Burgundi, il magister militum calò su Roma e la strinse d'assedio.
La città e il Senato dell'urbe, per quanto divisi tra partigiani
delle opposte fazioni, sostennero l'assedio per lunghi mesi.
Leone I inviò in Occidente Anicio
Olibrio con la duplice missione di mettere pace tra Ricimero e
Antemio e, poi, di trattare col re dei Vandali Genserico (il cui
figlio aveva sposato la cognata di Olibrio, vedi sopra)); in realtà
l'ambasciata era un modo di sbarazzarsi di Olibrio, che credeva in
combutta coi Vandali, e di Ricimero: inviò infatti ad Antemio un
secondo messaggero con l'ordine di uccidere Ricimero e Olibrio, ma il
messaggio indirizzato all'imperatore d'Occidente cadde nelle mani del
capo goto, che lo mostrò a Olibrio. Olibrio raggiunse il campo di
Ricimero nell'aprile del 472 e fu proclamato imperatore. Nel
frattempo le milizie di Ricimero avevano isolato Antemio e i suoi
sostenitori nei palazzi imperiali del Palatino. Privi di
rifornimenti, l'11 luglio questi tentarono una sortita disperata.
L'imperatore cercò di trovare asilo nella basilica di San Crisogono
ma fu raggiunto sul sagrato della chiesa e trucidato da Gundobaudo,
figlio della sorella di Ricimero.
Anicio Olibrio (472): esponente di una
prestigiosa famiglia senatoriale romana, si era trasferito a
Costantinopoli dopo il sacco di Roma del 455. Grazie al matrimonio
con Placidia (454), la figlia minore di Valentiniano III, era anche
imparentato con la dinastia teodosiana. La sorella della moglie,
inoltre, aveva sposato Unerico, il figlio di Genserico ed erede al
trono dei Vandali. Nonostante le sue ascendenze non ebbe l'appoggio
dell'aristocrazia romana – che si era in gran parte schierata con
Antemio - né del popolo a causa del saccheggio compiuto dalle
milizie di Ricimero alla cui testa Olibrio era entrato in città. Il
mese successivo alla sua proclamazione, inoltre, morì Ricimero, il
suo principale alleato, sostituito nel ruolo di magister militum dal
nipote Gundobaudo che Olibrio elevò al rango di patrizio che era
stato dello zio. Poco o niente è noto degli atti del suo governo che
durò appena pochi mesi. Olibrio Anicio si ammalò infatti quasi
subito di idropisia e morì tra la fine di ottobre e gli inizi di
novembre del 472. Dal matrimonio con Placidia ebbe una sola figlia
femmina, Anicia Giuliana.
Glicerio (473-474): dopo la morte di
Olibrio – che comunque non aveva riconosciuto – Leone I tardò a
nominare il suo successore. Stanco di aspettare, Gundobaudo, il nuovo
uomo forte d'Occidente, nel marzo del 473 proclamò a Ravenna
imperatore Glicerio. Probabilmente dalmata di nascita, Glicerio non
proveniva dalle fila dell'aristocrazia, comandava però la guardia
palatina (comes domesticorum) durante il breve regno di Olibrio.
Durante il suo regno Glicerio respinse
con le armi un tentativo d'invasione dell'Italia dei Visigoti di
Eurico ma non riuscì ad impedire la caduta di Arelate e Marsiglia.
Per via diplomatica riuscì invece a scongiurare la calata degli
Ostrogoti del re Vidimero. Una sua legge contro la simonia, varata
probabilmente per accattivarsi il favore del clero l'11 marzo 473, è
anche l'ultima emanata da un imperatore d'Occidente di cui si abbia
notizia.
La sua poco ortodossa proclamazione a
imperatore e il sospetto che fosse poco più di una marionetta al
servizio di Gundobaudo, convinsero Leone I a non riconoscerlo e a
nominare imperatore d'Occidente il governatore della Dalmazia Giulio
Nepote.
Giulio Nepote sbarcò ad Ostia nel
giugno del 474 e assunse la porpora mentre Glicerio, abbandonato da
Gundobaudo (7) al suo destino, si arrese senza combattere. Ebbe così
salva la vita e fu nominato vescovo di Salona.
Giulio Nepote (474-475; de jure
478-480): figlio di Nepoziano, che fu magister militum praesentialis
sotto Maggioriano, e della sorella del potente governatore (comes rei
militaris) dell'Illirico Marcellino che, a partire dall'assassinio di
Ezio (454), governò la regione – che formalmente rientrava nella
sfera del trono d'Occidente - in maniera di fatto semindipendente,
iniziò la carriera sostituendo lo zio materno, assassinato nel 468,
nel governo dell'Illirico. S'imparentò con la famiglia di Leone I,
sposando una nipote della moglie Verina.
Salito al trono, Nepote nominò
magister militum ed elevò al patriziato, Ecdicio Avito, il figlio
del defunto imperatore. Afranio Siagrio, il figlio di Egidio che
governava una enclave romana nel nord della Gallia nota come “Dominio
di Siagrio” ormai separata dal resto dell'impero, riconobbe
l'autorità di Nepote e fu nominato magister militum per Gallias.
L'imperatore negoziò quindi un accordo con i Visigoti di Eurico che
cedettero la Provenza – occupata durante il regno di Glicerio - in
cambio della città di Clermont-Ferrand e della regione
dell'Alvernia. Minor fortuna ebbe con i Vandali con i quali – non
potendo sostenere la guerra da solo giacchè l'impero d'Oriente aveva
firmato una pace separata nel 468 – fu costretto a firmare un
trattato di pace in cui riconosceva il loro dominio sulle provincie
africane, la Sardegna e le Baleari. La cessione dell'Alvernia inoltre
gli inimicò la locale aristocrazia gallo-romana a cui apparteneva
anche Ecdicio. Probabilmente per questa ragione l'imperatore lo
sostituì al comando dell'esercito con Flavio Oreste, un generale di
origini barbare.
Il 28 agosto 475 Flavio Oreste si
ribellò all'Imperatore e, alla testa di un esercito che doveva
essere forse inviato contro i visigoti, prese il controllo di Ravenna
e costrinse Nepote a fuggire a Salona in Dalmazia. Dopo un'attesa di
un paio di mesi, Oreste proclamò imperatore il figlio Romolo appena
quattordicenne.
Romolo Augustolo (475-476): Figlio di
Flavio Oreste e Flavia Serena, una donna di stirpe romana figlia del
comes del Norico Romolo, fu proclamato imperatore dal padre che,
essendo di origini barbare, non poteva ascendere al trono in prima
persona, il 31 ottobre del 475. Romolo Augustolo non fu però
riconosciuto dal collega d'Oriente, Zenone (8). Il potere de facto,
inoltre, fu esercitato dal padre.
Domenico Parodi, Romolo Augustolo, 1725
Palazzo reale, Genova
Nel 476 alcune truppe mercenarie
composte da Eruli, Sciri e Turcilingi chiesero di ottenere delle
terre in Italia, che Oreste però non concesse. Questi allora si
rivoltarono sotto la guida del capo sciro Odoacre, eleggendolo re il
23 agosto. Oreste si rinchiuse Pavia, confidando nelle possenti
fortificazioni della città, ma Odoacre prese la città e catturò
Oreste che fece giustiziare a Piacenza. Dopo avere sconfitto e ucciso
anche il fratello di Oreste, Paolo, entrò Ravenna e il 4 settembre
476 costrinse Romolo Augustolo ad abdicare (9).
L'Impero romano d'Occidente al momento
della deposizione di Romolo Augustolo
Anzichè nominare un imperatore
fantoccio, Odoacre inviò a Costantinopoli le insegne imperiali – a
significare che non c'era più bisogno d'un imperatore d'Occidente –
e chiese di poter governare l'Italia con il titolo di patrizio.
Zenone riconobbe a Odoacre l'autorità legale per governare in Italia
in qualità di magister militum negandogli però il titolo di
patrizio (10) - che probabilmente gli fu invece concesso dal Senato
romano - e suggerendogli di riaccogliere in Italia Giulio Nepote come
imperatore d'Occidente, cosa che Odoacre non fece mai. Odoacre battè
anche moneta con l'effigie di Nepote che rimase imperatore de jure –
ma senza esercitare alcun potere effettivo – fino al suo assassinio
nel 480 (11). Odoacre governò quindi la diocesi italiana come
vicario di Zenone, secondo i dettami del diritto pubblico e privato
romano, riconoscendo formalmente Giulio Nepote come augusto legittimo
fino alla sua morte, sia nella monetazione che negli atti pubblici.
Note:
(1) dopo poco tempo, evidentemente
temendo per la propria vita, Avito tentò di fuggire in direzione di
Arelate, ma venne presto raggiunto da Maggioriano, che assediò il
santuario in cui il sovrano deposto si era rifugiato e dove dopo
alcuni giorni trovò la morte.
(2) Il figlio di Genserico, Unerico,
aveva sposato la figlia maggiore di Valentiniano III, Eudocia,
mentre Anicio Olibrio ne aveva sposato la sorella minore, Placidia.
Il sovrano vandalo avrebbe quindi gradito sul trono d'occidente un
imperatore a cui era comunque legato da vincoli di parentela.
(3) A Flavio Antemio si deve
l'edificazione delle mura dette teodosiane che furono erette durante
la sua prefettura. Come tale è ricordato in un'epigrafe incisa
sull'architarve della Porta Pempton che recita: “con una forte
architrave rafforzò le mura della porta Puseo, che non fu meno
grande di Antemio”
(4) A quell'epoca nell'esercito
d'Oriente esistevano due gruppi di armate centrali (praesentalis) e
quindi due magister militum, l'altro era il potente generale di
origine alana Ardaburio Aspar.
(5) Dal matrimonio con Elia Marcia
Eufemia nacquero cinque figli: Antemiolo, Flavio Marciano, Procopio
Antemio, Romolo e Alipia
(6) Per contribuire al finanziamento
della spedizione che ammontò a 7.408.000 solidi aurei, Antemio
impiegò per buona parte il suo patrimonio personale.
(7) Al momento dello sbarco di Nepote,
Gundobaudo – che pure avrebbe avuto le forze necessarie per
contrastarlo – si era allontanato da Roma e si trovava nelle
Gallie. Probabilmente il magister militum giudicò inutile e
controproducente difendere un imperatore che non godeva del sostegno
del suo collega orientale né dell'aristocrazia senatoriale.
(8) Romolo Augustolo fu riconosciuto da
Basilisco che usurpò il trono d'Oriente per un breve periodo (9
gennaio 475-agosto 476)
(9) Forse in considerazione della
giovane età, Odoacre risparmiò la vita all'imperatore deposto,
confinandolo nel castellum lucullianum, una splendida villa
napoletana del II secolo, i cui resti si trovano in parte sotto
Castel dell'Ovo, e concedendogli un cospicuo appannaggio.
(10) Zenone rispose alla richiesta di
Odoacre sostenendo che la nomina a patrizio spettava all'imperatore
d'Occidente ancora in carica.
(11) Giulio Nepote fu assassinato nel
palazzo fatto costruire da Diocleziano a Spalato (vicino Salona) dove
risiedeva da due suoi alti ufficiali, i comes Ovida e Viatore, forse
istigati dall'ex imperatore Glicerio che all'epoca era vescovo di
Salona.