Il Triopio di Erode Attico: introduzione, ninfeo di Egeria e cisterne
Erode
Attico, cittadino romano, era figlio di Vibullia Alcia Agrippina e di
Tiberio Claudio Attico, un banchiere ateniese arricchitosi anche
grazie all'esercizio dell'usura. Filosofo e letterato insegnò con
notevole successo ad Atene, e raggiunse una fama tale che
l'imperatore Antonino Pio (138-161) lo scelse quale precettore dei
suoi due figli adottivi, Marco Aurelio e Lucio Vero.Trasferitosi a
Roma ricoprì importanti cariche politiche (nel 143 ottenne il
consolato e gli fu affidato il governo della Grecia e di parte
dell'Asia Minore) e sposò la ricca e nobile Annia Regilla (140) -
nonchè imparentata con la moglie di Antonino Pio, Faustina -
ricevendone in dote i possedimenti tra il II e il III miglio della
via Appia. Sparsi nell'attuale parco della Caffarella si trovano
ancora i resti del complesso di edifici che egli fece costruire in
luogo della villa di famiglia, in memoria della moglie, morta in
Grecia nel 160 mentre era incinta, e che fu accusato di aver fatto
assassinare da un suo liberto. Trascinato in giudizio dal cognato
Annio Attilio Bradua ne uscì prosciolto da ogni accusa –
probabilmente anche grazie all'intervento dello stesso Marco Aurelio
– ma l'opinione pubblica continuò a ritenerlo colpevole. Anche
perchè Erode non faceva nulla per nascondere la passione che provava
per Polideuce, il giovane figlio di un suo liberto. Probabilmente per
per ostentare il proprio amore per la moglie e fugare ogni sospetto
dalla sua persona trasformò la residenza sull'Appia in una sorta di
sacrario dedicato alla sua memoria.
Busto di Erode Attico
proveniente da Probalinthos (Grecia)
Museo del Louvre
Al
nuovo complesso – che alla sua morte (170) fu assorbito nel demanio
imperiale per essere successivamente inglobato nella
residenza suburbana di Massenzio – diede il nome di
Pago Triopio (1)
,
che richiamava quello del
santuario eretto a Cnido in onore di Demetra per ricordare la
punizione inflitta dalla dea al figlio del re tessalo Triopa,
Eresittone, che per aver tagliato il bosco a lei sacro fu condannato
alla fame eterna.
La
valle, pur suddivisa in diversi appezzamenti, continuò ad essere
coltivata fino agli inizi del XV secolo, quando l'insalubrità del
fondovalle, il timore di briganti e di invasori, ed il generale
progressivo spopolamento della campagna romana, determinarono
l'abbandono delle attività agricole.
Nel
1547 i Caffarelli entrarono in possesso della tenuta acquistandone i
terreni da diversi proprietari e bonificarono la valle ridando
slancio all'agricoltura e costruendo il casale detto della
Vaccareccia. Ancora oggi la valle in cui si estende la tenuta è
conosciuta come valle della Caffarella. Nel 1695 la tenuta fu venduta
ai Pallavicini e nel 1816 venne infine rilevata dai Torlonia che la
bonificarono per l'ultima volta restaurando e ampliando la rete
idrica.
La
valle della Caffarella è sempre stata ricchissima d'acqua. E'
infatti attraversata dal fiume Almone (2), che nasce sui colli Albani e
un tempo si gettava nel Tevere all'altezza del gazometro - nel
dopoguerra venne deviato nel depuratore di Roma sud - raccogliendo le
acque delle numerose sorgenti che ancora sgorgano nella valle (tra
cui la Fonte Egeria da cui proviene l'omonima acqua minerale).
Su
entrambi i versanti della valle si trovano i resti delle cisterne che
servivano per l'irrigazione del fondovalle.
Il ninfeo di Egeria (3)
Si trova nel fondovalle, lungo la riva sinistra dell'Almone. L'edificio consiste
attualmente in un grande ambiente rettangolare, con una nicchia
centrale nella parete di fondo e tre nicchie più piccole che si
aprono sulle pareti laterali. Questo ambiente è sopravanzato da un
avancorpo con due vani laterali, anch’essi ornati da nicchie
.
La muratura è in
opus mixtum. L'interno era riccamente
rivestito di marmi: le pareti erano di
Verde antico, un marmo
pregiato proveniente dalla Tessaglia, mentre il pavimento era di
Serpentino, un porfido d'intenso colore verde proveniente
dalla Grecia.
Le nicchie erano rivestite in marmo bianco ed
infine, tra esse e la volta, vi era una fascia decorata con mosaici.
La statua acefala del dio Almone nella nicchia di fondo
L'ambiente centrale è
coperto da una volta a botte, sulla quale aderiva uno strato di
pietra pomice allo scopo di far attecchire il capelvenere. Dalla
nicchia di fondo, dove ancora è collocata una statua acefala della divinizzazione del fiume Almone distesa su un fianco e
dove è ancora visibile il segno lasciato da un'altra statua
- probabilmente raffigurante la ninfa Egeria (3) - oggi scomparsa, sgorgava
l'acqua della fontana. L'acqua era incanalata in tubature di
terracotta e scendendo lungo le pareti formava giochi d'acqua nelle
nicchie laterali arricchite a loro volta da altre statue; inoltre
l'umidità condensando nella volta, creava uno stillicidio che,
insieme alla ricca vegetazione che scendeva dall'alto, rendeva
l'ambiente fresco e suggestivo.
Nel complesso i marmi verdi del
pavimento e delle pareti, con la volta coperta di capelvenere che
lasciava gocciolare l'acqua condensata, dovevano dare l'idea un po' barocca di grotta artificiale, dove Erode Attico poteva recarsi nei
periodi di calura estiva per passeggiare al fresco chiacchierando e
banchettando piacevolmente con i suoi ospiti.
Ricostruzione schematica
Il ninfeo si affacciava
originariamente sul fiume con un quadriportico, oggi non più
conservato, che delimitava una piscina rettangolare di raccolta, che
a sua volta si immetteva in un più vasto bacino lacustre, da
identificare forse nel
Lacus Salutaris noto dalle fonti
antiche, in cui confluivano le acque del fiume Almone.
Il ninfeo di Egeria in un'incisione di Giovanni Battista Piranesi del 1766
In alto sullo sfondo si nota raffigurata la chiesa di sant'Urbano (Tempio di Cerere e Faustina)
Scavi recenti hanno messo in
luce una fase di restauro dell'edificio, originariamente fatto
costruire da Erode Attico, che risale probabilmente alla costruzione
della residenza suburbana di Massenzio.
Nel '600 il ninfeo ospitò
una osteria mentre nel secolo successivo venne trasformato in
lavatoio.
La cisterna nei pressi
della chiesa di Sant'Urbano (5)
Si tratta di un edificio che
all'esterno appare rettangolare (m. 21,4 x 8,6) mentre all'interno le
pareti dei lati corti sono semicircolari; in origine era incassato
nel terreno, e per questo costruito in scaglie di selce senza
paramento (
opus signinum) con uno spessore di 60 cm. Il
pavimento è in cocciopesto, la volta è a due spioventi che formano
un angolo quasi retto.
L'interno della cisterna
Sopra la volta il tetto era originariamente
piano, ma vi fu costruito in un secondo tempo un muro perimetrale che
infatti aderisce male; questa sopraelevazione deve essere stata
eretta poco dopo la fondazione dell'edificio, visto che la tecnica
edilizia è la stessa del resto della costruzione. L'insieme permette
di datare l'edificio ai primi anni dell'impero (44 a.C.-40 d.C.)
E' molto probabile che lo
sbancamento del terreno circostante, che portò la cisterna allo
scoperto, sia avvenuto al tempo dell'imperatore Massenzio (305-312) per prelevare i materiali con cui realizzare la grande
piattaforma su cui poggiano il circo e il Palazzo; i blocchi di tufo
che si vedono ai piedi della cisterna devono essere stati collocati
dopo lo sbancamento, per rinforzare la base dell'edificio.
La
cosiddetta Cisterna-Ninfeo si trova sul versante opposto della valle, a pochi metri dall'ingresso di Largo Pietro Tacchi Venturi. Era in realtà un serbatoio, alimentato da
un acquedotto o da un serbatoio più grande. La struttura presenta
una pianta rettangolare di metri 7,10 x 9.15, rivestita di cortina
laterizia, ed è conservata per un’altezza massima di m. 3.50
circa. La copertura originaria è crollata ed era costituita da una
volta a botte. La tecnica edilizia è riferibile al III sec.
La
parte sud-orientale è caratterizzata da una sistemazione monumentale
costituita da quattro pilastri aggettanti, uniti da tre archi.
Su
entrambi i lati brevi erano presenti aperture per l’accesso
all’interno della cisterna, realizzate in età moderna quando il
manufatto fu usato come abitazione.
La cisterna-fienile (13)
Si tratta di un ambiente a pianta
rettangolare costruito con laterizi di reimpiego e materiali moderni,
al di sopra della vasca di una cisterna romana in opera cementizia in
scaglie di lava, di m. 14 x 5.5. Si ipotizza che la cisterna facesse
parte della villa romana di tarda età repubblicana - che presenta attività edilizie chesi protraggono
fino al IV sec.- i cui resti si trovano nell’area del Casale
Tarani, situato in via Carlo de Bildt.
Tra la fine dell’800 e i
primi del ‘900, nel corso dei lavori di ristrutturazione del Casale
Tarani, la struttura fu trasformata in fienile dalla famiglia
Torlonia, proprietaria della tenuta della Caffarella, in particolare
fu costruito il piano superiore come deposito per il foraggio secco.
La cisterna monumentale (15)
Sul poggio dominante la valle della
Caffarella, al termine del sentiero che prosegue l'allineamento di
via Bitinia, si riconosce il sito di una villa romana affacciata
verso la valle sottostante.
Pertinente alla villa è un grande
serbatoio munito di otto possenti contrafforti sul fronte a valle,
che funge anche da sostruzione della scarpata naturale. La struttura
realizzata scavando in parte nel banco di tufo, è impostata su un
terreno in forte pendenza da nord a sud e raggiunge un'altezza di
circa 8 metri e una superficie di circa 450 metri quadri (37x12).
Presenta una pianta rettangolare, articolata in due navate
longitudinali coperte da volta a botte, comunicanti attraverso cinque
aperture ad arco aperte nel muro divisorio, e due camere
perpendicolari sui lati brevi. Solo la navata nord e la camera
ortogonale occidentale conservano integralmente la copertura con
volta a botte. Lungo la volta della navata settentrionale si notano
le aperture rettangolari che consentivano l'accesso per la
manutenzione.
La navata settentrionale
La muratura in opera cementizia a
scapoli di lava basaltica fa propendere per una datazione del
manufatto alla prima età imperiale romana, da ascrivere alla
categoria dei "serbatoi a camere parallele comunicanti",
che accantonano acqua proveniente da un acquedotto. Nella parete
esterna della camera ortogonale occidentale è infatti visibile
l'ampio forame circolare – oggi tamponato – attraverso il quale
l'acqua dell'acquedotto (4) si scaricava nella cisterna. Il volume
d’acqua che questa poteva contenere è di circa 1500 metri cubi.
L'ingresso aperto lungo il lato meridionale
Dismesso come cisterna, l'edificio
venne successivamente utilizzato come abitazione, come testimoniano
l'apertura di un ingresso lungo il lato meridionale e la
realizzazione di una cucina nella camera occidentale.
Note:
(1) Nel lessico amministrativo romano,
il termine pago indicava una circoscrizione rurale posta al di
fuori delle mura cittadine.
(2) Il fiume prende il nome da un
giovane e focoso cortigiano del re Latino che fu il primo italico a
cadere nella guerra combattuta dai nativi contro i troiani di Enea
(Eneide, Libro VII, vv. 531-534). Ha quindi un carattere sacro
giacchè legato alle origini mitiche della città eterna. A partire
dal 204 a.C. inoltre, nelle sue acque il 27 marzo di ogni anno si
svolgeva il rito purificatorio della Lavatio Matris Deum. Come
descritto da Ovidio (Fasti, Libro IV, vv. 335-340), la statua
della dea Cibele (la Magna Mater), custodita nel tempio a lei
dedicato sul Palatino, veniva condotta in processione fino al punto
dove l' Almone confluiva nel Tevere, qui il sacerdote supremo la
immergeva e lavava, asciugandola e cospargendola di cenere.
La cerimonia si tenne fino al 380 quando i riti pagani furono
proibiti dall'Editto di Tessalonica promulgato da Teodosio I.
(3) La leggenda vuole che Egeria - una delle quattro ninfe
Camene - fu prima amante e successivamente moglie di Numa Pompilio che consigliò e
guidò nella promulgazione delle leggi. Nelle
Metamorfosi (Libro
XV) Ovidio racconta che alla morte del re la ninfa fu colta da
disperazione tale che non smetteva più di piangerlo, sì che Diana,
commossa, la trasformò in fonte.
Bertel Thorvaldsen, Numa Pompilio conversa con la ninfa Egeria nella sua grotta
bassorilievo in gesso, 1792
Thorvaldsen Museum, Copenaghen
(4) Molto probabilmente si trattava del ramo antoniniano dell'acquedotto Marcio, fatto costruire da Caracalla nel 212-213 per alimentare il grandioso impianto termale che porta il suo nome (cfr. scheda
Porta Appia, nota 1).