Palazzo Venezia, Costantinopoli
Con l'accordo di pace firmato il 18 aprile 1454 con la Serenissima, Maometto II accettò anche che, in base all’uso antico, un bailo veneziano, con il suo seguito, fosse inviato nella sua nuova capitale, per reggere, governare e amministrare la giustizia tra le persone a lui soggette, di qualsiasi condizione essi fossero, con l’ausilio, nel caso ve ne fosse stata la necessità, del subaşı ottomano.
Il Sultano rifiutò però che il bailo s'insediasse nuovamente nella residenza nel quartiere veneziano che occupava all'epoca dell'Impero bizantino, preferendo concedergli la casa e la chiesa, dedicata a Santo Stefano, che erano appartenute ai mercanti anconetani, per il cui restauro Venezia spese allora 200 lire (1). Furono probabilmente questi gli edifici confiscati ai veneziani dalla Porta quando scoppiò la guerra del 1499 e assegnati a Sinan pascià.
Già prima di questa data, comunque, alcuni funzionari della Serenissima, avevano alloggiato in un edificio situato a Pera, nell'attuale quartiere stanbulino di Beyoglu al di là del Corno d’Oro. La loro residenza preferita divenne agli inizi del Cinquecento un edificio situato sulla collina al di fuori delle mura e di conseguenza cominciarono a firmare i loro dispacci come provenienti Dalle Vigne di Pera.
L'edificio apparteneva alla famiglia Salvago, che fornì molti dragomanni alla Repubblica Veneta, e doveva essere all’origine piuttosto semplice, probabilmente in legno, ma con annessa una piccola cappella.
Nel corso del tempo i rappresentanti della Serenissima ampliarono il complesso con fabbriche necessarie alle cucine (1636-40), rinnovando il ballatoio che circondava l’edificio (1681), aggiungendovi la "parte più nobile" e restaurando cappella e scuderie (1709-14), ristrutturando
il quartiere separato per i portalettere (1702), aggiungendo ben dodici stanze (1727-28) e restaurando la grande loggia aperta alle intemperie (1739-42).
La Repubblica si mostrò sempre restia ad acquistare il palazzo, temendo confische in caso di momenti di tensione. Nel 1746, di fronte alla minaccia di metterlo all'asta avanzata dai nuovi proprietari che avevano ereditato l'edificio dai Salvago, fu però costretta ad acquistarlo.
Il terremoto del 2 giugno 1766 e l’incendio del 26 settembre dell’anno successivo, pur superati senza gravi danni, spinsero il bailo Paolo Renier a chiedere l’autorizzazione a Venezia per procedere ad altri restauri che vennero eseguiti nel 1772.
Lapide commemorativa dei restauri fatti eseguire dal bailo Paolo Renier
Nel 1797, alla caduta della Repubblica, la casa bailaggia divenne sede dell'internunzio (2) austriaco. Passata alla Francia napoleonica nel 1806, tornò all'Austria nel 1814 nelle cui mani rimase anche dopo l'annessione di Venezia al Regno d'Italia (1866). Soltanto il 1 dicembre 1918, al termine della prima guerra mondiale, un distaccamento di marinai italiani occupò l'edificio restituendone la sovranità all'Italia.
Salone da ballo
L'aspetto attuale dell'antica casa bailaggia - oggi nota come Palazzo Venezia (Venedik Saray) e sede del consolato italiano – è in gran parte frutto della ristrutturazione commissionata nel 1853 dall'internunzio barone Karl Ludwig Bruck ai fratelli Gaspare e Giuseppe Fossati. Il 6 febbraio 1854 fu dato un grande ballo per l’inaugurazione ufficiale della rinnovata sede diplomatica e una lapide in marmo nell’entrata a piano terra ancora ricorda l’avvenimento.
Note:
(1) Una chiesa dedicata a Santo Stefano, per altro mai identificata con certezza, compare come proprietà anconetana in un documento del del 1199. Non c'è però alcuna prova che la Repubblica di Ancona godesse di una concessione territoriale a Costantinopoli in epoca bizantina.
(2) Con questo titolo era definito il rappresentante diplomatico degli Asburgo presso la Sublime Porta.
Narrativa moderna e contemporanea:
Alessandro Barbero, Gli occhi di
Venezia, Mondadori, 2011.
Le vicissitudini di una giovane coppia
di sposi – Bianca e Michele – di umile condizione sociale
s'intrecciano agli sviluppi di un fatto storico realmente avvenuto.
Il 31 maggio 1590, al culmine di una brillante carriera, Girolamo Lippomano, esponente di una famiglia patrizia di primo piano che aveva già ricoperto cariche di prestigio (nonché, nella finzione romanzesca, causa delle disgrazie della coppia), fu nominato bailo della Repubblica di Venezia a Costantinopoli. Circa un anno dopo il suo insediamento, il Consiglio dei Dieci, sospettandolo di rivelazione di segreti di Stato a potenze estere (in particolare alla Spagna) e di irregolarità amministrative nelle operazioni di importazione di grano, inviò a Costantinopoli Lorenzo Bernardo, figura emergente della diplomazia veneta, con il delicato incarico di sostituirlo nella carica e convincerlo a rientrare in patria per discolparsi dalle accuse. Bernardo raggiunse Costantinopoli il 15 giugno 1591 ed il 25 riuscì ad imbarcare Lippomano sotto scorta su una galera diretta a Venezia, trattenendosi nella Città e ricoprendo la carica di bailo fino all'arrivo del nuovo bailo Matteo Zane (inizi del 1592).
Il 30 agosto 1591, quando la galera su cui viaggiava fu in vista della laguna, Lippomano si gettò in mare (secondo altri fu gettato in mare) lasciandosi annegare.
Piuttosto scarne le descrizioni dei luoghi, molto esauriente e dettagliata invece quella della vita a bordo delle galere veneziane e genovesi nel XVI secolo.