Il cassone con dipinta la Caduta di Trebisonda
E' un cassone nuziale fiorentino del XV
secolo – oggi conservato nel Metropolitan Museum di New York - che,
nella parte frontale, mostra dipinta la Caduta di Trebisonda.
E' segnalato per la prima volta in un
articolo del Weisbach del 1913 come proveniente da casa Strozzi per
la presenza delle insegne araldiche della famiglia (1). E'
considerata opera della bottega fiorentina di Apollonio di Giovanni e
Marco del Buono Giamberti.
In una variopinta scena di battaglia
sono raffigurate due città: a sinistra Costantinopoli,
identificabile dalla legenda e dall'accurata resa della topografia;
in alto a destra Trebisonda, anch'essa identificata dalla legenda e,
per la maggiore contiguità alla scena di battaglia, considerata come
fulcro dell'azione.
Il tema raffigurato suggerisce quindi
un termine
post quem per la datazione (1461, caduta di
Trebisonda) mentre la morte di Apollonio di Giovanni (1465) ne
stabilisce uno
ante quem.
Come già osservato la topografia
costantinopolitana è molto accurata, sulla sponda opposta di un
dilatato Corno d'Oro si distingue il sobborgo di Pera e più a nord,
indicata come chastelo novo dalla didascalia, la fortezza di
Rumeli Hisari fatta costruire nel 1452 da Maometto II sul versante
europeo del Bosforo.
L'accuratezza topografica della
ricostruzione della fortezza risulta evidente dal confronto con un
suo schizzo realizzato da una spia veneziana all'incirca nel 1453.
Cod.membr.641, 1453 c.ca,
Biblioteca Trivulziana, Milano
Ben riconoscibile, sulla sponda
asiatica, è anche il sobborgo di Scutari (l'antica Crisopoli)
indicato dalla didascalia come Loscuterio).
Particolare della raffigurazione di Costantinopoli
All'interno delle mura di
Costantinopoli si distinguono chiaramente la
colonna di Giustiniano –
priva della statua equestre dell'imperatore, come appariva già poco
tempo dopo la conquista ottomana - e l'obelisco di Thutmosi III nella
spina dell'
Ippodromo. Ancora, in primo piano Santa Sofia, con la
cupola e le due semicupole e, davanti ad essa e più bassa, la cupola
di Sant'Irene. All'angolo nordoccidentale della città l'edificio a
tre piani addossato alle mura è il palazzo delle Blacherne sul cui
tetto sembra di veder sventolare il vessillo dei Paleologi,
a
sinistra di questo un altro edificio coperto da cupola e a cui è
addossato un porticato rappresenta molto probabilmente il
katholikon
del monastero di San Giovanni Battista nel quartiere di Petrion (2)
mentre di più incerta identificazione è la chiesa a pianta
basilicale con un tetto a doppio spiovente, eretta su un basamento a
cui da accesso una scalinata di tre gradini. La chiesa presenta
inoltre una facciata in cui si aprono tre portali, quello centrale
dei quali sormontato da rosone e la didascalia la indica chiaramente
come dedicata a San Francesco.
Nella rappresentazione di Trebisonda
non si riscontra invece una altrettanta accuratezza topografica, sì
che essa sembra corrispondere piuttosto ad un modello immaginario.
L'abbigliamento e l'armamento degli
eserciti che si scontrano appaiono molto simili, differendo soltanto
per la foggia dei copricapo: conici e, in alcuni casi, forniti di una
falda ripiegata alla base o ornati da una piuma, per i trapezuntini;
bassi ed ornati da una fascia bianca, a ricordare la forma di un
turbante, per i turchi.
L'esito della battaglia è evidenziato
dai prigionieri tapezuntini inginocchiati con le mani legate dietro
la schiena nei pressi del campo nemico.
Andrea Paribeni (2001) ha però
rilevato una serie di incongruenze in questa interpretazione:
1. L'ultimo imperatore di Trebisonda,
Davide II Comneno, si arrese a Maometto II senza combattere. Non vi
fu quindi alcuna battaglia (cfr. scheda
L'impero di Trebisonda);
2. Maometto marciò su Trebisonda da
Costantinopoli - quindi da ovest - e non da oriente come nel
dipinto.
Ma è soprattutto la parola
tanburlana
che compare, appena sbiadita, nei pressi del carro che trasporta il
comandante dell'esercito vincitore, a fargli avanzare l'ipotesi che l'esercito
vittorioso proveniente da oriente sia quello dei mongoli di
Tamerlano mentre gli sconfitti siano i turchi del sultano Beyazit I
nella battaglia di Ankara (1402).
La presenza della città di Trebisonda
– che comunque appare nel dipinto estranea alla battaglia (ad
esempio non si notano soldati sulle mura) – andrebbe ricercata
nella committenza che Paribeni fa risalire a Vanni degli Strozzi come
dono nuziale per il matrimonio del fratello Ludovico con la figlia di
Bertoldo Corsini e collega ad i suoi recenti interessi economici
nella città di Trebisonda.
Il riferimento alla battaglia di Ankara
alluderebbe inoltre ad una adesione del committente al progetto
politico elaborato da papa Pio II Piccolomini intorno al 1458 di
formare un'alleanza antiottomana tra i regni cristiani orientali di
cui Unzun Hasan - il khan cristiano dei turcomanni di Ak Koyunlu (il Montone bianco) che aveva mutuato per sè proprio l'appellativo di nuovo Tamerlano - sarebbe stata la punta di diamante (3).
Note:
(1) Quando, circa un anno dopo l'articolo del Weisbach, il cassone venne acquistato dal Metropolitan Museum era però già privo di queste insegne. La provenienza da casa Strozzi sembra però confermata dall'impresa dipinta sulle fiancate laterali, un falcone ad ali spiegate appollaiato su un trespolo. Strozziere significa infatti falconiere.
(3) Paribeni osserva che se da un lato un oggetto destinato ad un uso privato come un cassone può apparire poco adatto a veicolare un messaggio politico, dall'altro questo durante l'esposizione dei doni nuziali viene visto da tutti, ben prestandosi quindi al "doppio gioco" di un mercante fiorentino come Vanni Strozzi il cui animo si divideva tra gli interessi commerciali delle nuove relazioni che andava stringendo con gli ottomani e l'adesione allo spirito crociato.