Epistula de urbis Costantinopoleos
captivitate, parte III
30. Tutta la
speranza della difesa venne posta dunque nel fossato e
nell'antemurale, perduti i quali, i difensori, rinserrati contro le
mura più alte e prive di difensori, non ebbero poi la possibilità
di resistere. (…)
31. Intanto si
diffonde la voce, proveniente dagli accampamenti [turchi] e riportata
dai nostri informatori, che sarebbero state spedite dall'Italia
alcune triremi e navi in nostro aiuto e che Giovanni, detto
comunemente Bianco (24), comandante dell'esercito ungherese, si stava
avvicinando al Danubio per attaccare il Turco. A seguito della
notizia l'esercito [turco] sgomento si spacca in due partiti. (…)
32. Infatti
Halil Pasha, dignitario e ministro più anziano del sovrano, che
aveva molta influenza per la sua autorità, la sua saggezza ed
esperienza di cose militari e che era ben disposto verso i cristiani,
aveva sempre cercato di dissuadere il suo sovrano dall'attaccare la
città di Costantinopoli, sostenendo che essa era inespugnabile, sia
per la sua posizione molto forte, sia per la solidità delle sue
abbondanti ricchezze, sia per le difese approntate non tanto dai
greci quanto dai latini. (…) “Concedi dunque la pace ai tuoi, o
sovrano” - egli diceva - “e non farti nemici i genovesi ed i
veneziani, tuoi vicini, che saranno utili ai tuoi sudditi; non
provocare l'ira dei cristiani contro la tua gente. La tua potenza è
enorme, e la renderai ancora più grande con la pace piuttosto che
con la guerra (...)”.
33. Zhaganos
[Pasha], più giovane, dignitario e suo secondo ministro, nemico dei
cristiani e soprattutto allora antagonista di Halil Pasha, riuscì a
persuaderlo che la potenza sua era talmente grande che nessun popolo
avrebbe potuto contrastarlo e che occorreva portar guerra contro i
greci, la cui potenza era minima. (…) Thurakhan [Beg], comandante
delle truppe della Tracia, non osando sostenere l'idea di Halil
Pasha, eccitò il sovrano alla guerra. Un eunuco, altro dignitario e
suo terzo ministro, appoggiò questa tesi (25). (…)
34. Allora,
quando Halil Pasha, ministro anziano, comprese che al suo sovrano era
piaciuto il consiglio di Zhaganos, suo nemico, e che l'attacco era
stato deciso, comunica tutto ciò, per mezzo di messi molto fidati,
di nascosto, all'imperatore suo amico. (…) Molti messaggi vengono
inviati da Halil Pasha all'imperatore. (…)
35. Venne quindi
emesso un proclama negli accampamenti con cui si ingiungeva che il
quarto giorno avanti le calende di maggio, un martedì, dope aver
accesi per tre giorni delle luminarie in onore di Dio, averlo pregato
e aver fatto digiuno per un giorno intero, tutti fossero pronti ad
ingaggiare battaglia e a dar l'assalto generale contro i cristiani; e
gli araldi proclamarono a gran voce che, per decisione del sovrano,
la città sarebbe stata abbandonata per tre giorni ai combattenti per
il saccheggio. (…) Ah, se tu avessi potuto ascoltare le loro voci
che gridavano fino al cielo: Illala, Illala, Machomet Russulala
(26), cioè “Non c'è
alcun altro Dio all'infuori di Allah: Maometto è il suo profeta”,
certo saresti rimasto sbalordito. Così avvenne: per tre giorni
accesero luminarie in onore di Dio e fecero un giorno di digiuno
senza toccare cibo fino al calar della notte. (…)
36. Noi, pieni
di meraviglia per così grande religiosità, pregavamo Iddio che ci
fosse propizio, con le lacrime agli occhi, portando in giro in
processione le immagini sacre con devozione lungo le fortificazioni e
per la città, a piedi nudi, seguite da gran turba di donne e di
uomini, e pregavamo con compunzione a che il Signore non permettesse
la distruzione del suo retaggio e si degnasse di porgere la sua
destra a noi suoi fedeli in così grave cimento. Così rinfrancati,
riponendo tutte le nostre speranze in Dio, attendevamo il giorno
stabilito per la battaglia con più coraggio. (…)
39. La battaglia
ha inizio: i nostri resistono con valore, respingono i nemici con
colpi di bombarda e di balestra e da una parte e dall'altra cadono un
numero quasi uguale di combattenti. Quando si avvicina l'alba, dopo
una notte piena di tenebre, i nostri sono ancora in vantaggio, ma
quando scompaiono gli astri e la stella di Lucifero (27) precorre il
sorgere del sole l'esercito turco si leva in massa e attacca
tutt'attorno la città, tra lo squillare delle trombe da tutte e due
le parti in lotta e tra il frastuono dei tamburi, invocando con
altissime grida: Illala, Illala, il dio della guerra.
40.
Nel giro di un'ora soltanto tutta la città viene investita per mare
e per terra. Prima fanno rombare le bombarde,
poi lanciano frecce che oscurano il cielo (…); si alzano grida
altissime, e subito si spiegano i vessilli (…). I Turchi cadono
abbattuti dalle pietre, molti soccombono alla morte e calpestandosi a
vicenda tentano di scalare le mura attraverso le rovine. I nostri li
respingono valorosamente, ma molti di essi feriti abbandonano la
battaglia. Il comandante Giovanni resiste e resistono anche gli altri
comandanti sulle proprie fortificazioni, accorrono in loro aiuto i
capitani della città a questo preposti (…). Nel frattempo, ahimè,
per un avverso destino della città, Giovanni Giustiniani è colpito
sotto l’ascella da una freccia; questi, giovane inesperto, turbato
dalla vista del proprio sangue, è subito preso dal terrore di
perdere la vita, e così, affinché i combattenti, che non sapevano
nulla della sua ferita, non perdano coraggio, abbandona di nascosto
il campo di battaglia per cercare un medico. Certo, se avesse
lasciato un altro al suo posto, la patria sarebbe ancora salva.
41. Intanto
i Turchi attaccano un’aspra battaglia. L’imperatore appena si
rende conto che il comandante non c’era più, domanda, con la voce
rotta dal dolore, dove se ne fosse andato. I nostri, quando si
accorgono di essere senza comandante, cominciano ad indietreggiare
dalle posizioni. I Turchi prendono vigore; tra i nostri si diffonde
il terrore. Tutti infatti cercavano di sapere che cosa fosse accaduto
in quel punto pericoloso (…). I nostri quindi, molto affaticati,
abbandonano per un po’, sotto la pressione del nemico, quel Muro
Baccatureo (28) che essi avevano restaurato. I Turchi allora, notato ciò,
pensano di poter oltrepassare le mura sfruttando il sentiero spianato
che si era venuto a creare con il riempimento del fossato provocato
dal crollo delle rovine (…) e come un turbine impetuoso, con una
sola spinta, scalano le mura, e conficcando su di esse i vessilli,
pieni di gioia, gridano subito vittoria (…).
42. Il povero imperatore, come vide il
capitano in preda alla disperazione, esclamò: “Ah, me misero, la
città è perduta? O destino infausto! Fermati, ti prego, capitano:
la tua fuga spinge altri a fuggire. Non si tratta di una ferita
mortale, sopporta il dolore e resisti con coraggio come hai promesso
solennemente”. Ma egli, dimentico della salvezza della città,
della gloria e di se stesso, mentre nel primo momento aveva mostrato
una notevole grandezza d'animo, dopo questo incidente svelò tutta la
sua paura. Avrebbe dovuto, se ne era in grado, sopportare la
sofferenza della ferita, e non ritrarsi per proprio conto, se era un
uomo, o almeno mettere un altro al suo posto che lo rimpiazzasse.
43. A seguito di ciò gli animi di
tutti i suoi commilitoni vennero meno, le loro forze scemarono e, per
paura di rimanere uccisi, lo seguirono. “Consegna la chiave al mio
scudiero”, intimò il capitano. E non appena la porta venne
aperta, tutti facendo ressa cercarono affannosamente di passare. Il
capitano si rifugiò a Pera; più tardi, mentre navigava alla volta
di Chio, morì senza alcuna gloria o per la ferita o per lo
sconforto (29). Oltre a ciò l'imperatore, per non cadere nelle mani del
nemico, gridò: “Pe amor di Dio, soldati valorosi, uno di voi mi
uccida trafiggendomi cpn la sua spada, e che la maestà mia imperiale
non cada sotto i colpi dello scaltro nemico”. A questo punto
Teofilo Paleologo, buon cattolico, esclamò: “La città è ormai
perduta: non è giusto che io le sopravviva”, e dopo aver sostenuto
il peso del combattimento per un po' di tempo cade tagliato in due da
un colpo di scure. Così Giovanni Dalmata, lottando come un Ercole,
prima ne uccide parecchi, poi anch'egli cade trafitto da spada
nemica. In seguito i nostri, schiacciatisi a vicenda nel tentativo di
passare per la porta, periscono. L'imperatore, rimasto coinvolto con
costoro, dopo esser caduto ed essersi rialzato, cade di nuovo e
muore, lui principe della patria, nella calca. Dei nostri dunque, tra
latini e greci, calpestandosi l’uno con l’altro
nel momento in cui uscivano dalla porta, morirono all’incirca in
ottocento.
44. (…) Il sole non
ancora aveva percorso l’emisfero terrestre e già tutta la città
era caduta in mano ai pagani (...)
46. Per tre giorni la città
fu preda di devastatori e saccheggiatori, che poi, dopo essersi
oltremodo arricchiti, la lasciano al potere del sovrano turco. Ogni
ricchezza e ogni bottino viene trasportato alle tende, e tutti i
Cristiani, in numero di circa sessantamila, legati con corde, vengono
fatti prigionieri. Le croci sradicate dalle sommità e dalle pareti
delle chiese, vennero calpestate con i piedi; furono violentate le
donne, deflorate le fanciulle, disonorati turpemente i giovani,
oltraggiate con atti di lussuria le monache rimaste e coloro che
erano state al loro servizio. O Dio mio, quanto devi essere adirato
con noi, con quanta severità hai distolto il tuo volto da noi
fedeli! Che dire? Tacerò o racconterò le offese arrecate al
Salvatore e alle sante immagini? Perdonami, o Signore, se narrp
crimini così orribili (...). Gettarono a terra le sacre icone di Dio
e dei santi e su di esse compirono non solo orge, ma anche atti di
lussuria. Poi portarono in giro per gli accampamenti il Crocefisso,
facendolo precedere dal suono dei timpani, per irrisione, e lo
crocefissero di nuovo durante la processione con sputi, con
bestemmie, con offese, ponendo sul suo capo il berretto turco, quello
che essi chiamano zarchula (30), e schernendolo gridavano: "Ecco,
questo è il Dio dei cristiani". (...)
47. Ottenuta la vittoria, i turchi la
celebrarono con gozzoviglie rimanendo in festa per alcuni giorni,
durante i quali il sovrano, caduto in preda all'ubriachezza, volle
mescolare sangue umano a vino. Chiamati poi a sé Kyr Luca [Notaras]
e gli altri dignitari imperiali e rimproveratili perchè non avevano
indotto l'imperatore a chiedere la pace o a consegnare la città in
suo potere, Kyr Luca (…) cercò di far cadere sugli altri la sua
colpa (31). (…) Accusò poi Halil pasha (…) di essere stato amico dei
greci, troppo amico loro, e comandò che fosse preso e rinchiuso in
una torre, poi che fosse spogliato di ogni avere e di ogni possesso,
infine che fosse portato ad Adrianopoli ed ivi ucciso (…).
48. Tuttavia Kyr Luca non riuscì a
sottrarsi alla punizione della sua malafede, perchè, dopo aver
perduto i due suoi figli più grandi in combattimento subito
all'inizio, un altro suo figlio, ancor giovinetto, venne riservato ai
piaceri voluttuosi del sovrano e poi anche questo terzo figlio venne
ucciso sotto i suoi occhi e a lui venne tagliata la testa assieme
agli altri dignitari. Così comandò che venisse tagliata la testa al
bailo dei veneziani e ad un figlio suo oltre che agli altri nobili, e
allo stesso modo al console degli aragonesi e ad altri due. E pure
Catarino Contarini, persona molto amabile, assieme ad altri sei
nobili veneziani, benchè riscattati già una prima volta, sarebbero
stati condannati a morte, contro tutte le promesse fatte, se non
fossero riusciti a ricomprare la loro vita con settemila monete d'oro
(…).
49. (…) Rifletti su tutto ciò,
beatissimo Padre, tu che tieni in terra le veci di Cristo, a cui deve
stare a cuore vendicare oltraggi così gravi fatti a Cristo e ai suoi
fedeli. Ti muova a compassione la pietà divina e abbi misericordia
della cristianità, tu che sai e che puoi, al cui cenno tutti i
principi cristiani obbediranno senza difficoltà per vendicare le
ingiurie fatte ai cristiani. Del resto, sappi che il Turco è montato
a così tanta superbia che osa affermare che penetrerà in Adriatico
e giungerà fino a Roma (…).
50. E guarda che a questa catastrofe è
pure connessa un'altra sciagura: quella degli abitanti di Pera, i
quali, quando videro presa la città, quasi impazziti, si diedero
alla fuga. Coloro che tra essi non riuscirono a salire sulle navi
caddero preda dei turchi, perchè le fuste turche li assalirono: le
madri, costrette ad abbandonare i loro figli, vengono fatte
prigioniere, altri invece, caduti in mare, muoiono affogati (…).
51. (…) Ahi podestà di Pera, quanto
è stata sciocca e cattiva la decisione dei tuoi concittadini! Degli
ambasciatori vengono inviati, pieni di terrore, al sultano da parte
degli abitanti di Pera per offrirgli le chiavi della città. Ed egli,
rendendosi conto con immensa gioia che i peroti non avevano più un
podestà, li accoglie e li annette come vassalli e alleati. Nomina un
governatore turco, confisca i beni di tutti coloro che erano fuggiti,
ordina che vengano abbattute le torri e le mura della città. Essi
ubbidiscono e si vendono a lui, senza ricordarsi del loro legame con
Genova, per aver salva la vita. Poi fa distruggere fino alle
fondamenta quella torre sulla cui sommità c'era il segno di Cristo,
da cui essa prendeva il nome di santa Croce (32). Così coloro che erano
dei liberi e fruivano della pace, ora sono dei vassalli, non senza
sentire amaro rimorso, da cui difficilmente potranno liberarsi, se
non con il tuo aiuto, o sommo Pontefice. E noi preghiamo e
supplichiamo pieni di fiducia che Dio ti spinga a rivendicare la loro
libertà.
Note:
(24) Giovanni Hunyadi, il voivoda di
Transilvania all'epoca dell'assedio capitano generale del regno
d'Ungheria. Quando, tra il 1433 ed il 1435, fu al servizio di Filippo
Maria Visconti i suoi compagni d'armi ungheresi lo chiamavano Janko
(Giovannino) che, pronunciato dagli italiani, divenne Bianco,
donde il soprannome di Cavaliere Bianco con cui era conosciuto
in Italia.
(25) A parte il contrasto di vedute tra
il Gran Visir Halil Pasha ed il secondo visir Zaghanos Pasha,
riportato anche da altre fonti, le informazioni di Leonardo sul
consiglio di guerra tenuto dal sultano non sembrano molto precise. Il
vecchio generale Thurakhan beg non può ad esempio avervi partecipato
perchè era stato inviato in Morea per impedire ai despoti Demetrio e
Tommaso, fratelli dell'imperatore, di soccorrere la città. L'eunuco
indicato da Leonardo come terzo visir potrebbe invece essere il
consigliere spirituale, lo sceicco Aq Sems ed-Din.
(26) Lā
ʾilāha ʾillā-llāh, muhammadun rasūlu-llāh. E'
l'inizio della professione di fede musulmana.
(27) Il pianeta Venere, che raggiunge la sua massima brillantezza poco prima del sorgere del sole.
(29) Giovanni Giustiniani Longo venne sepolto a Chio, nella non più esistente chiesa di S.Domenico (distrutta dal terremoto del 1881, al suo posto sorge ora la moschea Bairakli). Nell'iscrizione in latino sulla lapide, di cui ci rimane solo una trascrizione, si leggeva: Qui giace Giovanni Giustiniani, nobiluomo e patrizio genovese della maona di Chio, nominato grande comandante dal serenissimo imperatore Costantino, ultimo degli imperatori cristiani orientali, durante l'espugnazione di Costantinopoli per opera di Mehemet, sultano dei turchi, morì per una ferita ricevuta nell'anno 1453 il I di agosto.
(30) In turco Zerkulah, è il copricapo bianco indossato dai giannizzeri.
(31) Notaras cercò di addossare la colpa a genovesi e veneziani che avevano sostenuto Costantino XII con armi e uomini.